Svolgimento del processo
1. Il giudice delegato al fallimento di E. s.p.a. ammetteva al passivo della procedura il credito vantato da Società Finanziaria Regione Sardegna – SFIRS s.p.a. (di seguito, per brevità, SFIRS) a seguito della revoca di un contributo in conto capitale erogato alla società in bonis.
Collocava, tuttavia, il credito in chirografo, con esclusione del privilegio previsto dall’art. 9, comma 5, d. lgs. 123/1998 e degli interessi post fallimentari, in quanto nell’insinuazione non risultava indicato con precisione il bene sul quale la prelazione doveva essere esercitata.
2. Il Tribunale di Cagliari rigettava l’opposizione proposta da SFIRS s.p.a. avverso una simile parziale ammissione.
Riteneva, in particolare, che il privilegio richiesto, stando al contenuto letterale della norma, possa essere riconosciuto a crediti restitutori discendenti dall’erogazione di “finanziamenti” concessi ai sensi del d. lgs. 123/1998, vale a dire da dazioni di denaro con obbligo di restituzione del capitale, e non di contributi in conto capitale, che costituiscono un’erogazione di denaro a fondo perduto in relazione alla quale non è prevista alcuna restituzione di capitale o pagamento di interessi.
3. SFIRS ha proposto ricorso per la cassazione di questo decreto, pubblicato in data 16 dicembre 2015, prospettando cinque motivi di doglianza.
L’intimato fallimento di E. s.p.a. non ha svolto difese.
Parte ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380-bis.1 cod. proc. civ..
Motivi della decisione
4. Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione degli artt. 112 cod. proc. civ. e 99 l. fall.: il G.D. non aveva riconosciuto il privilegio richiesto a causa della mancata indicazione, con la dovuta precisione, del bene sul quale la prelazione si esercitava.
A seguito dell’opposizione proposta il tribunale, pur essendo chiamato a pronunciarsi esclusivamente sulla necessità o meno di indicare, nella domanda di ammissione al passivo, il bene sul quale la prelazione doveva essere esercitata, ha affermato che il credito restitutorio non poteva godere del privilegio invocato, poiché non discendeva da un finanziamento.
In questo modo il tribunale, per un verso, ha omesso di statuire sull’oggetto dell’impugnazione, per l’altro ha ampliato i limiti del giudizio, pronunciando oltre la domanda.
5. Il motivo non è fondato.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte vale, in linea generale, il principio secondo cui tutte le ragioni che possono condurre al rigetto della domanda per difetto delle sue condizioni di fondatezza, o per la successiva caducazione del diritto con essa fatto valere, possono essere rilevate anche d'ufficio, in base alle risultanze rite et recte acquisite al processo, nei limiti in cui tale rilievo non sia impedito o precluso in dipendenza di apposite regole processuali, con l'effetto che la verifica attribuita al giudice in ordine alla sussistenza del titolo - che rappresenta la funzione propria della sua giurisdizione - deve essere compiuta, di norma, ex officio, in ogni stato e grado del processo, nell'ambito proprio di ognuna delle sue fasi; questo principio trova il suo principale limite - in relazione al disposto dell'art. 112 cod. proc. civ. - nell'inammissibilità della pronuncia d'ufficio sulle eccezioni, perciò denominate "proprie", che spettano alla parte (nel rispetto delle preclusioni per questa stabilite) qualora la manifestazione della sua volontà sia strutturalmente prevista quale elemento integrativo della fattispecie difensiva (come nell'ipotesi di eccezioni corrispondenti alla titolarità di un'azione costitutiva) ovvero quando singole disposizioni espressamente ne indichino come indispensabile l'iniziativa (cfr. Cass., Sez. U., 1099/1998; nello stesso senso Cass. 17216/2020, Cass. 11108/2007).
Per questo motivo, in ambito di insinuazione allo stato passivo, non viola l'art. 112 cod. proc. civ. il tribunale che, esercitando il proprio potere d'ufficio di accertare la fondatezza della domanda presentata, rigetti l'opposizione proposta dal creditore, dovendo l'accertamento sull'esistenza del titolo dedotto in giudizio essere compiuto dal giudice ex officio in ogni stato e grado del processo, in ognuna delle sue fasi, salvo che tale rilievo non sia impedito o precluso in dipendenza di apposite regole processuali (v. Cass. 29254/2019, Cass.
24972/2013).
Nel caso di specie il G.D. aveva negato il ricorrere delle condizioni per il riconoscimento del privilegio richiesto, seppur per una ragione (processuale) di ritualità della domanda diversa rispetto agli argomenti (sostanziali) illustrati dal collegio dell’opposizione.
L’esito della verifica dello stato passivo (di rigetto del riconoscimento del privilegio) non consentiva, però, di ritenere come acquisito alcun accertamento in ordine al ricorrere, nel merito, dei presupposti per l’attribuzione del privilegio, cosicché, a fronte di una decisione negativa sotto questo profilo, il collegio dell’opposizione era senza dubbio abilitato a verificare, nell’esercizio della sua funzione giurisdizionale e di propria iniziativa, la sussistenza di tutte le condizioni necessarie per il riconoscimento della prelazione richiesta.
6. Il secondo motivo di ricorso lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 7 e 9, commi 4 e 5, d. lgs. 123/1998, sotto il profilo della limitazione del previlegio previsto da tali norme ai soli crediti nascenti dalla restituzione di finanziamenti agevolati anziché di finanziamenti in genere: le norme in discorso, essendo destinate a regolare una serie di situazioni diverse, per quante sono le tipologie di interventi pubblici previsti a sostegno delle imprese, devono essere intese come attributive di una prelazione in ragione della particolare causa del credito, costituita dalla restituzione di fondi pubblici indebitamente percepiti, e non possono essere interpretate in maniera riduttiva sulla base della natura delle agevolazioni in concreto concesse.
7. Il motivo è fondato, come già è stato riconosciuto dalla giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. 21841/2017, le cui argomentazioni si vanno, di seguito, a ripercorrere).
Il d. lgs. 123/1998 individua i principi che regolano i procedimenti amministrativi relativi agli interventi di sostegno per lo sviluppo delle attività produttive effettuati dalle amministrazioni pubbliche, interventi che, secondo il suo art. 7, possono consistere «in una delle seguenti forme: credito d'imposta, bonus fiscale, secondo i criteri e le procedure previsti dall'articolo 1 del decreto-legge 23 giugno 1995, n. 244, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1995, n. 341, concessione di garanzia, contributo in conto capitale, contributo in conto interessi, finanziamento agevolato».
Il successivo art. 9 disciplina la revoca dei suddetti benefici e la misura delle restituzioni in conseguenza della revoca e prevede le ipotesi in cui opera il privilegio.
In particolare, la revoca dei benefici è prevista: a) in caso di «assenza di uno o più requisiti, ovvero di documentazione incompleta o irregolare, per fatti comunque imputabili al richiedente e non sanabili» (comma 1); b) nel caso in cui «i beni acquistati con l'intervento siano alienati, ceduti o distratti nei cinque anni successivi alla concessione, ovvero prima che abbia termine quanto previsto dal progetto ammesso all'intervento» (comma 3); c) nel caso di «azioni o fatti addebitati all'impresa beneficiaria» (comma 4).
L'art. 9, comma 5, d. lgs. 123/1998 stabilisce che «per le restituzioni di cui al comma 4 i crediti nascenti dai finanziamenti erogati ai sensi del presente decreto legislativo sono preferiti ad ogni altro titolo di prelazione».
La norma, quindi, rimanda, ai fini dell'applicazione del privilegio generale, ai «crediti nascenti dai finanziamenti» di cui al comma 4 (che disciplina tutte le possibili ipotesi di revoca delle somme erogate, ricomprendendo quelle di cui al comma 3 o quelle comunque disposte per azioni o fatti addebitati all’impresa beneficiaria tutte le somme erogate), facendo, pertanto, inevitabilmente riferimento, con l'utilizzo del sostantivo "finanziamento" al plurale, a più forme o tipologie appunto di finanziamenti, cioè quelle descritte all'appena citato comma 4, così includendo, genericamente, tutti i finanziamenti erogati, e poi revocati, alla società.
Questa conclusione, del resto, risulta maggiormente coerente con una valutazione di carattere meno formale di quella adottata, nel caso di specie, dal giudice di merito, perché permette di ancorare la norma alle finalità proprie dei finanziamenti pubblici ed alle necessarie garanzie che lo Stato introduce per la tutela delle proprie ragioni di credito (anche al fine di consentire alle risorse pubbliche di trovare adeguata protezione affinché sia garantita una continuità ai finanziamenti destinati al sostegno all’imprenditoria).
Infatti, come, in una prospettiva di definizione fisiologica del rapporto contrattuale con l'impresa beneficiata dagli interventi pubblici, l'interesse dello Stato viene raggiunto con il mutuo agevolato che garantisce anche la restituzione di somme concesse (con relativi interessi agevolati) per il loro successivo e quindi dinamico reimpiego per lo stimolo ed il sostentamento del tessuto economico e produttivo, così anche attraverso la contribuzione a fondo perduto - attraverso i contributi in conto capitale ed in conto gestione e simili - lo Stato con l'impiego di risorse pubbliche raggiunge la medesima finalità e cioè l'aiuto finanziario alle nuove imprese in funzione dello sviluppo loro e del tessuto economico-produttivo in cui le stesse operano.
Allo stesso modo, nell’ipotesi in cui gli interventi pubblici erogati con le forme del "finanziamento agevolato" o "mutuo agevolato" ed a fondo perduto ("contributi in conto capitale", in "conto gestione" e simili) subiscano una frustrazione per l'epilogo patologico del rapporto contrattuale, la tutela delle ragioni di credito dello Stato diventa in ogni caso essenziale e urgente, proprio per l'assenza di quel minimo risultato sperato con l'erogazione delle risorse pubbliche (e cioè la nascita e lo sviluppo dell'impresa sovvenzionata).
Pertanto, anche alle somme erogate come contributo a fondo perduto, che in una situazione normale avrebbero trovato (benché con natura di elargizioni a titolo gratuito) una loro satisfattiva finalità pubblica, nella differente ed opposta situazione di mancato raggiungimento di questa medesima finalità non può negarsi la medesima tutela, non essendovi alcuna ragione logica per cui, in questa prospettiva di dissoluzione del rapporto obbligatorio (con la richiesta di revoca delle agevolazioni e di restituzione delle somme elargite) e della conseguente - ed infruttuosa - perdita finanziaria da parte dello Stato, senza appunto il raggiungimento delle suddette finalità proprie degli interventi di sostegno, gli importi erogati a fondo perduto non debbano trovare coincidente e adeguata protezione in funzione del perseguimento dell'interesse pubblico al reimpiego delle risorse rese disponibili.
Deve perciò essere ribadito il principio secondo cui l'art. 9, comma 5, d. lgs. 123/1998, in tema di interventi a sostegno pubblico delle imprese, che riconosce il privilegio generale ai crediti dello Stato per la restituzione dei “finanziamenti” erogati, trova applicazione anche per i contributi che siano stati concessi a fondo perduto, atteso che, una volta risultate frustrate le finalità proprie degli interventi a sostegno delle imprese, deve comunque trovare adeguata protezione l’interesse pubblico al reimpiego delle risorse messe a loro disposizione.
Rimangono assorbiti gli ulteriori motivi di ricorso.
8. Il decreto impugnato, quindi, deve essere cassato, con rinvio della causa al Tribunale di Cagliari, il quale, nel procedere al suo nuovo esame, si atterrà ai principi sopra illustrati, avendo cura anche di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, rigetta il primo motivo e dichiara assorbiti gli altri, cassa il decreto impugnato in relazione al motivo accolto e rinvia la causa al Tribunale di Cagliari in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.