
Svolgimento del processo
Il Tribunale di Bari con decreto del 5 giugno 2018 respinse il ricorso proposto per la revoca dell’assegno di mantenimento in favore della figlia maggiorenne.
Il provvedimento è stato confermato dal decreto della Corte d’appello di Bari in data 3 novembre 2020, n. 1169, reso in sede di reclamo.
Ha ritenuto la corte territoriale, per quanto ancora rileva, che il reclamante non abbia fornito la prova dell’insussistenza del diritto al mantenimento, atteso che la figlia, di anni 22 anni all’epoca della concessione dell’assegno, aveva conseguito il titolo di parrucchiera e nel 2017 si era anche sposata, ma ancora non ha reperito un’occupazione, senza che il padre abbia provato che ciò sia avvenuto per colpa di questa; del resto, il matrimonio non ne ha comportato anche l’indipendenza economica, godendo il marito di uno stipendio insufficiente e ricorrendo entrambi ancora al mantenimento dei rispettivi genitori, né l’attività di conduzione di cani, saltuariamente svolta dalla figlia, è presuntivamente provato che le procuri anche un reddito.
Avverso il decreto viene proposto ricorso per cassazione, sulla base di tre motivi.
Si difende con controricorso l’intimata.
Le parti hanno depositato anche la memoria.
Motivi della decisione
l. – I motivi di ricorso devono essere come di séguito riassunti:
1) violazione degli artt. 2697 c.c., 115 e 116 c.p.c., ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., perché la corte territoriale ha invertito l’onere probatorio, ritenendo gravante sul padre l’onere di provare la colpevole inerzia della figlia, che non si è attivata al fine di reperire un impiego, sebbene da tempo maggiorenne ed in possesso della qualificazione professionale di parrucchiera, del tutto idonea al reperimento di un lavoro;
2) omesso esame di fatto decisivo, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., dal momento che vi erano in atti elementi probatori, da cui risultava che la stessa comunque percepisce un reddito quale dog sitter, e non avendo considerato il fatto rilevante del suo matrimonio, indice della raggiunta maturità affettiva e personale, non potendo dunque sopravvivere un obbligo di mantenimento a carico del genitore;
3) violazione degli artt. 148, 316-bis, 337-septies e 2697 c.c., 115 e 116 c.p.c., ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., non avendo la corte territoriale affatto considerato il principio della c.d. autoresponsabilità della figlia maggiorenne, la quale aveva già 24 anni ed il cui mantenimento non può comunque correlarsi al mero mancato conseguimento di una occupazione del tipo auspicato.
2. – Mentre il secondo motivo è inammissibile – proponendo il vizio di omesso esame ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., in presenza di una c.d. doppia conforme e denunciando la pretermessa valutazione di fatti, viceversa dal giudice esaminati – il primo ed il terzo motivo, da vagliare insieme in quanto vertenti sulla identica questione, sono fondati.
2.1. – Il decreto impugnato, con motivazione sbrigativa e di stile, ha affermato che nel caso concreto, a fronte della prova della maggiore età della figlia (nata nel 1996, quindi al momento della pronuncia di appello di anni 24), dell’ormai conseguito titolo professionale di parrucchiera ed addirittura dell’avere essa contratto matrimonio sin dall’età di 21 anni, la medesima ha tuttavia ancora diritto al mantenimento, e ciò in quanto il padre non avrebbe assolto all’onere della prova, sul medesimo gravante, circa “la colpa” o “la scelta” della figlia nel restare priva di un reddito da lavoro, che pure avrebbe avuto gli strumenti per conseguire.
2.2. – Tale modus procedendi viola i principi di diritto affermati dalla Corte.
Ed invero, se non è possibile fissare in astratto un termine finale di persistenza dell’obbligo di mantenimento del figlio maggiorenne, tuttavia, ove sia raggiunta un’età nella quale il percorso formativo e di studi è nella normalità dei casi ampiamente concluso, cessa la debenza dell’assegno, con onere del figlio di provare le ragioni individuali specifiche che giustifichino la situazione di soggetto ancora non autosufficiente: restando a carico del richiedente l’onere provare che l’inerzia sia incolpevole, ossia gli “ostacoli personali” impedienti (come li qualifica Cass. 22 giugno 2016, n. 12952), con riguardo vuoi allo stesso conseguimento di «un livello di competenza professionale e tecnica» idoneo al reperimento di un lavoro, vuoi al «suo impegno rivolto al reperimento di una occupazione nel mercato del lavoro» (Cass. 7 ottobre 2022, n. 29264; Cass. 3 dicembre 2021, n. 37366; Cass. 20 agosto 2020, n. 17380); pertanto, il figlio, divenuto maggiorenne, ha diritto al mantenimento a carico dei genitori soltanto se, ultimato il prescelto percorso formativo scolastico o universitario, dimostri con onere probatorio a suo carico di essersi adoperato per rendersi autonomo economicamente, impegnandosi attivamente per trovare un’occupazione in base alle opportunità reali offerte dal mercato del lavoro e ciò, se del caso, anche ridimensionando le proprie aspirazioni, senza indugiare nell’attesa di una opportunità lavorativa consona alle proprie ambizioni (cfr. Cass. 7 ottobre 2022, n. 29264; Cass. 14 agosto 2020, n. 17183).
Premesse e corollari del principio esposto sono i seguenti:
a) la valutazione va compiuta in concreto, con criteri di rigore proporzionalmente crescente in rapporto all’età dei beneficiari, in modo da escludere che tale obbligo assistenziale, sul piano giuridico, possa essere protratto oltre ragionevoli limiti di tempo e di misura verso il c.d. figlio ultramaggiorenne, ossia il figlio adulto;
b) il dovere di ricercare l’autonomia economica impone di accettare occupazioni anche non perfettamente rispondenti alle aspettative e pur in attesa di positive evoluzioni;
c) dal momento che obbligo educativo e obbligo di mantenimento sono tendenzialmente tra di loro connessi, l’avere il figlio contratto matrimonio non è circostanza che può essere svalutata dal giudice del merito, essendo al contrario un importante indice di una raggiunta autonomia di vita e di scelte, la quale esclude il perdurante diritto-dovere di educare, palesando una raggiunta indipendenza verso importanti opzioni di vita, la quale, salvo casi eccezionali, da allegare e provare con onere in capo al richiedente, confligge con la pretesa di conservare, nel contempo, un diritto al mantenimento ad oltranza a carico dei genitori pure con riguardo alla nuova famiglia;
d) il principio dell’autoresponsabilità è il cardine dell’intera vicenda.
Si tratta di un orientamento di corretta esegesi normativa ed equilibrio degli interessi di tutte le persone interessate, come regolate dall’ordinamento positivo: dovendosi ribadire, come di recente precisato dalle Sezioni unite di questa Corte, che «[l]a valutazione in sede interpretativa non può spingersi sino alla elaborazione di una norma nuova con l’assunzione di un ruolo sostitutivo del legislatore. La giurisprudenza non è fonte del diritto», nel contempo rilevando che «[l]a giurisprudenza, nell’interpretazione e nell’applicazione della legge, dà vita al testo normativo e dà contenuto alle clausole generali, elaborando la regola del caso concreto e poi reiterando la regola del caso nelle successive decisioni» e sottolineando l’importanza di una «coerenza degli orientamenti giurisprudenziali, giacché le nuove frontiere dell’interpretazione che aspirino a offrire stabilità e certezza non conseguono a bruschi cambiamenti di rotta, ma sono il frutto di un progredire nel dialogo con i precedenti, con le altre Corti e con la cultura giuridica» (Cass., sez. un., 30 dicembre 2022, n. 38162).
2.3. – Nella specie, la corte territoriale non ha interpretato ed applicato correttamente le regole positive: dal momento che, da un lato, ha posto a carico del genitore, richiesto del mantenimento, la prova della colpevolezza della condotta d’inerzia della figlia, sebbene questa, ormai parrucchiera, non risulti avere messo a frutto sul mercato del lavoro la formazione conseguita; e, dall’altro lato, non ha adeguatamente considerato la circostanza della scelta della medesima, risalente ormai a molti anni addietro, di unirsi in matrimonio costituendo un nuovo nucleo familiare, di per sé indicativa di una maturità affettiva e personale, tale da doversi accompagnare vieppiù alla diligente e coerente ricerca di un lavoro.
3. – In accoglimento del primo e del terzo motivo del ricorso, il decreto impugnato va cassato, con rinvio innanzi alla Corte d’appello di Bari, in diversa composizione, perché riesamini alla luce dei ricordati principî il materiale probatorio in atti, rivalutando all’attualità la situazione della giovane; alla medesima Corte demanda anche la liquidazione delle spese di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo ed il terzo motivo del ricorso, inammissibile il secondo; cassa il decreto impugnato e rinvia la causa innanzi alla Corte d’appello di Bari, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di legittimità.
In caso di diffusione della sentenza, si omettano le generalità e i dati identificativi delle parti e degli altri soggetti in essa menzionati, ai sensi dell’art. 52 d.lgs. n. 196 del 2003.