Spetta all'autore dimostrare l'assenza dell'elemento soggettivo da valutarsi secondo il canone civilistico "oggettivato", riferito a un modello standard di comportamento, enucleato dal criterio della diligenza e parametrato sul cd. agente modello.
Svolgimento del processo
Il Tribunale penale di Pescara – assolti D. M., I. L., P. A., O. A., B. L. e M. A. dai reati di cui agli artt. 473 e 474 c.p., loro ascritti, perché il fatto non costituiva reato, nonché gli imputati M. C. e G. L. in ordine al solo reato di cui al capo B), perché il fatto non sussisteva - ha dichiarato colpevoli M. C. e G. L. del reato di cui agli artt. 110 e 473 c.p., in riferimento alla contraffazione del marchio “F.”, e del reato di cui agli artt. 110 e 517 c.p., in ordine alla messa in circolazione dei prodotti portanti gli altri marchi indicati nell’imputazione, così riqualificati i fatti di cui al capo A) dell’accusa e, ritenuto il vincolo della continuazione, li ha condannati alla pena di anni uno e mesi sei di reclusione ed € 2.000,00 di multa ciascuno, oltre al pagamento delle spese processuali. La pena è stata sospesa subordinatamente al pagamento della somma di € 200.000,00, liquidata in favore della parte civile per il risarcimento dei danni morali conseguenti ai reati accertati, unitamente agli interessi dalla data della pubblicazione della sentenza di primo grado al saldo.
L’imputato G. L. e il difensore d’ufficio dell’imputato M. C. (la cui posizione è stata successivamente stralciata) hanno proposto appello. Anche la parte civile M. s.r.l. (poi divenuta G. s.r.l.) ha impugnato la decisione del Tribunale nei confronti degli imputati D. M., I. L., P. A., O. A. e M. A..
La Corte territoriale ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di G. L. in ordine ai reati a lui ascritti, perché estinti per prescrizione, e ha dichiarato gli imputati D. M., I. L., P. A., O. A. e M. A. responsabili, ai fini civili, dei reati loro ascritti, condannandoli in solido tra loro, e con G. L., al risarcimento del danno, come già liquidato in primo grado, e alla rifusione delle spese di patrocino della parte civile.
Proposto ricorso per cassazione da G. L., D. M., I. L., P. A., O. A. e M. A., il giudice di legittimità ha annullato la decisione impugnata, nella parte in cui ha determinato il quantum del danno cagionato da G. L., ed anche nella parte in cui ha ritenuto sussistente la responsabilità civile degli altri ricorrenti (Cass., Sez. 5 pen., Sentenza n. 26398, ud. 05/04/2019, dep. 14/06/2019).
Con particolare riferimento alle statuizioni adottate nei confronti di D. M., I. L., P. A., O. A. e M. A., la Corte di cassazione ha ritenuto sussistente il vizio di motivazione della sentenza di condanna al risarcimento del danno, stabilendo che la decisione impugnata dovesse essere annullata con rinvio al giudice civile competente per valore in grado d'appello perché, in piena libertà di giudizio, ma facendo corretta applicazione dei principi enunciati in sentenza, procedesse al nuovo esame della res litigiosa.
In particolare, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata in riferimento al complessivo apparato giustificativo della condanna, sotto il profilo dell’elemento psicologico del reato, che non si confrontava adeguatamente - superandolo - con l'iter argomentativo rappresentato nella sentenza di primo grado a fondamento della pronuncia liberatoria e che non consentiva, pertanto, di comprendere, attraverso il tessuto semantico dell'argomentazione, il positivo superamento dei profili di dubbio che avevano determinato l'assoluzione, articolatamente esposti nella decisione riformata.
Il giudizio è stato, dunque, riassunto, per le sole statuizioni civili, davanti alla Corte d’appello di L’Aquila, la quale ha rigettato la domanda risarcitoria avanzata dalla G. s.r.l. nei confronti di D. M., I. L., P. A., O. A. e M. A. e ha confermato la condanna di G. L. al pagamento della somma di € 200.000,00, a titolo di risarcimento del danno morale subito dalla parte civile costituita.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la G. s.r.l., affidato a cinque motivi di impugnazione.
Si sono difesi con controricorso gli intimati D. M., I. L., P. A., O. A. e M. A., mentre G. L. è rimasto intimato.
Parte ricorrente ha depositato memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c.
I controricorrenti I. L. e M. A. hanno depositato una nota in cui hanno ribadito la richiesta di rigetto del ricorso avversario.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso è dedotta la violazione o falsa applicazione delle norme civilistiche applicabili in materia di accertamento della responsabilità per fatto illecito nel giudizio di rinvio ex art. 622 c.p. e la non applicabilità al caso di specie dei principi di diritto, enunciati dalla Corte di cassazione nel presente procedimento (si tratta di Cass., Sez. 5 pen., Sentenza n. 26398, ud. 05/04/2019, dep. 14/06/2019, individuata dalla ricorrente con il sezionale n. 1367/2019), in riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c.
Secondo la ricorrente, la sentenza impugnata non ha indicato né le norme di diritto che ha ritenuto applicabili, né ha valutato i fatti secondo i criteri di accertamento dell’illecito civile, adottando una motivazione ibrida che non chiarisce i criteri adottati per la formazione del proprio convincimento, così non applicando correttamente né i criteri per l’accertamento della responsabilità da fatto illecito civile né quelli per l’accertamento della responsabilità penale, operando un recepimento acritico delle difese degli imputati appellanti.
Con il secondo motivo, è dedotta la violazione o la falsa applicazione dei principi dell’apparenza del diritto e dell’affidamento incolpevole in riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., per avere la Corte d’appello ritenuto che M. e G. avessero creato una situazione di apparenza, idonea a far sembrare che agissero in condizioni di legalità, mentre invece avrebbe dovuto considerare che l’affidamento, per essere tutelato, deve essere ragionevole, incolpevole e deve fondarsi su un comportamento colposo del rappresentato, mentre nel caso di specie tali condizioni non erano presenti.
Con il terzo motivo, è dedotta la violazione e la falsa applicazione dell’art. 26 della direttiva 2004/48/CE, oltre che dell’art. 2 Cost., dell’art. 2569 c.c., del d.lgs. n. 30 del 2005 e degli artt. 2043, 2059, 2600 e 2598 c.c., in riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., per non avere la Corte d’appello valutato le condotte dei controricorrenti alla luce della normativa civilistica applicabile alla fattispecie.
Con il quarto motivo, è dedotta la violazione o la falsa applicazione delle norme di diritto penale (artt. 473, 475, 517 e 43 c.p.) in riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., perché, anche ritenendo applicabili i criteri della responsabilità penale, la Corte di merito non ha valutato le condotte degli imputati alla luce degli elementi costitutivi delle fattispecie di reato oggetto di imputazione.
Con il quinto motivo, è dedotta l’esistenza di una motivazione apparente e il contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, con conseguente vizio della motivazione per carenza dei requisiti di cui all’art. 111 Cost. e art. 132, comma 2, n. 4), c.p.c., con riferimento all’art. 360, comma 1, n. 4), c.p.c., non illustrando la Corte di cassazione le norme giuridiche poste a fondamento della decisione assunta.
2. Occorre esaminare subito il secondo motivo di ricorso, il quale, rilevandosi fondato, rende superfluo l’esame degli altri, da ritenersi assorbiti.
3. Come già evidenziato da questa Corte (v. da ultimo Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 30496 del 18/10/2022), nella disciplina del rapporto tra l’azione civile e quella penale, il criterio regolatore generale è quello dell'"accessorietà" e della "subordinazione" della prima rispetto alla seconda, criterio che trova fondamento «nelle esigenze, di interesse pubblico, connesse all'accertamento dei reati e alla rapida definizione dei processi», e che ha quale naturale implicazione quella per cui l'azione civile, ove esercitata all'interno del processo penale, «è destinata a subire tutte le conseguenze e gli adattamenti derivanti dalla funzione e dalla struttura» di questo processo (così Corte cost., n. 182 del 30 luglio 2021, n. 182; in precedenza già Corte cost., n. 176 del 3 aprile 2019, e Corte cost., n. 12 del 29 gennaio 2016).
Tale criterio regolatore generale trova la sua principale espressione nell’art. 538, comma 1, c.p.p., il quale individua il presupposto indispensabile della «decisione» del giudice penale sulla domanda per le restituzioni o il risarcimento del danno proposta con la costituzione di parte civile, nella pronuncia di una sentenza di condanna penale dell'imputato, escludendo conseguentemente che la predetta decisione possa essere resa in costanza di una pronuncia di proscioglimento, sia essa di assoluzione che di non doversi procedere.
Nel sistema del codice di procedura penale vigente, la regola subisce rare eccezioni, tra cui è compresa quella stabilita dall'art.622 c.p.p., per effetto del quale, nel giudizio di cassazione, se gli effetti penali della sentenza di merito sono ormai cristallizzati e su di essi è sceso il giudicato, la cognizione sulla pretesa risarcitoria e restitutoria si scinde completamente dall'accertamento della responsabilità penale e viene compiuta, in sede rescindente, dalla Corte di legittimità e, in sede rescissoria, dal giudice civile di merito.
4. In tutte le ipotesi di scostamento dalla regola dell'accessorietà, l'accertamento condotto sull'illecito civile è completamente autonomo e non risente dell'esito del diverso accertamento già compiuto (e ormai definito) sull'illecito penale. Ove, infatti, l'accertamento della responsabilità penale sia stato ormai compiuto con esito positivo o negativo e risulta cristallizzato in una pronuncia definitiva di condanna (come può accadere nella prima delle due fattispecie contemplate dall'art. 622 c.p.p.) o di proscioglimento (come senz'altro accade nella seconda fattispecie contemplata dal medesimo art. 622 c.p.p.), il giudice investito della cognizione sulla domanda civile risarcitoria (sia esso lo stesso giudice penale che ha pronunciato il proscioglimento sia esso il giudice civile competente per il merito all'esito della fase rescindente svoltasi dinanzi alla Corte di legittimità) non è chiamato ad accertare, neppure in via meramente incidentale, se si sia integrata la fattispecie tipica contemplata dalla norma incriminatrice in cui si iscrive il fatto di reato di volta in volta contestato e se da essa siano derivate conseguenze dannose, patrimoniali o non patrimoniali ai sensi dell’art. 185 c.p.. Egli è invece chiamato a verificare se si sia integrata la diversa fattispecie atipica dell'illecito civile in tutti i suoi elementi costitutivi secondo il disposto dell’art.2043 c.c. (Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 30496 del 18/10/2022).
Il giudizio di responsabilità civile, in sintesi, deve impingere unicamente sugli elementi costitutivi dell'illecito civile, senza dover riguardare, neppure incidenter tantum, la responsabilità penale dell'imputato per il reato già contestatogli, l'accertamento sul quale è ormai definito ed immodificabile (così Corte cost., n. 182 del 30 luglio 2021; Cass., Sez. 3, n. 8997 del 21 marzo 2022 e Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 30496 del 18/10/2022).
5. In particolare, con riguardo all'aspetto "soggettivo" dell'illecito, il giudice non deve accertare l'elemento psicologico specifico richiesto ai fini dell'integrazione del reato, ma qualsivoglia degli elementi (dolo o colpa) dell'azione o dell’omissione che qualificano sul piano psicologico la condotta illecita aquiliana (Cass., Sez. 3, n. 25917 del 15 ottobre 2019; Cass., Sez. 3, n. 457 del 13 gennaio 2021).
La condanna civile, pertanto, potrà essere pronunciata anche quando emerge la colpa in luogo del dolo richiesto per integrare la fattispecie di reato (Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 30496 del 18/10/2022).
La valutazione della colpa deve essere effettuata alla stregua non già del canone penalistico, imperniato sulla dimensione soggettiva di rimproverabilità della condotta (coerente con il principio di colpevolezza di cui all'art. 27 Cost.), bensì di quello civilistico "oggettivato", riferito, in caso di colpa generica, a un modello standard di comportamento, enucleato dal criterio della diligenza ex art. 1176 c.c. (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 22515 del 10/09/2019).
Deve, in particolare, essere individuato il contenuto e la portata della regola cautelare di condotta cui conformarsi, in funzione, precipua, del c.d. "agente modello" (e cioè dell'homo eiusdem generis et condicionis), in grado di svolgere al meglio, anche in base all'esperienza collettiva, il compito assunto (evitando i rischi prevedibili e le conseguenze evitabili).
Ciò implica, pertanto, la definizione dell'evento lesivo nei suoi termini essenziali e la verifica se esso, ex ante, nelle circostanze date, potesse essere previsto ed evitato dall'agente modello mediante il rispetto della regola cautelare.
6. Tutto ciò premesso, appare evidente l'illegittimità dell'impugnata sentenza in questa sede impugnata.
6.1. Si deve tenere presente che gli attuali controricorrenti sono stati imputati dei reati di cui agli artt. 473 e 474 c.p. per avere concorso con G. L. e M. C. nella contraffazione del marchio “F.”, cui è seguita la messa in vendita nel mercato statunitense di prodotti commercializzati con nomi similari a quello del prodotto contraffatto.
In particolare, i controricorrenti sono stati accusati, rispettivamente, di avere ideato e realizzato la veste grafica delle etichette recanti i marchi contraffatti (M.), per avere stampato tali etichette (D.) e per avere confezionato prodotti (vasetti di confetture, marmellate e creme alimentari) su cui venivano apposte tali etichette (I., P., O.).
6.2. Gli stessi controricorrenti sono stati assolti dai reati come sopra contestati per difetto dell’elemento psicologico (dolo), ma ritenuti responsabili, ai fini civili, dal giudice di appello con sentenza cassata dal giudice di legittimità per vizio di motivazione, seguita dalla decisione nuovamente assunta dal giudice del rinvio, in questa sede impugnata, che invece ha escluso la sussistenza dell’elemento psicologico (dolo o colpa) necessario per configurare l’illecito.
In particolare, la Corte d’appello, dopo aver preso atto della controversa questione relativa ai poteri del giudice del rinvio ex art. 622 c.p.p. nella ricostruzione della fattispecie, ai fini della verifica della sussistenza della responsabilità civile, ha ritenuto che, comunque, non vi erano elementi idonei a far ritenere la consapevolezza in capo ai controricorrenti dei comportamenti dannosi posti in essere dai due imputati principali, né che potessero comunque rendersene conto, perché era stata apparecchiata una situazione di apparenza dal parte del M. e del G., i quali avevano fatto credere ai controricorrenti che l’attività ad essi commissionata rientrava in un’operazione di distribuzione dei prodotti della Rigoni di Asiago s.p.a. negli U.S.A. con il placet di quest’ultima società, il cui legale rappresentante all’epoca era (apparentemente) compartecipe della Rigoni USA Inc. (pp. 10-11 della sentenza impugnata).
A tale constatazione la Corte d’appello ha fatto seguire l’illustrazione degli elementi considerati rilevanti per il raggiungimento di tali conclusioni e l’esplicitazione delle ragioni per cui ha ritenuto gli elementi indiziari evidenziati dalla parte civile inidonei a far mutare convincimento (pp. 11- 14 della sentenza impugnata).
La medesima Corte ha, così, ritenuto che «…Alla luce di quanto rappresentato non ricorrono i presupposti per ritenere né che gli attuali appellati (ad esclusione del G.) fossero, sia pure ai soli fini civili, consapevoli corresponsabili del reato loro contestato, secondo i criteri stabiliti nella sentenza rescindente, né che gli stessi potessero e dovessero avere contezza, con l’uso dell’ordinaria diligenza pretendibile, dei comportamenti ingannatori posti in essere dal M. e dal G., che costituiscono il presupposto delle attività materiali da essi realizzate. …» (pp. 14-15 della sentenza impugnata).
6.3. Come sopra evidenziato, tuttavia, ai fini della configurazione della responsabilità civile, la valutazione della colpa dev'essere effettuata alla stregua non già del canone penalistico, imperniato sulla dimensione soggettiva di rimproverabilità della condotta (coerente con il principio di colpevolezza di cui all'art. 27 Cost.), bensì di quello civilistico "oggettivato", riferito a un modello stadard di comportamento, enucleato dal criterio della diligenza ex art. 1176 c.c. e parametrato sul cd. agente modello, come sopra descritto, da riferirsi a ciascuno dei soggetti indicati.
6.4. Si consideri che l’affidamento incolpevole è stato esaminato dalla giurisprudenza di legittimità in fattispecie in cui è stata invocata la responsabilità civile da fatto illecito ex art. 2049 c.c. del soggetto falsamente rappresentato nei confronti del terzo che aveva fatto affidamento in ordine al potere di rappresentanza del falsus procurator. In tali ipotesi la S.C. ha evidenziato che il principio dell'apparenza del diritto, mediante il quale viene tutelato l'affidamento incolpevole del terzo che abbia contrattato con colui che appariva legittimato ad impegnare altri, trova operatività alla duplice condizione che sussista la buona fede di chi ne invoca l'applicazione e un comportamento almeno colposo di colui che ha dato causa alla situazione di apparenza (così Cass., Sez. 3, Sentenza n. 23448 del 04/11/2014; v. anche Cass., Sez. 3, Sentenza n. 18519 del 13/07/2018).
Lo stesso principio è stato diffusamente applicato in tema di responsabilità contrattuale (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 23448 del 04/11/2014; Cass., Sez. 3, Sentenza n. 15645 del 23/06/2017).
In tema di pagamento al creditore apparente, poi, questa Corte ha rilevato che il principio dell'apparenza del diritto impone trova applicazione quando sussistono uno stato di fatto difforme dalla situazione di diritto ed un errore scusabile del terzo circa la corrispondenza del primo alla realtà giuridica, sicché il giudice deve procedere all'indagine non solo sulla buona fede del terzo, ma anche sulla ragionevolezza del suo affidamento, che non può essere invocato da chi versi in una situazione di colpa, riconducibile alla negligenza, per aver trascurato l'obbligo, derivante dalla stessa legge, oltre che dall'osservanza delle norme di comune prudenza, di accertarsi della realtà delle cose, facilmente controllabile (cfr. Cass., Sez. 1, Sentenza n. 6563 del 05/04/2016, ove la S.C. ha escluso l'operatività del menzionato principio in favore del Comune, che, ignorando le risultanze catastali, aveva corrisposto il risarcimento del danno per occupazione acquisitiva ai precedenti proprietari in esecuzione di una sentenza definitiva di condanna, senza che nel relativo giudizio avesse eccepito il loro difetto di legittimazione attiva o integrato il contraddittorio nei confronti dell'attuale proprietario, nonostante le diffide già ricevute da quest'ultimo, munito di titolo contrattuale già trascritto, la cui validità era in corso di accertamento giudiziale).
In tale ottica, si è precisato che il principio dell'apparenza del diritto e dell'affidamento, traendo origine dalla legittima e quindi incolpevole aspettativa del terzo di fronte ad una situazione ragionevolmente attendibile, ancorché non conforme alla realtà, non altrimenti accertabile se non attraverso le sue esteriori manifestazioni, non è invocabile nei casi in cui la legge prescrive speciali mezzi di pubblicità mediante i quali sia possibile controllare con l'ordinaria diligenza la consistenza effettiva dell'altrui potere, come accade nel caso di organi di società di capitali regolarmente costituiti, fermo restando che, anche in tale ipotesi, il principio dell'affidamento può essere invocato, qualora il potere sulla cui esistenza si assume di aver fatto incolpevolmente affidamento possa sussistere indipendentemente dalla sua regolamentazione statutaria e possa essere conferito per determinati atti e senza particolari formalità (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 12273 del 14/06/2016; Cass., Sez. 1, Sentenza n. 10297 del 29/04/2010).
6.5. Con speciale riferimento alle ipotesi di contraffazione del marchio altrui, questa Corte ha da tempo affermato che le situazioni soggettive, quali il dolo, la colpa, la buona fede, di chi usa un marchio altrui senza averne il diritto, assumono rilevanza ai fini dell'accoglimento o meno dell'azione (personale) di concorrenza sleale e di risarcimento del danno proposta contro il responsabile, mentre sono del tutto irrilevanti ai fini dell'azione diretta ad impedire l'usurpazione o la contraffazione del marchio, che è un’azione di carattere reale avente ad oggetto immediato e diretto la tutela della titolarità esclusiva del bene immateriale destinato al servizio di un'impresa, nei confronti di chiunque ponga in essere un fatto oggettivamente lesivo di quella titolarità, indipendentemente dalla sua buona fede (v. già Cass., Sez. 1, Sentenza n. 3828 del 06/06/1983).
L'accertamento di concreti fatti materiali di concorrenza sleale, cui sono riconducibili le condotte in questa sede prospettate in virtù dell’art. 2598, n. 1), c.c., comporta, comunque, la presunzione di colpa prevista dall’art. 2600, comma 3, c.c., che onera l'autore degli stessi della dimostrazione dell'assenza dell'elemento soggettivo ai fini dell'esclusione della sua responsabilità (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 25921 del 23/12/2015; v. anche Cass., Sez. 3, Sentenza n. 3209 del 28/06/1978; Cass., Sez. 1, Sentenza n. 3400 del 14/12/1973).
6.6. Nel caso di specie, pertanto, per ritenere scusabile l’ipotizzato affidamento ingenerato nei controricorrenti dalla condotta considerata come ingannatoria degli altri due imputati (M. e G.), il giudice di merito avrebbe dovuto prima di tutto accertare, secondo il criterio di diligenza e del cd. “agente modello”, quale avrebbe dovuto essere il comportamento del professionista incaricato dell’ideazione di nuove etichette (M.) e dell’imprenditore coinvolto nella loro realizzazione (D.), come pure di quello incaricato del confezionamento dei prodotti recanti tali etichette (I., P., O.). Solo in questo modo avrebbe potuto verificare se effettivamente poteva ritenersi che tali soggetti avessero incolpevolmente ritenuto che la società rappresentata dal M. fosse legittimata a operare sul marchio “F.” in ragione di un effettivo e valido consenso della (omissis) s.p.a., prestato nel rispetto delle norme che riguardano l’utilizzazione del marchio altrui.
Tale accertamento avrebbe dovuto essere effettuato, come sopra evidenziato, tenendo conto del criterio dell'homo eiusdem generis et condicionis e cioè della condotta che un professionista e un imprenditore di diligenza media avrebbe tenuto in condizioni simili.
7. In conclusione, il primo motivo di ricorso deve essere accolto in applicazione dei seguenti principi di diritto:
“In tema di annullamento da parte del giudice di legittimità della sentenza penale ai soli effetti civili, il rinvio ex art. 622 c.p.p. determina una piena translatio del giudizio sulla domanda risarcitoria, ove la valutazione della colpa dev'essere effettuata alla stregua non già del canone penalistico, imperniato sulla dimensione soggettiva di rimproverabilità della condotta, bensì di quello civilistico ‘oggettivato’, riferito a un modello standard di comportamento, enucleato dal criterio della diligenza ex art. 1176 c.c. e parametrato sul cd. agente modello.”
“In tema di risarcimento dei danni cagionati dalla contraffazione di segni distintivi, l'accertamento di concreti fatti materiali di concorrenza sleale di cui all’art. 2598, n. 1), c.c., comporta la presunzione di colpa prevista dall’art. 2600, comma 3, c.c., che onera l'autore degli stessi della dimostrazione dell'assenza dell'elemento soggettivo da valutarsi secondo il canone civilistico ‘oggettivato’, riferito a un modello standard di comportamento, enucleato dal criterio della diligenza ex art. 1176 c.c. e parametrato sul cd. agente modello.”
8. La sentenza impugnata deve conseguentemente essere cassata nei limiti del motivo accolto e, assorbiti gli altri, la causa deve essere rinviata alla Corte d’appello di L’Aquila, in diversa composizione, anche per la decisione sulle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte
accoglie il secondo motivo di ricorso e, assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata nei limiti del motivo accolto e rinvia la causa alla Corte d'appello di L’Aquila, in diversa composizione, anche per la decisione sulle spese del giudizio di legittimità.