Bene ha fatto il Giudice del merito a ritenere maturata la prescrizione nel caso di specie, visto che erano trascorsi più di 5 anni tra l'atto di contestazione della violazione emesso dal Garante Privacy e la notifica della cartella di pagamento.
Il Garante Privacy contestava al Comune la violazione dell'art. 22, comma 8, Codice Privacy per avere effettuato un trattamento illecito di dati personali sensibili, anche se rimossi dopo poco tempo. Per questa ragione veniva notificata al Comune una cartella di pagamento emessa dall'Agenzia delle Entrate di importo pari a oltre 22mila auro per sanzioni amministrative fondate sulla menzionata contestazione emessa dal Garante.
Il Comune proponeva opposizione alla cartella di pagamento che veniva accolta dal Giudice, il quale aveva accertato l'intervenuta prescrizione del credito alla base dell'atto impugnato, essendo decorsi 5 anni tra la contestazione del fatto e la notifica della cartella con la sanzione irrogata.
Contro tale decisione, il Garante Privacy propone ricorso per cassazione, deducendo tra le altre cose il fatto che il Tribunale avesse accolto l'eccezione di prescrizione sollevata dal Comune sulla base del mero rilievo del decorso di un periodo superiore ai 5 anni tra la contestazione della violazione e la notifica della cartella di pagamento, senza avvedersi del disposto di cui all'
Con l'ordinanza n. 23405 del 1° agosto 2023, la Suprema Corte dichiara infondato il motivo di ricorso, richiamando la sentenza n. 260/2021 con la quale la Consulta aveva dichiarato incostituzionale, per violazione dell'art. 3 Cost., l'
Essendo dunque stato dichiarato costituzionalmente illegittimo l'
Alla luce di ciò, gli Ermellini ravvisano la correttezza del ragionamento del Giudice di primo grado che aveva ritenuto maturata la prescrizione, visto che erano trascorsi più di 5 anni tra l'atto di contestazione del Garante e la notifica della cartella di pagamento.
Anche per questa ragione, la Cassazione rigetta il ricorso.
Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza (ud. 11 luglio 2023) 1° agosto 2023, n. 23405
Svolgimento del processo
Il Garante per la protezione dei dati personali, con atto del 17.12.2014, ha contestato al Comune di C. la violazione dell’art. 22 comma 8° del codice della privacy per aver effettuato un trattamento illecito di dati personali sensibili, ancorchè rimossi dopo breve tempo. Successivamente, il Comune di C. ha avviato la procedura amministrativa per il riesame del provvedimento con invio di una memoria ex art. 18 L. n. 689/1991. In data 18.12.2019 è stata notificata al Comune di C. una cartella di pagamento emessa dall’Agenzia delle Entrate dell’importo complessivo di € 22.665,00, per sanzioni amministrative fondata sul predetto atto di contestazione 36752/91406 del 17.12.2014 emesso dal Garante per la protezione dei dati personali.
Il Comune di C. ha proposto opposizione alla cartella di pagamento, che è stata accolta dal Giudice monocratico del Tribunale di Velletri dopo aver accertato l’intervenuta prescrizione del credito sotteso alla cartella impugnata, essendo decorso un tempo superiore al quinquennio tra la contestazione del fatto violativo e la notifica della cartella con la sanzione è stata irrogata. Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Garante per la protezione dei dati personali affidandolo a tre motivi.
Il Comune di C. ha resistito in giudizio con controricorso.
Motivi della decisione
1. Prima di illustrare i motivi dell’Autorità Garante è necessario, preliminarmente, esaminare l’eccezione di inammissibilità del ricorso per cassazione sollevata dal Comune di C., che va rigettata.
Ad avviso del comune controricorrente, la sentenza che ha definito il giudizio di primo grado avrebbe potuto essere impugnata solo con il mezzo dell’appello atteso che, a seguito della modifica dell’ultimo periodo dell’art. 616 cod. proc. civ., ad opera dell’art. 49 comma 2° L. n. 69/2009, la sentenza pronunciata all’esito di un giudizio di opposizione all’esecuzione è ora impugnabile.
Questo Collegio non condivide tale soluzione.
Va osservato che, a norma del combinato disposto degli artt. 1 e 1 bis d.lgs n. 196/2003, tutte le controversie riguardanti l'applicazione della normativa in materia di protezione dei dati personali sono disciplinate dall'articolo 10 del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150, il quale dispone - al comma 10 - che la sentenza che definisce il giudizio non è appellabile. Ne consegue che avverso la predetta sentenza, essendo definitiva ed incidendo su diritti soggettivi, è proponibile il ricorso per cassazione ex art. 111 Cost.
2. Con il primo motivo è stata dedotta la nullità della sentenza impugnata per omessa declaratoria di inammissibilità dell’atto di opposizione per tardività in relazione al combinato disposto dell’art. 10 comma 3° d.lgs n. 150/2011 e dell’art. 18 commi 1° e 2° d.lgs n. 101/2018.
Deduce il “Garante” che il Tribunale ha rigettato la sua eccezione di inammissibilità dell’opposizione per tardività non tenendo conto della speciale disciplina dettata dall’art. 18 d.lgs n. 101/2018, il quale attribuisce espressamente valore di ordinanza – ingiunzione, di cui all’art. 18 L. n. 689/1981, all’atto con il quale sono stati notificati gli estremi della violazione, decorso il termine di 90 giorni dall’entrata in vigore del d.lgs n. 101/2018 ove, come nel caso di specie, tale termine sia spirato senza che sia stata prodotta dal destinatario una memoria difensiva.
Ne consegue che, all’atto di contestazione del Garante per la protezione dei dati personali del 17.12.2014, deve attribuirsi il valore di ordinanza ingiunzione, a far data dal 18 dicembre 2018.
Non avendo la controparte proposto opposizione avverso il predetto atto entro il termine di trenta giorni dalla data della sua notificazione, ai sensi dell’art. 10 del d.lgs n. 150/2011, il Tribunale di Velletri avrebbe dovuto accogliere l’eccezione di inammissibilità dell’opposizione.
3. Il motivo è infondato.
Va osservato che il ricorrente erroneamente prende come punto di riferimento, per valutare la tempestività dell’opposizione, l’atto di contestazione del 17.12.2014, avente valore di ordinanza ingiunzione a far data dal 18 dicembre 2018 (una volta decorso il termine di 90 giorni dall’entrata in vigore del d.lgs n. 101/2018), in virtù dell’art. 18 del d.lgs n. 101/2018. Tuttavia, l’oggetto del presente giudizio non è un’opposizione ad ordinanza-ingiunzione, ma un’opposizione ad una cartella di pagamento, emessa dall’agenzia delle Entrate (in relazione ad una sanzione amministrativa comminata dal Garante per la protezione dei dati personali), che è stata proposta dal Comune di C., tempestivamente, nei termini di legge, dalla notifica della cartella di pagamento avvenuta il 18.12.2019.
D’altra parte, il Tribunale di Velletri, nell’accogliere l’opposizione alla predetta cartella di pagamento, non ha minimamente esaminato il contenuto dell’ordinanza – ingiunzione formatasi per effetto dell’art. 18 comma 2° d.lgs n. 101/2018, accogliendo l’eccezione di prescrizione del credito.
4. Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 18 comma 5° d.lgs n. 101/2018, 2943 e 2945 cod. civ..
Si duole il ricorrente che il Tribunale di Velletri ha accolto l’eccezione di prescrizione sollevata dal Comune sulla base del mero rilievo del decorso di un periodo superiore al quinquennio tra la contestazione della violazione e la notificazione della cartella con cui è stata irrogata la sanzione, con ciò non avvedendosi del disposto dell’art. 18 comma 5° d.lgs n. 101/2008, in virtù del quale l’entrata in vigore della predetta legge ha determinato l’interruzione del termine di prescrizione del diritto a riscuotere le somme dovute di cui all’art. 28 L. n. 689/1981.
Ne consegue che, essendosi in data 19 settembre 2018 (giorno di entrata in vigore del d.lgs n. 101/2018) determinato l’effetto interruttivo di cui all’art. 18 comma 5° d.lgs n. 101/2018, è iniziato a decorrere un nuovo termine di prescrizione ex art. 2945 cod. civ.
5. Il motivo è infondato.
Va osservato che la Corte Costituzionale, con sentenza n. 260/2021, ha dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione dell'art. 3 Cost., l'art. 18, comma 5, del d.lgs. n. 101 del 2018 che prevede, con disposizione transitoria, a decorrere dalla sua entrata in vigore, l'interruzione ex lege del termine di prescrizione per i procedimenti sanzionatori, soggetti alla disciplina del d.lgs. n. 196 del 2003, che, alla data di applicazione del regolamento n. 679/2016/UE, siano stati avviati, ma non ancora definiti con l'adozione dell'ordinanza-ingiunzione. In particolare, è stata ritenuta ravvisabile l'irragionevolezza sia nel fatto che l'interruzione automatica ha determinato una intollerabile e immotivata compressione delle ragioni di tutela del privato, ben potendo il legislatore avvalersi di istituti differenti, quale la sospensione dei termini di prescrizione, idonei ad agevolare l'amministrazione in modo non sproporzionato, sia nel fatto che la disposizione censurata ha collegato la suddetta interruzione all'inerzia del titolare del diritto, ossia a una circostanza che esprime una ratio totalmente estranea, se non antitetica, rispetto a quelle su cui si fonda l'istituto civilistico della prescrizione.
Essendo stato dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 18 comma 5° d.gs n. 101/2018, la norma applicabile, al caso di specie, è l’art. 28 L. n. 689/1981, secondo cui “il diritto a riscuotere le somme dovute per le violazioni indicate dalla presente legge si prescrive nel termine di cinque anni dal giorno in cui è stata commessa la violazione”.
È corretto quindi il ragionamento con cui il giudice di primo grado ha ritenuto maturata la prescrizione, essendo trascorso un periodo di tempo superiore al quinquennio tra l’atto di contestazione del “Garante” (17.12.2014) e la notifica della cartella di pagamento (18.12.2019).
5. Con il terzo motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione del combinato disposto dell’art. 18 L. n. 689/1981 e artt. 2943 e 2945 cod. civ..
Lamenta il “Garante” che il Tribunale di Velletri ha inopinatamente accolto l’eccezione di prescrizione sollevata dal Comune di C., non avvedendosi dell’efficacia interruttiva che deve essere attribuita, ex art. 2943 cod. civ., alla convocazione regolarmente notificata al Comune per l’audizione del 13 aprile 2015, con la conseguenza che alla data di notifica della cartella di pagamento (18 dicembre 2019) il quinquennio non era ancora trascorso.
6. Il motivo è infondato.
Va osservato che questa Corte (vedi, recentemente, Cass. n. 13046/2023; vedi anche ) ha già enunciato il principio di diritto – cui questo Collegio intende dare continuità – secondo cui, in tema di sanzioni amministrative, l'audizione del trasgressore e la relativa convocazione non costituiscono atti idonei a interrompere la prescrizione, ai sensi dell'art. 28, secondo comma, l. n. 689 del 1981, non avendo gli stessi la funzione di far valere il diritto dell'Amministrazione alla riscossione della pena pecuniaria, in maniera tale da costituire esercizio della pretesa sanzionatoria.
È consapevole questo Collegio che, in qualche anteriore precedente (vedi Cass. n. 22388/2018; vedi anche Cass. 28238/2008), questa Corte aveva affermato che l'audizione del trasgressore, prevista dall'art. 18 della l. n. 689 del 1981, e la relativa convocazione, fossero attività idonee a costituire in mora il debitore, ai sensi dell'art. 2943 c.c., sul rilievo che ogni atto del procedimento previsto dalla legge per l'accertamento della violazione e per l'irrogazione della sanzione, avrebbe la funzione di far valere il diritto dell'Amministrazione alla riscossione della pena pecuniaria, e costituirebbe esercizio della pretesa sanzionatoria.
Tuttavia, questo Collegio, nel dare continuità alla più recente riflessione ha superato tale impostazione.
Se, infatti, non è in discussione, che allorquando l’Amministrazione provveda, a titolo esemplificativo, a rideterminare la sanzione, riducendola anche in accoglimento dei rilievi difensivi del trasgressore (vedi Cass. n. 787/2022), esprima comunque la propria volontà di dar corso al procedimento sanzionatorio e, quindi, di proseguire nell'azione punitiva, diverso significato deve, invece, attribuirsi alla convocazione per l’audizione, ex art. 18 comma 2° L. n. 689/1981, disposta su richiesta dell’interessato, la quale ha solo la funzione di consentire l’esercizio del diritto di difesa prima che l’Amministrazione proceda ad una valutazione definitiva della correttezza dell’accertamento precedentemente eseguito (nel caso di specie l’atto di contestazione). Dunque, l’atto di convocazione, avendo natura neutra rispetto alla pretesa sanzionatoria, rispondendo solo ad un’esigenza di salvaguardia del principio del contraddittorio, che deve essere tutelato anche nel procedimento amministrativo (come si desume dall’art. 10 L. 241/1990), non può certo ritenersi idoneo a costituire in mora il destinatario dell’atto di accertamento, a norma dell’art. 2943 cod.civ..
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M
Rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in € 3.200,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del DPR 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte di ciascun ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1° bis dello stesso articolo 13.