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3 agosto 2023
Obbligo di fatturazione su 12 mesi e repricing: secondo il Consiglio di Stato è provata l’intesa anticoncorrenziale tra gli operatori di telefonia mobile

Di conseguenza è legittima la sanzione inflitta dall'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ai gestori di telefonia mobile per l'aumento delle tariffe imposto ai consumatori dopo l'introduzione dell'obbligo legale di fatturazione su dodici mesi.

La Redazione

La vicenda riguarda la condotta tenuta dagli operatori di telefonia mobile dopo l'introduzione dell'obbligo di fatturazione su dodici mesi. A partire dal 2015, infatti, tali operatori avevano deciso di modificare il periodo di rinnovo delle offerte ricaricabili per la telefonia mobile passando dalla cadenza mensile a quella quadrisettimanale, comportando il fatto che gli utenti, se prima si vedevano addebitare il prezzo per il rinnovo una volta al mese, da quel momento in poi si erano visti costretti a rinnovare l'offerta tariffaria ogni 28 giorni.
La conseguenza di ciò era chiara: l'utente era passato dal pagare il prezzo 12 volte all'anno al pagarlo per 13 volte, con un aumento della tariffa annuale pari all'8,6%.
Tali condotte non sono passate inosservate: l'AGCOM infatti, dopo una prima delibera ove stabiliva la cadenza su base mensile per il rinnovo delle offerte e della fatturazione (alla quale non si adeguavano i gestori di telefonia mobile), infliggeva ai medesimi una sanzione per l'aumento delle tariffe imposto ai consumatori a seguito dell'introduzione del suddetto obbligo di fatturazione su 12 mesi.
Interveniva nel frattempo il D.L. n. 148/2017, con il quale si stabiliva l'obbligo di fatturazione su 12 mesi, anziché su 28 giorni.
Gli operatori a questo punto comunicavano agli utenti la nuova cadenza della fatturazione, ma che ciò avrebbe comportato un aumento del canone mensile in misura pari all'8,6%.
Ritenendo la condotta degli operatori il frutto di una intesa anticoncorrenziale, l'Autorità provvedeva a sanzionarle mediante apposito provvedimento che veniva impugnato dinanzi al TAR Lazio, il quale accoglieva i ricorsi sulla base della ritenuta inutilizzabilità di una serie di documenti che l'AGCOM avrebbe posto alla base del provvedimento sanzionatorio.

Da qui, la vicenda viene sottoposta all'attenzione del Consiglio di Stato, che con la sentenza n. 7270 del 25 luglio 2023 accoglie il ricorso proposto dall'Autorità riformando la decisione impugnata.
In particolare, il Collegio ha evidenziato che la questione riguarda il capire se la scelta delle parti di attuare l'aumento tariffario, c.d. repricing, al momento del ritorno alla fatturazione mensile (o bimestrale) e in tutti i casi dell'8,6%, possa ritenersi frutto di scelte autonome e indipendenti o se, come sostiene l'AGCM, sia invece il risultato di un'intesa anticoncorrenziale. Per fare ciò, il Consiglio di Stato richiama i principi e la giurisprudenza sul tema, sottolineando che la pratica o l'accordo anticoncorrenziale può anche risultare da prove frammentarie o sporadiche.
In sostanza, il Collegio ritiene che 

ildiritto

«le parti non abbiano assolto all'onere probatorio, sulle medesime incombente, di dimostrare con rigore e oggettività che il repricing dell'8,6% costituisse, per tutte, la sola e unica manovra razionale, emergendo, da più parti, che sussistevano margini di convenienza – ovviamente in assenza di concertazioni anticompetitive – sia nella totale e assoluta mancanza di repricing, sia nell'attuazione di repricing modulati diversamente. Ciò, da una parte conferma che la convergenza di tutte le parti su un primo repricing dell'8,6% delle fatture mensili, ben può essere stata determinata dal reciproco scambio di informazioni intervenuto tra le stesse e dalla consapevolezza di come le altre parti avrebbero reagito alla fatturazione a 30 giorni, d'altra parte priva di forza intrinseca l'argomento secondo cui tale repricing costituiva la scelta razionale e ovvia per definizione. E' vero, piuttosto, che essa costituiva una scelta conveniente e facile perché “conservativa”, sia del fatturato che del monte clienti».

In conclusione, il Consiglio di Stato ha ritenuto provata l'intesa anticoncorrenziale degli operatori di telefonia mobile, obbligando l'Autorità a rideterminare la sanzione solo in relazione alla data in cui è terminata tale intesa.