Di conseguenza è legittima la sanzione inflitta dall'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ai gestori di telefonia mobile per l'aumento delle tariffe imposto ai consumatori dopo l'introduzione dell'obbligo legale di fatturazione su dodici mesi.
La vicenda riguarda la condotta tenuta dagli operatori di telefonia mobile dopo l'introduzione dell'obbligo di fatturazione su dodici mesi. A partire dal 2015, infatti, tali operatori avevano deciso di modificare il periodo di rinnovo delle offerte ricaricabili per la telefonia mobile passando dalla cadenza mensile a quella quadrisettimanale, comportando il fatto che gli utenti, se prima si vedevano addebitare il prezzo per il rinnovo una volta al mese, da quel momento in poi si erano visti costretti a rinnovare l'offerta tariffaria ogni 28 giorni.
La conseguenza di ciò era chiara: l'utente era passato dal pagare il prezzo 12 volte all'anno al pagarlo per 13 volte, con un aumento della tariffa annuale pari all'8,6%.
Tali condotte non sono passate inosservate: l'AGCOM infatti, dopo una prima delibera ove stabiliva la cadenza su base mensile per il rinnovo delle offerte e della fatturazione (alla quale non si adeguavano i gestori di telefonia mobile), infliggeva ai medesimi una sanzione per l'aumento delle tariffe imposto ai consumatori a seguito dell'introduzione del suddetto obbligo di fatturazione su 12 mesi.
Interveniva nel frattempo il
Gli operatori a questo punto comunicavano agli utenti la nuova cadenza della fatturazione, ma che ciò avrebbe comportato un aumento del canone mensile in misura pari all'8,6%.
Ritenendo la condotta degli operatori il frutto di una intesa anticoncorrenziale, l'Autorità provvedeva a sanzionarle mediante apposito provvedimento che veniva impugnato dinanzi al TAR Lazio, il quale accoglieva i ricorsi sulla base della ritenuta inutilizzabilità di una serie di documenti che l'AGCOM avrebbe posto alla base del provvedimento sanzionatorio.
Da qui, la vicenda viene sottoposta all'attenzione del Consiglio di Stato, che con la sentenza n. 7270 del 25 luglio 2023 accoglie il ricorso proposto dall'Autorità riformando la decisione impugnata.
In particolare, il Collegio ha evidenziato che la questione riguarda il capire se la scelta delle parti di attuare l'aumento tariffario, c.d. repricing, al momento del ritorno alla fatturazione mensile (o bimestrale) e in tutti i casi dell'8,6%, possa ritenersi frutto di scelte autonome e indipendenti o se, come sostiene l'AGCM, sia invece il risultato di un'intesa anticoncorrenziale. Per fare ciò, il Consiglio di Stato richiama i principi e la giurisprudenza sul tema, sottolineando che la pratica o l'accordo anticoncorrenziale può anche risultare da prove frammentarie o sporadiche.
In sostanza, il Collegio ritiene che
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«le parti non abbiano assolto all'onere probatorio, sulle medesime incombente, di dimostrare con rigore e oggettività che il repricing dell'8,6% costituisse, per tutte, la sola e unica manovra razionale, emergendo, da più parti, che sussistevano margini di convenienza – ovviamente in assenza di concertazioni anticompetitive – sia nella totale e assoluta mancanza di repricing, sia nell'attuazione di repricing modulati diversamente. Ciò, da una parte conferma che la convergenza di tutte le parti su un primo repricing dell'8,6% delle fatture mensili, ben può essere stata determinata dal reciproco scambio di informazioni intervenuto tra le stesse e dalla consapevolezza di come le altre parti avrebbero reagito alla fatturazione a 30 giorni, d'altra parte priva di forza intrinseca l'argomento secondo cui tale repricing costituiva la scelta razionale e ovvia per definizione. E' vero, piuttosto, che essa costituiva una scelta conveniente e facile perché “conservativa”, sia del fatturato che del monte clienti». |
In conclusione, il Consiglio di Stato ha ritenuto provata l'intesa anticoncorrenziale degli operatori di telefonia mobile, obbligando l'Autorità a rideterminare la sanzione solo in relazione alla data in cui è terminata tale intesa.
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza (ud. 26 gennaio 2023 e 22 marzo 2023) 25 luglio 2023, n. 7270
Svolgimento del processo
1. Ai fini di comprendere quanto infra si andrà ad esporre in ordine ai provvedimenti impugnati nel presente giudizio, è opportuno premettere quanto segue, in punto di fatto.
2. Nel corso dell’anno 2015 le società Wind Tre S.p.A., Telecom Italia S.p.A., Vodafone Italia S.p.A. e Fastweb S.p.A. decidevano di modificare il periodo di rinnovo delle offerte ricaricabili per la telefonia mobile, portandolo dalla cadenza mensile precedentemente in uso alla cadenza quadrisettimanale; per effetto di ciò gli utenti, che prima si vedevano addebitare il prezzo per il rinnovo dell’offerta una volta al mese, e quindi 12 volte l’anno, si sono visti costretti a procedere al rinnovo dell’offerta tariffaria ogni 28 giorni, pagando il relativo prezzo 13 volte l’anno. Tale manovra, comportando l’aumento del costo complessivo annuale dell’offerta tariffaria in misura pari ad una mensilità, determinava un aumento della tariffa annuale corrispondente a un dodicesimo di quella precedentemente corrisposta, equivalente a circa l’8,6 % annuo.
3. La medesima rimodulazione le società attuavano anche con riferimento alle offerte relative alla telefonia fissa.
4. L’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (in prosieguo “AGCOM”) riteneva di prendere posizione sulla situazione e, sul presupposto che la pratica sopra indicata avesse dato luogo a problemi di trasparenza e di comparabilità delle informazioni in merito ai prezzi vigenti, nonché di controllo dei consumi e della spesa da parte degli utenti, con la delibera n. 121/17/CONS del 15 marzo 2017 stabiliva che la cadenza di rinnovo delle offerte e della fatturazione dovesse essere su base mensile, o suoi multipli, per i servizi di telefonia fissa, e con cadenza non inferiore a quattro settimane per la telefonia mobile. Tale delibera stabiliva, altresì, che gli operatori avrebbero dovuto adeguarsi alle nuove disposizioni entro 90 giorni dalla pubblicazione della deliberazione (ovvero entro il 23 giugno 2017), adottando tutte le misure tecniche e giuridiche necessarie per conformarvisi.
5. Wind Tre S.p.A. (in prosieguo solo “Wind”), Telecom Italia S.p.A. (in prosieguo solo “Telecom”), Fastweb S.p.A. (in prosieguo solo “Fastweb”) e Vodafone Italia S.p.A. (in prosieguo solo “Vodafone”) non si adeguavano alla delibera, e la impugnavano innanzi al TAR per il Lazio, che, con sentenze nn. 3261, 5001, 4988 e 5313 del 2018, respingeva i ricorsi. Vodafone ha poi proposto appello e il relativo giudizio è ancora attualmente pendente innanzi a questo Consiglio di Stato, in attesa di definizione di un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea.
6. L’AGCOM avviava anche procedimenti sanzionatori, che sfociavano in una serie di provvedimenti del 19 dicembre 2017 (delibere nn. 497, 498, 499, 500/17/CONS), con i quali, accertata la violazione di quanto stabilito con la delibera n. 121/17/CONS, irrogava alle quattro indicate società una sanzione amministrativa pecuniaria e, inoltre, diffidava le stesse a “ provvedere – in sede di ripristino del ciclo di fatturazione con cadenza mensile o di multipli del mese - a stornare gli importi corrispondenti al corrispettivo per il numero di giorni che, a partire dal 23 giugno 2017, non sono stati fruiti dagli utenti in termini di erogazione del servizio a causa del disallineamento fra ciclo di fatturazione quadrisettimanale e ciclo di fatturazione mensile”. Le sanzioni sono state impugnate e, all’esito dei contenziosi, ne è stata riconosciuta la legittimità (cfr. sentenze di questo Consiglio di Stato, Sez. VI, nn. 879/2020, 987/2020 e 1368/2020, quest’ultima confermata anche in sede di revocazione da Consiglio di Stato, Sez.VI, n. 3327/2021 di rigetto del ricorso di Wind Tre).
7. Va detto che l’art. 19-quinquiesdecies del D.L. 16 ottobre 2017 n. 148 (inserito dalla l. di conversione 4 dicembre 2017 n. 172) ha modificato l’art. 1 del D.L. 31 gennaio 2007 n. 7 (convertito, con modificazioni, dalla l. 2 aprile 2007 n. 40). In particolare, il nuovo art. 1, co. 1-bis, del D.L. 7/2007 ha previsto che «i contratti di fornitura nei servizi di comunicazione elettronica disciplinati dal codice di cui al decreto legislativo 1º agosto 2003, n. 259, prevedono la cadenza di rinnovo delle offerte e della fatturazione dei servizi, ad esclusione di quelli promozionali a carattere temporaneo di durata inferiore a un mese e non rinnovabile, su base mensile o di multipli del mese». La novella ha altresì disposto: a) l’obbligo di adeguamento di tutti gli operatori di TLC, al di là della tecnologia usata, a tale cadenza di fatturazione entro 120 gg. dall’entrata in vigore della legge di conversione; b) la garanzia dell’AGCOM sulla pubblicazione dei servizi offerti e delle tariffe generali, in modo da consentire ai consumatori scelte informate; c) il potere dell’AGCOM di ordinare «… in caso di violazione del comma 1-bis… all'operatore la cessazione della condotta e il rimborso delle eventuali somme indebitamente percepite o comunque ingiustificatamente addebitate agli utenti, indicando il termine entro cui adempiere, in ogni caso non inferiore a trenta giorni…». Il successivo co. 4 ha, inoltre, previsto che «… la violazione delle disposizioni di cui ai commi 1, 1-bis, 1-ter, 2, 3, 3-bis, 3-ter e 3-quater è sanzionata dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni applicando l'articolo 98, comma 16, del codice delle comunicazioni elettroniche…L'inottemperanza agli ordini impartiti ai sensi del comma 1-quinquies è sanzionata applicando l'articolo 98, comma 11, del medesimo codice».
7.1. Si deve precisare che il D.L. n. 148 del 16 ottobre 2017, nella versione pubblicata in Gazzetta Ufficiale, non conteneva l’art. 19 quinquiesdecies, sopra ricordato; tuttavia già il 24 ottobre 2017 veniva proposto l’emendamento che ne prevedeva l’inserimento con la legge di conversione, e il 14 novembre 2017 l’emendamento in questione veniva approvato dalla Commissione Bilancio del Senato. Esaurito l’iter parlamentare, la norma entrava effettivamente in vigore con la legge di conversione n. 172/2017, il 6 dicembre 2017.
7.2. Successivamente l’AGCOM, in data 20 dicembre 2017, adottava le “Linee Guida sull’attività di vigilanza da parte dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni a seguito dell’entrata in vigore dell’articolo 19-quinquiesdecies del D.L. 16 ottobre 2017 n. 148, convertito con modificazioni dalla L. 4 dicembre 2017, n. 172”.
8. E’ nel contesto venutosi a creare per effetto della dianzi indicata modifica normativa che si collocano le condotte di Wind Tre, Telecom, Fastweb e Vodafone, che l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (in prosieguo “AGCM”) ha, con il provvedimento finale impugnato nel presente giudizio, ritenuto aver integrato una intesa restrittiva della concorrenza.
8.1. In particolare, a seguito dell’avvio del procedimento, deliberato il 7 febbraio 2018, effettuate ispezioni presso le sedi delle società indagate e acquisita documentazione, l’Autorità riteneva che, alla vigilia della entrata in vigore della L. n. 172/2017 e in vista della necessità, poi imposta dalla legge, di ritornare ad una fatturazione su base mensile, i quattro operatori economici avessero avuto contatti pressoché giornalieri, scambiandosi informazioni rilevanti sul comportamento da tenere in vista dell’entrata in vigore della norma, in particolare circa il fatto di procedere ad un repricing, ovvero a un aumento delle tariffe sino a quel momento praticate, aumento in concreto determinato da tutte le società nella misura dell’8,6%.
8.2. Con delibera del 21 marzo 2018 l’Autorità, al fine di non aggravare le conseguenze dell’infrazione contestata, riteneva necessario intervenire con una misura cautelare adottata inaudita altera parte, al qual fine ordinava ai quattro operatori di sospendere “l’attuazione dell’intesa oggetto del procedimento avviato con Delibera del 7 febbraio 2018, concernente la determinazione del repricing comunicato agli utenti in occasione della rimodulazione del ciclo di fatturazione in ottemperanza alla Legge 172/2017, e che, per l’effetto, ogni operatore definisca i termini della propria offerta di servizi in modo indipendente dai concorrenti.”.
8.3. Il provvedimento cautelare veniva confermato dall’Autorità con delibera dell’11 aprile 2018, dopo aver concesso alle parti l’accesso alla documentazione del fascicolo e la possibilità di presentare memorie difensive. Avverso tali ultimi due provvedimenti Telecom proponeva ricorso avanti al TAR per il Lazio.
8.4. A partire dal 21 marzo 2018 i quattro operatori adottavano, in tempi diversi, misure di adeguamento al provvedimento cautelare, che l’Autorità riteneva adeguate, con delibera di presa d’atto del 27 giugno 2018.
8.5. Il procedimento istruttorio proseguiva con l’acquisizione di informazioni, del parere dell’AGCOM, di memorie difensive delle parti e con l’audizione del 15 ottobre 2019, concludendosi con la delibera del 28 gennaio 2020, impugnata nel presente giudizio con motivi aggiunti, che ha accertato in via definitiva, tra le parti, l’esistenza di una intesa restrittiva della concorrenza, “finalizzata a mantenere il livello dei prezzi esistente e a ostacolare la mobilità delle rispettive basi clienti, impedendo il corretto svolgersi delle dinamiche concorrenziali tra operatori nei mercati dei servizi di telefonia fissa e dei servizi di telefonia mobile, oggetto delle previsioni dell’articolo 19 quinquiesdecies del Decreto Legge n. 148/2017”, e che, per l’effetto, ha irrogato una sanzione di €.14.756.250,00 a Fastweb, di €. 114.398.325,00 a Telecom Italia S.p.A., di €. 59.970.351,25 a Vodafone e di €. 38.973.750 a Wind.
9. Il citato provvedimento evidenzia che, tra la fine di gennaio e l’inizio di febbraio 2018, TIM, Vodafone, Fastweb e Wind Tre, quasi contestualmente, hanno comunicato ai propri clienti che, in attuazione della legge n. 172/2017 (entrata in vigore il 5 dicembre 2017), la fatturazione delle offerte e dei servizi sarebbe stata effettuata su base mensile, e non più quadrisettimanale, con la conseguenza che la spesa annuale complessiva sarebbe stata distribuita su 12 canoni anziché 13; nella rispettiva comunicazione agli utenti, tutti e quattro gli Operatori hanno precisato che tale rimodulazione tariffaria, benché comportante l’aumento dei singoli canoni mensili (nella misura del+8,6%), non avrebbe modificato il prezzo annuale dell’offerta di servizi. Tale repricing è stato effettuato, dai quattro operatori, sulla quasi totalità delle linee mobili e fisse per le quali era stata precedentemente applicata la fatturazione a 28 gg.
9.1. Secondo l’Autorità, la documentazione acquisita nel corso delle ispezioni dimostra che i contatti tra i quattro operatori sono divenuti quasi giornalieri a far data dalla notizia di un possibile intervento legislativo conseguente al mancato adeguamento degli Operatori agli obblighi imposti dal regolatore, cioè dal settembre 2017: tali contatti in parte vertevano sulla attività di lobbying presso il Governo, in parte servivano a uno scambio di informazioni in ordine alle intenzioni commerciali in caso di approvazione della norma. Nello scambio di email in questo periodo (settembre 2017) emergeva che Fastweb, Telecom Italia, Vodafone e Wind Tre erano, in quella fase, ancora compatte circa il non adeguamento alla delibera AGCOM 121/17CONS, e sul conseguente mantenimento della fatturazione a 28 giorni; tuttavia Fastweb (come risulta da un documento interno del 22 settembre 2017) nutriva il timore che una delle concorrenti potesse “rompere il fronte”, ritornando alla fatturazione mensile, avvantaggiandosi dal fatto di essere il primo operatore a procedere in tal senso.
9.2. L’Autorità evidenzia ulteriori documenti, che, a suo dire, proverebbero l’esistenza di discussioni continue tra le Parti, in cui è stato costantemente veicolato il messaggio che il riproporzionamento della spesa annuale su 12 canoni anziché 13 fosse una conseguenza immediata e diretta dell’ottemperanza al nuovo obbligo di legge, cui tutti gli operatori si sarebbero dovuti adeguare. In particolare, nel corso di una call intervenuta il 30 ottobre 2017, le parti avrebbero concordato l’adozione di una linea comune di minimizzazione del danno includente, tra l’altro, il mantenimento degli aumenti già realizzati; una mail interna a Telecom, sempre del 30 ottobre 2017, dà conto della posizione di Vodafone e Wind Tre anche in relazione alle intenzioni concernenti il repricing.
9.3. L’inizio della intesa viene indicato, dall’Autorità, al 14 novembre 2017, data coincidente con quella di documenti interni di Fastweb in cui si riferisce in ordine alla posizione delle altre parti sul repricing, a seguito della reintroduzione della fatturazione mensile, dimostrando l’esistenza di contatti e lo scambio di informazioni di contenuto sensibile, non ottenibili da fonti esterne alle società.
9.4. Secondo l’Autorità, a partire da tale data il coordinamento circa il mantenimento dell’aumento dell’8,6% risulta raggiunto in quanto viene dato per scontato nei documenti e nelle comunicazioni successive, ove si discute di eventuali aumenti ulteriori rispetto a quelli derivanti dal passaggio alla fatturazione mensile rispetto a quella quadrisettimanale. Da un documento interno di Fastweb, del 18/20 dicembre 2017, risulterebbe che lo scambio di informazioni avrebbe avuto ad oggetto anche i tempi di adeguamento all’obbligo normativo.
9.5. Ulteriori evidenze documentali dimostrerebbero, inoltre, che le parti avevano preso in considerazione diverse soluzioni, diverse dal repricing dell’8,6%, che però è stato, alla fine, adottato.
9.6. La data finale dell’intesa è stata individuata dall’Autorità nel 13 aprile 2018, giorno in cui in cui è stato notificato il provvedimento cautelare “definitivo”.
9.7. Relativamente al calcolo delle sanzioni l’AGCM: ha preso in riferimento il valore delle vendite del 2017, atteso che le condotte accertate si erano svolte tra novembre 2017 e aprile 2018; ha qualificato l’intesa segreta e l’infrazione come molto grave, applicando un coefficiente di gravità del 15%; ha tenuto conto della durata dell’intesa, accertata in 4 mesi e 30 giorni; ha concesso a TIM, Vodafone e Wind una attenuante del 5%, per aver modificato i programmi di compliance; ha concesso a Vodafone una ulteriore attenuante del 5% per le particolari modalità con cui ha ottemperato alle misure cautelari adottate dall’Autorità; ha quindi applicato a tutti e quattro gli operatori, in base al punto 34 delle Linee Guida, una speciale riduzione del 70% in ragione dell’adozione delle misure cautelari, che ha impedito che il repricing fosse portato a completamento.
9.8. Sulla base di tali considerazioni l’AGCM ha ritenuto essersi perfezionata, tra Fastweb, TIM, Vodafone e Wind Tre, una intesa anticoncorrenziale, segreta, unica, complessa e continuata, restrittiva per oggetto, durata dal 14 novembre 2017 al 13 aprile 2018, ed ha determinato le sanzioni come sopra indicato.
10. Con motivi aggiunti presentati nel giudizio già pendente e avente ad oggetto le delibere dell’AGCM dell’11 aprile e del 21 marzo 2018, Telecom ha impugnato il provvedimento sanzionatorio del 28 gennaio 2020, unitamente ad ogni altro atto presupposto o consequenziale.
11. Nel giudizio di primo grado si è costituita, per resistere all’impugnazione, l’AGCM e sono intervenuti, ad opponendum, ILIAD S.p.A. e l’Associazione Codici – Centro diritti del cittadino.
12. Il TAR, con la sentenza del cui appello si tratta, ha accolto sia il ricorso introduttivo del giudizio che i motivi aggiunti, per l’effetto annullando gli atti impugnati. Il TAR:
- ha ritenuto inutilizzabile il documento di Vodafone, del 23 ottobre 2017, dal quale l’Autorità ha inferito la segretezza della intesa;
- ha ritenuto parimenti inutilizzabili una serie di documenti indicati dall’AGCM nel provvedimento, ma esterni al periodo di durata della intesa; questa, pertanto, sarebbe dimostrata solo dallo scambio di mail interne a Fastweb, del 14 novembre 2017, che però non sarebbero significative in quanto le informazioni ivi riferite potrebbero essere state desunte da attività di intelligence, poste in essere dagli operatori, che legittimamente avrebbero cercato di scoprire quale fosse l’intento dei concorrenti; le mail del 14 novembre 2017, inoltre, non sarebbero significative per la ragione che in tali documenti Fastweb si riferisce al billing, e mai al repricing;
- ha ritenuto che il provvedimento impugnato, nella parte in cui ha definito il repricing, sia incorso in motivazione illogica affermando che il riferimento all’invarianza della spesa annua, nella comunicazione effettuata agli utenti, costituiva una strategia comunicativa inconsueta, idonea a celare al consumatore la effettiva maggiorazione del prezzo: secondo il TAR tale comportamento degli operatori avrebbe dovuto essere sanzionato, semmai, quale pratica commerciale scorretta;
- ha rilevato che la scelta del repricing era effettivamente “obbligata” per gli operatori, nel senso che costituiva l’unica scelta per essi conveniente;
- ha ancora osservato che la motivazione del provvedimento impugnato sarebbe perplessa, in quanto non terrebbe alcun conto di quanto rilevato dall’AGCOM nel parere acquisito nel corso del procedimento, parere in cui verrebbero sconfessati sia l’esistenza del repricing che l’idoneità del medesimo a influire sul comportamento dei consumatori, inducendo una distorsione della concorrenza; il parere in questione, inoltre, ha sottolineato che l'entrata in vigore della L. n. 172/2017 ha indubbiamente favorito o, comunque, indotto la creazione di contatti tra gli Operatori, nel legittimo ambito dell'attività di posizionamento dell'industry, sposando in pieno quella che è stata l’argomentazione difensiva delle parti, ossia che si trattasse di confronti necessitati dall’obbligo di adeguamento alla novella normativa e dai dubbi interpretativi sulle modalità dello stesso;
- in conclusione, secondo il TAR, mentre Telecom avrebbe dato una spiegazione plausibile dei contatti intercorsi con le altre parti, l’AGCM non sarebbe stata in grado di indicare elementi indiziari, gravi precisi e concordanti, tali da delineare un quadro sufficientemente chiaro e non altrimenti spiegabile se non con l’esistenza della accertata pratica concordata; sulla base di tali considerazioni, assorbite le censure relative alla quantificazione della sanzione, il TAR ha accolto il ricorso, per l’effetto annullando i provvedimenti impugnati.
13. Ha proposto rituale appello l’AGCM, per i motivi che in prosieguo saranno specificamente esaminati.
14. Telecom si è costituita in giudizio per resistere al gravame, riproponendo alcune delle censure articolate in primo grado a supporto dei motivi aggiunti, e non esaminate dal TAR.
15. Si sono costituiti in giudizio anche gli intervenienti ILIAD S.p.A. e l’Associazione Codici-Centro per i diritti del cittadino, che hanno insistito per l’accoglimento dell’appello.
16. La causa è stata chiamata alla pubblica udienza del 26 gennaio 2023, in esito alla quale è stata trattenuta in decisione.
Motivi della decisione
17. La disamina dell’atto d’appello dell’AGCM deve partire, ad avviso del Collegio, da un dato di fatto, e cioè dalla constatazione che le parti del procedimento, all’indomani della entrata in vigore della L. n. 172/2017 e in vista della scadenza del termine fissato per il ritorno alla fatturazione mensile, hanno proceduto ad un vero e proprio aumento tariffario.
17.1. Come già accennato nella premessa in fatto, i quattro operatori hanno agito comunicando ai rispettivi clienti che a partire dal 1° gennaio 2018 vi sarebbe stato il ritorno alla fatturazione su base mensile o bimestrale, accompagnando tale comunicazione con l’avviso che tale fatto avrebbe comportato l’aumento dell’importo di ciascuna fattura dell’8,6% e che ciò non avrebbe, tuttavia, determinato un aumento della spesa complessiva annuale. Tale comunicazione veniva accompagnata, inoltre, dall’avviso che gli utenti avrebbero potuto esercitare, entro una certa data, il diritto di recesso a norma dell’art. 70, comma 4, del Codice delle Comunicazioni Elettroniche.
17.2. In realtà, contrariamente a quanto affermato dagli operatori in tali comunicazioni, l’aumento delle fatture – mensili o bimestrali – dell’8,6% ha comportato, per gli utenti, un aumento effettivo della spesa annuale. Infatti, sebbene gli operatori, portando la fatturazione a 28 giorni, avessero già attuato – come già precisato nella parte in fatto – un aumento tariffario, quest’ultimo é stato sanzionato dall’AGCOM: è ben vero che l’intervento dell’Autorità è stato determinato solo da ragioni legate alla mancanza di trasparenza, ma di fatto esso ha inciso anche sulla validità civilistica della manovra tariffaria.
17.3. Sul punto vale la pena rilevare che, chiamata a pronunciarsi sulla legittimità degli atti sanzionatori adottati dall’AGCOM nei confronti delle parti, in relazione al mancato adeguamento alla delibera n. 117/21/CONS, la Sezione ha rilevato (cfr. Cons. di Stato, Sez. VI, n. 879/2020) che “la Sezione (cfr. Cons. St., VI, 24 maggio 2016 n. 2182, ma su tali poteri, sia pur con le cautele del caso, era intervenuta Cass., III, 27 luglio 2011 n. 16401) ha chiarito come tutte tali norme abbiano attribuito all'Autorità poteri ampi di eterointegrazione, suppletiva e cogente, dei contratti per il perseguimento di specifici obiettivi individuati. Tal potere, in quanto attribuito da una norma imperativa, diventa esso stesso, insieme a tale norma, parametro di validità del contratto. Il contenuto dei contratti viene così integrato, secondo lo schema dell'art. 1374 c.c., dall'esercizio di tal potere da parte dell'Autorità o, se del caso (per i contratti contenenti clausole difformi da quanto statuito dall'Autorità stessa), queste ultime sono nulle, ai sensi dell’art. 1418, I c., c.c. Scolorano così tutte le questioni sull’assenza, in capo all’AGCOM, del potere d’assumere misure di carattere ripristinatorio a favore degli utenti ed in applicazione della l. 481/1995. Si può discutere se ordine di storno e restituzione dei giorni erosi a causa della fatturazione a 28 giorni siano, o no, misure d’identico tenore, anche se la questione non rileva, avendo ormai l’azione amministrativa circoscritto il contenuto del provvedimento alla disposizione di forme di erogazione gratuita aventi natura sostanzialmente conformativa. Ma ciò, quantunque sbagliata ne sia la deduzione —posto che l’obbligo restitutorio per i giorni erosi è solo uno degli effetti del ripristino della fatturazione con la cadenza mensile, non la sanzione d’un illecito—, non rileva nella specie, una volta assodato, come visto poc’anzi, che la potestà d’eterointegrazione delle cadenze temporali e la tutela sulla trasparenza delle offerte e dei rinnovi e sulla libera e cosciente determinazione del consumatore costituiscono regole comuni alle ANR che debbano regolare, nel proprio settore, tali vicende. Del pari non sussiste la paventata violazione del principio di legalità ex art. 23 Cost. e non si determina alcuna nullità ex art. 21-septies della l. 241/1990 per le delibere ed i provvedimenti in esame, giacché tal obbligo restitutorio, peraltro più volte differito, è appunto la restitutio in integrum di quanto lucrato, mediante un aumento dissimulato dagli operatori grazie alla cadenza di fatturazione a 28 giorni.”. Ha soggiunto la decisione in esame, con specifico riferimento all’obbligo, imposto dall’AGCOM agli operatori, di “provvedere – in sede di ripristino del ciclo di fatturazione con cadenza mensile o di multipli del mese - a stornare gli importi corrispondenti al corrispettivo per il numero di giorni che, a partire dal 23 giugno 2017, non sono stati fruiti dagli utenti in termini di erogazione del servizio a causa del disallineamento fra ciclo di fatturazione quadrisettimanale e ciclo di fatturazione mensile”, che “Nel caso di specie, l’erogazione gratuita della prestazione (di natura lato sensu indennitaria) sostituisce la somma di danaro che è stata prelevata dalla generalità degli utenti con il sistema di fatturazione in esame. Da queste coordinate generali deriva l’individuazione dell’esatta natura del potere esercitato, che è un potere conformativo di natura lato sensu indennitaria e non certo un potere sanzionatorio….”: dunque, sulla base dell’art. 2, co. 20, lett. d), della l. 481/1995, l’AGCOM “non ha esercitato un potere sanzionatorio vero e proprio, ma ha attivato il rimedio generale posto dalla legge (dunque, tutt’altro che privo di base normativa) sull’ordinamento delle Autorità di regolazione. Infatti, tal rimedio indennitario, che per sua natura s’attaglia alla situazione cui intende por soluzione, appunto per questo sfugge al principio di tipicità proprio delle sanzioni”.
17.4. Quanto precede conferma che l’intervento dell’AGCOM ha avuto l’effetto di rendere di fatto priva di effetti giuridici, con decorrenza dalla scadenza del termine indicato nella delibera n. 121/17/CONS, la manovra tariffaria attuata attraverso il passaggio alla fatturazione a 28 giorni, giustificando l’imposizione, a carico degli operatori, dell’obbligo di indennizzare gli utenti: la qual cosa, del resto, è assolutamente coerente con il fatto che la manovra tariffaria in questione, in quanto dissimulata dal passaggio alla fatturazione a 28 giorni, di fatto non aveva messo gli utenti in condizione di decidere, consapevolmente, se restare con il gestore o se cambiarlo e quindi viziava il loro consenso.
17.5. Di conseguenza, nel momento in cui gli operatori medesimi, nel ritorno alla fatturazione mensile – o bimestrale, a seconda dei casi – hanno comunicato agli utenti l’aumento dell’importo di ciascuna fattura in ragione dell’8,6% (corrispondente a un dodicesimo della spesa annuale che gli utenti sostenevano prima del passaggio alla fatturazione a 28 giorni nonché all’importo della 13a fattura), hanno messo in atto una manovra che ha determinato un autentico aumento della tariffa rispetto a quella legalmente in vigore in quel momento, ancorché quest’ultima fosse inferiore a quella pagata dagli utenti ed effettivamente percepita dagli operatori economici, che hanno continuato ad applicare la fatturazione a 28 giorni fino a che la L. n. 172/2017 li ha obbligati a ritornare alla fatturazione mensile: non a caso, gli operatori hanno accompagnato tale manovra con la comunicazione agli utenti della possibilità di esercitare il diritto di recesso entro una certa data, essendo consapevoli dell’efficacia innovativa di essa (si vedano: la comunicazione 14.12.2017 di Telecom alla propria clientela, docc. 12 e 13 prodotti da Telecom in primo grado il 27 giugno 2018; la seconda comunicazione di Wind alla clientela, doc. 18 prodotto da Wind Tre in primo grado, il 5 maggio 2021; la comunicazione di Fastweb alla clientela, prodotta da Fastweb il 3 maggio 2021 come doc. 16, nel ricorso di primo grado R.G. 2813/2020; la comunicazione di Vodafone, prodotta da Vodafone in primo grado il 4 giugno 2020, come doc. 35).
17.6. Il “riproporzionamento” della spesa annuale cui alludono le parti, conseguente al fatto che la spesa annuale era prima ripartita su tredici fatture annuali e poi su 12 fatture, costituisce, allora, una circostanza corrispondente alla realtà di fatto, ma non a quella giuridica.
18. Chiarito questo punto, si tratta di capire se la scelta delle parti di attuare l’aumento tariffario di cui si è detto, c.d. repricing, al momento del ritorno alla fatturazione mensile (o bimestrale) e in tutti i casi dell’8,6%, possa ritenersi frutto di scelte autonome e indipendenti o se, come sostiene l’AGCM, consegua ad una intesa a carattere anticoncorrenziale: tale quesito rende necessario esaminare il corredo probatorio posto dall’AGCM a fondamento del provvedimento impugnato, valutandolo nel rispetto dei principi elaborati in materia.
19. Prima di procedere alla disamina dei motivi d’appello è, quindi, opportuno richiamare i principi che la giurisprudenza ha elaborato in materia di prova di una intesa anticoncorrenziale.
19.1. Una intesa restrittiva vietata dall’art. 101 TFUE può realizzarsi sia mediante un “accordo”, sia mediante una “pratica concordata”, e tale ultima nozione viene utilizzata per descrivere le forme di coordinamento e cooperazione consapevoli (c.d. concertazioni) tra imprese, poste in essere a danno della concorrenza. Le concertazioni non richiedono, come l’accordo, una manifestazione di volontà reciproca tra le parti, o un vero e proprio piano, tanto è vero che il coordinamento può essere raggiunto attraverso un mero contatto diretto o indiretto fra le imprese (v. Corte Giustizia, C-48/69). Esse costituiscono in realtà delle prove indirette indicative dell’esistenza di un accordo, rappresentando, come tali (non una fattispecie autonoma di illecito anticoncorrenziale ma) una fattispecie strumentale operante sul piano probatorio.
19.2. Gli “accordi” e le “pratiche concordate” mutuano la medesima natura, essendo ambedue le fattispecie espressione dell’intento delle parti di sottrarsi ai rischi della concorrenza, distinguendosi solo per l’intensità con cui si manifestano (v. CGUE, 5 dicembre 2013, C-449/11P). I criteri del coordinamento e della collaborazione, che consentono di definire tale nozione, vanno perciò intesi alla luce dei princìpi in materia di concorrenza, secondo cui ogni operatore economico deve autonomamente determinare la condotta che intende seguire sul mercato. Devono, dunque, ritenersi vietati i contatti diretti o indiretti aventi per oggetto o per effetto di creare condizioni di concorrenza non corrispondenti alle condizioni normali del mercato (v. Cons. Stato, Sez. VI, 4 settembre 2015, n. 4123).
19.3. Nondimeno, il parallelismo dei comportamenti può essere considerato prova di una concertazione soltanto qualora questa ne costituisca l’unica spiegazione plausibile. L’art. 101 TFUE, infatti, mentre vieta qualsiasi forma di collusione atta a falsare il gioco della concorrenza, non esclude il diritto degli operatori economici di reagire intelligentemente al comportamento noto o presunto dei concorrenti. Di conseguenza, ove si ipotizzi la ricorrenza di un parallelismo di comportamenti, diventa necessario accertare se esso non possa, tenuto conto della natura dei prodotti, dell’entità e del numero delle imprese e del volume del mercato, spiegarsi altrimenti che con la concertazione. Anche la Corte di Giustizia, in applicazione del menzionato criterio, ha avuto modo di affermare che, «se la spiegazione del parallelismo di comportamenti basata sulla concertazione non è l’unica plausibile […], il parallelismo di comportamenti accertato dalla Commissione non può costituire la prova della concertazione» (v. Corte di Giustizia, cause riunite C- 23 89/85, C-104/85, C-114/85, C-117/85 e da C-125/85 a C-129/85).
19.4. Si deve poi ricordare che, in applicazione dell’art. 101 TFUE, “la nozione di «pratica concordata» implica, oltre alla concertazione tra le imprese interessate, un comportamento sul mercato che dia seguito a tale concertazione e un nesso causale tra questi due elementi (sentenza Dole Food e Dole Fresh Fruit Europe/Commissione, C-286/13 P, EU:C:2015:184, punto 126 e la giurisprudenza citata)” (Corte di Giustizia dell’Unione Europea, 21 gennaio 2016, C-74/14, par. 42).
19.5. Per quanto riguarda la valutazione del materiale probatorio, va ancora rammentato che “nella maggior parte dei casi, l’esistenza di una pratica o di un accordo anticoncorrenziale deve essere dedotta da un certo numero di coincidenze e di indizi i quali, considerati nel loro insieme, possono rappresentare, in mancanza di un’altra spiegazione coerente, la prova di una violazione delle norme sulla concorrenza (sentenza del 6 dicembre 2012, Commissione/Verhuizingen Coppens, T-441/11 P, EU:C:2012:778, punto 70 e giurisprudenza ivi citata). Simili indizi e coincidenze consentono, se valutati globalmente, di rivelare non soltanto l’esistenza di comportamenti o accordi anticoncorrenziali, ma anche la durata di un comportamento anticoncorrenziale continuato e il periodo di applicazione di un accordo concluso in violazione delle regole di concorrenza (sentenza del 6 dicembre 2012, Commissione/Verhuizingen Coppens, T-441/11 P, EU:C:2012:778, punto 71 e giurisprudenza ivi citata).” (Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sentenza 18 marzo 2021, C440/19P, parr. 110 e 111). In tal senso si veda anche la pronuncia della CGUE 22 maggio 2014, C-35/12P, la quale (par. 22) ha rammentato che “una giurisprudenza consolidata,… ha ammesso che l’esistenza di un comportamento illecito possa essere dedotta da un certo numero di coincidenze e indizi, i quali, considerati nel loro insieme, possono rappresentare, in mancanza di un’altra spiegazione coerente, la prova di una violazione delle regole di concorrenza (sentenze Aalborg Portland e a./Commissione, C-204/00 P, C-205/00 P, C-211/00 P, C-213/00 P, C-217/00 P e C-219/00 P, EU:C:2004:6, punto 57, nonché Sumitomo Metal Industries e Nippon Steel/Commissione, C-403/04 P e C-405/04 P, EU:C:2007:52, punto 51).”
19.6. Dunque, l’esistenza di una pratica o di un accordo anticoncorrenziale può risultare anche da prove frammentarie o sporadiche, costituendo massima di comune esperienza quella secondo cui le suddette attività si svolgono clandestinamente e non vengono documentate. Pertanto, le singole condotte delle imprese devono essere valutate tenendo conto del quadro complessivo della fattispecie esaminata dall’AGCM e non in modo “atomistico”: ciò perché, in materia di intese restrittive, i singoli comportamenti delle imprese, che presi isolatamente potrebbero apparire privi di specifica rilevanza “anticoncorrenziale”, qualora si rivelino elementi di una fattispecie complessa - come nel caso di specie - devono essere considerati quali “tasselli di un mosaico”, i cui elementi non sono significativi “in sé”, ma come parte di un disegno unitario, qualificabile quale intesa restrittiva della libertà di concorrenza. In tale ipotesi, è sufficiente che l’Autorità tracci un quadro indiziario coerente ed univoco, a fronte del quale spetta ai soggetti interessati fornire spiegazioni alternative alle conclusioni tratte nel provvedimento accertativo della violazione “anticoncorrenziale” (Cons. Stato, Sez. VI, 2.7.18, n. 4010, 30.6.16, n. 2947 e 11.7.16, n. 3047).
19.7. Sul punto della valutazione delle prove di natura indiziaria o frammentaria la Sezione ha avuto modo di sottolineare, con la sentenza n. 3570 del 9 maggio 2022, (i) che “ i principi nazionali in materia di grado di intensità della prova non possono rendere impossibile o eccessivamente difficile l’attuazione delle disposizioni in materia di concorrenza previste dal Trattato”, e (ii) che nella fase di valutazione globale degli elementi indiziari, e dopo che la valenza probatoria di ciascuno di essi sia stata attentamente valutata, deve risultare che gli stessi, “ una volta integrati gli uni con gli altri, siano in grado di dissolvere la loro intrinseca ambiguità. In questa fase, vanno utilizzati i canoni (codificati all’art. 2729 del c.c.) della gravità (la capacità dimostrativa e di resistenza agli argomenti contrapposti), precisione (l’univocità che rende assai inverosimili le interpretazioni alternativi) e concordanza (la coerenza narrativa, dovuta alla circostanza che gli elementi raccolti non si pongono in contraddizione tra loro). All’esito della predetta attività conoscitiva, l’ipotesi accusatoria, attentamente verificata nel contraddittorio delle parti, può ritenersi avere attinto la ‘certezza processuale’ soltanto quando essa risulti l’unica in grado di giustificare i vari elementi probatori raccolti, ovvero la più attendibile rispetto alle altre ipotesi alternative, pure astrattamente prospettabili, ma la cui realizzazione storica, in quanto priva di riscontri significativi nelle emergenze istruttorie, appaia soltanto una eventualità remota.”
19.8. Tra le semplificazioni probatorie, va richiamata, per le sue implicazioni nel presente giudizio, la nozione d’«infrazione unica e continuata», pure elaborata dalla giurisprudenza della Corte europea. Una violazione dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE può risultare non soltanto da un atto isolato, ma anche da una serie di atti o persino da un comportamento continuato, anche quando uno o più elementi di questa serie di atti o di questo comportamento continuato potrebbero altresì costituire, di per sé e considerati isolatamente, una violazione di detta disposizione. Qualora le diverse azioni facciano parte di un «piano d’insieme», a causa del loro identico oggetto di distorsione del gioco della concorrenza all’interno del mercato comune, la Commissione può imputare la responsabilità di tali azioni in funzione della partecipazione all’infrazione considerata nel suo insieme (v. la sentenza della Corte di Giustizia UE 24 giugno 2015, C 293/13 P e C 294/13 P, punto 156). La dottrina dell’«infrazione unica e continuata» intende ridurre l’onere che l’Autorità di enforcement, nell’applicazione dell’articolo 101, paragrafo 1, del TFUE, dovrebbe altrimenti affrontare per stabilire il fatto della collusione, quando un cartello è durato per un lungo periodo, durante il quale la natura della collusione può essere variata tra diverse parti o in momenti diversi. In particolare, una volta dimostrata l’esistenza di un piano di insieme e di un comune obiettivo anticoncorrenziale, l’Autorità non è tenuta a dimostrare l’illiceità di ogni singola condotta. Sotto altro profilo, un’impresa che abbia partecipato a una tale infrazione unica e complessa può essere ritenuta responsabile anche dei comportamenti attuati da altre imprese nell’ambito della medesima infrazione per tutto il periodo della sua partecipazione alla stessa (sentenza della Corte di Giustizia UE 6 dicembre 2012, C 441/11 P, punto 42).
19.9. Sempre in materia probatoria deve poi essere considerata la distinzione tra elementi di prova “endogeni”, afferenti l’anomalia della condotta delle imprese, non spiegabile secondo un fisiologico rapporto tra di loro, ed elementi “esogeni”, quali l'esistenza di contatti sistematici tra le imprese e scambi di informazioni. La collusione può essere provata anche “per inferenza”, dalle circostanze del mercato. La differenza tra le due fattispecie e le correlative tipologie di elementi probatori – “endogeni” ed “esogeni” - si riflette sul soggetto sul quale ricade l'onere della prova: nel primo caso, la prova dell'irrazionalità delle condotte grava sull'Autorità, mentre, nel secondo caso, l'onere probatorio contrario viene spostato in capo all'impresa. In particolare, qualora, a fronte della semplice constatazione di un parallelismo di comportamenti sul mercato, il ragionamento dell'Autorità sia fondato sulla supposizione che le condotte poste a base dell'ipotesi accusatoria oggetto di contestazione non possano essere spiegate altrimenti, se non con una concertazione tra le imprese, a queste ultime basta dimostrare circostanze plausibili che pongano sotto una luce diversa i fatti accertati dall'Autorità e che consentano, in tal modo, di dare una diversa spiegazione in chiave concorrenziale dei fatti rispetto a quella accolta nell'impugnato provvedimento. Qualora, invece, la prova della concertazione non sia basata solo sulla semplice constatazione di un parallelismo di comportamenti, ma dall'istruttoria emerga che le pratiche possano essere state frutto di una concertazione e di uno scambio di informazioni “in concreto” tra le imprese, in relazione alle quali vi siano ragionevoli indizi di una pratica concordata anticoncorrenziale, grava sulle imprese l'onere di fornire una diversa spiegazione lecita delle loro condotte e dei loro contatti (Cons. Stato, Sez. VI, 13.5.11, n. 2925).
19.10. Si deve ancora rammentare che, per consolidata giurisprudenza, alcune forme di coordinamento tra imprese rivelano un grado di dannosità per la concorrenza sufficiente perché si possa ritenere che l'esame dei loro effetti non sia necessario, e tra tali ipotesi vanno incluse, secondo la medesima giurisprudenza, le forme di coordinamento tra imprese c.d. "per oggetto"- come la fissazione di prezzi o il coordinamento nella partecipazione alle gare d'appalto (c.d. “bid rigging”), o a procedure consimili — che possono essere considerate, per loro stessa natura, dannose per il buon funzionamento del normale gioco della concorrenza, perché la probabilità di effetti negativi è talmente alta da rendere inutile la dimostrazione degli effetti concreti sul mercato, ai fini dell'applicazione dell'articolo 81, paragrafo 1, CE (Cons. Stato, Sez. VI, 15 luglio 2019, n. 4990). In particolare, la giurisprudenza di questo Consiglio (cfr, ex plurimis, Cons. St., Sez. VI, 2 settembre 2019, n. 6030) ha chiarito che vanno distinte le "intese per oggetto" dalle "intese per effetto". Le prime si caratterizzano per il fatto che hanno un oggetto di per sé vietato e, quindi, sono, per loro stessa natura, dannose per il buon funzionamento del normale gioco della concorrenza, con la conseguenza che è inutile dimostrare in concreto la sussistenza di effetti dannosi sul mercato. Le seconde, invece, ricorrono quando non sussistono i presupposti per configurare la sussistenza di una intesa “per oggetto", con la conseguenza che, in tale caso, è necessario verificare in concreto quali siano gli effetti che causano nel mercato. Ne deriva, quindi, che in questo secondo caso devono sussistere tutti gli elementi comprovanti che il gioco della concorrenza è stato, di fatto, impedito, ristretto o falsato in modo significativo; viceversa, ove ricorra una intesa “per oggetto” si prescinde dalla dimostrazione degli effetti anticoncorrenziali poiché si tratta di illeciti di pericolo, cioè di illeciti in cui la soglia di tutela è anticipata, sicché la assenza o la marginalità degli effetti anticoncorrenziali può, al più, rilevare ai fini della determinazione della sanzione, ma non sull’an della medesima.
19.11. La stessa giurisprudenza ha, però, precisato che anche l’accertamento della sussistenza di una intesa “per oggetto” non può prescindere dal tenore delle disposizioni dell'intesa stessa, dagli obiettivi che si intendono raggiungere, dal contesto economico e giuridico nel quale l'intesa stessa si colloca. Nella valutazione di tale contesto, occorre prendere in considerazione anche la natura dei beni o dei servizi coinvolti e le condizioni reali del funzionamento e della struttura del mercato o dei mercati in questione (Cons. St., Sez. VI, 23 settembre 2019, n. 6314). Nello stesso senso si muove anche la giurisprudenza comunitaria. Da ultimo, infatti, Corte Giust., 26 settembre 2018, C-99/17, ha chiarito che: “Il criterio giuridico fondamentale per determinare se un accordo o una pratica concordata comporti una restrizione della concorrenza "per oggetto", ai sensi dell'articolo 101, paragrafo 1, TFUE, risiede nel rilievo che un siffatto accordo o una siffatta pratica concordata presenta, di per sé, un grado di dannosità per la concorrenza sufficiente per ritenere che non sia necessario individuarne gli effetti. Per valutare se un tipo di coordinamento tra imprese presenti un grado sufficiente di dannosità per essere considerato come restrizione della concorrenza «per oggetto», occorre riferirsi segnatamente alla sua portata, agli obiettivi che esso mira a raggiungere, nonché al contesto economico e giuridico nel quale esso si colloca. Nell'ambito della valutazione di detto contesto, occorre altresì considerare la natura dei beni o dei servizi interessati nonché le condizioni reali del funzionamento e della struttura del mercato o dei mercati in questione”.
19.12. Come chiarito dalla Sezione nella sentenza n. 490 del 21 gennaio 2020, “In definitiva, la non necessità di valutare gli effetti dell’intesa non può tradursi nell’assoluta indifferenza che l’intesa in questione sia idonea ad alterare in maniera consistente l’equilibrio concorrenziale. Non è necessario, quindi, provare che lo scambio di informazioni rilevanti abbia prodotto in concreto effetti restrittivi della concorrenza, ma è sufficiente e necessario dimostrare che abbia l'attitudine a produrne. In questa prospettiva non può che essere condivisa la valutazione operata dal primo giudice che ha evidenziato la macroscopica inidoneità di un cartello formato da imprese che complessivamente rappresentano solo il 25/30% del mercato a produrre un apprezzabile effetto anticoncorrenziale, alla luce del fatto che i consumatori avrebbero comunque avuto a disposizione numerose e valide alternative (il rimanente 70/75% del mercato) tali da rendere inutile qualsiasi ipotetica collusione.”.
L’APPELLO DELL’AGCM.
20. Il Collegio procede, a questo punto, all’esame dei motivi d’appello articolati dall’AGCM.
21. I primi tre motivi d’appello sono tra loro complementari e possono essere esaminati congiuntamente. Essi, sinteticamente, si sostanziano nell’affermazione secondo cui le parti hanno tenuto un comportamento parallelo, estrinsecatosi nella decisione di operare il repricing dell’8,6%, il quale si presta ad essere spiegato con l’esistenza di un accordo anticoncorrenziale, o comunque con un coordinamento, finalizzato a garantire che con il ritorno alla fatturazione mensile si mantenessero inalterate le quote di mercato controllate da ciascuna delle parti; secondo l’AGCM un simile accordo anticoncorrenziale non sarebbe provato solo dal parallelismo dei comportamenti delle parti, ma anche da numerosi contatti intercorsi tra le parti, che integrerebbero elementi esogeni a fronte dei quali spettava alle parti dare la dimostrazione dell’esistenza di una diversa spiegazione lecita delle condotte e dei loro contatti, non essendo invece sufficiente l’allegazione di una spiegazione meramente plausibile. L’appellata sentenza avrebbe quindi errato nell’aver dequotato, per vari motivi, la rilevanza probatoria dei vari documenti citati nel provvedimento impugnato, e nell’aver ritenuto plausibile e sufficiente la spiegazione addotta dalle parti in merito alla decisione di effettuare il repricing dell’8,6% e in merito ai contatti tra di essi intercorsi.
21.1. L’esame delle censure deve quindi procedere dalla valutazione del corredo probatorio sul quale l’AGCM ha fondato la decisione impugnata, per stabilire se sia ravvisabile il parallelismo di comportamenti e per accertare se i documenti citati nel provvedimento impugnato possano considerarsi elementi esogeni dimostrativi dell’esistenza di contatti qualificati tra le parti, con quanto ne consegue in punto di onere probatorio.
22. Sul parallelismo di comportamenti.
22.1. Relativamente al parallelismo dei comportamenti, tutte le parti evidenziano circostanze che, a loro dire, condurrebbero a negare l’esistenza di comportamenti paralleli, differenziandosi le rispettive condotte su aspetti sostanziali. Telecom, ad esempio, evidenzia che le comunicazioni sul ritorno alla fatturazione mensile sono state effettuate dalle quattro società in tempi diversi. Wind evidenzia di aver effettuato la comunicazione per ultima, dopo aver osservato il comportamento delle concorrenti, per ritardare il più possibile la disclosure delle proprie scelte di prezzo. Fastweb, all’opposto, sostiene di aver assunto la decisione di mantenere il livello di prezzi esistente, cioè il repricing, quantomeno dal settembre 2017, differenziandosi, inoltre, provvedendo, sin dal gennaio 2018, a esporre in fattura anche l’equivalente mensile del corrispettivo a 28 giorni, rendendo le proprie tariffe massimamente trasparenti per gli operatori, di fatto preannunciando quello che sarebbe stato il canone periodale dopo il 5 aprile 2018. Vodafone evidenzia di aver implementato un doppio repricing in due tempi.
22.2. Il Collegio ritiene, invece, che non si possa disconoscere che la condotta tenuta da tutte le parti nel momento del ritorno alla fatturazione mensile è connotata da un nucleo essenziale comune, costituito dal repricing e dal fatto che di esso le parti ne hanno dato comunicazione ai rispettivi clienti prospettandolo come mero riproporzionamento del prezzo già praticato. La rilevanza di tale decisione emerge da quanto è stato osservato al precedente paragrafo n. 17, ove si è dimostrato che il repricing non ha avuto valenza meramente formale, ma ha attuato un vero e proprio aumento tariffario, volto ad assicurare alle parti di poter mantenere nel tempo quel maggiore introito che esse si erano procurate mediante l’introduzione della fatturazione a 28 giorni, aumento che di fatto esse avevano continuato ad incassare anche dopo che – con la delibera 121/17/CONS del 15 marzo 2017 – l’AGCOM aveva imposto il ritorno alla fatturazione mensile (entro il 23 giugno 2017). Quindi, ponendo mente al fatto che nel momento del ritorno alla fatturazione mensile il repricing non costituiva affatto una formalità, necessaria solo per riconciliare le tariffe effettivamente vigenti con l’obbligo di fatturazione mensile, ma integrava invece un nuovo aumento tariffario che in sé non era imposto, si comprende che è altamente significativa la circostanza che tutte e quattro le società abbiano deciso tale aumento tariffario in concomitanza con il ritorno alla fatturazione mensile, come tale è anche la circostanza che tutte e quattro le società abbiano prospettato tale manovra, ai propri clienti, come “mero riproporzionamento” di quanto precedentemente fatturato su base annuale.
22.3. Il fatto che ciascuna delle società abbia individuato date diverse per il ritorno alla fatturazione mensile e per comunicare il repricing, nonché la circostanza che Telecom e Vodafone abbiano accompagnato tale aumento tariffario con ulteriori manovre, non toglie rilevanza a quanto sopra evidenziato, tenuto conto del fatto che le società si trovavano in una condizione in cui, ritornando alla fatturazione mensile, potevano decidere di non effettuare alcuna manovra tariffaria o, all’opposto, potevano decidere di effettuare una manovra anche più aggressiva, cioè di portata superiore all’8,6% rispetto a quella di fatto posta a carico degli utenti fino a quel momento. A fronte di queste molteplici possibilità, ben diverse avrebbero potuto essere le scelte delle società e le modalità di comunicazione alla clientela: a tale ultimo proposito l’Autorità ha giustamente rilevato come fosse inconsueto il ricorso, quale termine di paragone, all’entità del fatturato annuale precedente, allorché le offerte di telefonia normalmente si connotano per l’indicazione di un prezzo mensile, corrispondente alla fattura mensilmente emessa.
22.4. Essendo questo il contesto, il Collegio ritiene, conclusivamente, condivisibile il provvedimento impugnato laddove esso ravvisa un parallelismo di comportamenti anomalo nel fatto che tutte e quattro le società (i) abbiano determinato, almeno in prima battuta, un aumento tariffario dell’8,6%, ovvero corrispondente alla 13a fattura che non avrebbero più potuto incassare, (ii) scegliendo poi di darne comunicazione alla clientela interessata prospettandolo come un riproporzionamento del fatturato complessivo annuale, e tuttavia (iii) rappresentando alla clientela la possibilità di esercitare il diritto di recesso.
23. Sul valore e sulla portata probatoria dei documenti citati dall’Autorità.
23.1. A questo punto è necessario verificare se sussistano elementi esogeni che rendano plausibile la spiegazione che l’AGCM ha dato dell’indicato parallelismo di comportamenti: a tal fine si procede all’esame dei vari documenti che nel provvedimento impugnato vengono ritenuti significativi in tal senso, e che il TAR, con l’appellata sentenza, ha invece ritenuto non probanti.
23.2. Il Collegio ritiene, anzitutto, sicuramente rilevanti i documenti indicati dall’AGCM, nella tabella 8 di pag. 57 del provvedimento impugnato, oltre agli ulteriori documenti che di seguito verranno indicati. Si ritiene opportuno precisare che non tutti i documenti che, in prosieguo, verranno specificamente esaminati, sono stati prodotti in giudizio dalle parti; tuttavia, trattandosi comunque di documenti citati nel provvedimento, rispetto ai quali le parti non ne hanno contestato l’esistenza o la difformità tra quanto riportato nel provvedimento e l’originale, il Collegio ritiene di poterli porre a base della decisione.
23.3. Per dequotare il valore di tali documenti le parti hanno addotto vari argomenti, così sintetizzabili: (i) si tratta di corrispondenza riconducibile a legittima attività di lobbying, di coordinamento della comunicazione verso i media o di carattere meramente tecnico; (ii) le informazioni emergenti da vari documenti sono frutto di mere congetture dell’autore degli scritti, oppure sono frutto di attività di intelligence; (iii) si tratta di documenti interni a una o all’altra delle parti, che testimoniano unicamente del processo di valutazione interno, in taluni casi non citano neppure tutte le parti; (iv) si tratta di documenti anteriori al momento in cui la parte ha preso la decisione di ricorrere al repricing, e quindi non possono provare una intesa che non poteva essersi ancora formata; (v) sono inutilizzabili i documenti formati in data anteriore al 14 novembre 2017 o posteriore al 13 aprile 2018.
24. Valutazioni del Collegio.
24.1. Il Collegio passa ad esporre le proprie valutazioni, principiando dall’osservazione di Fastweb, fatta propria dal TAR, secondo cui tutta la documentazione che si colloca anteriormente all’inizio della intesa (14 novembre 2017) sarebbe inutilizzabile ai fini di dimostrare la concertazione: tale proposizione non è condivisa dal Collegio, per la ragione che in effetti non esiste una norma che impedisca in assoluto di utilizzare, ai fini di dimostrare l’esistenza di una intesa o di una pratica concordata anticoncorrenziale, documenti risalenti ad un momento anteriore o posteriore alla durata dell’intesa medesima. Ben può essere che simili documenti dimostrino circostanze - qualificabili in termini di colloqui preliminari, primi abboccamenti, o negoziazioni – prodromiche al perfezionamento della intesa, della quale forniscono una prova indiretta. Non ha dunque senso predicarne l’aprioristica inutilizzabilità. Viceversa, è evidente che tali documenti devono essere letti e interpretati tenendo conto del contesto temporale in cui si inseriscono.
24.2. Venendo al caso di specie, e ricordando che solo nel settembre 2017 ha cominciato a prendere corpo l’idea che il legislatore potesse, con legge primaria, obbligare gli operatori telefonici a tornare alla fatturazione mensile, si ha che i documenti risalenti al periodo anteriore devono essere letti tenendo presente che tra marzo e il settembre 2017 l’eventualità del ritorno alla fatturazione mensile non era ancora concreta o impellente, e quindi le parti non avevano ragione di preoccuparsi delle relative conseguenze e di come ciascuna di esse avrebbe reagito, con particolare riferimento al regime tariffario da applicare. Dunque i documenti risalenti a quel periodo non sono inutilizzabili, ma sono oggettivamente poco significativi per la ragione indicata.
24.3. Il 13 settembre 2017 il Governo dichiarava, durante il questioning time, che stava valutando un apposito intervento normativo in relazione alla modifica della fatturazione dal mese ai 28 giorni attuata dalle compagnie telefoniche e televisive; il 12 ottobre 2017 veniva depositata alla Camera una proposta di legge recante l’obbligo della fatturazione su base mensile dei servizi; il 24 ottobre 2017 si proponeva un emendamento al Decreto Fiscale collegato alla Legge di Bilancio, affinché la proposta di legge fosse inserita nella Legge di Bilancio. A questa data è evidente che lo scenario è cambiato e che il ritorno alla fatturazione mensile stava diventando una eventualità concreta per gli operatori, essendo prioritaria nell’agenda di alcuni politici.
24.4. Procedendo ad esaminare i documenti citati nella tabella 8, riportata a pag. 57 del provvedimento, e seguendo il medesimo ordine, il Collegio ritiene che la mail interna a Vodafone del 26 ottobre 2017, di cui al doc. ispettivo 399 (citato a pag. 23 del provvedimento: “Hi the debate is ongoig and there is a concrete risk that a new law forcing to go back to 30days billing is issued. We could expect to be asked to start invoicing 30days for future billing cycles. Timing and implementation plans are not clear. We are defining a common industry position with Telecom Italia and the other operators”), indubbiamente evidenzia la preoccupazione degli operatori e l’opportunità di agire con una “common industry position”, apparentemente alludendo ad una mera azione di lobbying.
24.4.1.Tuttavia, la suddetta interpretazione non persuade per la ragione che solo pochi giorni dopo, cioè il 30 ottobre 2017, in Telecom già circolavano informazioni riguardanti la possibilità che Vodafone effettuasse un “reprice”: ciò risulta dal doc. ispettivo n. 154 (pure citato nella tabella 8 nonché a pag. 26 del provvedimento, e prodotto dall’AGCM come doc. 9), che è una mail interna di TIM in cui si legge “Our understanding is that Vodafone will reprice, so the annual price will not change for Vodafone customers. It is important to help journalists understand that we are talking on two different things: 28 vs 30 days and price increase…..”.
24.4.2. La possibilità che Telecom avesse acquisito tale informazione grazie a contatti intercorsi tra le parti, è stata esclusa con argomenti non convincenti, essenzialmente con l’affermazione che si tratterebbe di una mera speculazione dell’autore della mail e con il fatto che alcuni giorni prima l’A.D. di Vodafone aveva reso dichiarazioni pubbliche nel corso di una intervista al Corriere. Tuttavia le dichiarazioni rese nel corso di tale intervista, (riportata nel doc. 38 del fascicolo di primo grado di Vodafone: «Nell’aprile del 2016 abbiamo ridotto il ciclo di fatturazione e nei fatti aumentato i prezzi. Era un’operazione legittima in un sistema di mercato liberalizzato, dove i prezzi sono tra i piu’ più competitivi d’Europa. Alla luce dell’attenzione posta dal Governo e dalle Autorità, ci siamo resi conto che abbiamo sottovalutato un elemento importante che ci lega ai clienti, la trasparenza. Abbiamo dunque deciso che ritorneremo al ciclo di fatturazione precedente. Sono investimenti ingenti, abbiamo avviato i lavori, e lo faremo rapidamente»), non contengono alcun riferimento al repricing o, più in generale, alle tariffe da applicare con il ritorno alla fatturazione mensile; peraltro il riferimento che l’A.D. ha effettuato, nel corso dell’intervista, prima all’aumento dei prezzi indotto con la riduzione del ciclo di fatturazione e dopo alla necessità di mantenere la trasparenza nei confronti dei clienti, semmai lasciava intendere che Vodafone sarebbe ritornata a 12 fatture annuali, del medesimo importo di quello precedente, con rinuncia all’introito indotto dalla 13a fattura.
24.4.3. In definitiva, l’intervista rilasciata dall’A.D. di Vodafone non può proprio giustificare l’informazione cui si allude nella mail interna a TIM del 30 ottobre 2017, di cui al doc. ispettivo n. 154. A ciò va soggiunto che: (i) l’espressione utilizzata nella citata mail del 30 ottobre 2017 (“our understanding is that”) può essere tradotta proprio con la frase “è a nostra conoscenza”, oppure con la frase “secondo quanto abbiamo inteso”, e in ambedue i casi ben si attaglia a una informazione acquisita a seguito di un incontro; (ii) l’informazione riferita in quella mail non era così erronea, se si pensa che anche Vodafone ha ammesso, nei motivi aggiunti presentati in primo grado, che “scelse di limitare il repricing del rateo mensile al chirurgico mantenimento su base annuale della manovra a suo tempo effettuata con la riduzione a 28 gg., preferendo non imporre aumenti ulteriori ad una platea (politica, mediatica, consumeristica) che invece ambiva addirittura alla restituzione di quegli importi.” Di conseguenza i doc. ispettivi 399 e 154, letti congiuntamente, sono sicuramente indicativi dell’esistenza di possibili contatti tra le parti finalizzati a coordinare i rispettivi comportamenti, contatti che verosimilmente si erano instaurati nel corso di una conference call tenutasi il 24 ottobre 2017, di cui l’Autorità ha reperito prova (nel doc. ispettivo n. 30, riportato alle pagg. 25 e 26 del provvedimento), riportata anche dal quotidiano Il Messaggero.
24.5. Proseguendo l’esame dei documenti riportati nella tabella 8, viene in considerazione il doc. ispettivo 526 (doc. 12, prodotto dall’AGCM il 4 maggio 2021, richiamato nel provvedimento a pag. 27), rappresentato dallo scambio di mail, interno a Fastweb, del 14 novembre 2017, che ha indotto l’AGCM a fissare a tale data l’inizio della intesa. In tale corrispondenza si dà conto di diverse informazioni relative agli altri operatori e in particolare si riferisce di TIM: “3 mesi nel caso di fatturazione a 30 giorni in quanto in questo scenario non prevedono di rivedere i prezzi dell’offerta (che quindi resterebbe valorizzata all’attuale prezzo applicato su 28 giorni)”; di H3G (Wind Tre): “non devono fare nulla in quanto stavano progettando solo ora la fatturazione a 28 giorni per i clienti mobili: in funzione delle novità hanno interrotto le attività. Non è quindi prevista attività di revisione prezzi”; di Wind (Wind Tre): “Non è prevista una revisione prezzi (che rimarranno gli stessi delle offerte a 28 giorni). […] Adegueranno solo la clientela consumer (no enterprise e large account)”; di Vodafone: “Vodafone: “Sarà prevista la revisione degli attuali prezzi delle offerte a 28 giorni”. L’AGCM precisa che laddove, in questo documento, si allude alla intenzione di non rivedere i prezzi, le parti si riferiscono al prezzo praticato con la fatturazione a 28 giorni, ragione per cui si tratta dell’intenzione di procedere al riproporzionamento, ovvero al repricing, come si desume sia dalla puntualizzazione tra parentesi riguardante TIM e Wind Tre (marchio Wind), che da documenti esterni a Fastweb (l’AGCM richiama, a tale proposito, a pag. 27 del provvedimento, in nota n. 82: il doc. ispettivo n. 155, in cui TIM afferma: “we will maintain current prices so the increase of 8.6% already done (no any other repricing)”; il doc. isp. n. 368, in cui Vodafone scrive “Da capire cosa intendono con “tale adeguamento non comporterà per i clienti nuovi aumenti della spesa su base annuale”, cui segue la risposta “Intendono che non aumentano ‘ulteriormente’. Ovvero, confermano l’aumento introdotto con il passaggio a 28 gg ma lo spalmano su 12 mensilità. Ogni mese costa l’8% in più”; e ancora il doc. isp. 749, mail interna di Wind, in cui si legge “Qualora si decidesse di spalmare il valore della tredicesima fattura sulle ‘prime dodici’, questo non comporterebbe un incremento dei prezzi su base annua”); secondo l’Autorità questa corrispondenza dimostrerebbe non solo che erano state scambiate informazioni in merito al repricing tra Fastweb, TIM e Wind Tre, ma anche che era stata fatta circolare l’informazione che Vodafone avrebbe fatto ulteriori manovre tariffarie aggiuntive, manovre confermate dall’analisi dei documenti della stessa Vodafone.
24.5.1. L’appellata sentenza considera tale documento l’unico astrattamente idoneo ad essere utilizzato per provare l’esistenza di contatti qualificati tra le parti. Sennonché il TAR ha ritenuto che le considerazioni svolte nel provvedimento impugnato - ai parr. 211 e segg. - per respingere le osservazioni delle parti, al più rileverebbero ai fini di sanzionare una pratica scorretta ai sensi del Codice del Consumo, ma non sarebbero idonee a sostenere l’esistenza di una pratica concordata a danno dei consumatori; ha inoltre rilevato che in tali mail non vi sarebbe mai un riferimento al repricing, così come tale riferimento non si troverebbe negli ulteriori documenti indicati nella tabella n. 8 del provvedimento.
24.5.2. Quanto rilevato dal TAR non è esatto. Nello scambio di mail interno a Fastweb del 14 novembre 2017 a più riprese si accenna al repricing, seppure senza utilizzare tale specifico vocabolo:
- circa la posizione di Telecom si riferisce che nel caso di fatturazione a 30 giorni “non prevedono di rivedere i prezzi dell’offerta (che quindi resterebbe valorizzata all’attuale prezzo applicato su 28 giorni)”;
- relativamente a H3G si dice che “non devono fare nulla in quanto stavano progettando solo ora la fatturazione a 28 giorni per i clienti mobili: in funzione delle novità hanno interrotto le attività. Non è quindi prevista attività di revisione prezzi”;
- di Wind si afferma che “gli attuali 5 cicli di billing (per fisso e mobile) diventeranno 4 su base mese solare. Non è prevista una revisione prezzi (che rimarranno gli stessi delle offerte a 28 giorni). I clienti migreranno al primo ciclo di billing utile dopo il rilascio. Adegueranno solo la clientela consumer (no enterprise e large account).”;
- quanto a Vodafone si riferisce che “sono in corso le analisi per la soluzione da implementare per la clientela fissa mentre non è stata ancora presa una decisione (attesa per fine mese) per la clientela mobile. Sarà prevista la revisione degli attuali prezzi delle offerte a 28 giorni”.
24.5.3. Giustamente l’Autorità fa rilevare, nel provvedimento (par. 80), che mediante il riferimento alla mancata revisione dei prezzi le parti intendevano riferirsi al c.d. riproporzionamento, di cui sopra si è detto, e che dallo scambio di mail in esame già emergeva l’intenzione di Vodafone di procedere ad una ulteriore manovra, oltre al riproporzionamento, ciò che infatti è avvenuto.
24.5.4. Le spiegazioni addotte dalle parti per dequotare quanto risulta dallo scambio di mail in questione sono prive di pregio, a cominciare dalla deduzione secondo cui si tratterebbe di informazioni frutto di attività di intelligence, della quale non v’è alcuna evidenza e che non può presumersi, non essendo lecita dal punto di vista civilistico o penale, e ancor meno dal punto di vista antitrust: il comportamento dell’operatore economico che prenda le decisioni sulla base di informazioni acquisite illegalmente e occultamente, appunto mediante attività di intelligence, non può ritenersi lecito in quanto nella sostanza non è autonomamente determinato, e non è neppure equiparabile al comportamento dell’operatore che osservi, adattandovisi intelligentemente, le decisioni pubblicamente rese note dai concorrenti.
24.5.5. In ogni caso, il modo dettagliato con cui, nello scambio di mail in esame, vengono riferite le informazioni sulle decisioni prese dagli altri operatori, rende verosimile che si tratti di informazioni acquisite nel corso di una riunione, verosimilmente una conference call, alla quale partecipavano rappresentanti di tutte le parti: tanto emerge, in particolare, da quanto l’A.D. di Fastweb scrive in risposta nell’ambito del medesimo scambio di mail, ove si attribuiscono determinate affermazioni a rappresentanti delle altre parti. Si noti, ancora, che il doc. 526 è composto di uno scambio di mail: quella sopra esaminata è stata scritta alle ore 12,39 del 14 novembre 2017, ma scorrendo il documento ci si avvede che in fondo vi è una mail dell’Help desk, del 14 novembre 2017, ore 10,33, che comunica l’invio di un link per una videoconferenza prenotata dalle ore 10,30 alle ore 11,30 del medesimo giorno: e potrebbe trattarsi proprio della conference call dalla quale l’autore della mail delle 12,39 ha tratto le informazioni ivi riportate.
24.5.6. Quanto al rilievo di Telecom secondo cui a quella data essa aveva già deciso di tornare alla fatturazione mensile escludendo di lasciare invariato il canone mensile, il Collegio ritiene che tale circostanza non sia in contraddizione con quanto si legge nella mail in esame, posto che il repricing si sostanziava esattamente nell’aumento del canone mensile dell’8,6%, ma non anche dell’importo annuo incassato dagli utenti: in questo senso è corretta l’affermazione attribuita a Telecom, secondo cui essa non prevedeva “di rivedere i prezzi dell’offerta (che quindi resterebbe valorizzata all’attuale prezzo applicato su 28 giorni)”.
24.5.7. In conclusione, il doc. ispettivo n. 526 è fortemente indicativo dell’esistenza di contatti tra le parti, nel corso dei quali esse hanno discusso di problematiche legate al ritorno alla fatturazione mensile, tra le quali anche delle tariffe e di eventuali aumenti.
24.6. Proseguendo nella disamina dei documenti indicati nella tabella n. 8, il Collegio ritiene che anche i documenti ispettivi nn. 251 e 258 (prodotti in giudizio dall’AGCM come docc. 10 e 11, richiamati nel provvedimento a pag. 34 e 35, par. 93, costituiti, rispettivamente, da uno scambio di mail interno a TIM, confidenziale, del 14 novembre 2017, con allegata presentazione dalla quale emerge la scelta della società per il repricing dell’8,6%, e da uno scambio di mail interno di TIM del 9 novembre 2017, confidenziale, con allegata la medesima presentazione, dal quale risulta che TIM stava ancora studiando tre scenari differenti) abbiano rilevanza probatoria.
24.6.1. Quanto al doc. isp. n. 251, benché si tratti di una mail interna a Telecom, il fatto che si confermi – proprio il 14 novembre 2017, cioè il giorno in cui l’emendamento al D.L. n. 148/2017 veniva approvato in Commissione Bilancio del Senato – la sua volontà di effettuare il repricing dell’8,6%, dopo aver preso in considerazione diversi scenari, depone a favore del fatto che tale scelta possa essere stata decisa dopo aver appreso, nel corso della riunione di cui sopra, che anche gli altri operatori non avrebbero effettuato alcuna manovra, ciò che deve essere inteso nel senso che avrebbero effettuato solo il riproporzionamento/repricing. In effetti non va dimenticato che le evidenze documentali debbono essere lette e interpretate tenendo presente che il termine repricing, nel convincimento delle parti, non integrava un aumento sostanziale delle tariffe, ma solo un adeguamento formale della fatturazione, e dunque non v’è alcuna contraddizione tra l’aumento dell’8,6% della fatturazione mensile e l’affermazione secondo cui non vi sarebbe stata alcuna manovra tariffaria.
24.7. Anche il doc. ispettivo n. 5 - mail interna di Telecom del 7 dicembre 2017 (prodotta dall’AGCM come doc. 17, richiamata nel provvedimento a pag. 30), in cui si legge “Si è appreso che Vodafone avrebbe intenzione di operare un repricing contestualmente al ripristino della fatturazione a 30 gg”) - è indicativa dell’esistenza di contatti qualificati tra le parti. L’affermazione ha senso, malgrado che l’intesa sul repricing si fosse perfezionata, in tesi, già al 14 novembre 2017, perché Vodafone intendeva effettuare – come poi ha fatto – una ulteriore manovra tariffaria, che evidentemente ha concepito in un secondo momento e che ha fatto partire in un secondo momento, pur avendo preso in considerazione l’ipotesi di effettuare una unica manovra di repricing alla partenza della fatturazione a 30 giorni (si veda, a tale proposito, la fig. 6 riportata al par. 87 del provvedimento).
24.7.1. Vodafone evoca, per screditare la tesi secondo cui al 14 novembre 2017 le parti si erano ormai accordate sul repricing come sopra inteso, il fatto che essa a quella data non aveva ancora assunto decisioni definitive, che sarebbero intervenute solo a gennaio, circostanza che troverebbe conferma nel doc. isp. n. 5.
24.7.2. Il Collegio ritiene invece possibile che dopo il 14 novembre 2017 essa dovesse piuttosto decidere solo l’ulteriore manovra tariffaria: e tenendo conto di ciò assume un senso sia il doc. ispettivo n. 5 che quello n. 297– email interna di Vodafone del 29 dicembre 2017 (doc. 19 dell’AGCM, richiamato a pag. 30 nel provvedimento), in cui si legge: “occorre capire quanto ci troveremo in difficoltà a gestire questa manovra verso una TIM che invece dirà che loro i prezzi non li aumentano. Ci troveremo doppiamente esposti” -, il quale dimostra che Vodafone si stava interrogando circa l’opportunità di procedere a tale ulteriore manovra, tenendo presente che Telecom, invece, aveva già deciso di effettuare solo il repricing come sopra inteso, cioè dell’8,6%. Ma in ogni caso l’esistenza di contatti tra le parti risulta certamente confermata dai due documenti citati.
24.8. I documenti qui passati in rassegna, ad avviso del Collegio coerenti tra loro, sono effettivamente indicativi dell’esistenza di contatti tra le parti che sono andati al di là della attività di lobbying , avendo avuto ad oggetto anche le tariffe da praticare all’indomani del ritorno alla fatturazione mensile. Che si potesse trattare di attività di lobbying risulta, del resto, poco credibile con riferimento a tali documenti, che risalgono ad un periodo in cui l’approvazione dell’emendamento al D.L. n. 148/2017, tradottosi nell’art. 19 quinquiesdecies, era ormai quasi certo o addirittura già entrato in vigore (6 dicembre 2017), e quindi risultava prioritario individuare e affrontare lo scenario che si sarebbe venuto a creare con il ritorno alla fatturazione a 30 giorni: perché, se una delle parti avesse scelto di non effettuare il repricing mensile dell’8,6%, o di effettuare un repricing più contenuto, avrebbe potuto avvantaggiarsi del momento in termini di acquisizione della clientela.
24.9. Il Collegio ritiene che altri documenti, non menzionati nella Tabella 8 del provvedimento, confermino l’esistenza di contatti tra le parti e la loro consapevolezza circa la possibilità di incorrere in illeciti antitrust.
24.10. Ad esempio il doc. ispettivo n. 907, richiamato nel provvedimento a pagg. 24 e 25, par. 75, recante anche un messaggio di Vodafone in risposta ad un comunicato stampa di Asstel ed in vista di una riunione riservata: “Raccomando grande attenzione ai profili antitrust perché un’iniziativa come sotto descritta, soprattutto al secondo alinea, rischia di produrre ulteriori problemi. È e deve essere infatti chiaro ed esplicitato che ogni azienda decide autonomamente le proprie politiche di prezzo senza MAI E PER NESSUN MOTIVO farne oggetto di qualsiasi tipo di analisi congiunta. Come del resto è ed è sempre stato. Scusate la precisazione ma credo sia indispensabile”. Vodafone prosegue tale ragionamento nel doc. ispettivo 920, pure citato a pag. 25 del provvedimento, ricordando che “La formale verifica di quanto sotto e la sua corretta e conseguente impostazione viene ritenuta necessaria per decidere se, quando e come affrontare questo delicato tema in sede di Asstel proprio al fine di evitare ogni azione che non sia in piena conformità alla normativa antitrust vigente”: a tale messaggio ha replicato Telecom, affermando che “…….. L’Asstel affronta i problemi di interesse dell’Industry, ma le singole aziende decidono in totale autonomia le proprie politiche commerciali e di marketing. I temi che stiamo trattando in Asstel riguardano il rispetto di normative e principi validi per l’insieme degli attori, nonché le iniziative per chiarire alcuni aspetti interpretativi di cui necessita il settore riguardo a recenti provvedimenti legislativi”, nonché Wind, secondo cui “L’attività in materia regolamentare di ASSTEL è sempre stata improntata a questi caposaldi, come [omissis – nominativo rappresentante Asstel] ricorda bene”.
24.10.1. Tali documenti sono richiamati dalle parti per supportare l’affermazione secondo cui non sarebbe verosimile che esse abbiano concluso una intesa anticoncorrenziale, preoccupate come erano di eventuali risvolti antitrust; tuttavia l’argomento prova troppo, e non è di per sé idoneo a superare il dato obiettivo, e cioè il fatto che le parti hanno avuto contatti, hanno discusso anche di problematiche legate alle tariffe, ed infine hanno adottato la medesima decisione, e cioè di procedere, in prima battuta, al repricing dell’8,6% sul canone mensile.
24.11. Vi è poi il doc. ispettivo n. 127 (richiamato a pag. 32 del provvedimento), costituito da uno scambio di mail del 20 dicembre 2017, intercorso tra l’AD di Telecom e l’AD di Vodafone, in cui si allude a un incontro per parlare della interpretazione che AGCOM dava dell’obbligo di ritornare alla fatturazione a 30 giorni. E, ancora, il doc. ispettivo n. 746 (richiamato alle pagg. 32 e 33 del provvedimento, scambio di mail del 22 dicembre 2017), in cui l’AD di Wind dava conto dei contatti diretti in essere con i propri concorrenti: “Buongiorno [omissis – nominativo Commerciale Wind Tre] and thank you for the leadership on this issue. Understood; I would only advise that we work closely with VODAFONE and TIM so that we are leveraging our collective muscle. I know that you have spoken with [omissis – AD di Vodafone] and I am happy to speak with [omissis – AD di Telecom Italia), who is in Brazil, if your contact at TIM is not the right one. Thanks again to the team!”
24.12. In conclusione il Collegio concorda con quanto l’Autorità sostiene nell’atto d’appello, e cioè circa il fatto che l’intesa anticoncorrenziale prefigurata nel provvedimento impugnato emerge non solo dal parallelismo di comportamenti, di cui si è detto, ma anche dalla sussistenza di elementi esogeni, costituiti dai documenti passati in rassegna. Questi ultimi, cioè, rendono credibile che siano intercorsi tra le parti contatti qualificati che hanno avuto ad oggetto, non solo il confronto sulle problematiche che, tecnicamente, erano connesse al ritorno alla fatturazione mensile, ma anche l’opportunità di effettuare il repricing nei termini in cui esso è stato descritto ai precedenti paragrafi sub. 17, repricing che, non a caso, poi hanno adottato tutte le parti. E pure a voler dare credito alle parti – Wind e Vodafone in particolare – laddove esse evidenziano che il processo decisionale non era ancora compiuto al loro interno al 14 novembre 2017, e quindi anche a non voler ritenere che tali contatti qualificati si siano tradotti in un vero e proprio accordo perfezionatosi quantomeno dal 14 novembre 2017, resta il fatto che essi integrano una pratica punibile ai sensi dell’art. 101 TFUE, in quanto hanno reso ciascuna delle parti consapevole degli orientamenti delle altre parti, minando l’autonomia e indipendenza del processo decisionale di ciascuna, che invece costituisce il bene giuridico tutelato dall’art. 101 TFUE. Questa consapevolezza reciproca era, appunto, già acquisita quantomeno alla data del 14 novembre 2017.
25. Le versioni alternative indicate dalle parti.
25.1. In applicazione dei principi giurisprudenziali sopra richiamati, le spiegazioni date dalle parti devono, allora, essere esaminate considerando che la presenza di elementi probatori di natura esogena obbliga le parti a soddisfare un onere probatorio più elevato e rigoroso, che riguarda le presunte ragioni, diverse dall’esistenza di una intesa anticoncorrenziale, che avrebbero determinato il parallelismo di comportamenti: nel caso di specie, circa le ragioni per cui tutte le parti hanno ritenuto di effettuare il repricing dell’8,6% sul fatturato mensile.
25.2. Un primo argomento utilizzato dalle parti per giustificare il parallelismo di comportamenti fa leva sull’affermazione secondo cui la decisione di effettuare il repricing, nei termini sopra descritti, era la più ovvia, la più naturale, perché non incideva sulle tariffe: per Telecom e Wind il repricing non integrava un nuovo aumento tariffario, mentre Vodafone semplicemente sostiene che il riferimento alla percentuale dell’8,6% era diventato comune in tutte le discussioni riguardanti la fatturazione a 28 giorni, e che “per le imprese tutto il ragionamento sul repricing era sempre stato impostato sull’esame degli effetti che la manovra avrebbe avuto sui ricavi previsti su base annuale, nei budget economici di ciascuna impresa”; Fastweb sottolinea, infine, che non attuare il repricing sarebbe stato troppo oneroso.
25.2.1. Come è stato chiarito in principio, l’aumento percentuale dell’8,6% ha, invece, integrato un vero e proprio aumento tariffario. Le parti dovevano essere consapevoli di ciò, tanto è vero che tra le varie opzioni che esse si prefiguravano v’era anche quella di tornare alle 12 fatture annue, con fatturato mensile immutato rispetto all’anno precedente, e quindi con la prospettiva di perdere quell’introito che l’indebita fatturazione a 28 giorni continuava ancora a garantire loro (si vedano, sul punto, le analisi di Vodafone, che ha quantificato in circa 180 milioni di euro il calo di fatturato che ne sarebbe conseguito). Basti pensare che proprio Telecom, nei motivi aggiunti presentati in primo grado, argomentava a pag. 16 che la scelta del repricing dell’8,6% era razionale in quanto era in ogni caso “necessario salvaguardare i ricavi già acquisiti dalla manovra dei 28 giorni (solo il fisso vale 82 mio di € nel 2018)”: tale riflessione - che si legge nello scambio di mail interna a Telecom del 31 ottobre 2017 prodotta da Telecom il 5 maggio 2021 come doc. 42 - evidenzia la consapevolezza che il mantenimento dei ricavi avuti con l’introduzione della fatturazione a 28 giorni non poteva affatto darsi per scontato e andava perseguito e mantenuto. Riflessione analoga viene citata nel provvedimento (par. 286) ed è ascrivibile a Wind, che in una mail interna del 27 ottobre 2017 (doc. isp. 695, richiamato a pag. 34 del provvedimento) scriveva: “Questo cambio noi lo intendiamo come imposto dalla legge e quindi non una attività di repricing. Come tale non c’è obbligo di preavviso al cliente e il diritto di recesso: Su questo punto sembra che l’orientamento stia cambiando da parte del governo. Se ci impongono uno scenario di repricing dobbiamo capire se è più rischioso fare un repricing o se è meglio non aumentare i costi e perdere sicuramente [omissis] mln sul fix e [omissis] sul mobile”. E ancora, si veda il doc. ispettivo 371, citato nel provvedimento a pag. 31 e prodotto anche da ILIAD come doc. 21, costituito da mail interne a Vodafone, in cui si prende in considerazione anche lo “scenario 2 senza repricing dal 1 luglio qualora motivi competitivi lo impedissero. Vale –[40-60]M euro”, mail che dimostrano non solo la circostanza che le parti si prefiguravano l’eventualità di non effettuare alcun tipo di repricing, ma anche la possibile utilità, in ottica competitiva, di tale strumento. Valga, infine, la considerazione che tutti e quattro gli operatori, nel comunicare alla clientela il ritorno alla fatturazione mensile con aumento del canone dell’8,6%, hanno dato avviso della possibilità di esercitare il diritto di recesso. Dunque, anche in seno a Wind e Vodafone serpeggiava il dubbio che il ritorno alla fatturazione a 30 giorni comportasse, se non accompagnata da una manovra tariffaria “dichiarata”, la perdita degli introiti ascrivibili alla 13ma fattura.
25.2.2. Osserva, a questo punto, il Collegio che, se le parti non avessero nutrito il minimo dubbio circa la illiceità dell’aumento tariffario a suo tempo indotto dalla fatturazione a 28 giorni, e quindi sulla mancanza di efficacia di tale aumento, esse non avrebbero minimamente preso in considerazione lo scenario dato dal ritorno a 12 fatture mensili di importo identico alle fatture emesse sino a quel momento. Dunque il repricing non costituiva affatto una scelta ovvia o scontata, e questo spiega la preoccupazione delle varie parti circa il fatto che le altre potessero adeguarsi al ritorno alle tariffe pre-fatturazione a 28 giorni, e determinava la necessità di coordinarsi.
25.2.3. Correttamente, dunque, l’Autorità osserva, nell’atto d’appello, che l’eventuale rinuncia a dei margini di guadagno nel breve periodo, pur mantenendo prezzi remunerativi, non costituiva necessariamente un comportamento irrazionale per un’impresa che perseguisse i propri obiettivi di profitto nel rispetto della legalità. Le parti, insomma, potevano certamente percorrere strade diverse dal repricing, della qual cosa si è avuta conferma quando le parti, per dare attuazione al provvedimento cautelare dell’Autorità, del 21 marzo 2018, hanno poi adottato scelte differenti, con almeno tre differenti modalità attuative, tutte rispettose del dettato normativo, ma applicando differenti tariffe.
25.3. Sotto diverso profilo le parti hanno argomentato che la razionalità della scelta del repricing dell’8,6%, e quindi la convergenza di tutte le parti verso il suddetto repricing, si giustificherebbe con il fatto che la nuova normativa non avrebbe prodotto uno “shock esogeno”, incidendo direttamente sui prezzi o sui costi di produzione: le nuove norme, cioè, non erano idonee a condurre, in assenza di coordinamento, ad un aumento esponenziale della mobilità della clientela, e quindi le parti non necessitavano di coordinarsi.
25.3.1. Questo argomento, tuttavia, non prova nulla. Da una parte è fallace, poiché sembra non considerare che la nuova normativa, rendendo obbligatorio il ritorno alla fatturazione a 30 giorni, in realtà uno schock lo provocava, sia pure non nel senso classico del termine: infatti, a quel punto le parti non potevano più continuare a ignorare il fatto che il guadagno generato dalla emissione della tredicesima fattura non era più giuridicamente sostenibile. In ogni caso, si tratta di un argomento che si limita a mettere in dubbio l’utilità di un accordo/coordinamento, ma non è idoneo a superare il dato oggettivo emergente dal parallelismo di comportamenti e dagli elementi esogeni sopra esaminati, e costituito dal fatto che le parti hanno intrattenuto contatti qualificati nel corso dei quali si sono scambiate informazioni sensibili, sulle tematiche sopra descritte.
25.4. Considerazioni analoghe si possono svolgere con riferimento agli argomenti delle parti che tendono ad accreditare la tesi secondo cui qualsiasi manovra tariffaria non sarebbe stata percepita dai clienti e quindi sarebbe stata inidonea a produrre movimentazione della clientela tra le parti, rendendo inutile un coordinamento: anche in questo caso si tratta di argomento che nulla dimostra con certezza, poiché si limita a insinuare il dubbio che una intesa tra le parti fosse poco utile. Peraltro, su tale argomento il provvedimento interviene ai parr. 290 e segg.: ivi si sottolinea che le analisi interne effettuate da Wind e da Vodafone circa l’impatto che avrebbe avuto un repricing, con correlativo diritto di recesso del cliente, hanno evidenziato che sussistevano margini di convenienza anche nel non attuare alcun aumento tariffario –id est: a non disporre neppure l’incremento dell’8,6% sulle fatture mensili -, perché in tal caso il cliente non avrebbe fruito del diritto di recesso, la società avrebbe perso gli introiti derivanti dalla 13ma fattura, ma verosimilmente avrebbe guadagnato in termini di aumento della clientela. Secondo l’Autorità le analisi di Vodafone evidenziavano che essa avrebbe anche conseguito effetti migliori nell’effettuare un repricing “selettivo” o con prezzi “arrotondati”, ragione per cui il repricing dell’8,6% disposto in prima battuta, e aggiornato solo dopo alcuni mesi, non ha rappresentato la scelta più razionale di Vodafone.
25.5. Il Collegio ritiene, a questo punto, che le parti non abbiano assolto all’onere probatorio, sulle medesime incombente, di dimostrare con rigore e oggettività che il repricing dell’8,6% costituisse, per tutte, la sola e unica manovra razionale, emergendo, da più parti, che sussistevano margini di convenienza – ovviamente in assenza di concertazioni anticompetitive – sia nella totale e assoluta mancanza di repricing, sia nell’attuazione di repricing modulati diversamente. Ciò, da una parte conferma che la convergenza di tutte le parti su un primo repricing dell’8,6% delle fatture mensili, ben può essere stata determinata dal reciproco scambio di informazioni intervenuto tra le stesse e dalla consapevolezza di come le altre parti avrebbero reagito alla fatturazione a 30 giorni, d’altra parte priva di forza intrinseca l’argomento secondo cui tale repricing costituiva la scelta razionale e ovvia per definizione. E’ vero, piuttosto, che essa costituiva una scelta conveniente e facile perché “conservativa”, sia del fatturato che del monte clienti.
25.6. Anche l’argomento secondo cui le parti avrebbero dimostrato di aver implementato, al proprio interno, autonome procedure di valutazione, è privo di concreta rilevanza, poiché tale circostanza non dimostra che le parti non abbiano intrattenuto contatti qualificati vietati dal diritto antitrust, contatti che, per le ragioni precedentemente esposte, debbono ritenersi dimostrati.
25.7. Gli argomenti delle parti, in definitiva, non costituiscono quella rigorosa prova che si richiede quando un parallelismo di comportamenti sia supportato da elementi esogeni, perché non sono ontologicamente incompatibili con l’ipotesi accusatoria.
25.8. Per tutto quanto esposto nei paragrafi che precedono il Collegio ritiene fondati i primi tre motivi d’appello.
26. Al quarto motivo d’appello l’Autorità censura l’impugnata sentenza nella parte in cui ha ritenuto che la motivazione del provvedimento fosse perplessa perché in contraddizione con quanto esposto dall’AGCOM nel parere raccolto nel corso del procedimento.
26.1. La censura va accolta per le seguenti considerazioni:
- il parere che l’AGCM assume dall’AGCOM nel corso del procedimento non è vincolante, e quindi l’AGCM può discostarsene con valida motivazione; nel caso di specie il provvedimento dedica il capitolo XII, ovvero i paragrafi 315 e segg., a analizzare e se del caso contestare il contenuto del parere dell’AGCOM;
- non si può affermare che nel parere dell’AGCOM si neghi l’esistenza del repricing nei termini che sono stati evidenziati al par. 17 della presente decisione, repricing che in quanto tale ben poteva costituire il movente di una concertazione tra le parti; l’AGCOM, piuttosto, ha inteso affermare soltanto che la percentuale dell’8,6% costituiva un elemento già noto al mercato e, pertanto, non costituiva da solo un elemento idoneo a determinare mobilità della clientela;
- la lettura del TAR, secondo cui il parere dell’AGCOM avrebbe anche “sconfessato la tesi per cui il fattore prezzo, da solo, rappresenterebbe la variabile sulla base della quale i consumatori sono indotti alla migrazione: così facendo, a ben vedere, il Regolatore ha smontato la asserita finalità anticoncorrenziale dell’intesa, come declinata dall’AGCM”, non è condivisibile e comunque non rileva, fotografando, semmai, il punto di vista dell’AGCOM, dal quale l’AGCM si è motivatamente discostata;
- infatti, la finalità anticoncorrenziale dell’intesa è stata ben compresa e individuata dall’AGCM, e correlata alla perdita di effetti giuridici della manovra tariffaria posta in essere con l’introduzione della 13ma fattura: il ritorno alla fatturazione a 30 giorni apriva nuovi scenari, perché in quel contesto ciascuna delle parti aveva l’alternativa tra il mantenere l’importo mensile inalterato, andando incontro alla flessione, in via di fatto, degli introiti collegati alla 13ma fattura, e tra il procedere ad una manovra tariffaria, con gli oneri e rischi che ne conseguivano in punto di diritto di recesso della clientela; l’ “in sé” della concertazione, dunque, non verteva sulle modalità di comunicazione e di spiegazione dell’importo che avrebbe assunto la nuova fattura mensile, ma verteva invece, e prima di tutto, sul fatto di agire in maniera coordinata per mantenere inalterati gli equilibri di mercato delle parti e, al contempo, le entrate annuali che prima erano garantite dalla 13ma fattura; i rilievi dell’AGCM circa il fatto che le parti, nel comunicare il repricing, hanno fatto riferimento alla percentuale dell’8,6%, ricorrendo ad una modalità di comunicazione inconsueta e, tutto, sommato, ingannatoria, è servita, nel provvedimento, solo per rinforzare la tesi secondo cui le parti hanno agito in modo da non invogliare movimenti della clientela, il che è perfettamente coerente con la finalità dell’intesa preconizzata dall’AGCM; inoltre, giustamente l’AGCM sottolinea (al par. 321 del provvedimento) che il fatto che l’8,6% costituisse un elemento, già conosciuto al mercato conferma, piuttosto che negare, la concertazione: nel senso che le parti, avendo necessità di comunicare il repricing alla propria clientela in maniera da non invogliare una movimentazione, ben possono aver pensato che il ricorso ad un elemento ben conosciuto dal mercato sarebbe parso “naturale” e non indicativo di una concertazione, ragione per cui il parametro dell’8,6% ha agevolato il coordinamento anticoncorrenziale;
- per quanto riguarda le motivazioni dei contatti tra le parti, il parere dell’AGCOM in realtà si limita a svolgere delle considerazioni circa il fatto che l’entrata in vigore della L. n. 172/2017 aveva dato luogo a dubbi interpretativi e quindi a comprensibile attività di lobbying e ad incontri di confronto, ma a queste considerazioni si è arrestato il parere, che evidentemente le ha offerte come motivo di riflessione, senza trarne conclusioni;
- infine, l’AGCM ha puntualmente replicato, ai paragrafi 326 e seguenti del provvedimento, anche alle osservazioni dell’AGCOM circa il fatto che l’intesa non avrebbe avuto efficacia lesiva, osservando: a) che i dati statistici sulla portabilità raccolti dall’AGCOM hanno confermato il successo del comportamento uniforme degli operatori, testimoniato dal fatto che nel primo trimestre 2018 non si è sperimentato alcun significativo incremento dei tassi di portabilità; b) che, a seguito dell’adozione delle misure cautelari, nel secondo trimestre 2018 la portabilità è rimasta sostanzialmente inalterata nonostante che gli operatori fossero stati obbligati a rimodulare le tariffe in adempimento del provvedimento cautelare del 21.3- 11.4.2018; tuttavia questa limitata portabilità sarebbe spiegabile con il fatto che le parti hanno riveduto al ribasso le proprie tariffe, in tal modo disinvogliando i clienti a migrare.
26.2. Meritano un particolare approfondimento, comunque, le considerazioni svolte nella appellata sentenza, che paiono preludere alla possibilità di tenere conto della mancanza di lesività effettiva anche nelle intese per oggetto, e non possono essere seguite.
26.2.1. L’intesa sanzionata con il provvedimento impugnato è stata correttamente qualificata, dall’AGCM, quale intesa sul prezzo, poiché con essa le parti si sono accordate su una manovra tariffaria che ha perseguito lo scopo di mantenere inalterate le rispettive posizioni delle parti sul mercato rilevante: è vero che i prezzi non sono stati stabiliti direttamente in sede di intesa, ma non si può sottacere che anche una concertazione sull’aumento percentuale da applicare a determinati prezzi rientra a pieno titolo nel concetto di intesa sui prezzi, poiché comporta la predeterminazione, appunto, dei prezzi, seppure in via indiretta.
26.2.2. Come noto, poi, le intese sui prezzi costituiscono un esempio di “intesa per oggetto”: queste ultime costituiscono una tipologia di intesa anticoncorrenziale che il legislatore europeo reputa così pericolosa da non richiedere neppure la prova della efficacia lesiva, ovvero la prova del fatto che producano effetti anticoncorrenziali: la giurisprudenza della Corte di Giustizia, infatti, ha più volte avuto occasione di affermare che nelle intese per oggetto si constata che il coordinamento tra imprese è per natura dannoso, per il buon funzionamento del gioco della concorrenza (sentenze dell’11 settembre 2014, MasterCard e a./Commissione, C-382/12 P, EU:C:2014:2201, punti 184 e 185, nonché del 20 gennaio 2016, Toshiba Corporation/Commissione, C-373/14 P, EU:C:2016:26, punto 26). È quindi pacifico che la possibilità che certi comportamenti collusivi, quali quelli che portano alla fissazione orizzontale dei prezzi da parte di cartelli, abbiano effetti negativi, in particolare, sul prezzo, sulla quantità o sulla qualità dei prodotti e dei servizi, è talmente alta che può essere ritenuto inutile, ai fini dell’applicazione dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, dimostrare che tali comportamenti abbiano effetti concreti sul mercato.
26.2.3. Tale essendo la natura delle intese per oggetto, il Collegio ritiene che esse integrino illeciti caratterizzati da una presunzione di lesività che può essere superata solo dalla constatazione che l’intesa, per come concepita e messa in atto, non abbia mai avuto la minima possibilità di produrre un qualsiasi effetto dannoso e che, pertanto, in nessun momento essa abbia creato un pericolo per il buon funzionamento del mercato, configurandosi, per usare un termine mutuato dal diritto penale, quale illecito “impossibile”. Solo in questi ristretti limiti si può concedere che una intesa, anche per oggetto, possa di fatto non essere punibile.
26.2.4. Per tali ragioni il precedente di cui alla sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea C- 228/18 non è utile a supportare l’affermazione secondo cui le intese per oggetto che non abbiano prodotto effetti anticoncorrenziali non sono sanzionabili. In tale precedente la Corte ha affermato che “l’articolo 101, paragrafo 1, TFUE deve essere interpretato nel senso che non osta a che un medesimo comportamento anticoncorrenziale sia considerato come avente al contempo per oggetto e per effetto di restringere il gioco della concorrenza, ai sensi di tale disposizione.” (punto 44), conseguendo da ciò che in tal caso non è precluso all’autorità garante della concorrenza, o al giudice nazionale, verificare l’effettiva sussistenza di effetti anticoncorrenziali (punto 40). Oggetto di quel giudizio, tuttavia, era il provvedimento di una autorità nazionale che qualificava una intesa quale restrizione sia “per oggetto” che “per effetto”, essendo evidentemente dubbia la qualificazione della stessa in termini di restrizione “per oggetto”. Questa pronuncia, però, non mette in dubbio quanto sopra si è detto circa il fatto che la punibilità di una intesa “per oggetto” può escludersi solo laddove l’indagine sugli effetti sia in grado di escludere qualsiasi forma di danno e qualsiasi potenzialità dannosa della intesa.
26.2.5. Ugualmente non pertinente è il richiamo al precedente di questa Sezione di cui alla sentenza n. 8695 del 23 dicembre 2019, che si è pronunciata su un provvedimento che sanzionava una intesa qualificata “per oggetto”: invero, nella decisione, che annullava il suddetto provvedimento, ha pesato non tanto la mancata dimostrazione degli effetti anticoncorrenziali, ma prima di tutto la qualificazione dell’intesa “per oggetto”, che è stata messa in dubbio dal giudicante, non venendo in considerazione una delle ipotesi tipizzate - dall’art. 101 TFUE – di intesa “per oggetto”; a tale proposito si legge nella sentenza (al par. 15.4) che “ha errato l’AGCM nell’applicare la logica dell’intesa per oggetto, lì dove avrebbe invece dovuto meglio istruire e comprovare sia la reale consistenza e contendibilità di quel mercato, sia – e conseguentemente – la configurabilità e la portata degli effetti paventati, in applicazione dei suddetti principi”. E’ dunque evidente che tale precedente non ha affermato la rilevanza della mancata dimostrazione di effetti anticoncorrenziali con riferimento a una intesa “per oggetto”, ma ha piuttosto affermato l’erroneità, a monte, della qualificazione di quella intesa come tale, conseguendo da ciò, in guisa di corollario, la necessità, per l’AGCM, di dimostrare gli effetti anticoncorrenziali.
26.2.6. Nel caso di specie dal parere dell’AGCOM non si ricavano informazioni tali da potersi affermare che l’intesa in esame non abbia mai avuto una potenzialità dannosa e non abbia esplicato alcun tipo di effetto dannoso. Quanto si legge in tale parere forse può supportare l’affermazione che l’intesa non ha spiegato effetti significativi, ma non consente di pervenire alla esclusione di qualsiasi effetto dannoso, anche indiretto o a lungo termine; tanto meno consente di affermare che essa non ha mai avuto una potenzialità dannosa.
26.2.7. In conclusione, la asserita mancanza di effetti pregiudizievoli per la concorrenza, prospettata nel parere dell’AGCOM, ancorché dimostrata, comunque non avrebbe potuto produrre l’effetto di rendere l’intesa/concertazione in esame non punibile. Di conseguenza, quanto rilevato dal TAR, a proposito della mancata valutazione dei rilievi dell’AGCOM sul punto, è di fatto irrilevante.
27. Si passa ora all’esame del quinto motivo d’appello dell’Autorità, con cui si contesta l’appellata sentenza nella parte in cui ha ritenuto non provata la segretezza della intesa, sul presupposto che il provvedimento avrebbe fondato la qualificazione della intesa quale segreta sul doc. ispettivo n. 507, dichiarato inutilizzabile dal TAR.
27.1. Anche in questo passaggio il TAR non può essere seguito.
Il Collegio osserva che il termine “segreto” sta ad indicare ciò che è precluso alla conoscenza altrui, e non implica necessariamente che tale situazione dipenda da una condotta volontaria. Si vuol cioè dire che, nel qualificare come più gravi le intese anticoncorrenziali segrete – aventi per oggetto la fissazione dei prezzi, la ripartizione dei mercati e la limitazione della produzione – le Linee guida non hanno inteso specificamente sanzionare le infrazioni caratterizzate anche da uno specifico comportamento teso all’occultamento delle stesse, ma solo il dato oggettivo della non conoscibilità – se non previo esperimento di indagini qualificate -, correlato, come spiega la norma, con la probabilità della scoperta della medesima.
27.2. Tenuto conto delle considerazioni che precedono, il Collegio non ritiene che il ricorso a mezzi di comunicazione come la posta elettronica o le conference calls sia indicativo della non segretezza di una intesa anticoncorrenziale, dimostrando la mancanza di volontà delle parti di occultare l’intesa: ciò per la ragione che si tratta, pur sempre, di comunicazioni coperte da riservatezza e dal segreto della corrispondenza, la cui propalazione non autorizzata genera responsabilità, sia di tipo penale che civile, e quindi strutturalmente idonee a consentire al pubblico di venirne a conoscenza. Tali comunicazioni differiscono profondamente da quelle che possono essere effettuate, ad esempio, in un contesto istituzionale pubblico, ove la possibilità che esse siano registrate, riportate e pubblicate è elevata e lecita.
27.3. Per quanto riguarda il caso di specie, si deve aggiungere che la volontà specifica delle parti di tenere segreti i contatti trapela anche dal già citato documento ispettivo n. 907, sopra esaminato, nonché dal doc. isp. n. 507 (doc. 15 dell’AGCM, richiamato a pag. 25 del provvedimento), una comunicazione di Vodafone del 15 novembre 2017, in cui si legge “Per favore scriviamo poco come chiesto stamattina, oppure scriviamo in modo problematico nelle comunicazioni istruttorie (sembra, potrebbe…)”: i due documenti evidenziano la consapevolezza delle parti di muoversi su un terreno di illiceità che avrebbe potuto condurre a indagini, ispezioni e quindi al reperimento di documenti compromettenti.
28. Il sesto ed ultimo motivo d’appello dell’AGCM ha ad oggetto il capo dell’appellata sentenza che ha accolto anche il ricorso introduttivo del giudizio, avente ad oggetto i provvedimenti cautelari dell’AGCM, sul presupposto che le ragioni fondanti l’annullamento del provvedimento definitivo sono “sufficienti per disporre l’annullamento dei provvedimenti impugnati, ivi compreso il provvedimento cautelare che, pur essendo affetto dai medesimi vizi, ha comunque esaurito i suoi effetti”. Anche questa censura è fondata.
28.1. Si deve preliminarmente rilevare che, con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, Telecom ha impugnato alcuni atti tra cui il provvedimento cautelare definitivo dell’11 aprile 2018, di cui ha chiesto l’annullamento. Il ricorso è stato notificato il 12 giugno 2018, quando tutte le parti avevano già comunicato le misure che avrebbero adottato in esecuzione dei provvedimenti cautelari, ma le medesime erano ancora in corso di valutazione da parte dell’AGCM. Si può perciò ritenere che il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado fosse originariamente ammissibile e procedibile, sotto il profilo dell’interesse all’annullamento, perché non si aveva ancora certezza che le misure implementate dalle parti costituissero corretta esecuzione del provvedimento cautelare impugnato.
28.2. Essendo state successivamente confermate tutte le misure adottate dalle parti, in esecuzione dei provvedimenti cautelari, questi ultimi hanno cessato di spiegare effetti: e ciò determina l’impossibilità di pronunciarne l’annullamento, non sussistendovi più un concreto interesse della parte.
28.3. Telecom, inoltre, nel corso dei due gradi di giudizio non ha mai espresso l’interesse all’accertamento dell’illegittimità dei provvedimenti cautelari a fini risarcitori, al quale non ha mai accennato nelle conclusioni delle varie memorie successive al ricorso introduttivo di primo grado. Conseguentemente quest’ultimo avrebbe dovuto essere dichiarato improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse. Da qui la fondatezza anche del sesto motivo d’appello.
29. L’appello dell’AGCM è, in conclusione, fondato. Ne consegue la necessità di esaminare i motivi articolati da Telecom nel primo grado del giudizio, assorbiti dal TAR.
MOTIVI RIPROPOSTI DA TELECOM AI SENSI DELL’ART. 101 C.P.A.
30. Telecom ha riproposto la censura afferente il vizio di incompetenza, connesso alla natura regolatoria del provvedimento impugnato, già articolata nei motivi aggiunti del 4 maggio 2020, punto I. Osserva Telecom che nella specie “l’intervento dell’AGCM sembra tuttavia andare oltre la mera contestazione di un’intesa illecita e, recependo le istanze provenienti dall’opinione pubblica, censurare la scelta degli Operatori di non sfruttare il ripristino della fatturazione mensile per rivedere al ribasso le proprie tariffe. Così facendo, tuttavia, il legittimo esercizio da parte dell’AGCM del potere di tutela della concorrenza sfocia in una illegittima attività di regolazione dei prezzi”.
30.1. La censura è manifestamente destituita di fondamento. E’ palese che con il provvedimento impugnato l’AGCM non ha inteso censurare, in sé, l’aumento dell’8,6% del fatturato mensile, quanto piuttosto il fatto che tale decisione è stata attuata da tutte le parti per effetto di una concertazione, e non in maniera autonoma e indipendente. L’AGCM, infatti, non deduce che l’aumento dell’8,6% sia stato inadeguato in rapporto al servizio reso o ai costi sostenuti, e nemmeno deduce che fosse vietato; anzi, l’AGCM, al fine di dimostrare la mancanza di razionalità della scelta di Vodafone (di attuare prima il repricing dell’8,6%, poi un ulteriore manovra di aumento nei mesi successivi), ammette persino che potesse corrispondere a maggiore razionalità una manovra tariffaria più aggressiva attuata sin dall’inizio. In ogni caso la finalità del provvedimento impugnato non è regolatoria, avendo sanzionato il fatto, in sé, che le parti, dopo aver attuato una manovra tariffaria poco trasparente, nel passaggio alla fatturazione a 28 giorni, hanno concordato una manovra tariffaria identica per sterilizzare i possibili effetti del passaggio alla fatturazione a 30 giorni. Tali effetti, giova ribadirlo, andavano naturalmente nella direzione della riduzione del fatturato delle parti, per la misura corrispondente alla tredicesima fattura che non avrebbero potuto più emettere a carico dei clienti; sussisteva, dunque, la concreta possibilità che nel ritorno alla fatturazione a 30 giorni si potesse verificare un massiccio movimento di clientela verso quell’operatore che, rassegnandosi alla suddetta riduzione del fatturato, avesse rinunciato nell’immediato a disporre aumenti tariffari. L’intesa sanzionata con il provvedimento impugnato ha appunto avuto la funzione di prevenire siffatta eventualità.
31. Telecom ha poi riproposto il settimo motivo articolato nei motivi aggiunti di primo grado: si tratta di censura che contesta, sotto vari profili, l’entità della sanzione, e che si prospetta come violazione dell’art. 11 della L. 689/81, degli artt. 1 e 31 della L. n. 287/90, nonché come violazione del principio di proporzionalità e del divieto di non discriminazione.
31.1. Sotto un primo profilo Telecom critica il fatto che a Vodafone l’AGCM ha riconosciuto una attenuante del 5% in ragione “delle specifiche modalità di ottemperanza alle misure cautelari”: Telecom osserva di avere, in sede di esecuzione delle misure cautelari, proceduto a rimodulare il repricing, fissandolo tra il 7,8% e l’8,5%; Vodafone, invece, ha completamente rinunciato al repricing. Secondo Telecom tutte le manovre attuate dalle parti per dare esecuzione al provvedimento dell’Autorità del 21 marzo 2018 sono equivalenti, e quindi la concessione solo a Vodafone dell’attenuante sarebbe discriminatoria.
31.1.2. La censura è infondata. Il provvedimento, al paragrafo 342, ha rammentato preliminarmente che, ai sensi dei punti 19 e 23 delle Linee Guida, l’importo base della sanzione può essere ridotto per tener conto di specifiche circostanze che attenuano la responsabilità dell’autore della violazione, con particolare riferimento all’opera svolta dall’agente per l’eliminazione o attenuazione delle conseguenze della violazione. Le modalità con cui Vodafone ha dato esecuzione alle misure cautelari (sospensione integrale del repricing tariffario dell’8,6%, effettuando manovre differenti e successive, con il riconoscimento di ulteriori periodi di esercizio del diritto di recesso per i clienti consumatori) sono state ritenute dall’AGCM “idonee a favorire al consumatore una migliore informazione e trasparenza circa le variazioni applicate” rispetto alle modalità implementate dagli altri Operatori, e tale motivazione deve ritenersi ragionevole esercizio della discrezionalità attribuita all’AGCM dalle Linee guida in materia sanzionatoria, le quali premiano la parte che più si impegni per elidere le conseguenze dell’illecito. Non si ravvisa, pertanto, disparità di trattamento per il solo fatto che l’Autorità non ha riconosciuto la medesima attenuante anche a Telecom, che ha dato esecuzione alle misure cautelari con modalità alquanto differenti.
31.1.3. Peraltro, è anche discutibile l’interesse alla censura, posto che, a seguire il ragionamento di Telecom - che assume l’assoluta equivalenze di tutte le azioni implementate dalle parti per dare corso ai provvedimenti cautelari dell’AGCM - si dovrebbe semmai concludere che l’attenuante è stata riconosciuta indebitamente a Vodafone, e non già che dovrebbe essere riconosciuta a tutte le parti, e da questo punto di vista la censura è priva di concreto interesse per Telecom.
31.2. Essa contesta, poi, l’indicazione del termine della presunta intesa, che l’AGCM ha fissato, per tutte le parti, al 13 aprile 2018, ovvero nel giorno in cui è stata data comunicazione del provvedimento cautelare dell’11 aprile 2018. Telecom rileva che prima di tale provvedimento essa aveva già dato esecuzione al provvedimento cautelare del 21 marzo 2018.
31.2.1. La censura è fondata. In effetti non si comprende per quale motivo la data finale della intesa non debba essere fissata nel momento in cui ciascuna delle parti ha dato esecuzione al provvedimento del 21 marzo 2018 dell’AGCM. Tale momento per Telecom si colloca il 26 marzo 2018, data a partire dalla quale essa ha trasmesso all’AGCOM la prima comunicazione relativa ai provvedimenti adottati in esecuzione del provvedimento cautelare del 21 marzo 2018 ( docc. 57 e 68 di Telecom, prodotti il 5 maggio 2020; il doc. 56 non è, invece, pertinente, essendo datato 23 aprile 2023 e chiaramente scritto in data posteriore al 13 aprile 2018)
31.3. Telecom contesta poi il calcolo della sanzione base, al cui fine l’AGCM ha preso in riferimento il fatturato dell’anno 2017. Telecom deduce che, avendo l’intesa spiegato effetti dal 14 novembre 2017 al 13 aprile 2018, l’AGCM avrebbe dovuto prendere in considerazione il fatturato dell’anno 2018, corrispondente al fatturato dell’ultimo anno intero di partecipazione all’infrazione: ciò in osservanza di quanto previsto al punto 8 delle Linee guida sulle modalità di calcolo delle sanzioni antitrust, secondo cui le sanzioni “debbano essere calcolate a partire dal valore delle vendite dei beni o servizi oggetto, direttamente o indirettamente, dell’infrazione, realizzate dall’impresa nel mercato/i rilevante/i nell’ultimo anno intero di partecipazione alla stessa infrazione”.
31.3.1. La censura è manifestamente infondata. Le Linee guida in considerazione debbono essere interpretate in coerenza con quanto dispone la legge fondamentale, che è la L. n. 287/90. Questa, all’art. 15, nella versione vigente all’epoca dei fatti, al comma 1 stabiliva che “Se a seguito dell'istruttoria di cui all'art. 14 l'Autorità ravvisa infrazioni agli articoli 2 o 3, fissa alle imprese e agli enti interessati il termine per l'eliminazione delle infrazioni stesse. Nei casi di infrazioni gravi, tenuto conto della gravità e della durata dell'infrazione, dispone inoltre l'applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria fino al dieci per cento del fatturato realizzato in ciascuna impresa o ente nell'ultimo esercizio chiuso anteriormente alla notificazione della diffida, determinando i termini entro i quali l'impresa deve procedere al pagamento della sanzione.”
31.3.2. L’esercizio finanziario al quale si deve fare riferimento ai fini della determinazione della sanzione è, quindi, indiscutibilmente, l’ultimo esercizio chiuso prima del provvedimento conclusivo dell’AGCM. Il punto 8 delle Linee guida, in realtà, sembra fare riferimento alla situazione in cui una intesa si sia protratta per più anni, e che quindi vi sia un “ultimo anno intero di partecipazione” all’infrazione: con riferimento a tale situazione le Linee guida stabiliscono, in perfetta coerenza con l’art. 15 della Legge, che il fatturato da prendere in considerazione deve essere quello conseguito nell’ultimo anno precedente alla cessazione della intesa. Non si vede, dunque, ragione perché anche con riferimento ad una intesa la cui durata si sia estesa a cavallo di soli due anni, non si debba prendere in considerazione il fatturato del primo anno, che è il fatturato dell’anno precedente alla cessazione.
31.4. Telecom contesta anche la qualificazione dell’intesa come segreta, circostanza che influenza la determinazione della sanzione base. Essa sostiene che non potrebbe ravvisarsi segretezza nella intesa di che trattasi, perché non sarebbe connotata dal ricorso a particolari artifici e modalità di occultamento dei contatti.
31.4.1. La censura non può essere accolta, per le ragioni già indicate al precedente par. 27 della motivazione, cui si rinvia.
31.5. Conclusivamente, i motivi riproposti da Telecom possono essere accolti limitatamente alla rideterminazione della data finale della intesa, da fissarsi al 26 marzo 2018 anziché al 13 aprile 2018. Ne consegue che il provvedimento impugnato va annullato nella sola parte in cui determina la sanzione a carico di Telecom in € 114.398.325,00. Tale sanzione dovrà essere rideterminata dall’AGCM tenendo conto di quanto dianzi statuito circa la data finale dell’intesa, e in applicazione dei punti 15 e 16 delle Linee guida sulla quantificazione delle sanzioni antitrust.
32. Riassumendo: l’appello dell’Autorità è fondato e va accolto. Per l’effetto, in totale riforma della sentenza del TAR per il Lazio 8236/2021, e in parziale accoglimento dei motivi aggiunti presentati da Telecom il 4 maggio 2020, si annulla il provvedimento impugnato limitatamente alla parte in cui quantifica la sanzione irrogata a Telecom, che dovrà essere rideterminata dall’Autorità tenendo conto delle statuizioni di cui al par. 31.2.1, che incidono sulla durata della intesa sanzionata.
33. In considerazione della complessità delle questioni trattate sussistono giusti motivi per disporre la compensazione delle spese del doppio grado di giudizio tra tutte le parti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie; per l’effetto, in totale riforma della sentenza del TAR per il Lazio 8236/2021, e in parziale accoglimento dei motivi aggiunti presentati da Telecom il 4 maggio 2020, il provvedimento n. 16398 del 28 gennaio 2020, adottato dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato all’esito del procedimento I820, è annullato limitatamente alla parte in cui quantifica la sanzione irrogata a Telecom, che dovrà essere rideterminata dall’Autorità tenendo conto delle statuizioni di cui al par. 31.2.1.
Spese del doppio grado compensate tra tutte le parti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.