La previsione di cui al comma 2 dell'art. 32 L. n. 183/2010 ha esteso il regime di impugnazione di cui all'art. 6 L. n. 604/1966 ad ogni ipotesi di invalidità del licenziamento, compreso quello per superamento del periodo di comporto.
Il lavoratore impugnava il licenziamento che gli era stato intimato dal datore di lavoro per superamento del periodo di comporto, chiedendo che se ne accertasse la illegittimità e che la società fosse condannata alla reintegrazione e al risarcimento del danno da mobbing.
Il Tribunale di Rovereto dichiarava inammissibile l'impugnazione per intervenuta decadenza e rigettava la domanda risarcitoria ritenendo non provata la condotta asseritamente vessatoria del datore di lavoro.
A seguito di gravame, la Corte d'Appello confermava la decisione di primo grado, al che il lavoratore propone ricorso per cassazione lamentando, tra le altre cose, il fatto che non potesse applicarsi al licenziamento per superamento del periodo di comporto la decadenza dell'impugnazione, pertanto esso è soggetto solo al termine di prescrizione ordinario di 10 anni.
Con l'ordinanza n. 21532 del 20 luglio 2023, la Corte di Cassazione dichiara infondato il motivo di ricorso, ribadendo quanto già affermato dalla giurisprudenza di legittimità in tema di applicabilità al licenziamento per superamento del periodo di comporto della disciplina di cui all'
Come affermano gli Ermellini, è vero che il recesso per superamento del periodo di comporto rappresenta una forma speciale di cessazione del rapporto di lavoro che non trova la sua disciplina generale nella
In tal senso, la Cassazione ricorda il principio di diritto secondo cui
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Svolgimento del processo
1. C. P. impugnò il licenziamento intimatogli dalla (omissis) per superamento del periodo di comporto e chiese che se ne accertasse l’illegittimità e che la società fosse condannata a reintegrarlo ed a risarcirgli il danno da mobbing asseritamente sofferto.
2. Il Tribunale di Rovereto dichiarò inammissibile l’impugnazione per intervenuta decadenza ex art. 6 l. n. 604 del 1966 e rigettò la domanda risarcitoria poiché ritenne non provata la condotta vessatoria denunciata.
3. La Corte di appello di Trento ha confermato la sentenza del Tribunale ritenendo che l’indirizzo cui era stato comunicato il licenziamento fosse nella sfera di controllo dell’appellante che non aveva mai comunicato il cambiamento di residenza né dimostrato che gli fosse stato impossibile prendere conoscenza degli atti ivi recapitati.
3.1. Ha poi applicato gli artt. 1334 e 1335 c.c. in base ai quali si deve presumere la conoscenza dell’atto pervenuto al recapito del lavoratore ed ha ritenuto che l’aver provveduto ad una successiva consegna dell’atto a mani del lavoratore, il 15 luglio 2019, rappresentasse una cautela ricollegabile ad una condotta inaffidabile del lavoratore e non fosse invece espressione della consapevolezza da parte del datore di lavoro della mancata riuscita del precedente invio.
3.2. Ha accertato che la comunicazione era stata inviata il 30 aprile 2019 e che la compiuta giacenza si era perfezionata il 3 giugno successivo. Pertanto, l’impugnazione del licenziamento del 15 luglio 2019 era tardiva atteso che il termine di decadenza si applica a tutti i licenziamenti e dunque anche a quello intimato per avvenuto superamento del periodo di comporto.
3.3. Quanto alla pretesa riconducibilità delle assenze ad una condotta datoriale, la Corte ha accertato che il lavoratore era stato adibito a mansioni di imballatore e carrellista con orario dal lunedì al venerdì dalle 8,00 alle 17,00. Ha verificato che non era stato mai assegnato ad un orario notturno e che gli ambienti in cui era stata resa la prestazione presentavano una soglia di rumorosità al di sotto dei limiti prescritti per legge. Ha infine evidenziato che le visite mediche alle quali il lavoratore era stato regolarmente sottoposto avevano attestato la sua idoneità alle funzioni alle quali era stato assegnato ed ha accertato che nessuna prova era stata offerta di una condotta datoriale vessatoria.
4. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso C. P. affidato a quattro motivi. La T. s.p.a. ha opposto difese con tempestivo controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative. Al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei successivi sessanta giorni.
Motivi della decisione
5. Con il primo motivo di ricorso è denunciata la violazione e falsa applicazione dell’art. 1335 c.c. e dell’art. 6 della legge n. 604 del 1966 nel testo novellato dall’art. 32 comma 1 della legge n. 183 del 2010 come modificato dall’art. 1 comma 38 della legge n. 92 del 2012.
5.1. Sostiene il ricorrente che la presunzione di conoscenza della raccomandata inviata al lavoratore operava dal decimo giorno successivo alla data della consegna e del rilascio dell’avviso di ricevimento e che, perciò, l’impugnazione stragiudiziale del licenziamento era stata inviata dalla pec del difensore del lavoratore nel rispetto del termine di decadenza il 15 luglio del 2019.
6. Con il secondo motivo è denunciata ancora la violazione dell’art. 6 della legge n. 604 del 1966 nel testo novellato dall’art. 32 comma 1 della legge n. 183 del 2010 come modificato dall’art. 1 comma 38 della legge n. 92 del 2012 per l’erroneità della sentenza nella parte in cui ha individuato quale data di perfezionamento della compiuta giacenza della raccomandata, con la quale era stata inviata la comunicazione del licenziamento il 3 giugno 2019; sicché, il 15 luglio non erano decorsi i 60 giorni previsti per poter impugnare il recesso, posto che il termine sarebbe scaduto solo il 2 agosto successivo e dunque alla data dell’impugnazione, il 15 luglio 2019, il termine non era ancora decorso.
7. Con il terzo motivo di ricorso è denunciata ancora la violazione dell’art. 6 della legge n. 604 del 1966 nel testo novellato dall’art. 32 comma 1 della legge n. 183 del 2010 come modificato dall’art. 1 comma 38 della legge n. 92 del 2012 e dell’art. 2110 c.c., non essendo applicabile al licenziamento per superamento del periodo di comporto la decadenza dall’impugnazione, pertanto soggetto al solo termine di prescrizione ordinaria decennale.
8. L’ultimo motivo, infine, deduce la violazione dell’art. 4 comma 4 della legge n. 68 del 1999 in relazione all’art. 360 primo comma n. 5 c.p.c. per avere la Corte erroneamente ritenuto di non poter procedere all’esame del merito della controversia, essendo la parte decaduta dal potere di impugnare il licenziamento ed affermato poi che la domanda di risarcimento del danno avanzata dal ricorrente era fondata solo su una relazione di consulenza medica, senza considerare che proprio dall’esame della documentazione allegata agli atti poteva evincersi che il datore di lavoro aveva posto in essere un comportamento mobbizzante adibendolo a mansioni gravose e non consone con il suo stato di salute che avevano dato luogo alle assenze.
9. Deve essere esaminato con precedenza il terzo motivo di ricorso che è infondato e va rigettato.
9.1 Ritiene il Collegio di dover ribadire quanto già affermato da questa Corte con riguardo alla applicabilità al licenziamento per superamento del periodo di comporto della disciplina dettata dall’art. 6 della legge n. 604 del 1966 e ss.mm. ed alla conseguente necessità di impugnare stragiudizialmente il recesso nel termine di sessanta giorni dalla sua comunicazione pena la decadenza dal potere di contestarne la legittimità.
9.2. È vero, come ricorda il ricorrente, che questa Corte ha affermato che il recesso per superamento del periodo di comporto rappresenta una forma speciale di cessazione del rapporto di lavoro, che non trova la sua disciplina nella legge, di carattere generale, n. 604 del 1966, ma nella specifica previsione di cui all'art. 2110 c.c., comma 2, con la conseguenza che l'impugnazione da parte del prestatore di lavoro non sarebbe soggetta al termine di decadenza stabilito dall'art. 6 suddetta legge (cfr. Cass. 28/01/2010 n. 1861). Va tuttavia ricordato che tale questione risulta oggi superata per effetto della previsione del comma 2 dell'art. 32 della L. n. 183 del 2010, con la quale è stato esteso il regime d'impugnazione di cui all'art. 6 della L. n. 604 del 1966 ad ogni ipotesi di invalidità del licenziamento, ivi compreso quindi quello per superamento del periodo di comporto qui in esame.
E oramai consolidato l'indirizzo di questa Corte (cfr. Cass. n. 9203 del 2014; n. 15434 del 2014; n. 24233 del 2014; n. 13563 del 2015; n. 22824 del 2015; n.18579 del 2016, cfr. anche SS.UU. n. 4913 del 2016) che ha espresso il seguente principio di diritto: "la L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, comma 1- bis, introdotto dal D.L. 29 dicembre 2010, n. 225, convertito in L. 26 febbraio 2011, n. 10, nel prevedere "in sede di prima applicazione" il differimento al 31 dicembre 2011 dell'entrata in vigore delle disposizioni relative al termine di sessanta giorni per l'impugnazione del licenziamento, riguarda tutti gli ambiti di novità di cui al novellato L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 6 e dunque non solo l'estensione dell'onere di impugnativa stragiudiziale ad ipotesi in precedenza non contemplate, ma anche l'inefficacia di tale impugnativa, prevista dal medesimo art. 6, comma 2 anche per le ipotesi già in precedenza soggette al relativo onere, per l'omesso deposito, nel termine di decadenza stabilito, del ricorso giudiziale o della richiesta del tentativo di conciliazione o arbitrato". (cfr. Cass. 04/01/2017 n. 74).
10. Venendo quindi all’esame dei primi due motivi di ricorso ritiene il Collegio che questi non siano fondati.
10.1. Va premesso che per potersi presumere la conoscenza di un atto - nella specie la lettera di licenziamento - del quale sia contestato il suo arrivo a destinazione, oltre alla prova della spedizione della raccomandata, occorre anche la dimostrazione della sua ricezione che può essere offerta con la produzione dell'avviso di ricevimento ovvero con l'attestazione del perfezionamento della c.d. compiuta giacenza. Solo in tal modo si può ritenere dimostrato il perfezionamento del procedimento notificatorio (cfr. Cass. 19/07/2018 n. 19232).
10.2. In adesione a tale regola, la Corte territoriale ha accertato in fatto che la raccomandata, con la quale è stato comunicato al lavoratore il licenziamento, risulta essere stata recapitata al domicilio da lui dichiarato il 30 aprile 2019 senza che sia stato trovato nessuno. Il plico, pertanto, è stato restituito all’ufficio postale ed è stato lasciato l’avviso per il ritiro della raccomandata. Da quella data, correttamente, la Corte ha ritenuto che sia iniziato a decorrere il termine trascorso il quale, senza che il destinatario (nonostante l'invio della comunicazione di avvenuto deposito cd. CAD) abbia provveduto al ritiro del piego depositato presso l'ufficio, si perfeziona la c.d. compiuta giacenza e opera la presunzione di conoscenza cui all’art. 1335 c.c. (cfr. Cass. 18/03/2022 n. 8895, 10/03/2017 n. 6242).
10.3. In sostanza, una volta che l'incaricato della consegna che non sia riuscito a provvedervi abbia inviato al destinatario la comunicazione, con la quale lo abbia avvisato che la raccomandata si trovai presso la Casa comunale o presso uno specifico ufficio postale, decorre il termine per il perfezionamento della compiuta giacenza, che si compie una volta che siano decorsi trenta giorni o dieci giorni dalla data in cui, rispettivamente, la raccomandata o l'atto giudiziario, dopo il tentativo di consegna, sono posti a disposizione del cittadino per il ritiro presso gli appositi uffici. Al compimento del termine l'originale viene rinviato al mittente con l'apposita indicazione di compiuta giacenza, come nel caso è infatti stato accertato essere avvenuto) e pertanto la comunicazione contenuta nella raccomandata si presume conosciuta.
10.4. Nello specifico, applicando tali principi la Corte territoriale, con accertamento di fatto ad essa riservato e qui non specificatamente censurato, ha verificato che il procedimento si era ritualmente perfezionato, con l’attestazione di compiuta giacenza; e, presunta la conoscenza, ha constatato che alla data di impugnazione era inutilmente decorso il termine di decadenza.
11. La mancata tempestiva impugnazione del licenziamento esonera il Collegio dall’esaminare le censure che investono le possibili conseguenze sul piano ripristinatorio e risarcitorio di un ipotetico licenziamento illegittimo.
11.1. Quanto alla censura che investe il diniego di risarcimento del danno da mobbing denunciato va rilevato che la stessa si risolve in un diverso apprezzamento delle circostanze di fatto, pure esaminate e valutate dalla Corte di appello, con una ricostruzione del tutto plausibile ed esente da vizi, seppure con un esito diverso da quello auspicato dal ricorrente.
11.2. Va ricordato allora che una tale verifica è consentita a questa Corte solo nel ristretto ambito in cui ancora è denunciabile il vizio di motivazione che, nella specie, è denunciato dal ricorrente senza tuttavia indicare quali siano in ipotesi i fatti decisivi non considerati dalla Corte di merito. Si tratta piuttosto di una ricostruzione degli stessi alternativa a quella che, come detto, la Corte ha già effettuato, sottolineando che non erano stati dedotti comportamenti ostili o circostanze concrete e specifiche caratterizzate da vessatorietà (per la nozione di mobbing cfr. Cass. n. 3785 del 17/02/2009, 17/01/2014 n. 898 e 17698 del 2014).
12. In conclusione, per le ragioni esposte, il ricorso deve essere rigettato. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio liquidate in € 4.500,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, 15% per spese forfetarie oltre agli accessori dovuti per legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.