
Risposta negativa dalla Cassazione. La presentazione della domanda di concessione in sanatoria e il pagamento delle prime due rate di oblazione sono sufficienti per la validità della stipula.
La Corte d'Appello di Catania respingeva la domanda proposta da un proprietario di risoluzione del contratto preliminare di compravendita di un immobile per inadempimento del promissario acquirente. A fondamento della sua decisione, la Corte territoriale affermava che il rifiuto del convenuto di addivenire alla...
Svolgimento del processo
Con sentenza n. 2698 del 17. 12. 2018 la Corte di appello di Catania, in riforma delle decisioni emesse in primo grado, rigettò la domanda proposta da S.R: di risoluzione del contratto preliminare di compravendita di un immobile stipulato in data 22. 12. 2003 con C.G. per inadempimento di quest’ultimo.
La Corte motivò tale decisione affermando che il rifiuto del convenuto, promissario acquirente del bene, di addivenire alla stipulazione del contratto definitivo era giustificato dalla mancata consegna del certificato di abitabilità dell’immobile, tuttora mancante, essendo specifico obbligo del venditore, ai sensi dell’art. 1477 cod. civ., consegnare tale documento all’acquirente, quale requisito della fruibilità e commerciabilità dell’immobile. Precisò che, a tal fine, non esercitava alcuna rilevanza il fatto che nel contratto preliminare le parti avessero previsto la necessità di presentare domanda per la concessione in sanatoria dell’immobile, ponendo a carico della promittente venditrice il relativo onere e tutte le somme dovute a saldo della oblazione e dei contributi urbanistici ai fini del rilascio della concessione in sanatoria e certificato di agibilità, atteso che solo una espressa rinuncia da parte del promissario acquirente avrebbe potuto esonerare l’altra parte dall’obbligo di provvedere alla consegna del suddetto certificato.
Per la cassazione di questa sentenza, notificata il 7. 1. 2019, con atto notificato a mezzo del servizio postale con invio in data 7. 3. 2019, ha proposto ricorso S.R., sulla base di due motivi.
C.G. ha notificato controricorso.
Sia il Procuratore Generale che le parti hanno depositato memoria.
Motivi della decisione
Preliminarmente va esaminata e quindi disattesa l’eccezione sollevata dal controricorrente di inammissibilità del ricorso per difetto di specialità della procura alle liti rilasciata al difensore del ricorrente, non indicandosi in essa né il conferimento del potere di impugnazione né la sentenza che si intende impugnare.
L’eccezione è infondata, tenuto conto che la procura alle liti è apposta a margine del ricorso e contiene, inoltre, un espresso riferimento nella nomina al giudizio dinanzi alla Corte di Cassazione.
Questa Corte ha più volte precisato che il mandato apposto in calce o a margine del ricorso per cassazione è, per sua natura, speciale, senza che occorra per la sua validità alcun specifico riferimento al giudizio in corso ed alla sentenza contro la quale l'impugnazione si rivolge, sempre che dal relativo testo sia dato evincere una positiva volontà del conferente di adire il giudice di legittimità ( Cass. Cass. n. 9935 del 2022; Cass. n. 27302 del 2020; Cass. n. 10539 del 2007).
Il primo motivo del ricorso, che denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1477 cod. civ. e degli artt. 40 e 35 legge n. 47 del 1985, censura la decisione impugnata per avere ritenuto fondata l’eccezione di inadempimento sollevata dalla controparte per la mancata consegna del certificato di agibilità dell’immobile.
Sostiene al riguardo la ricorrente l’erroneità di tale soluzione, per avere la Corte di appello trascurato di considerare che oggetto del preliminare di vendita era un immobile abusivo, non in regola con la normativa edilizia, tanto che le parti avevano previsto che il promittente venditore dovesse presentare domanda di concessione in sanatoria, adempimento questo regolarmente posto in essere anche con il pagamento della relativa oblazione e degli oneri concessori. Ora, poiché l’art. 40 legge n. 47 del 1985 consente la trasferibilità degli immobili abusivi, previa allegazione della domanda in sanatoria e degli estremi del pagamento delle prime due rate dell’oblazione, senza pertanto richiedere l’intervenuto rilascio del provvedimento in sanatoria, ne discende che, in tale ipotesi, il trasferimento non implica anche la consegna del certificato di abitabilità o agibilità dell’immobile, che necessariamente sarà posteriore al nuovo titolo edilizio, non potendo essere rilasciato prima. La promessa di acquisto di un immobile che le parti consapevolmente sanno essere oggetto di procedimento di sanatoria edilizia comporta quindi, quale conseguenza implicita e necessaria, la rinuncia al suddetto certificato, in deroga alla disposizione di cui all’art. 1477 cod. civ. Ha errato pertanto la Corte di appello laddove ha ritenuto che non fosse sufficiente, a tal fine, il richiamo contenuto nel preliminare al procedimento in sanatoria, ma fosse necessaria un espressa rinuncia alla consegna del certificato da parte dell’acquirente.
Si aggiunge che, in base alla giurisprudenza di legittimità, la mancata consegna del certificato di abitabilità non determina in via automatica la risoluzione del contratto preliminare di compravendita per inadempimento del venditore, dovendo essere verificata in concreto la gravità dell’omissione in relazione alla godimento ed alla commerciabilità del bene e che, nel caso di immobili soggetti a sanatoria, l’interesse dell’acquirente all’ottenimento del certificato appare attenuato, atteso che l’art. 35 legge n. 47 del 1985 prevede espressamente che esso, a conclusione del procedimento in sanatoria, venga rilasciato “ anche in deroga ai requisiti fissati da norme regolamentari, qualora le opere sanate non contrastino con la sicurezza statica .. “. In tale contesto, il giudice territoriale avrebbe dovuto comunque valutare, in relazione al caso concreto, l’incidenza della mancanza del certificato suddetto sulla possibilità di godimento e commerciabilità del bene.
Il secondo motivo di ricorso denuncia violazione dell’art. 1460 cod. civ. e degli artt. 1362, 1366 e 1375 stesso codice, lamentando che la Corte, nell’interpretare il contratto preliminare, non si sia attenuta al dato testuale che le parti avevano convenuto solo la presentazione della domanda in sanatoria e quindi di voler stipulare il contratto definitivo anche in assenza della concessione, con ciò implicitamente ritenendo non necessario il rilascio del certificato di abitabilità, la cui mancanza era stata opposta dalla controparte solo in corso di giudizio, quale mero pretesto per giustificare il proprio inadempimento.
I due motivi, che possono trattarsi congiuntamente per la loro connessione obiettiva, sono ammissibili e fondati.
Sotto il primo profilo, non hanno fondamento le eccezioni sollevate dal controricorrente di inammissibilità dei motivi per difetto di specificità e perché fondati su circostanze nuove, mai dedotte nei giudizi di merito.
Le censure sollevate dal ricorso investono direttamente le ragioni della decisione e risultano argomentate sulle medesime risultanze e dati di fatto su cui la Corte di appello ha motivato la conclusione accolta, che viene contrastata per erronea applicazione di norme di diritto.
La fondatezza del ricorso emerge invece dalla considerazione che la stessa Corte di appello ha dato atto che le parti, in sede di contratto preliminare, nella evidente consapevolezza della presenza di difformità sull’immobile, avevano previsto la necessità di attivare il procedimento di sanatoria edilizia, ponendo a carico della parte promittente l’onere di presentare la relativa domanda e di sopportare le conseguenti spese per l’oblazione ed ogni altro contributo ed onere. Non risulta, invece, che le parti avessero stabilito che la stipulazione del contratto definitivo sarebbe stata rimandata alla definizione del procedimento di sanatoria. La clausola negoziale che prevedeva l’attivazione del suddetto procedimento stava quindi a significare la disponibilità da parte del promissario acquirente di stipulare l’atto definitivo di acquisto una volta presentata la domanda di sanatoria ed assolti i relativi oneri di spesa, senza attendere la sua definizione. Nella premessa, merita aggiungere, che tale adempimento fosse idoneo a produrre l’effetto sperato, che vale a dire gli abusi esistenti potessero essere sanati e fosse ristabilita la regolarità del bene dal punto di vista edilizio e urbanistico.
La previsione del procedimento di sanatoria edilizia rispondeva, del resto, non solo all’interesse della parte acquirente, ma anche della parte venditrice, in quanto la normativa in materia, com’è noto, sanziona con la nullità l’atto di trasferimento tra vivi di immobili abusivi, consentendo l’atto solo nei casi di abusi sanabili e previa allegazione di copia della domanda di sanatoria e della menzione degli estremi dell’avvenuto versamento delle prime due rate dell’oblazione ( art. 40 legge n. 47 del 1985 ).
Tanto precisato, appare condivisibile la critica svolta nel ricorso per avere la Corte di appello ritenuto che, nonostante la clausola contrattuale sopra menzionata, la parte promittente avesse altresì l’obbligo di consegnare il certificato di agibilità dell’immobile, per non avervi la controparte espressamente rinunciato, non potendo altrimenti considerarsi non inadempiente. Tale affermazione mal si concilia con la citata previsione contrattuale sulla necessità del procedimento di sanatoria dell’immobile, che implicava, da un lato, la mancanza del suddetto certificato e la sua conoscenza da parte dell’acquirente e, dall’altro, la sua ottenibilità solo in un momento successivo.
Ciò per la ragione che il rilascio del certificato di agibilità presuppone, anche, la conformità urbanistica dell’immobile e non può essere quindi rilasciato nel caso in cui esso sia abusivo (Cons. Stato, sez. II, 17. 5. 2021, n. 3836).
In questo senso depone la normativa in materia urbanistico edilizia introdotta dal d.p.r. n. 380 del 2001, che ha eliminato, com’è noto, ogni differenza tra agibilità ed abitalità, assorbendo la seconda nella prima.
In particolare, mentre l’art. 24, nella sua stesura originaria, vigente al momento contratto per cui è causa, prevedeva che il certificato di agibilità attestasse la sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità e risparmio energetico degli edifici, il successivo art. 25, nel disciplinare il procedimento di rilascio, menzionava espressamente tra le dichiarazioni a corredo della domanda l’attestazione relativa alla “ conformità dell’opera rispetto al progetto presentato “ ( comma 1 lett. b ), ossia la sua regolarità edilizia ed urbanistica. Con il d.lgs. n. 222 del 2016, che ha ricondotto la certificazione al regime della s.c.i.a., tale requisito di conformità, con l’abrogazione del citato art. 25, è stato riportato nella norma definitoria dell’art. 24, come modificato, che include espressamente “ la conformità dell’opera al progetto presentato “ tra i fatti che il tecnico deve asseverare all’atto della presentazione della segnalazione certificata per l’agibilità degli edifici.
Il rilascio della agibilità richiede, pertanto, la sussistenza dei requisiti sia igienico sanitari che urbanistico-edilizi di un edificio, ragion per cui può essere ottenuta soltanto per gli immobili regolari anche sotto tale ultimo profilo ovvero, in caso di immobili abusivi, previa concessione o autorizzazione in sanatoria. Lo stesso art. 35 d.lgs. n. 380 del 2001, che regola il relativo procedimento in sanatoria, prevede espressamente del resto che a seguito della concessione o autorizzazione in sanatoria venga rilasciato il certificato di agibilità, anche in deroga relativamente a determinati requisiti dell’immobile.
La sentenza impugnata è quindi errata per avere ritenuto l’odierna ricorrente inadempiente all’obbligo di consegnare il certificato di agibilità, omettendo di valutare che le parti, nella consapevolezza del carattere abusivo dell’immobile, avevano espressamente previsto di dar corso al procedimento di sanatoria, senza posticipare alla sua definizione la conclusione del contratto definitivo, e che il suddetto certificato presuppone il rilascio della autorizzazione o concessione in sanatoria. Sconta di conseguenza tale errore anche l’affermazione che tale mancata consegna avrebbe potuto essere giustificata solo da una espressa rinuncia della parte promissaria acquirente, dovendo essa confrontarsi con il contenuto e gli effetti derivanti dalla clausola contrattuale più volte menzionata.
Non è qui in discussione il principio, più volte ribadito da questa Corte, secondo cui il venditore ha, in generale, l’obbligo di reperire e consegnare il certificato di agibilità, quale requisito per la usufruibilità e commercializzazione futura del bene, non potendo altrimenti considerarsi adempiente rispetto alle obbligazioni nascenti dal contratto. Proprio la riconducibilità di tale omissione nella categoria dell’inadempimento, porta a ritenere che l’oggetto sia disponibile e che quindi l’acquirente possa rinunciarvi ovvero non possa contestare la sua mancanza tutte le volte in cui abbia manifestato l’intenzione di non considerare la sua consegna decisiva per l’acquisto dell’immobile (Cass. n. 10665 del 2020).
Merita aggiungere che il giudice del rinvio, nel valutare, conformemente ai principi esposti, il comportamento delle parti e le reciproche contestazioni di inadempienza, dovrà altresì verificare la reale portata della clausola contrattuale citata anche sotto altro profilo, se vale a dire con essa il promittente venditore garantiva la effettiva possibilità di sanatoria degli abusi presenti nell’immobile ed accertare, altresì, se essi erano suscettibili di sanatoria o, come dedotto dalla odierna ricorrente nella memoria depositata, sono stati effettivamente sanati ed il certificato di agibilità è stato rilasciato.
Il ricorso va pertanto accolto e la sentenza cassata, con rinvio della causa alla Corte di appello di Catania, in diversa composizione, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per la liquidazione delle spese, alla Corte di appello di Catania, in diversa composizione.