Svolgimento del processo
1. - Durante la settimana tecnico-sportiva organizzata dal Liceo Scientifico Statale “L. (omissis)”, L. B., all’epoca dei fatti diciassettenne, riportò gravissime lesioni personali, tali da renderlo affetto da una invalidità permanente quasi totale, a causa di una caduta dagli sci, verificatasi mentre percorreva la pista rossa (cd. Panoramica) dell’impianto sciistico M. Impianti S.p.A.
Per ottenere il ristoro di tutti i danni, patrimoniali e non patrimoniali, subiti a seguito di detto incidente, L. B. convenne in giudizio il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (MIUR), il Liceo Scientifico Statale “L. (omissis)”, la società M. Impianti S.p.A. e, infine, la M. Assicurazioni S.p.A., garante dell’istituto scolastico per i danni derivanti da responsabilità civile.
Per il risarcimento del danno derivante da lesione del rapporto parentale, intervennero in giudizio Anna Maria Bottino e Ilaria B., rispettivamente madre e sorella dell’attore.
1.1. - In parziale accoglimento della pretesa attorea e delle parti intervenute, il Tribunale di Genova, con sentenza del dicembre 2016, accertò anzitutto: a) una quota di responsabilità ai sensi dell’art. 2051 c.c., pari al 30%, in capo alla Società M.
S.p.A. (dichiarata fallita in corso di causa), per l’intrinseca pericolosità del tratto sciistico relativo al punto in cui era caduto l’attore – come accertato anche da consulenza tecnica d’ufficio espletata in corso di causa –, nonché in ragione della assenza di apposite segnalazioni e protezioni in loco; b) una quota di responsabilità, pari al 35%, in capo allo stesso L. B., in ragione della “sciata veloce e continua, superiore alle sue possibilità e contraria alle istruzioni, impartite dalla scuola, a rimanere a contatto visivo con i compagni”; c) infine, una quota di responsabilità pari al 35% imputata alla struttura scolastica, a causa della inosservanza dei generici obblighi di vigilanza che quest’ultima avrebbe dovuto osservare, in ragione degli obblighi di protezione gravanti sulla stessa nei confronti del minore. In particolare – rilevò il primo Giudice –, l’inadempimento della struttura, relativo agli obblighi sopra descritti, era da ravvisare nel fatto di «non aver previsto – dopo la lezione e prima di lasciare i ragazzi liberi di sciare da soli – un momento di incontro degli insegnanti con i ragazzi e i maestri della scuola, con funzione di “filtro”, volto a valutare la capacità dei ragazzi ed indirizzarli – con l’adozione delle adeguate raccomandazioni e misure di sicurezza – alla pratica dello sci libero. O eventualmente anche ad impedirglielo. […] Questo non è stato fatto: e L., che era uno sciatore principiante ed un ragazzo dal carattere molto esuberante, è stato lasciato libero di sciare da solo su una pista pericolosa o comunque non adeguata alle sue capacità […]».
Il Tribunale, quindi, condannò: a) il MIUR a versare all’attore la somma di euro 1.040.000,00, a titolo di danno non patrimoniale e quella di euro 180.000,00 a titolo di danno patrimoniale (sotto forma di rendita vitalizia), detratto quanto già versato all’attore in corso di causa da Assicuratrice M. S.p.A.; b) lo stesso MIUR a versare, in favore di Anna Maria Bottino e Ilaria B., rispettivamente la somma di euro 280.000,00 e di euro 140.000,00;
c) la Assicuratrice M. S.p.A. a manlevare il MIUR, nei limiti di massimale di polizza, dalle conseguenze pregiudizievoli derivanti dalle statuizioni di condanna.
2. - Avverso tale sentenza proponevano appello la Assicuratrice M. S.p.A., in via principale, e il MIUR, nonché L. B., in via incidentale.
2.1. - L’adita Corte di appello di Genova, con sentenza resa pubblica il 17 luglio 2019, rigettava gli appelli della Assicuratrice M. e del MIUR in punto di sussistenza della responsabilità per il sinistro occorso all’attore e in relazione alle singole quote di responsabilità accertate dal primo giudice; accoglieva in parte gli appelli dell’attore, del MIUR e della compagnia di assicurazione in ordine al quantum debeaur, respingendo la domanda proposta in sede di gravame da Ilaria B..
La Corte territoriale, a fondamento della decisione (e per quanto ancora rileva in questa sede), osservava che: a) la responsabilità della struttura scolastica andava confermata per non aver essa adempiuto ai propri obblighi di vigilanza, assumenti connotazioni differenti in ragione delle “specifiche circostanze di tempo, luogo e persone e sulle esigenze dei casi concreti”; a.1) nella specie, in ragione della personalità esuberante ed incline al rischio – di cui sono espressione sia le relazioni scolastiche fornite dagli insegnanti, che la stessa condotta posta in essere da L. B. sulla pista da scii (eccessiva velocità, “massima imprudenza e sottovalutazione dei rischi … al punto di esser stato subito perso di vista dalle due compagne che avevano iniziato la discesa con lui”) –, gli insegnanti avrebbero dovuto adottare, nei confronti di quest’ultimo, “cautele e forme di sorveglianza più rigorose ed incisive di quelle esigibili nei confronti degli altri ragazzi”;
b) sul quantum debeatur, la sentenza di primo grado era da riformare nei termini seguenti: b.1) il MIUR andava condannato al pagamento di euro 336.375,00 a titolo di danno patrimoniale in favore di L. B., in parziale accoglimento dell’appello incidentale sollevato da quest’ultimo, e di euro 859.830,00, a titolo di danno non patrimoniale, rideterminato al ribasso a seguito dell’accoglimento dell’appello incidentale sollevato dal Ministero stesso; b.2) in accoglimento dell’appello incidentale sollevato dal Ministero, occorreva procedere ad una diversa liquidazione del danno parentale in favore delle congiunte dell’attore, in ragione della necessità di procedere alla riduzione del 70%, trattandosi di lesione e non di perdita del rapporto parentale, e in ragione della necessità di contenere la liquidazione entro i limiti massimi stabiliti dalla tabelle milanesi (superati dal giudice di primo grado); b.2.1.) di conseguenza, andava riconosciuta alla madre la somma di euro 140.000,00 e alla sorella la somma di euro 70.000,00; b.2.2.) da tali somme andava scomputato l’importo pari al 35%, corrispondente alla quota di responsabilità di L. B. nella causazione dell’evento di danno ex art. 1227 c.c., con liquidazione definitiva pari ad euro 91.000,00, in favore della madre, e ad euro 45.500,00, in favore della sorella; c) era da rigettare il gravame dell’Assicuratrice M. volto ad escludere la copertura assicurativa in favore del MIUR; c.1.) l’esistenza di tale copertura andava affermata alla luce dei principi di conservazione del contratto e di interpretazione contra stipulatorem, per cui essa non poteva considerarsi limitata alla culpa in eligendo (assenza totale di misure organizzative idonee ad evitare il danno), così come assunto dalla compagnia di assicurazione al fine di sostenere l’inoperatività della polizza nella diversa ipotesi (relativa al caso di specie) di culpa in vigilando.
3. - Per la cassazione della sentenza ricorre l’Assicuratrice
M. S.p.A. affidando le sorti della impugnazione a due motivi. Resistono con congiunto controricorso L. B.,
Ilaria B. e Anna Maria Bottino, che hanno proposto anche ricorso incidentale sulla base di un unico, articolato, motivo.
Resistono congiuntamente con controricorso anche il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e il Liceo Scientifico Statale “Luigi (omissis)”, aderendo al primo motivo del ricorso principale e chiedendo il rigetto del secondo motivo del medesimo ricorso e del ricorso incidentale.
Non hanno svolto attività difensiva in questa gli intimati Fallimento M. Impianti S.p.A., Axa Assicurazioni S.p.A., M. Assicurazioni S.p.A.
I controricorrenti e ricorrenti incidentali L. B., Ilaria B. e Anna Maria Bottino hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c.
Motivi della decisione
Ricorso principale.
1. - Con il primo mezzo è prospettata violazione e/o falsa applicazione degli artt. 99, 112, 113 e 115, c.p.c., per essere la Corte territoriale incorsa nei vizi di violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato e di non contestazione, e nel vizio di ultrapetizione, nel momento in cui ha definito la controversia (nel senso della sussistenza della responsabilità della struttura scolastica): a) pronunciandosi su “fatti non allegati”, cioè il fatto che L. B. abbia percorso la pista mediante una condotta eccessivamente veloce; b) assegnando rilevanza al “supposto temperamento dell’alunno”, che “viceversa non ha spiegato alcuna efficacia eziologica nell’occorso”; c) pronunciandosi su una domanda mai sollevata dalla parte, avendo l’attore convenuto la struttura scolastica per sentirla condannare al risarcimento dei danni derivanti, non dall’”avergli consentito di percorrere una pista non consona alle sue capacità e preparazione, bensì dalla violazione degli obblighi di sorveglianza”.
Con il medesimo motivo di ricorso è, altresì, denunciata violazione degli artt. 40 e 41 c.p., nonché 1176 e 1218 c.c., per avere la Corte territoriale errato nel ritenere sussistente la responsabilità della struttura scolastica, nonostante risultasse dimostrato, attraverso un giudizio controfattuale, che, anche se la struttura avesse rispettato gli obblighi di sorveglianza di cui sopra, il fatto dannoso si sarebbe ugualmente verificato.
1.1. - Il motivo di ricorso è inammissibile in tutta la sua complessiva articolazione.
1.2. – Lo è, anzitutto, quanto alle censure che denunciano la violazione dei principi della domanda e di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, per aver il giudice di appello deciso in base a fatti non allegati dall’attore, ossia che lo stesso sciasse su una pista non consona alle sue capacità e “con una velocità eccessiva”.
La Corte territoriale – e di ciò non dubita neppure parte ricorrente - ha confermato la decisione di primo grado muovendo dalla medesima ricostruzione in fatto operata dal Tribunale: sciata veloce del minore, dal carattere esuberante, su una pista pericolosa, non consona alle sue capacità (cfr. pp. 6/8 sentenza di appello).
L’Assicuratrice M. S.p.A. non dà, però, alcuna contezza, nel rispetto dei principi di specificità e di localizzazione processuale (art. 366, primo comma, n. 4 e n. 6, c.p.c.), di aver proposto specifico motivo di appello, ai sensi dell’art. 342 c.p.c., per denunciare un vizio di violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato che avrebbe, pertanto, già (eventualmente) commesso il primo giudice, per aver questi basato la propria decisione sugli anzidetti fatti, i quali sarebbero stati, dunque, diversi – secondo la prospettiva difensiva coltivata dalla medesima parte ricorrente - da quelli allegati a fondamento della proposta azione risarcitoria.
L’omessa deduzione della società ricorrente è, nella specie, ancor più significativa, giacché nel controricorso del Ministero dell’istruzione si riportano le rubriche dei motivi di gravame a suo tempo proposti dalla stessa Assicurazione M. S.p.A. e da tali rubriche non risulta che sia stata veicolata una specifica doglianza di extrapetizione e/o ultrapetizione del primo giudice nei termini denunciati in questa sede (cfr. p. 16 controricorso MIUR).
E che la proposizione del motivo di appello anzidetto fosse necessaria deriva dal principio, consolidato, secondo cui è inammissibile il motivo di ricorso per cassazione con cui si lamenti dal quale sarebbe stata già affetta la sentenza di primo grado, allorché la deduzione di quel vizio non abbia costituito oggetto, in precedenza, di uno specifico motivo di gravame (tra le altre: Cass. n. 3385/1982; Cass. n. 1241/1995; Cass. n. 822/2000; Cass. n. 10172/2015; Cass. n. 18486/2020).
1.2. – Anche la censura sulla violazione del principio di non contestazione è affatto generica, poiché parte ricorrente non ha dato evidenza alcuna, nel rispetto del disposto di cui all’art. 366, primo comma, n. 4 e n. 6, c.p.c., dell'esistenza di un accertamento di fatto già formatosi e consolidatosi in primo grado a seguito della mancata contestazione delle circostanze, fattuali, sottese alla domanda attorea.
Peraltro, è la stessa deduzione a sostegno della censura – ossia, la “contestazione di responsabilità” della scuola, quale assunta come attinente al solo profilo della omessa sorveglianza - a rendere la doglianza medesima non pertinente rispetto all’evocazione del principio anzidetto, che riguarda la non contestazione di fatti storici e non già la qualificazione giuridica dei fatti stessi.
1.3. – Invero, i profili di censura non colgono la reale evoluzione della dinamica processuale che ha portato, anzitutto, il giudice di primo grado e, quindi, la Corte territoriale – che ha confermato l’accertamento compiuto dal Tribunale – a ricostruire la dinamica del sinistro nei termini in precedenza rammentati [cfr. § 2.1., lettere a) e a.1.), dei “Fatti di causa”, cui si rinvia] sulla scorta non solo delle allegazioni delle parti, ma anche delle emergenze probatorie (tra cui la c.t.u.) e facendo applicazione del principio di acquisizione processuale, secondo cui le risultanze istruttorie comunque ottenute, e quale che sia la parte ad iniziativa o ad istanza della quale siano formate, concorrono tutte indistintamente alla formazione del convincimento del giudice (tra le altre, Cass. n. 19731/2023 14284/2018).
Sicché, le doglianze si risolvono in una critica, inammissibile, dell’apprezzamento e della valutazione delle prove riservati al giudice del merito.
1.4. - Ed è inammissibile anche la critica di parte ricorrente al giudizio controfattuale operato dal secondo giudice al fine di ritenere sussistente la responsabilità della struttura scolastica, poiché si prospetta una ricostruzione alternativa rispetto a quella della Corte territoriale.
Il giudice di appello, infatti, a partire dal temperamento di L. B. – così come ricostruito in forza dell’apprezzamento delle risultanze probatorie – ha concluso nel senso della imputabilità soggettiva dell’evento lesivo alla struttura scolastica, in ragione del fatto che “gli insegnanti della scuola avrebbero dovuto tenere conto di questo innegabile dato caratteriale per adottare nei confronti di L. cautele e forme di sorveglianza più rigorose ed incisive di quelle esigibili nei confronti degli altri ragazzi” (p. 9 della sentenza di appello).
Dunque, da un lato, il temperamento del ragazzo è stato posto dalla Corte territoriale alla base della individuazione di obblighi di sorveglianza, a contenuto specifico, che avrebbe dovuto osservare la scuola; d’altro lato, dalla ricostruzione effettuata dal giudice di appello, emerge come “il fatto che ha cagionato l’incidente – ovvero la reazione caratteriale di L. davanti alla pista di sci – non era né imprevedibile né inevitabile” (p. 10 della sentenza di appello).
Di qui, pertanto, anche la conferma del fatto che, nella specie, la Corte territoriale ha correttamente applicato i parametri su cui si fonda il giudizio della cd. causalità della colpa: in ragione della pericolosità della pratica dello sci e il temperamento del ragazzo, gli insegnanti avrebbero dovuto e potuto dare attuazione agli obblighi di sorveglianza a contenuto specifico di cui sopra – in forza delle peculiari circostanze del caso concreto –, tale per cui risulta essere “più probabile che non” che se queste ultime fossero state predisposte il fatto non si sarebbe verificato.
2. - Con il secondo mezzo è denunciata violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1362 e ss., c.c., avendo la Corte territoriale erroneamente interpretato l’art. 18 delle condizioni generali del contratto di responsabilità civile, ossia nel senso che la limitazione di operatività della polizza contenuta in tale disposizione è applicabile alle sole ipotesi di sorveglianza inesistente, con la conseguente sussistenza della relativa copertura assicurativa nella diversa ipotesi di difetto di vigilanza.
Tale ricostruzione – assume parte ricorrente – violerebbe l’art. 1362 c.c., in quanto non attribuisce rilevanza alla ratio sottesa alla limitazione della copertura assicurativa: il contratto di assicurazione, in altri termini, garantirebbe per i soli vizi inerenti alla culpa in eligendo e non anche per il diverso caso di difetto di vigilanza, per cui in ogni caso sarebbe garantita copertura assicurativa mediante la sezione infortuni.
2.1. - Il motivo è infondato.
L’attività di interpretazione del contenuto del contratto, di cui fanno parte le condizioni generali, è attività ermeneutica rimessa alla discrezionalità del giudice di merito e sindacabile, in tale sede, per il solo vizio di violazione dei criteri di ermeneutica negoziali di cui agli artt. 1362 c.c. e segg., ovvero di omesso esame di un fatto decisivo e discusso ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. (che non deve, però, attenere all’interpretazione del regolamento contrattuale).
Nel caso di specie, nessun vizio di legge è riscontrabile nella ricostruzione fornita dal giudice di merito che, correttamente, ha applicato al caso di specie non solo il criterio dettato dall’art. 1362 c.c., ma anche i criteri di conservazione del contratto (art. 1367 c.c.) e di interpretazione contra stipulatorem (art. 1370 c.c.);
quest’ultimo specificamente previsto per interpretare le clausole contenute all’interno di moduli o formulari.
La Corte territoriale, anzitutto, ha interpretato l’art. 18 delle condizioni generali del contratto di assicurazione alla luce del criterio strettamente letterale, evidenziando come dalla sua lettura non emerga – come invece sostenuto dalla parte ricorrente – una distinzione tra colpa concernente il difetto di organizzazione, oggetto di copertura assicurativa, e culpa in vigilando (difetto di vigilanza), non oggetto di copertura. Sebbene l’art. 1362 c.c. individui il criterio letterale come recessivo in sede di interpretazione del contratto, in ragione della prevalente rilevanza della intentio delle parti contraenti in esso formalizzata, esso diviene invece uno dei criteri principe ove a dover essere interpretate siano clausole contenute in moduli o formulari, essendo state predisposte unilateralmente dallo stipulante.
In assenza di detta espressa distinzione, dunque, la ricostruzione operata dal giudice di merito in ordine alla limitazione della copertura assicurativa ai soli casi di assenza tout court di misure finalizzate alla sorveglianza dei ragazzi, diviene accertamento sul contenuto delle clausole insindacabile in questa sede.
Inoltre, accanto alla valorizzazione del criterio letterale, non ha errato il giudice di merito a dare rilievo, nel riconoscere la sussistenza della copertura assicurativa, agli altri due criteri sopra menzionati: le clausole devono essere interpretate, anzitutto, in modo tale che siano produttive di qualche effetto (art. 1367 c.c.) e, in ogni caso, di effetti favorevoli nei confronti dell’assicurato (art. 1370 c.c.).
La lettura plausibile della clausola contrattuale ad opera della Corte territoriale si rende palese dalla considerazione, a contrario, delle stesse argomentazioni sviluppate dalla ricorrente a sostegno del motivo di censura.
La Assicuratrice M. S.p.A., infatti, per sostenere la inoperatività della polizza al caso di difetto di vigilanza, afferma che in ogni caso la copertura assicurativa coprirebbe questa situazione in ragione della garanzia infortuni (p. 26 del ricorso), con la conseguenza che nessun effetto sfavorevole sarebbe prodotto per l’assicurato.
Invero, se l’art. 18 cit. fosse interpretato nel senso sostenuto dal ricorrente, nessuna operatività potrebbe essere riconosciuta alla limitazione in esso inserita, che finirebbe per estromettere tale garanzia per i danni conseguenti a responsabilità civile e confermare la sua copertura nel diverso ambito della garanzia infortuni. L’unica interpretazione che fornisce alla limitazione contenuta nell’art. 18 autonomo valore precettivo e che, dunque, le attribuisce qualche effetto è quella per cui la copertura assicurativa garantisce per i casi di culpa in eligendo, per il caso di difetto di vigilanza, non anche per i casi in cui tale vigilanza fosse totalmente mancata; limitatamente a quest’ultimo caso, dunque, non opererebbe né la garanzia assicurativa per i danni cagionati da responsabilità civile verso terzi, né quella per infortuni.
Peraltro, tali considerazioni non fanno che confermare come l’interpretazione fornita dal giudice di merito non stravolga il contenuto del contratto di assicurazione, in quanto – indipendentemente dalla sezione in cui essa è inserita – la polizza garantisce, in ogni caso, l’istituto scolastico per l’ipotesi di difetto di vigilanza.
Dunque, non soltanto l’interpretazione della Corte territoriale è conforme al principio di conservazione degli effetti della clausola contrattuale (mediante l’attribuzione alla limitazione in essa inserita di un autonomo valore precettivo), in conformità con l’art. 1367 c.c., ma sarebbe inoltre un’interpretazione favorevole per l’assicurato (in quanto garantirebbe l’operatività al caso di specie della polizza assicurativa) - e finanche non-sfavorevole per lo stesso stipulante (in quanto il difetto di sorveglianza sarebbe in ogni caso oggetto di copertura assicurativa, seppur sotto diversa sezione) -, mediante, dunque, un’interpretazione in linea con l’art. 1370 c.c.
Ricorso incidentale proposto da L. B., Ilaria B. e Anna Maria Bottino:
3. - Con l’unico motivo in cui è articolato il ricorso incidentale è prospettata, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1226 c.c., nonché, ai sensi all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., violazione dell’art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c. e, infine, dedotto, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, per avere la Corte territoriale erroneamente censurato l’aumento del doppio effettuato dal Tribunale nella liquidazione del danno da lesione del rapporto parentale in favore della madre dell’attore (Anna Maria Bottino), sul presupposto della impossibilità di superare i limiti massimi stabiliti dalle tabelle milanesi.
Tale ricostruzione – rileva la Bottino ricorrente incidentale – oltre che erroneo, in quanto “l’Osservatorio M. non è il legislatore”, è illegittimo sia nella parte in cui la Corte territoriale ha applicato tale riduzione in assenza di motivazione sul punto e, in ogni caso, in maniera contraddittoria; la Corte territoriale, in ultima analisi, nonostante abbia riconosciuto che tale “contenimento” rispecchi l’esigenza di liquidare il danno in maniera equa, “in ragione della gravità delle lesioni” riportate dal figlio, ha in realtà violato l’art. 1226 c.c. nella parte in cui non ha tenuto in considerazione, ai fini della quantificazione del danno, le allegazioni di parte e, segnatamente, le risultanze della espletata consulenza tecnica d’ufficio.
3.1. Il motivo è fondato per quanto di ragione.
3.2. - Giova, anzitutto, rammentare che la liquidazione equitativa, anche nella sua forma cd. “pura”, consiste in un giudizio di prudente contemperamento dei vari fattori di probabile incidenza sul danno nel caso concreto, sicché, pur nell’esercizio di un potere di carattere discrezionale, il giudice è chiamato a dare conto, in motivazione, del peso specifico attribuito ad ognuno di essi, in modo da rendere evidente il percorso logico seguito nella propria determinazione e consentire il sindacato del rispetto dei principi del danno effettivo e dell’integralità del risarcimento.
Ne consegue che, allorché non siano indicate le ragioni dell’operato apprezzamento e non siano richiamati gli specifici criteri utilizzati nella liquidazione, la sentenza incorre sia nel vizio di nullità per difetto di motivazione (indebitamente ridotta al disotto del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost.) sia nel vizio di violazione dell’art. 1226 c.c. (Cass. n. 22272/2018).
In definitiva, una liquidazione equitativa del danno, priva di specifica motivazione, si pone in violazione non solo della legge processuale (art. 132 c.p.c.), ma anche dell’art. 1226 c.c., perché ciò che difetta è non solo la motivazione, ma anche la valutazione e tale valutazione deve dare conto anche del profilo della quantificazione del danno sotto il profilo dell’“inferenza degli importi riconosciuti dai dati presupposti” (Cass. n. 33005/2021).
3.3. - Il capo di sentenza censurato in questa sede è – ferma restando la riduzione del 35%, proporzionale al grado di responsabilità ascritto a L. B., quale statuizione non impugnata (p. 57 del controricorso/ricorso incidentale) - quello relativo alla parte in cui la Corte territoriale ha proceduto alla riduzione del quantum debeatur liquidato equitativamente dal giudice di primo grado, assumendo che “in nessun caso il risarcimento può superare il limite massimo delle tabelle milanesi”, (pag. 14 sentenza impugnata).
Questa affermazione è in diritto errata, in quanto costituisce principio consolidato, enunciato da questa Corte, quello per cui, in sede di liquidazione equitativa del danno non patrimoniale, il giudice possa discostarsi dai limiti tabellari, purché tale scostamento sia supportato da adeguata motivazione che renda manifeste le circostanze, anomale e irripetibili (provate dalla parte danneggiata), che hanno richiesto una “personalizzazione” in aumento in quanto non adeguatamente risarcibili mediante una liquidazione confinata all’interno degli ordinari parametri tabellari.
Il giudice di appello, dunque, nel reputare eccessiva e immotivata la quantificazione operata dal primo giudice, avrebbe dovuto procedere esso stesso ad un apprezzamento delle circostanze del caso, in base alle risultanze processuali acquisite, e così provvedere alla liquidazione equitativa del danno non patrimoniale per lesione del rapporto parentale patito dalla madre di L. B., dando contezza del peso attribuito agli elementi valorizzati in rapporto alle somme equitativamente da liquidarsi.
Nella specie, la liquidazione operata in favore della Bottino è affatto priva di una tale motivazione, incorrendo nei vizi sopra richiamati e denunciati dalla ricorrente incidentale.
Conclusioni.
4. – Va, quindi, rigettato il ricorso principale e accolto quello incidentale nei termini sopra precisati.
La sentenza impugnata deve, pertanto, essere cassata in relazione al ricorso accolto e la causa rinviata alla Corte territoriale, in diversa composizione, che provvederà ad una rinnovata liquidazione del danno non patrimoniale da lesione del rapporto parentale patito da Anna Maria Bottino, ferma restando la riduzione del 35%, proporzionale al grado di responsabilità ascritto a L. B..
Il giudice del rinvio provvederà, altresì, alla regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
rigetta il ricorso principale e accoglie il ricorso incidentale nei termini di cui in motivazione;
cassa la sentenza impugnata in relazione al ricorso accolto e rinvia la causa alla Corte di appello di Genova, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.