
Si ha consegna di aliud pro alio, che dà luogo all'azione contrattuale di risoluzione o di inadempimento, qualora il bene venduto «non sia soltanto privo di qualità essenziali, ma quando sia completamente diverso da quello pattuito, rivelandosi così funzionalmente del tutto inidoneo ad assolvere la destinazione economico sociale della res venduta e quindi a fornire l'utilità richiesta».
L'attuale società ricorrente proponeva opposizione contro il decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Torino che la condannava a pagare ad una srl una somma di denaro per la fornitura di alimentatori integrati, chiedeva la revoca del decreto ingiuntivo e, in riconvenzionale, la risoluzione del contratto per inadempimento della venditrice. Il Tribunale accoglieva la domanda revocando il decreto e dichiarando la risoluzione del contratto di compravendita per inadempimento della venditrice; quest'ultima proponeva gravame, il quale veniva accolto dalla Corte d'Appello.
I Giudici di merito accoglievano il gravame principale e rigettavano quello incidentale in relazione al mancato accoglimento della domanda di risoluzione del contratto per consegna aliud pro alio basata sull'assenza delle certificazioni CE.
La controversia giunge in Cassazione, la quale rigetta il ricorso con sentenza n. 20120 del 13 luglio 2023.
Sul tema, la Cassazione ribadisce che «si ha consegna di aliud pro alio - che dà luogo all'azione contrattuale di risoluzione o di inadempimento ex art. 1453, cod. civ., svincolata dai termini di decadenza e prescrizione previsti dall'
Nel caso concreto, la Corte territoriale ha escluso la configurabilità della consegna di aliud pro alio, per la mancanza delle certificazioni CE poiché gli alimentatori potevano essere modificati secondo le esigenze dell'acquirente finale e, soprattutto, vi erano i presupposti per il rilascio delle certificazioni, secondo quanto appurato a mezzo di c.t.u., nella quale si attestava che, in effetti, successivamente le certificazioni erano state rilasciate.
Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza (ud. 7 giugno 2023) 13 luglio 2023, n. 20120
Svolgimento del processo
1. M. S.r.l. (d’ora in poi, “M.”) ha proposto opposizione contro il decreto ingiuntivo n. 933/2014 emesso dal Tribunale di Torino che la condannava a pagare a R. S.r.l. (d’ora in poi, “R.”) euro 7.625,00, oltre accessori e spese, per la fornitura di mille alimentatori integrati ed ha chiesto la revoca del decreto ingiuntivo e, in riconvenzionale, la risoluzione del contratto per inadempimento della venditrice e il risarcimento del danno.
2. R., costituendosi, ha chiesto il rigetto della domanda dell’opponente e il Tribunale di Torino, istruita la causa anche mediante una c.t.u., con sentenza n. 1039/2017, ha revocato il decreto ingiuntivo, ha dichiarato la risoluzione del contratto di compravendita per inadempimento della venditrice e ha condannato R. al risarcimento del danno, determinato in euro 36.175,40.
3. La Corte d’appello di Torino, con la sentenza indicata in epigrafe, per quanto qui rileva, ha accolto l’appello principale di R. ed ha rigettato l’appello incidentale di M.; conseguentemente, ha confermato il decreto ingiuntivo n. 933/2014 e ha disatteso le originarie domande proposte da M., condannandola a restituire a R. la somma di euro 49.241,50 che quest’ultima aveva versato nelle more del giudizio di secondo grado.
4. La Corte territoriale ha così motivato la propria decisione: (i) non è fondata l’eccezione sollevata da M. di inammissibilità dell’appello principale di R. in quanto l’atto introduttivo di quest’ultima rispetta le prescrizioni dell’art. 342, cod. proc. civ.; (ii) è generico il motivo di appello istruttorio formulato da M. per l’ammissione dei capitoli di prova non ammessi in primo grado: infatti, l’appellante non ha censurato in modo specifico l’ordinanza di ammissione delle prove del Tribunale; inoltre, non ha formulato le istanze istruttorie nelle conclusioni dell’atto di appello incidentale, il che rende inammissibile la relativa istanza; (iii) è prioritario l’esame dell’appello incidentale condizionato di M. - subordinato all’ipotesi di eventuale riforma del capo della sentenza di primo grado che ha dichiarato la risoluzione del contratto per fatto e colpa di R. – in relazione al mancato accoglimento della domanda di risoluzione del contratto per consegna di aliud pro alio basata sull’assenza delle certificazioni CE. Nel caso concreto, argomenta la sentenza di appello, la mancanza delle certificazioni, anche alla stregua dei princìpi di diritto enunciati in materia dalla giurisprudenza di legittimità, non consente di configurare la fattispecie come vendita di aliud pro alio in quanto il bene non appartiene a una categoria del tutto diversa da quella del bene acquistato, tanto che gli alimentatori potevano essere modificati, secondo le esigenze dell’acquirente finale, e soprattutto perché vi erano i presupposti per il rilascio delle certificazioni, ed in effetti la c.t.u. dà atto che successivamente le certificazioni furono trasmesse a R., la quale non le avrebbe poi inoltrate a M.. In altri termini (cfr. pag. 15 della sentenza), «la merce era in condizione di ottenere le certificazioni obbligatorie e quindi perfettamente idonea all’utilizzo»; (iv) va disatteso anche il motivo di appello incidentale di M. che riguarda il mancato riconoscimento o il ritardo della consegna dei beni, non essendo condivisibile la ricostruzione del fatto offerta dall’interessata sull’intervenuta conferma d’ordine per le vie brevi in seguito alle informazioni del 18/12/2012 e ben prima dell’8/02/2013. In realtà, (ibidem, pag. 17) «[non vi è] stato ritardo nella consegna, perché in effetti non vi fu conferma d’ordine, a seguito della proposta del 18 dicembre 2012, né particolari solleciti da parte dell’acquirente finale, la quale aveva richiesto le consegne a fine maggio-inizio giugno 2013»; inoltre, le parti non avevano previsto un termine essenziale ex art. 1457, cod. civ.; (v) quanto all’appello principale, è fondata la censura rivolta da R. alla sentenza appellata - che ha ravvisato la mancanza di qualità essenziali della merce (art. 1497, cod. civ.) – di non avere fatto applicazione della causa di esclusione della garanzia di cui all’art. 1491, cod. civ.; questa norma, alla stregua di un’interpretazione sistematica delle disposizioni relative alle obbligazioni del venditore, si applica oltre che alle ipotesi di vizi redibitori anche alla vendita di cosa priva delle qualità promesse (art. 1497, cod. civ.); (vi) a questo proposito, (ibidem, pag. 18), «la circostanza che non vi fosse ancora la certificazione necessaria per la commercializzazione era nota all’acquirente, come si evince dal tenore delle email in atti (email del 18/12/2012), con le quali si comunicava che i modelli ne erano sprovvisti, perché modificati secondo le esigenze dell’acquirente. Quest’ultimo rispondendo con e-mail del 10 gennaio 2013 nulla osservava sul punto. A ciò si aggiunga la circostanza che […] la merce poteva [ottenere] (e ha poi ottenuto) la certificazione necessaria»;
(vii) è fondato anche l’appello principale avverso il capo della decisione di primo grado che ha riconosciuto la tempestività della denuncia dei vizi. È vero che la denuncia dei vizi della cosa venduta, ai sensi degli artt. 1492, 1495, cod. civ., come sostiene il primo giudice, non richiede un’esposizione dettagliata e può anche essere generica. Tuttavia, nella specie, (ibidem, pag. 18), «nella lettera del 7/6/2013, nessun riferimento vi è al vizio riscontrato dal c.t.u., ma soltanto l’elencazione di altri diversi inconvenienti. Per tale motivo, non trattandosi di denuncia generica, bensì di missiva, nella quale si fa riferimento a vizi poi rivelatisi insussistenti, si deve ritenere che non vi sia stata alcuna tempestiva denuncia. Né può ritenersi la sussistenza di un riconoscimento degli stessi da parte del venditore».
5. M. ha proposto ricorso, con tredici motivi, per la cassazione della sentenza d’appello; R. ha resistito con controricorso. Le parti hanno depositato memorie.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso [«Primo motivo ex art. 360, n. 3 c.p.c.: violazione o falsa applicazione dell’art. 1453 c.c., dell’art. 345 c.p.c., e degli artt. R2, R4 e R5 dell’allegato 1 della decisione n. 768/2008/CE»], si censura la sentenza impugnata che là dove ha rigettato la pretesa di M. - la quale aveva dedotto la consegna di aliud pro alio – in considerazione della circostanza che la merce poteva ottenere le certificazioni obbligatorie ed era quindi idonea all’utilizzo, ha fatto riferimento, in maniera non consentita, a documentazione che controparte aveva prodotto soltanto nel giudizio di appello e che, come tale, non poteva essere acquisita, così come tempestivamente eccepito dalla stessa M..
2. Con il secondo motivo [«Secondo motivo ex art. 360, n. 3 c.p.c.: violazione o falsa applicazione degli artt. R2, R4 e R5 dell’allegato 1 della decisione n. 768/2008/CE e degli artt. 1453 e 1490 c.c.»], la ricorrente censura la sentenza impugnata che ha erroneamente escluso che la mancanza della certificazione CE e il difetto del requisito dell’halogen free integrassero un’ipotesi di consegna di aliud pro alio, anche in considerazione del fatto che, per la normativa comunitaria, la mancanza della certificazione CE e della dichiarazione di conformità CE (oltre che di ulteriore documentazione tecnica) comporta l’incommerciabilità degli alimentatori integrati.
3. Con il terzo motivo [«Terzo motivo ex art. 360, n. 3 ovvero 4 c.p.c.»], si censura la nullità della sentenza o, in subordine, si deduce la violazione dell’art. 112, cod. proc. civ., a causa della mancata pronuncia della Corte di Torino sull’appello incidentale condizionato di M. che chiedeva la riforma della decisione di primo grado nella parte in cui era stata esclusa la vendita di aliud pro alio per difetto del requisito dei cavi halogen free.
4. Con il quarto motivo [«Quarto motivo ex art. 360, n. 3 c.p.c.: violazione o falsa applicazione degli artt. 1453, 1490, 1491 e 1497
c.c. e degli artt. R2, R4 e R5 dell’allegato 1 della decisione n. 768/2008/CE»], sulla premessa che la decisione 768/2008/CE prevede l’incommerciabilità del bene privo della certificazione CE, la ricorrente censura la sentenza impugnata che, da un lato, ha confermato la correttezza della pronuncia di primo grado circa la mancanza di qualità essenziali (art. 1497, cod. civ.); dall’altro, ha escluso la risoluzione del contratto perché, a suo giudizio, la circostanza che non fosse stata ancora rilasciata la certificazione necessaria per la commercializzazione era nota all’acquirente e una simile consapevolezza determinava l’esclusione della garanzia (art. 1491, cod. civ.). Tale statuizione, secondo la prospettazione della ricorrente, è in contrasto con la disciplina del codice civile perché, come risulta dall’univoco dato normativo, la fattispecie dell’esclusione della garanzia ex art. 1491, cod. civ., non si applica alla mancanza di qualità ex art. 1497, cod. civ.
5. Con il quinto motivo [«Quinto motivo ex art. 360, n. 5 c.p.c.»], si censura la sentenza impugnata che ha omesso di esaminare il fatto, decisivo per il giudizio e oggetto di discussione tra le parti, che M. aveva lamentato in più occasioni la mancanza delle certificazioni e ne aveva sollecitata la consegna.
6. Con il sesto motivo [«Sesto motivo ex art. 360, n. 3 c.p.c.: violazione o falsa applicazione degli artt. 1453, 1490 e 1497 c.c. e degli artt. R2, R4 e R5 dell’allegato 1 della decisione n. 768/2008/CE»], la ricorrente ascrive alla sentenza impugnata la violazione dell’art. 1497, cod. civ., perché, pur riconoscendo che la merce venduta era priva delle qualità essenziali, ha negato la risoluzione del contratto sulla base di un’erronea ricognizione delle circostanze di fatto, per avere ritenuto che M., nell’e-mail del 10/10/2013, nulla avesse osservato sull’assenza della certificazione e che la merce potesse ottenere e che, successivamente, avesse ottenuto la certificazione necessaria.
7. Con il settimo motivo [«Settimo motivo ex art. 360, n. 3 c.p.c.: violazione o falsa applicazione degli artt. 1453, 1457, 1490 e 1497
c.c. e degli artt. R2, R4 e R5 dell’allegato 1 della decisione n. 768/2008/CE»], la ricorrente censura la sentenza impugnata là dove nega l’essenzialità del termine di adempimento e, muovendo da questa erronea premessa, valuta irrilevante il ritardo nella consegna.
8. Con l’ottavo motivo [«Ottavo motivo ex art. 360, n. 3 c.p.c.: violazione o falsa applicazione degli artt. 1453, 1495, 1497 c.c. e degli artt. 102 e 342 c.p.c.»], la ricorrente afferma che il Tribunale aveva escluso la decadenza della compratrice dalla garanzia (art. 1495, cod. civ.) per due distinte ragioni: per la validità della denuncia effettuata con lettera del 7/06/2013, e per il ripetuto riconoscimento dei vizi e della mancanza delle qualità essenziali da parte della venditrice. Ciò precisato, M. addebita alla seconda sentenza di avere accolto il motivo di appello di R. sulla mancanza di una valida e tempestiva denuncia dei vizi da parte della compratrice, ritenendo generica la denuncia in atti. Per la ricorrente tale statuizione trascura che (come già eccepito da M. dinanzi alla Corte distrettuale) lo stesso motivo di gravame era inammissibile per carenza d’interesse in capo a R. in ragione del fatto che controparte non aveva impugnato l’autonoma ratio decidendi della prima sentenza che, a sua volta, aveva accertato il riconoscimento dei vizi da parte della venditrice.
9. Con il nono motivo [«Nono motivo ex art. 360, n. 3 c.p.c.: violazione o falsa applicazione degli artt. R2, R4 e R5 dell’allegato 1 della decisione n. 768/2008/CE e degli artt. 1453, 1490, 1491, 1492, 1495 e 1497 c.c.»], per l’ipotesi dell’eventuale ammissibilità del motivo di appello di R. in punto di invalidità della denuncia del 7/06/2013, la ricorrente censura la sentenza impugnata che (appunto) afferma che la denuncia è invalida perché fa riferimento a vizi poi rivelatisi insussistenti, senza considerare che, nel solco della giurisprudenza, la denuncia dei vizi della cosa venduta è valida anche se non è esauriente e completa.
10. Con il decimo motivo [«Decimo motivo ex art. 360, n. 3 c.p.c.: violazione o falsa applicazione degli artt. R2, R4 e R5 dell’allegato 1 della decisione n. 768/2008/CE, degli artt. 1490, 1495, 1497 e 2909 c.c. e degli artt. 324 e 342 c.p.c.»], la ricorrente censura la sentenza impugnata che ha riformato la pronuncia di primo grado non ravvisando, a differenza del Tribunale, la sussistenza di un riconoscimento dei vizi da parte della venditrice, pur non avendo il potere di pronunciare sul punto poiché R., nella citazione in appello, non aveva contestato questa specifica statuizione della prima sentenza.
11. Con l’undicesimo motivo [«Undicesimo motivo ex art. 360, n. 3 ovvero 4 c.p.c. […] o, in subordine [violazione e/o falsa applicazione dell’] art. 112 c.p.c.»], la ricorrente censura la sentenza impugnata che ha omesso di pronunciare sul motivo di appello con il quale si chiedeva che la voce di danno relativa ai costi per la progettazione degli alimentatori integrati, liquidati dal Tribunale in euro 5.000,00, venisse determinata misura di euro 10.000,00.
12. Con il dodicesimo motivo [«Dodicesimo motivo ex art. 360, n. 3 e 4 c.p.c.: violazione o falsa applicazione degli artt. 111 Cost.; 132, n. 4 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c.»], si censura la motivazione apparente della sentenza impugnata che, senza spiegarne la ragione, ha disatteso l’eccezione sollevata da M. concernente l’inammissibilità dell’appello della controparte e lo ha laconicamente giudicato «rispettoso del dettato normativo».
13. Con il tredicesimo motivo [«Tredicesimo motivo ex art. 360, n. 3 c.p.c.: violazione o falsa applicazione dell’art. 346 c.p.c.»], si censura la sentenza impugnata che ha ritenuto inammissibili le istanze istruttorie formulate da M. in primo grado e riproposte nel giudizio d’appello (art. 346, cod. proc. civ.).
14. I primi tre motivi, suscettibili di esame congiunto per connessione, non sono fondati.
14.1. Per la giurisprudenza di questa Corte, si ha consegna di aliud pro alio - che dà luogo all’azione contrattuale di risoluzione o di inadempimento ex art. 1453, cod. civ., svincolata dai termini di decadenza e prescrizione previsti dall’art. 1495, cod. civ. - qualora il bene venduto non sia soltanto privo di qualità essenziali, ma quando sia completamente diverso da quello pattuito, rivelandosi così funzionalmente del tutto inidoneo ad assolvere la destinazione economico sociale della res venduta e quindi a fornire l’utilità richiesta (ex multis, Cass. n 28069/2021, in connessione con Cass. n. 7557/2017).
14.2. Nel caso concreto, la Corte di Torino, senza utilizzare documentazione tardivamente prodotta da R. (come dedotto da M. con il primo mezzo), senza omettere di pronunciare sull’intera domanda (e ciò comporta il rigetto della terza censura) e – quanto alla seconda censura, al pari della prima e della terza non meritevole di accoglimento - sulla base dell’apprezzamento delle complessive emergenze istruttorie, con un accertamento di fatto del quale ha dato conto in motivazione, ha escluso la configurabilità della consegna di aliud pro alio, per la mancanza delle certificazioni CE poiché gli alimentatori potevano essere modificati secondo le esigenze dell’acquirente finale e, soprattutto, vi erano i presupposti per il rilascio delle certificazioni, secondo quanto appurato a mezzo di c.t.u., nella quale si attestava che, in effetti, successivamente le certificazioni erano state rilasciate.
15. Il quarto, il sesto e il nono motivo, suscettibile di esame congiunto perché pongono la medesima questione di diritto, non sono fondati.
15.1. La distinzione tra esistenza di vizi e assenza di qualità promesse o essenziali è oggetto di un vivace dibattito in dottrina: è stato osservato che le soluzioni poste a tutela del compratore nei casi di mancanza di qualità sono quelle di cui agli artt. 1453 e seguenti, cod. civ., e implicano, a differenza delle azioni edilizie, il contegno colpevole del venditore. Secondo un diverso orientamento, invece, nonostante il tenore letterale dell’art. 1497, cod. civ., l’ipotesi relativa alla presenza di vizi e quella relativa alla mancanza di qualità non sono soggette ad una differente disciplina. L’azione di risoluzione al pari dell’azione di riduzione del prezzo costituiscono rimedi generali posti a tutela dell’acquirente, il quale dovrebbe poter domandare la riduzione del prezzo anche nella ipotesi di cui all’articolo 1497.
15.2. Sul versante della giurisprudenza, le Sezioni unite (Cass. Sez. U., n. 18672/2019), occupandosi della disciplina delle garanzie per i vizi della cosa (artt. 1490 – 1496, cod. civ.) e della mancanza di qualità (art. 1497, cod. civ.), hanno chiarito che gli effetti della garanzia per il cd. vizio redibitorio, cioè il vizio che rende la cosa venduta inidonea all’uso cui è destinata o ne diminuisce in modo apprezzabile il valore (art. 1490, cod. civ.), sono enucleati dall’art. 1492, primo comma, cod. civ., il quale prevede che, nei casi di cui all’art. 1490, cod. civ., il compratore può domandare a sua scelta la risoluzione del contratto (azione redibitoria), ovvero la riduzione del prezzo (azione estimatoria, o quanti minoris). Alla risoluzione del contratto conseguono effetti restitutori in quanto il venditore è tenuto a restituire il prezzo e a rimborsare al compratore le spese e i pagamenti sostenuti per la vendita, mentre il compratore deve restituire la cosa, a meno che questa non sia perita a causa dei vizi (art. 1493, cod. civ.). L’art. 1494, cod. civ., riconosce, inoltre, al compratore il diritto al risarcimento del danno, a meno che il venditore non dimostri di aver ignorato senza sua colpa l’esistenza dei vizi. Mentre la responsabilità risarcitoria del venditore presuppone che egli versi in una situazione di colpa, i rimedi di cui all’art. 1492, cod. civ., insegnano le Sezioni unite, prescindono da questa e sono azionabili per il fatto oggettivo dell’esistenza dei vizi. La garanzia resta esclusa se, al momento della conclusione del contratto, il compratore era a conoscenza dei vizi o questi erano facilmente riconoscibili secondo l’ordinaria diligenza, a meno che il venditore abbia dichiarato che la cosa ne era esente (art. 1491, cod. civ.). L’esercizio delle azioni edilizie ex art. 1492, cod. civ., è circoscritto temporalmente attraverso la previsione di un duplice termine, di decadenza e di prescrizione (art. 1495, cod. civ.). L’art. 1497, cod. civ., infine, contempla in favore del compratore uno specifico rimedio per la mancanza di qualità promesse o essenziali per l’uso cui è destinata, soggetto anch’esso ai termini di decadenza e prescrizione di cui all’articolo 1495.
15.3. Nella fattispecie concreta, la Corte piemontese, con accertamento di fatto insindacabile in sede di legittimità, in primo luogo, ha ritenuto che la società acquirente fosse a conoscenza che non era stata ancora rilasciata la certificazione CE necessaria per la commercializzazione degli alimentatori e che non avesse sollevato obiezioni; in secondo luogo, ha operato una corretta equiparazione tra garanzia per i vizi della cosa venduta e mancanza di qualità. In conseguenza di tale opzione ermeneutica, conforme a diritto, il giudice d’appello, altrettanto correttamente, ha applicato alla prospettata risoluzione del contratto per mancanza di qualità (art. 1497, cod. civ.), l’esclusione della garanzia (art. 1491, cod. civ.), quale tassello essenziale del variegato, unico sistema di rimedi approntati dal codice (art. 1490 – 1497, cod. civ.) in caso di vizi della cosa venduta, sopra sinteticamente delineato. Conseguentemente, ha disatteso la domanda di risoluzione di M. sul decisivo rilievo che (appunto) la compratrice, al momento della consegna, fosse al corrente del mancato rilascio della certificazione CE. Il ragionamento del giudice d’appello si conclude con l’ulteriore accertamento meritale che la missiva del 7/06/2013, inviata da M. a R., non costituisce una valida denuncia di vizi ed è una mera elencazione di una serie di inconvenienti, successivamente risultati insussistenti.
16. Il quinto motivo è inammissibile.
16.1. Il “nuovo” art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., applicabile ratione temporis, ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame circa un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia).
16.2. In questa vicenda il fatto che si assume non essere stato esaminato dalla Corte di Torino – e cioè che la M. avrebbe sollecitato in più occasioni la consegna delle certificazioni – non appare decisivo per il giudizio in ragione del fatto che la sentenza impugnata si fonda sulla circostanza che la compratrice era stata informata dalla venditrice che la merce non aveva la certificazione e, tuttavia, nulla aveva osservato al riguardo.
17. Il settimo motivo è inammissibile.
17.1. L’accertamento dell’essenzialità del termine per l’adempimento, ex art. 1457, cod. civ., costituisce un apprezzamento di fatto, riservato al giudice di merito - la cui valutazione è insindacabile in sede di legittimità, se sorretta da una motivazione congrua ed immune da vizi logici e giuridici - da condurre tenendo conto soprattutto della natura e dell’oggetto del contratto (Cass. 01/06/2020, n. 10353).
17.2. Nel nostro caso, la Corte territoriale ha insindacabilmente accertato, sulla base delle emergenze di fatto, che le parti non avevano previsto un termine essenziale per la consegna degli alimentatori.
18. L’ottavo e il decimo motivo, suscettibili di esame congiunto per connessione, sono inammissibili.
18.1. Le censure ad essi sottese sono prive di autosufficienza poiché la mancata riproduzione del motivo di appello incidentale di R., che avrebbe attinto soltanto una delle due distinte rationes decidendi per le quali il giudice di primo grado aveva escluso la decadenza della compratrice dalla garanzia per vizi, non consente a questa Corte di legittimità di verificare ex actis la fondatezza o meno delle relative doglianze.
19. L’undicesimo motivo non è fondato.
19.1. La Corte d’appello non ha omesso di pronunciare sulla censura di M. in tema di risarcimento del danno; invero, negando la risoluzione del contratto per inadempimento della venditrice, la sentenza impugnata respinge implicitamente il motivo di appello di M. attinente al risarcimento del danno.
20. Il dodicesimo motivo non è fondato.
20.1. È ius receptum (Cass. Sez. U. 27/12/2019, n. 34476, la quale cita, in motivazione, Cass. Sez. U., 07/04/2014, n. 8053; Sez. U. 18/04/2018, n. 9558; Sez. U. 31/12/2018, n. 33679) che «nel giudizio di legittimità è denunciabile solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, in quanto attiene all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali: tale anomalia si esaurisce nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e gR.co, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione».
20.2. Nella fattispecie concreta, come rimarca la Procuratrice generale nelle conclusioni scritte (cfr. pag. 4), la Corte territoriale, richiamata la giurisprudenza di legittimità sulla necessità che l’atto d’appello individui le questioni e i punti contestati della sentenza impugnata e con essi le relative doglianze, sulla scia della giurisprudenza di legittimità, ha soggiunto che l’atto di gravame era coerente con il “dettato normativo”, e cioè conforme ai requisiti di legge.
21. Il tredicesimo motivo è inammissibile.
21.1. La giurisprudenza di questa Corte (ex multis, Cass. 27/02/2019, n. 5741) ha avuto modo di precisare che la parte che si sia vista rigettare dal giudice le proprie richieste istruttorie ha l’onere di reiterarle, in modo specifico, quando precisa le conclusioni, senza limitarsi al richiamo generico dei precedenti atti difensivi, poiché, diversamente, le stesse devono ritenersi abbandonate e non potranno essere riproposte in sede di impugnazione. Tale principio deve essere esteso anche all’ipotesi in cui sia stato il giudice di appello a non ammettere le suddette richieste, con la conseguenza che la loro mancata ripresentazione al momento delle conclusioni preclude la deducibilità del vizio scaturente dall’asserita illegittimità del diniego quale motivo di ricorso per cassazione.
21.2. Nel presente giudizio la doglianza è inammissibile in quanto la ricorrente non ha nemmeno dedotto di avere riproposto le istanze istruttorie, in modo specifico, quando ha precisato le conclusioni davanti al giudice d’appello.
22. Il ricorso è rigettato.
23. Le spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rifondere alla controricorrente le spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 12.000,00, per compenso, più euro 200,00, per esborsi, oltre al 15 per cento sul compenso per spese generali, e agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto.