La Cassazione accoglie infatti un'interpretazione della locuzione in senso funzionale, nel senso della predisposizione di risorse, non solo umane ma anche semplicemente materiali, le quali, per caratteri, dimensioni, quantità ed arredi o per altri profili, vengano ad incentivare la consumazione sul posto.
La vicenda trae origine dal decreto ingiuntivo emesso su richiesta del Comune nei confronti di una società alla quale era stato contestato di non aver aggiornato la registrazione al S.I.A.N. a seguito dell'esercizio di attività di somministrazione di alimenti e bevande in motivo dell'autorizzazione all'esercizio ricevuta dal vicinato.
A fronte di ciò, il Tribunale...
Svolgimento del processo
1. Con sentenza n. 1362/2020 del 24 settembre 2020, il Tribunale di Venezia ha respinto l’appello proposto dal COMUNE DI V. avverso la sentenza del Giudice di Pace di Venezia 413/2019, la quale, a propria volta, aveva accolto l’opposizione proposta dalla società O. E. II SNC DI M. K. H. & C., avverso l’ordinanza-ingiunzione n. 3909/2016 del 7 aprile 2017, con la quale il medesimo COMUNE DI V. aveva contestato all’opponente la violazione dell’art. 6, comma 2, Reg. CE 852/2004 in relazione all’art. 9 dell’All. A, Decreto Dir. Reg. 140/2008, L.R. Veneto n. 29/2007 per omesso aggiornamento della registrazione al S.. a seguito dell’esercizio di attività di somministrazione di alimenti e bevande a fronte di un’autorizzazione all’esercizio di vicinato.
2. Il Tribunale, disattese le eccezioni preliminari in rito sollevate dall’appellata, ha ritenuto che la mera presenza, nei locali dell’appellata, di tavolini e sedie che i clienti potevano impiegare per la consumazione dei pasti non fosse di per sé sufficiente a configurare l’attività medesima come vera e propria attività di ristorazione con somministrazione di alimenti e bevande, risultando la stessa compatibile con una mera attività di vicinato.
3. Per la cassazione della sentenza del Tribunale di Venezia ricorre ora il COMUNE DI V..
Resiste con controricorso O. E. II SNC DI M. K. H. & C.
4. La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma dell’art. 380 bis.1, c.p.c.
5. La società controricorrente ha depositato memoria.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è affidato a quattro motivi.
1.1. Con il primo motivo il ricorso, in relazione all’art. 360, n. 5, c.p.c., denuncia, testualmente la “insufficiente e/erronea motivazione. Mancato o insufficiente esame delle contestazioni sollevate dal Comune di V.. Error in iudicando – Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c.”:
Il Comune ricorrente impugna la decisione del Tribunale nella parte in cui la stessa ha escluso lo svolgimento di attività di ristorazione sulla scorta della sola circostanza dell’assenza di servizio ai tavoli, affermando che in tal modo il Tribunale sarebbe incorso in un vizio di ultrapetizione, omettendo peraltro di motivare su una ulteriore serie di elementi che invece erano stati indicati dall’appellante.
1.2. Con il secondo motivo il ricorso, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., deduce la violazione e falsa applicazione dell’artt. 10 L.R. 29/2007, nonché la “motivazione errata e contraddittoria”.
Il ricorrente si duole del fatto che il Tribunale, nella propria decisione, abbia omesso di considerare una serie di elementi fattuali e di argomentazioni, dalle quali emergeva che l’attività svolta dalla ricorrente esulava da quella contemplata dalla L.R. 29/2007, in quanto gli avventori avevano la facoltà di sedersi ai tavoli – e non a meri piani di appoggio – e di consumare le pietanze anche con l’accompagnamento di bevande alcoliche.
1.3. Con il terzo motivo il ricorso, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 3, comma 1, lett. f-bis), D.L. 223/2006.
Si sostiene con esso che il Tribunale avrebbe interpretato ed applicato erroneamente la norma invocata, ritenendo che la sua applicazione sia esclusa dalla mera assenza di servizio ai tavoli, laddove, per contro, sarebbe configurabile un servizio di somministrazione anche in assenza di personale a ciò destinato, dovendosi invece operare una valutazione complessiva delle modalità con le quali viene svolta l’attività stessa.
1.4. Con il quarto motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 3, comma 1, lett. f-bis), D.L. 223/2006.
Si argomenta, nuovamente, al riguardo che la decisione impugnata sarebbe incorsa in una errata interpretazione ed applicazione dell’art. 3, comma 1, lett. f-bis), D.L. 223/2006, in quanto si sarebbe basata su una ricostruzione errata del concetto di “servizio assistito”.
2. Il primo motivo di ricorso è inammissibile.
Quanto alle doglianze relative alla “insufficiente e/o erronea motivazione”, si deve rammentare che, in seguito alla riformulazione dell'art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., disposta dall'art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del "minimo costituzionale" richiesto dall'art. 111, sesto comma, Cost., individuabile nelle ipotesi - che si convertono in violazione dell'art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c. e danno luogo a nullità della sentenza - di "mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale", di "motivazione apparente", di "manifesta ed irriducibile contraddittorietà" e di "motivazione perplessa od incomprensibile", mentre al di fuori di tali ipotesi il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un "fatto storico", che abbia formato oggetto di discussione e che appaia "decisivo" ai fini di una diversa soluzione della controversia (Cass. Sez. 1 - Ordinanza n. 7090 del 03/03/2022; Cass. Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 22598 del 25/09/2018; Cass. Sez. 3 - Sentenza n. 23940 del 12/10/2017).
Nel caso in esame, tuttavia, anche il profilo dell’omesso esame ex art. 360, comma primo, n. 5), c.p.c. – che comunque non è stato oggetto di formale richiamo – risulterebbe inammissibile, alla luce del principio per cui con la deduzione di omesso esame di un fatto storico che sia stato oggetto di discussione tra le parti, ed abbia carattere decisivo il ricorrente non può limitarsi a denunciare l’omesso esame di elementi istruttori, ma deve indicare l’esistenza di uno o più fatti specifici, il cui esame è stato omesso, il dato, testuale o extratestuale, da cui essi risultino, il “come” ed il “quando” tali fatti siano stati oggetto di discussione processuale tra le parti e la loro decisività (Cass. Sez. 1 - Sentenza n. 7472 del 23/03/2017).
Quanto alle doglianze relative alla violazione dell’art. 112 c.p.c., le stesse si presentano di assoluta genericità ed in sostanza si traducono, ancora una volta, nel dolersi della mancata valutazione di difese ed argomentazioni e non di una effettiva violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, il quale deve ritenersi violato ogni qual volta il giudice, interferendo nel potere dispositivo delle parti, alteri uno degli elementi obiettivi di identificazione dell'azione (petitum e causa petendi), attribuendo o negando ad uno dei contendenti un bene diverso da quello richiesto e non compreso - nemmeno implicitamente o virtualmente - nell'ambito della domanda o delle richieste delle parti.
3. Parimenti inammissibile è il secondo motivo di ricorso.
L’inammissibilità discende, in primo luogo, dalla deduzione di una “motivazione errata e contradditoria”, in relazione alla quale devono essere richiamati i medesimi principi già enunciati in sede di esame del primo motivo di ricorso.
Nel suo residuo tenore, il motivo di ricorso si traduce poi in un inammissibile sindacato della valutazione delle prove operata dal Tribunale, ponendosi in conflitto con il principio, enunciato da questa Corte, per cui, nel procedimento civile, sono riservate al giudice del merito l'interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, il controllo dell'attendibilità e della concludenza delle prove, la scelta, tra le risultanze probatorie, di quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, nonché la scelta delle prove ritenute idonee alla formazione del proprio convincimento, risultando -conseguentemente- insindacabile la valutazione in base alla quale il giudice di secondo grado sia pervenuto a un giudizio logicamente motivato, diverso da quello formulato dal primo giudice (Cass. Sez. 2 - Ordinanza n. 21187 del 08/08/2019; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1554 del 28/01/2004).
4. Il terzo ed il quarto motivo di ricorso possono essere esaminati congiuntamente, stante la loro sostanziale convergenza sul profilo della violazione o falsa applicazione dell’art. 3, comma 1, lett. f-bis), D. L. n. 223/2006, e sono invece fondati
L’art. 3, comma 1, lett. f-bis), D. L. n. 223/2006 viene ad individuare, tra i “limiti e prescrizioni” non applicabili per lo svolgimento delle attività di somministrazione di alimenti e bevande, anche “f-bis) il divieto o l'ottenimento di autorizzazioni preventive per il consumo immediato dei prodotti di gastronomia presso l'esercizio di vicinato, utilizzando i locali e gli arredi dell'azienda con l'esclusione del servizio assistito di somministrazione e con l'osservanza delle prescrizioni igienico-sanitarie”, escludendo in tal modo dall’applicazione della previsione l’ipotesi della somministrazione con “servizio assistito”.
La decisione impugnata ha ritenuto di adottare una interpretazione restrittiva del concetto di “servizio assistito”, riferendolo alla necessaria presenza di personale impiegato nei locali ed incaricato del compito di ricevere le ordinazioni o comunque di portare agli avventori seduti ai tavoli le pietanze oggetto di ordinazione.
Ritiene, tuttavia, questa Corte che l’interpretazione adottata dalla decisione impugnata non possa essere condivisa, dal momento che la stessa viene a circoscrivere in modo eccessivo l’ambito della previsione con esiti fattuali concreti che risulterebbero palesemente abnormi, consentendo, ad esempio, di ricomprendere nella fattispecie anche le ipotesi di svolgimento di attività in locali di ampie dimensioni e con un numero elevato di tavoli a disposizione dei clienti, e cioè in situazioni nelle quali la qualificazione dell’attività come mera somministrazione e non ristorazione appare contrastante con il dato di immediata evidenza fattuale.
Si deve invece ritenere – come peraltro affermato nella giurisprudenza amministrativa in alcuni precedenti (Cons. Stato 31/12/2019, n. 8923; Cons. Stato 15/04/2020, n. 2427) – che la locuzione "servizio assistito di somministrazione" non possa essere limitato alla presenza del c.d. servizio da sala, e cioè alla presenza di personale dipendente dell’esercente avente il compito di ricevere le ordinazioni o di recare le pietanze al tavolo presso cui sono seduti gli avventori.
L’espressione, invece, deve essere intesa in un senso complessivamente funzionale, e cioè – come efficacemente ricostruito dal Consiglio di Stato – nel senso della “predisposizione di risorse, non solo umane ma anche semplicemente materiali, che siano di servizio al cliente assistendolo per consumare confortevolmente sul posto (cioè: non meramente in piedi) quanto acquistato in loco”, consistendo tali risorse anche in attrezzature ed arredi che, distinti dalla mera predisposizione di semplici mensole e sgabelli, vengano ad agevolare, se non a rendere prevalente, quella modalità di consumo che comunque dovrebbe essere recessiva ed occasionale.
La predisposizione di un apparato – “di caratteri, dimensioni, quantità e arredi”, per mutuare i parametri già individuati dal Consiglio di Stato - che invece agevola o addirittura incentiva la consumazione sul posto, inducendo quindi gli avventori a percepire l’esercizio commerciale come luogo ove la consumazione sul posto è sostanzialmente connaturata e non secondaria, vale evidentemente a presentare ai clienti – e far operare – l’attività come vera e propria ristorazione, collocandola al di fuori delle attività in relazione alle quali il legislatore ha voluto stabilire un regime di liberalizzazione, incidendo sul piano della regolamentazione generale del commercio dell'area e sul discrimine reale tra attività liberalizzate e attività non liberalizzate, come già osservato dal Consiglio di Stato.
I caratteri del “servizio assistito” potranno invece essere esclusi quando il complessivo apparato di attrezzature presente nei locali – anche in virtù del rapporto tra la superficie da essi occupata e la superficie complessiva dell’esercizio commerciale - consenta, sì, una consumazione sul posto, ma in modo limitato e con caratteri tali da evidenziare il carattere meramente accessorio della consumazione medesima rispetto all’attività principale di vendita da asporto di bevande ed alimenti, la quale deve in ogni caso costituire l’attività largamente prevalente.
5. Poiché la decisione impugnata non si è conformata a tali principi, il ricorso deve essere accolto in relazione al terzo e quarto motivo, previa inammissibilità dei primi due, e la sentenza qui impugnata deve essere cassata con rinvio al Tribunale di Venezia in persona di diverso magistrato, il quale, si conformerà al seguente principio:
“L’espressione “servizio assistito” di cui all’art. 3, comma 1, lett. f-bis), D.L. n. 223/2006 deve essere intesa non come riferita esclusivamente alla presenza di personale dipendente dell’esercente avente il compito di ricevere le ordinazioni o di recare le pietanze al tavolo presso cui sono seduti gli avventori, bensì in senso funzionale, e quindi nel senso della predisposizione di risorse, non solo umane ma anche semplicemente materiali, le quali, per caratteri, dimensioni, quantità ed arredi o per altri profili, vengano ad incentivare la consumazione sul posto, inducendo quindi gli avventori a percepire l’esercizio come luogo ove la consumazione sul posto è sostanzialmente connaturata e non secondaria, e quindi configurando l’attività come vera e propria ristorazione, potendosi invece escludere i caratteri del “servizio assistito” quando il complessivo apparato di attrezzature presente nei locali – anche in virtù del rapporto tra la superficie da essi occupata e la superficie complessiva dell’esercizio commerciale - consenta, sì, una consumazione sul posto, ma in modo limitato e con caratteri tali da evidenziare il carattere meramente accessorio della consumazione medesima rispetto all’attività principale di vendita di bevande ed alimenti da asporto, la quale deve in ogni caso costituire l’attività largamente prevalente”.
Il Tribunale, quindi, dovrà procedere a verificare ulteriormente le caratteristiche specifiche dell’attività svolta dalla controricorrente alla luce del principio testé enunciato, provvedendo anche in ordine alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il terzo e quarto motivo di ricorso e dichiara inammissibili il primo e secondo motivo;
cassa l'impugnata sentenza in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, al Tribunale di Venezia, in persona di diverso magistrato.