Tale prescrizione decorre dalla data di scadenza del titolo. Inoltre, sempre secondo la nuova disciplina, la Cassa Depositi e Prestiti ha facoltà di disporre il rimborso dei crediti prescritti a favore dei titolari dei buoni fruttiferi postali che ne facciano richiesta.
Svolgimento del processo
1. A.C. ha domandato e ottenuto dal Giudice di pace di Avellino un decreto ingiuntivo per l’importo di euro 1.032,91, oltre interessi; la pretesa aveva ad oggetto il rimborso di due buoni postali fruttiferi del valore complessivo di lire 2.000.000 (pari, in euro, alla somma sopra indicata).
Poste Italiane s.p.a. ha proposto un’opposizione, resistita dall’ingiungente, che il Giudice di pace ha respinto.
2. Il gravame proposto avverso la pronuncia di primo grado è stato rigettato. Il Tribunale di Avellino ha infatti ritenuto che la prescrizione decennale del credito per il rimborso avesse termine iniziale nel 1° gennaio 2006: a tal fine ha attribuito rilievo all’annotazione, presente sui titoli, secondo cui la prescrizione decorreva dal 1° gennaio successivo all’anno in cui sarebbe cessata la fruttuosità; in conseguenza, essendo i titoli scaduti il 21 marzo 2005, e decorrendo, appunto, la prescrizione dal 1° gennaio successivo, la prescrizione si era a suo avviso utilmente interrotta con la costituzione in mora posta in atto dall’appellante l’11 agosto 2015.
3. Ricorre per cassazione, con due motivi, Poste Italiane. Resiste con controricorso A.C..
Motivi della decisione
1. Col primo motivo è denunciata la violazione o falsa applicazione dell’art. 8, comma 1, d.m. 19 dicembre 2000, dell’art. 3, comma 4, lett. e), d.m. 5 dicembre 2003 e dell’art. 23 d.P.R. n. 398/2003. Si deduce che il cit. art. 8 ha modificato sia la decorrenza del computo del termine di prescrizione, che ora prende le mosse dalla data di scadenza del titolo, sia la durata della prescrizione, che attualmente è di dieci anni. In conseguenza, secondo il ricorrente, il diritto al rimborso di controparte si sarebbe prescritto in data 22 marzo 2015, prima che intervenisse alcun atto interruttivo della prescrizione. Col secondo mezzo si oppone la violazione o falsa applicazione degli artt. 2934, 2935 e 2946 c.c., dell’art. 3, comma 4, lett. c), d.m. 5 dicembre 2003 e dell’art. 23 d.P.R. n. 398/2003. Si deduce, in sintesi, che la Corte di merito avrebbe ritenuto operante una prescrizione superiore ai dieci anni in assenza di alcuna norma di legge che la prevedesse.
2. Nel controricorso è stato eccepito che, stante il valore della causa, non eccedente l’importo di euro 1.100,00, le censure proponibili col ricorso per cassazione devono intendersi circoscritte a quanto consente la natura equitativa del giudizio (posto che, appunto, il giudice di pace doveva giudicare secondo equità, giusta l’art. 113, comma 2, c.p.c.).
Ora, le sentenze rese dal giudice di pace in cause di valore non eccedente gli euro 1.100,00, salvo quelle derivanti da rapporti giuridici relativi a contratti conclusi mediante moduli o formulari di cui all'art. 1342 c.c., sono da considerare sempre pronunciate secondo equità, ai sensi dell'art. 113, comma 2, c.p.c. (Cass. 19 gennaio 2021, n. 769; Cass. 3 aprile 2012, n. 5287; cfr. pure: Cass. 9 luglio 2020, n. 14609; Cass. 12 dicembre 2006, n. 26528). Il fatto, poi, che il tribunale, adito quale giudice d'appello, abbia mancato di rilevare l'inammissibilità del gravame, giacché proposto per motivi esorbitanti quelli deducibili ai sensi dell'art. 339, terzo comma, c.p.c.., come sostituito dall'art. 1 del d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, non esclude che, proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza d'appello, lo stesso debba necessariamente dedurre l'inosservanza delle norme sul procedimento, ovvero delle norme costituzionali o comunitarie, o dei principi regolatori della materia, pena la sua inammissibilità ex artt. 339, terzo comma, e 360, primo comma, n. 3), c.p.c. (Cass. 24 febbraio 2015, n. 3715).
Nella specie, tuttavia, il giudizio di equità è escluso dalla riserva posta dall’art. 113, comma 2, c.p.c. quanto alle cause «derivanti da rapporti giuridici relativi a contratti conclusi secondo le modalità di cui all’articolo 1342 del codice civile». Infatti, la regola di esclusione dal giudizio secondo equità, prevista dall'art. 113, comma 2, c.p.c., per le controversie di valore non eccedente 1.100.00 euro derivanti da rapporti giuridici relativi a contratti conclusi secondo le modalità di cui all'art. 1342 c.c., si estende anche a quelle che traggono origine dalla sottoscrizione di buoni postali fruttiferi, venendo in rilievo rapporti connotati dalla posizione dominante dell'emittente e la conseguente necessità che tali controversie siano trattate applicando regole uguali per tutti i fruitori del servizio, secondo la modulistica prestampata predisposta dalle Poste, che richiama le condizioni generali di contratto definite per regolare una serie indefinita di rapporti con i risparmiatori (Cass. 10 novembre 2021, n. 33033).
La controricorrente fa pure questione dell’autosufficienza del ricorso: ma pure tale eccezione deve disattendersi, posto che l’atto di impugnazione della sentenza di appello contiene tutte le indicazioni utili per dar conto sia della vicenda sostanziale che interessa, sia della decisività delle censure sollevate.
3. I due motivi di ricorso, convergenti nel denunciare l’illegittimità della decisione con cui è stata negato il compimento della prescrizione, sono fondati.
La decorrenza del termine prescrizionale, su cui verte il ricorso per cassazione, assume rilievo dirimente nella controversia in esame, posto che l’atto di costituzione in mora dell’odierna controricorrente, recapitato a Poste Italiane il 7 settembre 2015, sarebbe suscettibile di essere apprezzato quale valido atto interruttivo della prescrizione se la stessa avesse iniziato il suo corso il 1° gennaio 2006 (come ritenuto dal Tribunale), mentre non avrebbe impedito l’estinzione del diritto se la prescrizione stessa avesse iniziato a decorrere dal 21 marzo 2005 (come opposto dalla ricorrente).
In base all’art. 176 d.P.R. n. 156/1973, i buoni postali fruttiferi potevano essere riscossi entro la fine del trentesimo anno solare successivo a quello di emissione. Dal 1° gennaio successivo, i buoni non riscossi cessavano di essere fruttiferi ed erano rimborsati a richiesta dell'avente diritto entro il termine di prescrizione di cinque anni.
L’articolo è stato abrogato dall’art. 7 del d.lgs. n. 284/1999, a decorrere dalla data di entrata in vigore dei decreti che dovevano stabilire nuove caratteristiche dei libretti di risparmio postale e dei buoni fruttiferi postali.
In seguito, l’art. 8 d.m. 19 dicembre 2000 ha disposto:
«I diritti dei titolari dei buoni fruttiferi postali si prescrivono a favore dell'emittente trascorsi dieci anni dalla data di scadenza del titolo per quanto riguarda il capitale e gli interessi.
«La Cassa depositi e prestiti ha facoltà di disporre, con apposita delibera del consiglio di amministrazione, il rimborso dei crediti prescritti a favore dei titolari dei buoni fruttiferi postali che ne facciano richiesta».
A norma dell’art. 10, comma 2, dello stesso decreto ministeriale, infine, «[l]e disposizioni recate dai commi 1 e 2 del precedente art. 8 si applicano anche alle serie dei buoni postali fruttiferi già emesse alla data di entrata in vigore del presente decreto, per le quali non si siano compiuti i termini di prescrizione previsti dalla normativa previgente». Per effetto di tali disposizioni la prescrizione (che non si fosse consumata) dei buoni postali fruttiferi di precedenti emissioni è stata rimodulata sia con riguardo alla durata (estesa da cinque a dieci anni), sia alla decorrenza (individuata non più nel 1° gennaio dell’anno successivo a quello in cui i buoni potevano essere riscossi, ma nella «data di scadenza del titolo»).
Ora, la conclusione cui è pervenuto il Tribunale porta, in sintesi, a una ibridazione della nuova disciplina con la vecchia, preservando il termine di durata decennale contemplato dalla prima e importando dalla seconda la regolamentazione della decorrenza della prescrizione. Una tale operazione non è evidentemente consentita. Né essa può ritenersi giustificata, come opinato nella sentenza, dall’arresto di Cass. Sez. U. 15 giugno 2007, n. 13979. Tale pronuncia riguardava fattispecie del tutto diversa da quella in esame. Nella circostanza le Sezioni Unite ebbero infatti ad affermare il principio per cui il vincolo contrattuale tra emittente e sottoscrittore dei titoli si forma sulla base dei dati risultanti dal testo dei buoni di volta in volta sottoscritti: con la conseguenza ¿ è stato affermato ¿ che il contrasto tra le condizioni, in riferimento al saggio degli interessi, apposte sul titolo, e quelle stabilite dal decreto ministeriale che ne dispone l'emissione deve essere risolto dando la prevalenza alle prime.
Si osserva, del resto, che, in linea di principio, le norme sulla prescrizione non sono derogabili (art. 2936 c.c.), onde non possono essere superate da contrarie disposizioni negoziali.
Se, poi, in una prospettiva diversa, che privilegia il dato normativo, si considera che la previsione del termine di decorrenza correlato alla data del 1° gennaio dell’anno successivo a quello in cui cessa la fruttuosità, stampigliato sui titoli, altro non è che la trasposizione, sui buoni stessi, della disposizione sulla decorrenza della prescrizione contenuta nell’abrogato art. 176 d.P.R. n. 156/1973 ¿ disposizione non più in vigore, al pari di quella sulla durata (da quinquennale a decennale) ¿ il risultato ultimo cui porterebbe la valorizzazione del contesto letterale dei titoli, operata dal Tribunale, consisterebbe in quella inaccettabile commistione delle distinte discipline della prescrizione, succedutesi nel tempo, di cui si è in precedenza detto. Si consentirebbe, così, alla controricorrente di giovarsi, al contempo, dell’allungamento del termine di prescrizione stabilito dalla nuova disposizione e del differimento della decorrenza della prescrizione stessa contemplato dalla normativa non più in vigore. Né è concludente il rilievo, speso nel controricorso di A.C., secondo cui la fissazione del termine di decorrenza della prescrizione si risolverebbe in un pactum de non petendo. Di una tale pattuizione la sentenza impugnata non parla, né questa Corte può compiere un accertamento di fatto al riguardo. Peraltro, l’argomento speso non potrebbe evitare la cassazione della pronuncia, perché delle due l’una. O era l’abrogato art. 176 del d.P.R. n. 156/1973 ad escludere l’esigibilità della prestazione in data anteriore al 1° gennaio di scadenza del buono: e allora quel che rileva è la prescrizione normativa, la quale, siccome non più vigente, era inapplicabile alla data del 21 marzo 2005, quando i buoni vennero a scadere; oppure il cit. art. 176 non conteneva alcun divieto quanto all’esazione della prestazione a partire dal momento in cui i titoli erano scaduti: e allora non si vede come possa darsi un diverso significato alla presenza, sui buoni, di una formula che replicava, nella sostanza, il contenuto della norma in questione.
4. La sentenza impugnata va pertanto cassata, con rinvio della causa al Tribunale di Avellino, in persona di altro magistrato; il Giudice del rinvio regolerà le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese processuali, al Tribunale di Avellino, che giudicherà in diversa composizione.