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2 agosto 2023
Trattamento illecito di dati sensibili: quale termine di prescrizione per riscuotere le somme dovute a titolo di sanzione?

Bene ha fatto il Giudice del merito a ritenere maturata la prescrizione nel caso di specie, visto che erano trascorsi più di 5 anni tra l'atto di contestazione della violazione emesso dal Garante Privacy e la notifica della cartella di pagamento.

La Redazione

Il Garante Privacy contestava al Comune la violazione dell'art. 22, comma 8, Codice Privacy per avere effettuato un trattamento illecito di dati personali sensibili, anche se rimossi dopo poco tempo. Per questa ragione veniva notificata al Comune una cartella di pagamento emessa dall'Agenzia delle Entrate di importo pari a oltre 22mila auro per sanzioni amministrative fondate sulla menzionata contestazione emessa dal Garante.
Il Comune proponeva opposizione alla cartella di pagamento che veniva accolta dal Giudice, il quale aveva accertato l'intervenuta prescrizione del credito alla base dell'atto impugnato, essendo decorsi 5 anni tra la contestazione del fatto e la notifica della cartella con la sanzione irrogata.
Contro tale decisione, il Garante Privacy propone ricorso per cassazione, deducendo tra le altre cose il fatto che il Tribunale avesse accolto l'eccezione di prescrizione sollevata dal Comune sulla base del mero rilievo del decorso di un periodo superiore ai 5 anni tra la contestazione della violazione e la notifica della cartella di pagamento, senza avvedersi del disposto di cui all'art. 18, comma 5, D.Lgs. n. 101/2018, in virtù del quale l'entrata in vigore della predetta Legge ha determinato l'interruzione del termine di prescrizione del diritto a riscuotere le somme dovute di cui all'art. 28 L. n. 689/1981.

Con l'ordinanza n. 23405 del 1° agosto 2023, la Suprema Corte dichiara infondato il motivo di ricorso, richiamando la sentenza n. 260/2021 con la quale la Consulta aveva dichiarato incostituzionale, per violazione dell'art. 3 Cost., l'art. 18, comma 5, D.Lgs. n. 101/2018, il quale stabilisce, con disposizione transitoria, «a decorrere dalla sua entrata in vigore, l'interruzione ex lege del termine di prescrizione per i procedimenti sanzionatori, soggetti alla disciplina del d.lgs. n. 196 del 2003, che, alla data di applicazione del regolamento n. 679/2016/UE, siano stati avviati, ma non ancora definiti con l'adozione dell'ordinanza-ingiunzione». L'irragionevolezza sta nel fatto che l'interruzione automatica determinava una intollerabile e immotivata compressione delle ragioni di tutela del privato, potendo il Legislatore avvalersi di istituti diversi, come la sospensione dei termini di prescrizione, volti ad agevolare l'amministrazione in modo non sproporzionato, oltre al fatto che la norma censurata ha connesso tale interruzione all'inerzia del titolare del diritto, cioè a una ratio totalmente estranea rispetto a quella sulla quale si fonda l'istituto della prescrizione.
Essendo dunque stato dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 18, comma 5, D.Lgs. n. 101/2018, la norma applicabile al caso de quo è l'art. 28 L. n. 689/1981 che sancisce che il diritto a riscuotere le somme dovute per le violazioni indicate nella stessa Legge si prescrive in 5 anni che decorrono dal giorno in cui è stata commessa la violazione.
Alla luce di ciò, gli Ermellini ravvisano la correttezza del ragionamento del Giudice di primo grado che aveva ritenuto maturata la prescrizione, visto che erano trascorsi più di 5 anni tra l'atto di contestazione del Garante e la notifica della cartella di pagamento.
Anche per questa ragione, la Cassazione rigetta il ricorso.