In tema di responsabilità professionale dell'avvocato per omesso svolgimento di un'attività da cui sarebbe potuto derivare un vantaggio personale o patrimoniale per il cliente, la regola della preponderanza dell'evidenza o del «più probabile che non» si applica anche all'accertamento del nesso tra l'evento di danno e le conseguenze dannose risarcibili.
L'attore chiedeva al Tribunale di accertare la responsabilità professionale dell'avvocato per avere proposto tardivamente l'appello contro la sentenza che lo aveva condannato al risarcimento dei danni subiti a seguito di un sinistro stradale, sostenendo che ciò avesse determinato l'esito infausto della lite. Il convenuto, erede universale dell'avvocato, si...
Svolgimento del processo
1. Con atto di citazione del 28/4/2009 P. I. convenne dinanzi al Tribunale di Palmi, sezione distaccata di Cinquefrondi, F.M., quale erede universale dell’avv. C. M., affinché venisse accertata e dichiarata la responsabilità professionale di quest’ultimo ex artt. 2230, 2236 e 1176 cod. civ., per avere l’avv. M. tardivamente proposto appello avverso la sentenza n. 145/2000, con cui il Tribunale di Vibo Valentia aveva condannato P. I. al risarcimento dei danni subiti da G. P. a seguito di incidente stradale per la somma di 569 milioni di lire (oltre rivalutazione e interessi), così determinando l’esito infausto della lite. L’attore chiese pertanto la condanna del convenuto al risarcimento di tutti i danni patiti, quantificabili complessivamente in euro 950.000,00.
2. F. M., in qualità di erede universale dell’avv. C. M., si costituì chiamando in causa la Assicurazioni G. s.p.a., contestando tutte le domande attoree e chiedendone l’integrale rigetto.
3. La terza chiamata Assicurazioni G. s.p.a. si costituì chiedendo che venisse dichiarata l’inammissibilità e/o l’infondatezza della chiamata di terzo formulata dal convenuto e della domanda attorea.
4. Con sentenza n. 88/2013, l’adito tribunale rigettò la domanda proposta dall’attore.
5. Lo I. propose appello, censurando la suddetta sentenza sotto diversi profili. In particolare: (i) per avere il Giudice di primo grado ritenuto non imputabile all’avv. M. il ritardo nella proposizione dell’appello avverso la sentenza n. 145/2000 del Tribunale di Vibo Valentia; (ii) per avere ritenuto insussistente il nesso di causalità tra l’inadempimento professionale dell’avv. M. e il danno subìto da I. in conseguenza della tardiva proposizione dell’appello; (iii) per avere affermato che spettasse all’attore fornire la prova certa del fatto che, se l’avvocato avesse operato correttamente, il danno non si sarebbe verificato; (iv) per avere affermato che la Corte d’appello di Catanzaro non si fosse pronunciata nel merito della causa, essendosi limitata a disporre la rinnovazione della consulenza tecnica d’ufficio; per non aver dichiarato la terza chiamata decaduta da tutte le eccezioni non rilevabili d’ufficio ex artt. 166 e 167 cod. proc. civ.; nonché per violazione dell’art. 43 bis del R.D. n. 12/1941.
6. F. M., nell’indicata qualità, si costituì, chiedendo il rigetto dei motivi di appello, ma, in via subordinata, chiese che Assicurazioni G., nei limiti di polizza, venisse condannata al pagamento dell’intera somma eventualmente liquidata in favore dell’attore.
7. Assicurazioni G. si costituì chiedendo il rigetto dei motivi di appello formulati da I. e, in subordine, della domanda di garanzia proposta da M..
8. Con sentenza n. 354/2020, depositata in data 29/4/2020, oggetto di ricorso, la Corte d’appello di Reggio Calabria ha rigettato l’appello proposto dall’odierno ricorrente, confermando la sentenza di primo grado.
9. Avverso la predetta sentenza P.I. propone ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo, illustrato da memoria, cui M. e la Assicurazioni G. s.p.a. resistono con separati controricorsi.
10. La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380-bis 1 cod. proc. civ.
11. Parte ricorrente ha depositato memoria.
12. Il Collegio si è riservato il deposito nei successivi sessanta giorni.
Motivi della decisione
1. Con unico motivo il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, 1° co., nn. 3 e 5, cod. proc. civ., “Violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto art. 360 c.p.c. comma 1 n. 3 e 5 - in relazione al combinato disposto degli artt. 1176 comma 2, 2236 e 1223 c.c. e 40 c.p. 115 c.p.c., per avere la sentenza impugnata erroneamente ritenuto non provato il nesso eziologico tra l’inadempimento professionale dell’avv. C. M. e il preteso danno subito da I. P., nonché per aver omesso l’esame di un fatto decisivo per il giudizio, avendo il giudice di seconde cure reputato erroneamente che l’ordinanza del 28.10.2003 -con la quale la Corte di Appello di Catanzaro aveva disposto la rinnovazione della ctu- non costituisse valida dimostrazione del fatto che, “fosse più probabile che non” che ove l’appello non fosse stato ritenuto inammissibile, avrebbe, condotto ad un risultato positivo per il I., con contestuale importantissima riduzione del risarcimento del danno subito dal P.”.
2. Il motivo è inammissibile, in quanto censura la ricostruzione in fatto del procedimento logico inferenziale compiutamente operato dalla Corte territoriale in relazione alla valutazione prognostica di infondatezza del probabile esito positivo del giudizio di appello.
2.1 La sentenza gravata tratta la questione con ampia e articolata motivazione, rilevando (p. 8, a partire dal terzo paragrafo) la carenza di prova sulla probabilità di un esito positivo del gravame pure intempestivamente coltivato e, in tal modo, della stessa esistenza di un danno collegato da nesso eziologico alla pure sussistente negligenza professionale.
2.2 La pronuncia si è pertanto attenuta alla consolidato orientamento di legittimità, cui si intende dare continuità, in base al quale «In tema di responsabilità professionale dell’avvocato per omesso svolgimento di un’attività da cui sarebbe potuto derivare un vantaggio personale o patrimoniale per il cliente, la regola della preponderanza dell’evidenza o del «più probabile che non», si applica non solo all’accertamento del nesso di causalità fra l’omissione e l’evento di danno, ma anche all’accertamento del nesso tra quest’ultimo, quale elemento costitutivo della fattispecie, e le conseguenze dannose risarcibili, atteso che, trattandosi di evento non verificatosi proprio a causa dell’omissione, lo stesso può essere indagato solo mediante un giudizio prognostico sull’esito che avrebbe potuto avere l’attività professionale omessa" (tra le più recenti, Cass. Sez. 3, sent. 24 ottobre 2017, n. 25112, Rv. 646451-01; analogamente, in 6 motivazione, Cass. Sez. 3, ord. 30 aprile 2018, n. 10320, non massimata sul punto, nonché Cass. Sez. 3, ord. 6 maggio 2020, n. 8516, Rv. 657777-01). Difatti, "anche nei casi di responsabilità professionale per condotta omissiva, il giudice, accertata l’omissione di un’attività invece dovuta in base alle regole della professione praticata, nonché l’esistenza di un danno che probabilmente ne è la conseguenza, può ritenere, in assenza di fattori alternativi, che tale omissione abbia avuto efficacia causale diretta nella determinazione del danno" (così in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. n. 25112 del 2017, cit.). Ciò premesso, tuttavia, occorre "distinguere fra l’omissione di condotte che, se tenute, sarebbero valse ad evitare l’evento dannoso, dall’omissione di condotte che, viceversa, avrebbero prodotto un vantaggio", giacché, "in entrambi casi possono ricorrere gli estremi per la responsabilità civile", ma solo "nella prima ipotesi l’evento dannoso si è effettivamente verificato, quale conseguenza dell’omissione; nell’altra, il danno (che, se patrimoniale, sarebbe da lucro cessante) deve costituire oggetto di un accertamento prognostico, dato che il vantaggio patrimoniale che il danneggiato avrebbe tratto dalla condotta altrui, che invece è stata omessa, non si è realmente verificato e non può essere empiricamente accertato" (in tal senso, ancora, Cass. Sez 3, sent. n. 25112 del 2017, cit., nonché, identicamente e sempre in motivazione, Cass. Sez. 3, ord. n. 10320 del 2018, cit.)» (così, di recente, Cass., Sez. III, ord. 26/01/2022, n. 2348; Cass., sez. III, ord. 6/05/2020, n. 8516; Cass., Sez. III, sent. 24/10/2017, n. 25112; Cass., Sez. III, ord. 31/10/2017, n. 25807; Cass., n. 10320/2018).
3. L’inammissibilità del motivo implica quella del ricorso, che va così dichiarata in dispositivo. Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo in favore dei controricorrenti G.Italia s.p.a. e F. M., seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi euro 8.000,00, oltre agli esborsi, liquidati in euro 200,00, oltre al rimborso spese generali e accessori di legge, in favore di ciascuno dei controricorrenti, G. Italia s.p.a. e F. M..
Ai sensi dell’art. 13, 1° comma, quater del D.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.