Secondo il Consiglio di Stato, la nozione riguarda non solo i dati e i documenti posti in immediata correlazione con il bene ambiente, ma anche quegli atti espressione di un'attività amministrativa che, direttamente o indirettamente, involge l'ambiente e la sua tutela.
Il giudice di primo grado accoglieva il ricorso proposto dall'associazione Greenpeace, contro il diniego opposto dal Politecnico di Torino avverso la richiesta di accessoagli atti concernenti accordi di collaborazione stipulati tra il Politecnico stesso e l'ENI.
Quest'ultima, proponeva appello sul presupposto che il giudice di prime cure avesse dilatato eccessivamente il concetto di “informazione ambientale accessibile” ricomprendendovi «atti e documenti aventi tutt'altro scopo e finalità, e cioè una attività di partenariato accademico che aveva lo scopo di avvicinare il sistema delle conoscenze al tessuto produttivo».
Con sentenza n. 6611 del 6 luglio 2023, il Consiglio di Stato rigetta l'appello condividendo invece l'interpretazione del giudice di primo grado, ed affermando in particolare, come non possa escludersi «che accordi o convenzioni tra un soggetto operante in ambito accademico e un'impresa notoriamente leader nel settore energetico rivestano interesse al fine di rendere pubblici e trasparenti gli indirizzi volti a produrre conseguenze in termini di scelte e politiche ambientali, che non si vede perché dovrebbero rivestire carattere di riservatezza».
Pertanto, la nozione di informazione ambientale accessibile, di cui all'
Consiglio di Stato, sez. VII, sentenza (ud. 20 giugno 2023) 6 luglio 2023, n. 6611
Svolgimento del processo
Avanti il giudice di prime cure, l’originaria ricorrente, odierna appellata, ha chiesto l’annullamento:
-del provvedimento del Politecnico di Torino, a firma della Direttrice Generale, in data 21 maggio 2021, con il quale, a riscontro della “richiesta di accesso agli atti prot. n. 0013521 del 19.04.2021 concernente “Istanza di accesso agli atti ex art. 25 L. n. 241/1990 in combinato disposto con il D. Lgs. 195/2005”, è stato opposto il diniego perché “non risulta chiaro come documenti riguardanti accordi accademici o convenzioni connessi anche a rapporti di tipo finanziario possano riguardare informazioni ambientali in senso strettamente considerato dalla normativa di settore e dalla giurisprudenza”.
Nel merito, il primo giudice ha ritenuto il ricorso fondato.
In particolare, la sentenza impugnata ha evidenziato che, nel dare attuazione alla direttiva 2003/4/CE del 28 gennaio 2003, successiva alla ratifica della Convenzione di Aarhus del 25 giugno 1998, il d.lgs. n. 195/2005 ha introdotto nell'ordinamento nazionale il principio di massima conoscibilità e trasparenza di tutte le informazioni relative alla materia ambientale, con la finalità di assicurare che le informazioni ambientali trovino massima diffusione e circolino senza restrizioni, attesa la necessità di soddisfare non solamente un interesse del privato richiedente, bensì , l’interesse pubblico alla tutela dell’ambiente nella più ampia accezione possibile.
Secondo il primo giudice, le previsioni normative di che trattasi tendono a favorire, oltre che la trasparenza dell’attività amministrativa, anche partecipazione dei cittadini ai processi lato sensu decisionali che riguardano il bene ambiente.
Sussiste dunque, secondo la sentenza impugnata, uno stretto legame tra circolazione delle informazioni, partecipazione dei cittadini e raggiungimento dell’obiettivo finale di tutela dell’ambiente naturale.
Mentre sul piano soggettivo, osserva il giudice di prime cure, il recepimento della normativa europea comporta che il richiedente non sia più tenuto a specificare il proprio interesse, sul versante oggettivo si è venuta determinando una maggiore estensione del concetto di informazioni accessibili, quale conseguenza di una tutela (per il bene ambiente) approntata dal legislatore a tutti i livelli e in ogni ambito di interesse.
Specularmente, osserva il primo giudice “le ipotesi in cui è consentito il rigetto dell’istanza di accesso a informazioni ambientali sono limitate alle sole richieste manifestamente irragionevoli e formulate in termini eccessivamente generici, con una evidente restrizione dell’ambito proprio del diniego legittimo “.
La sentenza impugnata si sofferma altresì sulla nozione di “informazione ambientale accessibile”, argomentando, alla luce della prospettata interpretazione dell’art. 2, comma 1, lett. a, n. 3) del d.lgs. n. 195/2005, circa la sua ispirazione omnicomprensiva.
Il concetto di informazione ambientale, pertanto, “riguarda non solo i dati e i documenti posti in immediata correlazione con il bene ambiente, ma anche le scelte, le azioni e qualsivoglia attività amministrativa che ad esso faccia riferimento”.
Conclusivamente, ritiene il TAR decidente che “gli atti e documenti di cui è stata chiesta l’ostensione non possano essere esclusi dall’accesso ambientale, essendo essi espressione di un’attività amministrativa che, direttamente o indirettamente, involge l’ambiente e la sua tutela”.
Il ricorso pertanto, come detto, è stato accolto, con annullamento del provvedimento impugnato e accertamento del diritto dell’originaria ricorrente ad accedere agli atti e documenti richiesti, ordinandosi al Politecnico di Torino, in persona del legale rappresentante pro tempore, di provvedere all’ostensione di tale documentazione entro 20 giorni dalla comunicazione della sentenza.
La citata sentenza del TAR per il Piemonte, Sezione II, n. 379/2022, è stata oggetto di impugnazione con i ricorsi in appello indicati in epigrafe.
Quanto al primo ricorso (R.G.3746/2022), con ordinanza cautelare n. 2695/2022 la Sezione ha accolto l’istanza di sospensione degli effetti della sentenza appellata, tenuto conto che l’esecuzione della sentenza, da cui sarebbe conseguito l’obbligo di esibizione degli atti richiesti, avrebbe vanificato le ragioni che sottendono il giudizio di merito.
Quanto al secondo ricorso (R.G. 3755/2022) con ordinanza cautelare n. 2701/2022, l’istanza di sospensione è stata parimenti accolta, con identica motivazione.
Motivi della decisione
Ritiene il Collegio che occorra preliminarmente procedere alla riunione dei ricorsi per la loro connessione oggettiva e soggettiva.
In sede di appello (R.G. 3746/2022), sono stati dedotti:
1. Error in iudicando. Violazione e/o erronea applicazione dell’art. 2, comma 2, del d.lgs. n. 195/2005. Travisamento dei fatti di causa. Omessa e insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia.
Deduce l’appellante che la sentenza gravata risulta viziata da travisamento dei fatti di causa e da un evidente difetto di motivazione. In particolare si lamenta l’assenza, sia nell’istanza di accesso che nella sentenza impugnata, di elementi dai quali possa desumersi in che modo gli accordi accademici stipulati da Eni con il Politecnico di Torino “varrebbero a involgere, anche solo indirettamente, l’ambiente e la sua tutela”.
Sebbene, prosegue l’appellante, il diritto di accesso all’informazione ambientale non incontra le limitazioni tipiche del diritto di accesso disciplinato dalla legge sul procedimento amministrativo, tale diritto non può considerarsi illimitato.
Non sussistono secondo l’appellante, in altre parole, elementi per ricondurre all’informazione ambientale i documenti richiesti.
L’appellante evidenzia, poi, che ai fini dell’accessibilità di un dato documento, quel che rileva non è la natura del soggetto che lo ha formato, ma la natura delle informazioni in esso contenute.
Nel caso di specie, la collaborazione tra l’Università e l’odierna appellante è riconducibile a una attività di partenariato accademico che ha lo scopo di avvicinare il sistema delle conoscenze al tessuto produttivo, promossa e incentivata non solo a livello statale, ma anche a livello sovranazionale.
Non sussistono, pertanto, secondo l’appellante, i presupposti cui la legge subordina il diritto all’informazione ambientale e alla sentenza impugnata va di conseguenza ascritta l’omessa o insufficiente motivazione.
2.Error in iudicando. Violazione e/o erronea applicazione dell’art. 5, comma 2, lett. d) ed e), del d.lgs. n. 195/2005.
Ulteriori profili di omessa e insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia riguardano, secondo l’appellante, l’aver omesso, da parte del primo giudice, di considerare che, ai sensi del comma 2, lettere d) ed e), dell’art. 5 del d.lgs. n. 195/2005, il diritto all’informazione ambientale incontra un limite tutte le volte in cui la pubblicità della documentazione o informazione richiesta risulti pregiudizievole per la riservatezza delle informazioni commerciali o industriali, ovvero per i diritti di proprietà intellettuale facenti capo a soggetti terzi.
A titolo meramente esemplificativo, deduce l’appellante, si considerino gli importi corrisposti dalla Società all’Ateneo per l’attivazione di progetti di ricerca, borse di studio o corsi di laurea, che laddove resi pubblici, finirebbero a beneficio delle imprese concorrenti che volessero intrattenere analoghi rapporti con istituti universitari.
Inoltre, frequentemente i progetti di ricerca finanziati attengono allo sviluppo e all’implementazione di processi organizzativi e metodologici riguardanti il know-how aziendale, che come tali la Società
ha tutto l’interesse a non vedere divulgati.
In sede di appello (R.G. 3755/2022), sono stati dedotti:
1.Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 35 e 116 c.p.a. e dell’art. 25 della l. n. 241 del 1990.
Secondo l’appellante, il TAR avrebbe dovuto dichiarare d’ufficio l’irricevibilità/inammissibilità del ricorso, posto che la ricorrente aveva formulato precedenti istanze di accesso e, come risultante dagli atti dalla stessa depositati in giudizio, l’originaria ricorrente non ha impugnato il rigetto delle stesse da parte dell’Ateneo, prestandovi, così, acquiescenza.
2. Violazione e falsa applicazione degli articoli 22 e seguenti della l. n. 241 del 1990, del d.lgs. n. 195 del 2005, con particolare riguardo agli artt. 1, 2, 3 e 5 e della direttiva 2003/4/ce; violazione del regolamento del politecnico in materia di accesso; travisamento dei fatti, degli atti e delle risultanze documentali; contraddittorietà della motivazione-violazione dell’art. 2697 c.c.- violazione dell’art. 33 cost.
Deduce l’appellante che il Tar ha dato un’interpretazione errata della normativa di riferimento, con particolare ma non esclusivo riguardo alla portata della definizione delle ‘informazioni ambientali’, peraltro in contrasto anche con la giurisprudenza granitica del G.A., nonché delle emergenze documentali.
Sottolinea l’appellante, con riguardo alla legittimazione attiva, che le informazioni cui fa riferimento il d.lgs. n. 195/2005 concernono esclusivamente lo stato dell’ambiente (l'aria, l'atmosfera, l'acqua, il suolo etc..) e fattori che possono incidere sullo stesso (sostanze, rumore, emissioni etc…), sulla salute e sulla sicurezza umana, restando, pertanto, esclusi, tutti i documenti, ma anche i fatti, che non abbiano un diretto rilievo ambientale, considerato peraltro l’ulteriore limite, pure riconosciuto dalla giurisprudenza, secondo cui le richieste di accesso agli atti devono essere specificamente individuate con riferimento alle matrici ambientali ovvero ai fattori o alle misure di cui all’art. 2, punto 3, del d.lgs. 12 n. 195/2005.
Per converso, deduce l’appellante che l’istanza formulata dalla ricorrente riguardava una moltitudine di documenti che, contrariamente a quanto erroneamente ritenuto dal TAR non rientravano in alcun modo nella suddetta nozione di informazione ambientale, quale emergente dal quadro normativo di riferimento e dalla consolidata giurisprudenza.
L’appellante soggiunge che l’autonomia universitaria, sancita a livello costituzionale, non consente ‘verifiche’ su presunte “scelte didattiche, formative e più in generale scientifiche dell’Ateneo”.
D’altro canto, sebbene tale profilo non sia stato esaminato dal TAR, argomenta l’appellante che la richiesta non avrebbe potuto essere accolta neanche ai sensi della legge. n. 241 del 1990 “per insussistenza di qualsivoglia interesse diretto, concreto ed attuale corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata ai documenti richiesti, essendo, come noto, condizionato alla titolarità in capo al richiedente di un interesse qualificato quale ivi puntualmente indicato e specularmente escluso che il suo esercizio possa avvenire per finalità di mero “controllo generalizzato dell’operato delle pubbliche amministrazioni”, ai sensi di quanto previsto dall’art. 24, comma 3, di tale legge”.
3. Eccesso di potere giurisdizionale. violazione del d.lgs. n. 195/2005, con particolare riguardo agli artt. 1,2,3 e 5. violazione dell’art. 7 c.p.a. violazione dell’art. 2697 c.c..
Ritiene l’appellante che il TAR abbia impropriamente ed erroneamente inteso sostituirsi all’Amministrazione, ritenendo sussistente la riconduzione degli atti richiesti alle “informazioni ambientali” di cui al d.lgs. n. 195/05 , così violando, fra gli altri, l’art. 5 del d.lgs. in argomento, che, come noto, prevede che l’accesso all'informazione ambientale è negato quando la divulgazione dell’informazione rechi pregiudizio, fra l’altro, alla riservatezza delle deliberazioni interne delle autorità pubbliche, alla riservatezza di una serie di informazioni, di proprietà industriale, di proprietà intellettuale, di dati personali, ecc.
Gli appelli riuniti sono infondati.
Osserva il Collegio, preliminarmente, che la questione dirimente la controversia in oggetto afferisce alla corretta interpretazione della nozione di informazione ambientale accessibile, di cui all’art. 2, comma 1, del d.lgs. 19 agosto 2005, n. 195.
Al riguardo, non appare censurabile la ricostruzione del giudice di prime cure che inquadra il diritto di accesso a tali informazioni, introdotto nel nostro ordinamento a seguito della ratifica della Convenzione di Aarhus del 25 giugno 1998, come il più ampio possibile, per la speciale rilevanza del bene giuridico in questione e il diretto impatto che le scelte ambientali rivestono sulla vita della Comunità, anche in termini di coinvolgimento e partecipazione al momento decisionale.
Tale speciale rilevanza è confermata, secondo questo Collegio, dal regime giuridico differenziato e senz’altro meno limitativo che connota l’accesso alle informazioni ambientali rispetto alle tradizionali forme riconducibili alle norme sul procedimento amministrativo.
È dunque questa la cornice di riferimento nel cui ambito valutare la fattispecie concreta, che riguarda i rapporti tra un’impresa, in disparte la rilevanza pubblicistica, che ha parte significativa della sua attività nel settore energetico, con intuibili ricadute sulle politiche ambientali, e l’istituzione accademica Politecnico di Torino.
Da questo punto di vista, non appare implausibile quanto sostenuto dal primo giudice circa la più ampia accezione del concetto di informazione ambientale accessibile, che viene in evidenza anche quando una determinata attività rilevi solo indirettamente rispetto al bene giuridico ambiente assistito, come detto, da una speciale forma di trasparenza e di pubblicità per gli atti e i provvedimenti ad esso riconducibili in via immediata o mediata.
Non può essere escluso, pertanto, che accordi o convenzioni tra un soggetto operante in ambito accademico e un’impresa notoriamente leader nel settore energetico rivestano interesse al fine di rendere pubblici e trasparenti gli indirizzi volti a produrre conseguenze in termini di scelte e politiche ambientali, che non si vede perché dovrebbero rivestire carattere di riservatezza.
A tale riguardo, non è priva di rilievo la circostanza che la società ENI, nel proprio siti web, nella sezione “Chi siamo”, utilizzi la formula “Siamo una società integrata dell’energia impegnata nella transizione energetica con azioni concrete per raggiungere la neutralità carbonica entro il 2050.”
In tal modo, la società intende sottolineare il proprio ruolo nel contesto delle dinamiche della transizione energetica, vale a dire in uno degli ambiti essenziali delle attuali problematiche ambientali.
Tale conclusione è certamente rafforzata dalla ulteriore indicazione della propria attività nei seguenti termini: “Eni ha scelto di essere protagonista della transizione energetica. Entro il 2050 raggiungerà la neutralità carbonica: per farlo punta fin da oggi su soluzioni innovative e tecnologie proprietarie, su nuovi modelli di business e una rete di alleanze per lo sviluppo sostenibile.”
Dal canto suo, anche il Politecnico di Torino è notoriamente impegnato in molteplici progetti di cooperazione con le imprese private, come pubblicamente esplicitato nel suo sito istituzionale. “I rapporti con il mondo industriale sono fondamentali per creare la rete di collaborazioni all’interno di un ecosistema basato sulla conoscenza e finalizzato alla diffusione di innovazione. Oggetto delle collaborazioni tra il Politecnico di Torino e le aziende possono essere sia attività di ricerca, sviluppo e innovazione, sia attività di didattica e formazione.”
In tale contesto, è palese la correlazione con la materia ambientale delle informazioni relative a rapporti di collaborazione tra imprese leader nel campo energetico e istituzioni di ricerca e di didattica universitaria, anche tenendo conto dell’esigenza di assicurare la massima trasparenza ai flussi finanziari e ai contenuti dei rapporti tra mondo delle imprese e Centri pubblici di ricerca e innovazione.
Va infine sottolineato che, in base alla normativa vigente, l’informazione ambientale comprende espressamente “ogni altro atto, anche di natura amministrativa, nonché' le attività che incidono o possono incidere sugli elementi e sui fattori dell'ambiente”, tra i quali è distintamente considerata l’energia (art. 2 del decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 195, attuativo della direttiva 2003/4/CE sull'accesso del pubblico all'informazione ambientale.”
Ciò posto rispetto al primo motivo di appello del primo ricorso, e al secondo motivo del secondo ricorso, anche in termini di insussistenza di difetto o insufficienza di motivazione, va pure evidenziato, quanto al secondo motivo del primo ricorso, che le pure apprezzabili esigenze di riservatezza delle informazioni commerciali e industriali, mentre nel caso di specie appaiono di non agevole configurabilità, non sembrano comunque essere state opposte quale specifica ragione di diniego nel provvedimento impugnato avanti il primo giudice.
All’evidenza, peraltro, l’eventuale effetto di concorrenza nell’attivazione di progetti di ricerca, borse di studio o corsi di laurea, diversamente da quanto argomentato nel primo ricorso, laddove resi pubblici i relativi finanziamenti, non potrebbero avere che un effetto positivo sulla qualità dell’offerta formativa universitaria nel solco della tutela di diritti costituzionalmente garantiti.
Il primo e il terzo motivo del secondo ricorso non possono essere accolti.
In particolare, quanto al primo, nel bilanciamento degli interessi rilevanti nella fattispecie, le circostanze dedotte sotto il profilo dell’inammissibilità, ammessa in ipotesi la piena coincidenza delle precedenti richieste, recede a fronte del mutare del contesto storico in un ambito della vita sociale che vede il tema ambientale assumere crescente e in alcuni casi drammatica rilevanza.
Circa il terzo motivo, quanto dedotto dal primo giudice appare pienamente nei limiti dell’esercizio della giurisdizione ad esso riservata, senza che appaia alcuna evidenza di interferenza nella discrezionalità amministrativa riservata all’amministrazione.
A giudizio del collegio, infatti, non sono state individuati specifici rischi di lesione della sfera di riservatezza dell’impresa, con particolare riferimento alla protezione di segreti commerciali o industriali, ma sono state prospettate generiche esigenze di protezione delle strategie della società.
In tal modo, però, si trascura di considerare che la riservatezza costituisce limite all’accesso ambientale solo “secondo quanto stabilito dalle disposizioni vigenti in materia”.
In conclusione, gli appelli riuniti, pertanto, vanno rigettati.
Sussistono nondimeno peculiari ed eccezionali ragioni per la compensazione delle spese della presente fase di giudizio tra le parti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Settima), definitivamente pronunciando sugli appelli riuniti, come in epigrafe proposti, li respinge entrambi e, per l'effetto, conferma la sentenza di primo grado.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.