
Svolgimento del processo
1. Con sentenza pronunciata in data 14/12/2022, la Corte di appello di Bari, in riforma della sentenza del Tribunale di Bari dell'l/10/2021, condannava l'imputato (quale l.r. della ditta (omissis)) alla pena di anni 1 di reclusione ed euro 600 di multa, in ordine al delitto di cui all'articolo 2 commi 1 e 1-bis, I. 463/1983, per avere omesso di versare le ritenute previdenziali e assistenziali operate sulle retribuzioni dei lavorati dipendenti relativamente al periodo gennaio 2015-dicembre 2015, per un importo complessivo di euro 30.010,83 .
2. Avverso la sentenza l'imputato, tramite il proprio difensore di fiducia, propone ricorso per cassazione.
Lamenta in particolare, con l'unico motivo di ricorso, il vizio di violazione di legge riferito all'art. 2 commi 1 e 1-bis, I. 463/1983 e vizio di motivazione.
La Corte di appello, nel ribaltare la pronuncia assolutoria di primo grado, non avrebbe indicato né a quali lavoratori si riferirebbero i contributi omessi, né per quali importi, né avrebbe motivato, se non con formula di stile, sulla circostanza che molti dei dipendenti insinuati al passivo sarebbero coloro cui si riferirebbero le presunte· denunce (provate, secondo la Corte territoriale, dai DM1O «virtuali» generati dal sistema UNIEMENS), ciò che escluderebbe la sussistenza del delitto in esame, non configurabile senza il materiale pagamento ai lavoratori del corrispettivo.
Non avrebbe inoltre considerato lo stato di decozione della azienda, fallità poco dopo, che avrebbe comunque impedito all'imputato di effettuare i pagamenti dovuti per legge, dovendosi così escludere la sussistenza del dolo.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è inammissibile.
La Corte premette come punto focale del ribaltamento della pronuncia di secondo grado sia costituito dalla valorizzazione dei c.d. «DM1O virtuali» trasmessi tramite sistema UNIEMENS.
Sul punto la Corte evidenzia come, fino al 2009, le denunce mensili venivano inoltrate all'INPS attraverso l'utilizzo di due diversi modelli: DM10/2 ed EMENS. Prima della formalizzazione del flusso UNIEMENS, il datore di lavoro doveva compilare il modello DM10 per denunciare all'INPS le retribuzioni mensili corrisposte ai dipendenti, i contributi dovuti e l'eventuale conguaglio delle prestazioni, delle agevolazioni e degli sgravi anticipati per conto dell'INPS.
I modelli DM10 presentati online erano soggetti sia a una verifica formale nel momento del loro ingresso nel sistema dell'Istituto, sia a un controllo di merito relativo alla compatibilità delle voci (accredito o a debito) esposte, rispetto alle caratteristiche contributive associate alla matricola dell'azienda. Unitamente al modello DM10 era necessario inoltrare anche il modello EMENS, introdotto a gennaio 2005, che consisteva in un flusso telematico tramite cui i sostituti d'imposta tenuti al rilascio della Certificazione Unica (CU) trasmettevano mensilmente agli enti previdenziali, direttamente o tramite gli incaricati, entro l'ultimo giorno del mese successivo a quello di riferimento, i dati retributivi e le informazioni utili:
- al calcolo dei contributi;
- all'implementazione delle posizioni assicurative individuali;
- all'erogazione delle prestazioni.
A partire dalle denunce con competenza relativa al mese di maggio 2009, da presentarsi quindi entro il 30 giugno 2009, ha preso il via l'unificazione dei flussi EMENS e DM10 in un unico flusso informativo denominato UNIEMENS.
Per i datori di lavoro, l'invio del flusso UNIEMENS deve avvenire entro l'ultimo giorno del mese successivo a quello di competenza. L'invio della denuncia mensile tramite flusso UNIEMENS deve essere inoltrato online all'INPS attraverso il servizio dedicato.
L'utilizzo del sistema UNIEMENS è obbligatorio per i datori di lavoro privati.
Le Sezioni Unite della Corte (Sez. U, n. 10424 del 18/01/2018, Del Fabro, Rv. 272163 - 01, citata nella sentenza impugnata) hanno chiarito che «la procedura prevede un controllo di congruità delle dichiarazioni, con possibilità di correzione o rettifica, ricorso a successivi processi di regolarizzazione ed ulteriori attività di verifica che possono dar luogo ad eventuali variazioni contributive, sia a credito che a debito. Ne consegue che anche sulla base di tali adempimenti può compiutamente definirsi l'ammontare del debito contributivo, attraverso un sistema, per così dire, fluido, che in alcuni casi consente l'esatta individuazione degli importi dovuti solo all'esito di determinati calcoli», così sottolineando l'attendibilità e la piena valenza probatoria del sistema in parola.
2. Scendendo in concreto, la decisione impugnata risulta adeguatamente motivata, senza contraddizioni e manifeste illogicità (contrariamente alla sentenza di primo grado, che aveva dedotto la mancata allegazione da parte del pubblico ministero dei DM10, v. ultima pagina sentenza), rilevando che la prova del credito risulta dai mod. DM 10 virtuali, applicando correttamente la giurisprudenza di questa Corte, secondo cui «in tema di omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali operate dal datore di lavoro, i modelli DM 10, formati secondo il sistema informatico UNIEMENS, possono essere valutati come piena prova della effettiva corresponsione delle retribuzioni, trattandosi di dichiarazioni che, seppure generate dal sistema informatico dell'INPS, sono formate esclusivamente sulla base dei dati risultanti dalle denunce individuali e dalla denuncia aziendale fornite dallo stesso contribuente» (Sez. U, n. 10424 del 18/01/2018, Del Fabro, Rv. 272163 - 01; Sez. 3, n. 42715 del 28/06/2016 - dep. 10/10/2016, Franzoni, Rv. 26778101; Sez. 3, n. 28672 del 24/09/2020, Brunozzi, Rv. 280089 - 0l; Sez. 7, Ordinanza n. 39300 del 16/09/2022, Ciullo).
Correttamente, pertanto, la Corte di appello ha ritenuto non avere l'imputato fornito la prova della identità dei lavoratori insinuati al passivo (e quindi non retribuiti) con quelli di cui ai DM10 virtuali (che si presumono retribuiti), circostanza cui è consegue la declaratoria di responsabilità per il reato ascritto.
In proposito, il Collegio rammenta che, a fronte dell'onere probatorio assolto dalla pubblica accusa, anche sulla base di presunzioni (quale quella scaturente, nel caso concreto, dai dati trasmessi dall'impresa tramite il sistema UNIEMENS), spetta all'imputato allegare il contrario sulla base di concreti ed oggettivi elementi fattuali, poiché è l'imputato che, in considerazione del principio della c.d. «vicinanza della prova», può acquisire o quanto meno fornire, tramite l'allegazione, tutti gli elementi per provare il fondamento della tesi difensiva Sez. 2, n. 6734 del 30/01/2020, Bruzzese, Rv. 278373 - 01; Sez. 2, n. 7484 del 21/01/2014, Borroni, Rv. 259245 - 01).
3. il ricorrente adduce inoltre la «crisi di impresa» quale causa dell'omesso versamento dei contributi dovuti.
Il motivo è manifestamente infondato.
Indipendentemente dal tema generale dalla valenza scusante o meno della «crisi di liquidità» (sfociata, come nel caso di specie, ne! fallimento della società), costituisce elemento assorbente la considerazione secondo cui, per il reato che qui occupa, la giurisprudenza costante della Corte è nel senso che «il reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali è a dolo generico, ed è integrato dalla consapevole scelta di omettere i versamenti dovuti, ravvisabile anche qualora il datore di lavoro, in presenza di una situazione di difficoltà economica, abbia deciso di dare preferenza al pagamento degli emolumenti ai dipendenti ed alla manutenzione dei mezzi destinati allo svolgimento dell'attività di impresa, e di pretermettere il versamento delle ritenute all'erario, essendo suo onere quello di ripartire le risorse esistenti all'atto della corresponsione delle retribuzioni in modo da adempiere al proprio obbligo contributivo, anche se ciò comporta l'impossibilità di pagare i compensi nel loro intero ammontare». (Sez. 4, n. 8611 del 17/12/2021, dep. 2022, Maso, n.m.; Sez. F - , Sentenza n. 23939 del 11/08/2020, Moretti Cuseri, Rv. 279539 - 01; Sez. 3, n. 36421 del 16/05/2019, Tanghetti, Rv. 276683 - 01; Sez. 3, Sentenza n. 43811 del 10/04/2017, Rv. 271189).
Come evidenziato dalla citata Sez. 3, n. 36421/2019, il debito contributivo è collegato al pagamento delle retribuzioni: ogni qualvolta il datore di lavoro effettua tali pagamenti sorge, a suo carico, l'obbligo di versare le somme dovute all'INPS, trattenendole sulle retribuzioni stesse di cui costituiscono quota parte. L'art. 2115 cod. civ., infatti, impone al datore di lavoro di versare anche la parte di contributo che è a carico del lavoratore, salvo il diritto di rivalsa.
L'art. 19 I. n. 218 del 1952 prevede inoltre che «il contributo a carico del lavoratore è trattenuto dal datore di lavoro sulla retribuzione del periodo di paga cui il contributo si riferisce»; ciò significa che il datore di lavoro è il responsabile unico del pagamento dei contributi anche per la quota a carico del lavoratore. La ritenuta deve essere riferita allo stesso periodo di paga al quale il contributo si riferisce, come si desume 1 I. n. 4/1953, che prevede l'obbligo, imposto al datore di lavoro, di indicare, nel prospetto paga, la distinta delle singole trattenute.
Appare dunque chiaro che, attraverso il meccanismo della trattenuta, il datore di lavoro aziona e rende concreto il suo diritto di rivalsa mediante la (anticipata) costituzione della provvista finanziaria necessaria a far fronte - pro-quota lavoratore dipendente - alla sua obbligazione nei confronti dell'INPS.
Il contributo, infatti, è percentualmente quantificato sull'ammontare della retribuzione lorda del lavoratore, come prevede l'art. 17 I. n. 218/1952, e, pur costituendone una quota ideale - perché corrispondente a una somma fisicamente non consegnata al lavoratore stesso, si tratta pur sempre di una parte della retribuzione utilizzata dal datore a fini di rivalsa.
Tate ricostruzione non è smentita, ma confortata, dalla previsione dell'art. 1 comma 1-bis, ultima parte, I. 463/1983, secondo cui il datore di lavoro non è punibile, né assoggettabile alla sanzione amministrativa, se provvede al pagamento entro tre mesi dalla contestazione o dalla notifica dell'avvenuto accertamento selle violazione.
Si tratta infatti di una speciale causa di non punibilità, di cui può beneficiare il datore di lavoro ove, appunto, versi integralmente quanto dovuto, così realizzando, sia pur tardivamente ma entro un limite temporale certo e predefinito, l'interesse dell'INPS alla percezione delle ritenute.
L'omesso versamento delle ritenute effettuate a fini contributivi sulle retribuzioni effettivamente corrisposte «si traduce, pertanto, nella distrazione ad altri fini di somme di denaro astrattamente di pertinenza del lavoratore dipendente, il che confligge in astratto con la tesi della crisi di liquidità, logicamente contraddetta dalla disponibilità del danaro sufficiente al pagamento delle retribuzioni, onerando chi l'invoca di ben più precisi e stringenti oneri probatori» (Sez. 3, n. 36421/2019, cit.) Sez. 3, n. 19671 del 6/03/2018, Sabatini, n.m., ha aggiunto che «in ipotesi di conflitto tra l'obbligo contributivo e il diritto dei lavoratori a percepire la retribuzione agli stessi spettante, non illogicamente è stato ritenuto di dover accordare prevalenza a quello che, solo, riceve, secondo la non irragionevole scelta del legislatore, una tutela penalistica attraverso la previsione della fattispecie incriminatrice qui in rilievo. Pertanto, l'imputato avrebbe dovuto, dinnanzi al contestuale sorgere delle due obbligazioni, accantonare le somme corrispondenti al debito previdenziale, onde provvedere al versamento entro il sedici del mese successivo (cfr. amplius, in motivazione, Sez. 3, n. 56432 del 18/07/2017, Franzini, non mass.)».
La sentenza ultima citata (Franzini) precisa che entrambi i diritti, «quello correlato all'obbligazione previdenziale e quello riferibile all'obbligo retributivo, sono considerati meritevoli di tutela e non illogicamente il giudice di merito ha ritenuto di dover accordare prevalenza, nel caso dell'eventuale conflitto tra essi, a quello che, solo, riceve, secondo la non irragionevole scelta del legislatore, una tutela penalistica attraverso la previsione della fattispecie incriminatrice qui in rilievo>>.
La circostanza che l'azienda, alla scadenza mensile della relativa obbligazione retributiva, abbia continuato a corrispondere lo stipendio ai dipendenti, come emerge dai DM10 virtuali, evidenzia come la crisi di liquidità non fosse «assoluta» e che, pertanto, l'impresa non si trovava in quella situazione di impossibilità di compiere scelte alternative.
4. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.