Come afferma la Cassazione, la mera presentazione di un'offerta in aumento rispetto al prezzo di aggiudicazione non integra un elemento sufficiente a sospendere la vendita, e ciò anche qualora il prezzo ottenuto sia il frutto di una procedura competitiva, poiché ciò solo non vale a rendere il prezzo “giusto”.
Il commissario liquidatore del concordato preventivo di una società in liquidazione disponeva una procedura di vendita competitiva dell'opificio industriale. I beni venivano quindi sottoposti a vendita senza incanto ai sensi degli
Svolgimento del processo
1. – Il commissario liquidatore del Concordato Preventivo della D. I. L. T. s.r.l. in liquidazione, aperto presso il Tribunale di Avellino, disponeva una procedura di vendita competitiva dell’opificio industriale, il cui valore di stima a prezzi di mercato ammontava a complessivi € 2.297.800,00, di cui € 1.800.000,00 per l’immobile ed € 497.800 per i macchinari; il prezzo base, per effetto dei ribassi indotti da pregressi tentativi infruttuosi di vendita, veniva indicato in € 941.178,88.
1.1. – I beni venivano sottoposti a vendita senza incanto ai sensi degli artt. 569 e 572 c.p.c. e aggiudicati il 28/02/2017 a P. G. e R. G., al prezzo di euro 706.000,00.
1.2. – In data 10/03/2017, la società D. s.r.l., in persona del legale rappresentante R. G., formulava un’offerta di acquisto migliorativa irrevocabile, pari a € 777.000,00, versando una cauzione del 10%, e chiedeva che il commissario giudiziale e/o il commissario liquidatore sospendessero la vendita ai sensi dell’art. 107 comma 4, l.f. o, in subordine, che il giudice delegato sospendesse le operazioni di vendita ai sensi dell’art. 108 l.f., per espletare una gara tra la D. s.r.l. e gli aggiudicatari.
1.3. – In data 20/04/2017 anche la società in concordato D. I. L. T. s.r.l. in liquidazione, in persona del legale rappresentante A. L. G., proponeva istanza ex art. 108 l.f. e, a fronte del diniego del giudice delegato, proponeva reclamo, ritenendo sussistenti i “gravi e giustificati motivi” per disporre l’invocata sospensione.
1.4. – Il tribunale, premesso che l’unico presupposto di applicabilità dell’art. 108 l.f. ai fini della sospensione della procedura di aggiudicazione è la sussistenza di una notevole sproporzione tra il prezzo giusto e quello offerto, ha rigettato il reclamo, osservando che, nonostante l’offerta migliorativa presentata, il prezzo di aggiudicazione, peraltro formatosi in esito a quattro esprimenti di vendita deserti, doveva ritenersi giusto.
2. – A. L. G., per la D. I. L. T. s.r.l. in liquidazione, impugna la decisione con ricorso per cassazione per due motivi, illustrati da memoria, cui resistono la procedura di Concordato preventivo della medesima società, con controricorso illustrato da memoria, e i sigg.ri G. P. e R.; l’intimata D. s.r.l. non svolge difese.
Motivi della decisione
2.1. – Con il primo motivo parte ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 107 e 108 l.fall. e del principio generale per cui le vendite concorsuali devono perseguire l’obiettivo del prezzo giusto e congruo (nonché del massimo realizzo possibile), per avere il tribunale ritenuto che il “prezzo giusto” fosse non già quello di stima ai valori di mercato, bensì quello di aggiudicazione – nella specie inferiore di un milione e centomila euro rispetto al primo (circa il 60%) – per il semplice fatto che erano andati deserti ben quattro esperimenti di vendita; al contrario, la presentazione di un’offerta migliorativa rappresentava proprio l’indice della sproporzione (per difetto) del prezzo di aggiudicazione rispetto a quello “giusto”.
2.2. – Con il secondo mezzo si denuncia la «nullità del provvedimento impugnato per motivazione apparente, illogica, perplessa, in violazione dell’art. 111, comma 6, Costituzione e dell’art. 132 c.p.c.», in quanto non sarebbe dato comprendere per quale ragione: i) il maggiore realizzo conseguente all’offerta migliorativa sarebbe stato frutto di “considerazioni teoriche”, a fronte del sicuro maggior realizzo (corrispondente almeno al 10% rispetto al prezzo di aggiudicazione, pari a 70 mila euro che si sarebbe conseguito disponendo l’indizione di una nuova gara; ii) la mancata presentazione di offerte alle precedenti aste dovrebbe considerarsi significativa della «scarsa appetibilità del bene a quel prezzo», essendo note le strategie degli operatori del settore di mandare deserte le aste proprio per ottenere il ribasso del prezzo di vendita; iii) «l’esaurimento della proceduta liquidatoria in tempi più` brevi (rispetto all’ipotesi della riapertura della vendita)» avrebbe assunto preminenza rispetto all’offerta migliorativa.
3. – Entrambi i motivi sono infondati e vanno rigettati.
4. – Sicuramente non ricorre il vizio di nullità del provvedimento impugnato per apparenza e illogicità della motivazione, denunciato con il secondo motivo.
4.1. – Si tratta infatti di un error in procedendo che ricorre solo a fronte dei gravissimi vizi individuati dalle sezioni unite di questa Corte, le quali hanno chiarito che la riformulazione dell'art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. (disposta dall'art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134), deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall'art. 12 delle preleggi, come riduzione al "minimo costituzionale" del sindacato di legittimità sulla motivazione, con la conseguenza che è denunciabile in cassazione solo l'anomalia motivazionale che: i) si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all'esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; ii) consista esclusivamente nella "mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico", nella "motivazione apparente", nel "contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili" e nella "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile", esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di "sufficienza" della motivazione (Cass. Sez. U, 8053/2014; conf. Cass. 7090/2022, 22598/2022).
4.2. – In altri termini, ricorre un simile vizio solo quando la motivazione, benché graficamente esistente, non renda in alcun modo percepibile il fondamento della decisione, perché fondata su argomentazioni assolutamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento (ex multis, Cass. 2001/2023, 6758/2022).
4.3. – Nel caso di specie, invece, il provvedimento impugnato reca un tessuto motivazionale comprensibile, sicuramente superiore al "minimo costituzionale" sopra declinato, poiché consente di enucleare le ragioni della decisione (v. sopra, sub 1.4), come comprova il fatto che le stesse siano state oggetto delle specifiche censure veicolate dal primo mezzo.
5. – Anche il primo motivo è, come detto, infondato.
5.1. – L'art. 108 l.fall. (come riformato dall'art. 95 del d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5) – dettato in tema di liquidazione dell'attivo fallimentare ma richiamato in ambito concordatario, nei limiti di compatibilità, dall’art. 182, comma 5, l.fall. – attribuisce al giudice delegato il potere discrezionale di sospendere le operazioni di vendita, su istanza del fallito, del comitato dei creditori o di altri interessati (e previo parere del comitato dei creditori), qualora ricorrano gravi e giustificati motivi, nonché, su istanza degli stessi soggetti, di impedire il perfezionamento della vendita, anche dopo l’aggiudicazione, «quando il prezzo offerto risulti notevolmente inferiore a quello giusto, tenuto conto delle condizioni di mercato». In questo secondo caso occorre quindi che sussista una notevole sproporzione tra il prezzo di aggiudicazione e quello “giusto” – da individuare non in astratto, ma in concreto, anche alla luce della contingente situazione del mercato di riferimento, senza che però la legge indichi un rigoroso criterio quantitativo cui correlare la conseguente determinazione, la quale resta perciò affidata al prudente apprezzamento del giudice (Cass. 34457/2022, 669/2017, 16755/2010).
5.2. – Analogamente, l’art. 107, comma 4, l.fall. (come riformato dall'art. 94 del d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, e parimenti richiamato dall’art. 182, comma 5 l.fall.), che consente al curatore fallimentare di sospendere la vendita ove pervenga offerta irrevocabile d'acquisto migliorativa, per un importo non inferiore al dieci per cento del prezzo offerto, attribuisce al predetto organo un potere discrezionale circa la valutazione dell'effettiva convenienza della sospensione (e del conseguente rinnovo della procedura liquidatoria) che non si basa su di un mero calcolo matematico, ma può sorreggersi anche su considerazioni di natura non strettamente economica (come l'opportunità di procedere ad una rapida chiusura della procedura concorsuale), con la conseguenza che detto potere discrezionale, ove non appaia fondato su presupposti palesemente errati o su motivazioni manifestamente illogiche o arbitrarie, si sottrae al sindacato giurisdizionale (Cass. 5203/2014).
5.3. – Si tratta di due norme complementari, di cui l’una (l’art. 107) mirata a ottenere il più` consistente risultato dalla vendita, al fine di soddisfare nel migliore dei modi l'interesse del ceto creditorio, l’altra (l’art. 108) diretta a fornire un rimedio nel caso in cui, nonostante il rispetto dei criteri di stima, pubblicità` e competizione, l'aggiudicazione sia avvenuta a un prezzo che risulta incongruo, rendendo perciò opportuna la rinnovazione della vendita, per conseguire un risultato più in linea con il mercato.
5.4. – Ciò posto, va subito detto che la sola presentazione di un'offerta in aumento rispetto al prezzo di aggiudicazione, prima del decreto di trasferimento, pur rappresentando un significativo parametro di valutazione, non può integrare, di per sé, un elemento sufficiente a giustificare la sospensione della vendita, a meno che l'inferiorità del prezzo rispetto a quello “giusto” non sia desumibile anche da altri elementi (Cass. 11352/2020; conf. Cass. 1610/2009, specificamente richiamata dal giudice a quo, ove si è esclusa la sussistenza della notevole sproporzione a fronte di una offerta migliorativa del 20%, doppia a quella per cui è causa).
5.5. – Specularmente, il solo fatto che il prezzo ottenuto sia il risultato di una procedura competitiva (espletatasi attraverso uno o più tentativi) non è di per sé sufficiente a ritenere che quel prezzo sia "giusto", pena lo svuotamento della portata della norma, che richiede comunque una valutazione comparativa proprio del prezzo così ottenuto, rispetto a quello a quello "giusto", al fine di verificare che tra essi non vi sia una notevole sproporzione.
5.6. – Difatti, il potere del giudice delegato di impedire il perfezionamento della vendita, previsto dall'art. 108, comma 1, l.fall., è subordinato ad una valutazione circa l'inadeguatezza – in termini di sproporzione, per notevole inferiorità – del prezzo di aggiudicazione rispetto a quello "giusto", avuto riguardo ai valori di mercato in un determinato ambito geografico, all'epoca in cui la procedura competitiva è stata espletata (Cass. 19604/2022).
L’aggiunta, all’originario parametro del «prezzo giusto», delle «condizioni di mercato» delle quali si deve tener conto per la sua individuazione, esprime la chiara volontà` del legislatore di ipostatizzare la valutazione discrezionale del giudice, di modo che il concetto di "giusto prezzo" non corrisponda a un valore astratto, ma sia saldamente ancorato allo specifico contesto storico, geografico ed economico della vendita.
Per risultare correttamente esercitato, il potere discrezionale del giudice di impedire il perfezionamento della vendita deve quindi essere sorretto dall'espressione di una valutazione coerente con il disposto normativo e idonea a giustificarne l'esercizio, con riferimento alle finalità cui la sua attribuzione risponde.
6. – Nel caso di specie, il collegio del reclamo, dopo aver richiamato la giurisprudenza di questa Corte che non assegna valore decisivo alla presentazione di un’offerta in aumento, tanto più se limitata al 10% (al di là del fatto che il punto 6 del bando di vendita prevedeva che non sarebbero state prese in considerazione le offerte pervenute alla conclusione della gara), e dopo aver evidenziato che l’aggiudicazione aveva fatto seguito a quattro aste deserte (sintomo di un’eccedenza del valore di stima rispetto a quello reale e della scarsa appetibilità dell’immobile sul mercato), ha ritenuto che il prezzo di aggiudicazione non fosse notevolmente inferiore a quello “giusto”, tenuto conto degli esiti di analoghe procedure competitive di vendita (sorrette da adeguata pubblicità commerciale) e di vendite realizzate nell’ambito di altre procedure concorsuali nella zona di riferimento, relative ad opifici aventi la stessa destinazione, tutti venduti a prezzi di gran lunga inferiori ai valori di stima.
Il collegio ha poi valorizzato il vantaggio, a fronte dell’esigua offerta in aumento, della possibilità di chiusura della procedura in tempi più brevi, nonché l’assenza di garanzie di adempimento, sottolineando che la tessa società reclamante non aveva mai sollevato alcun rilievo sui ribassi praticati nei precedenti tentativi di vendita.
6.1. – Una simile motivazione, che non si pone in contrasto con il formante giurisprudenziale di cui sopra si è dato conto, esprime una valutazione sussumibile nel prudente apprezzamento rimesso al giudice nell’esercizio del potere discrezionale in disamina.
6.2. – E’ comunque indiscutibile che la semplice presentazione di un’offerta in aumento, specie se di entità contenuta, come nel caso di specie, non sia sufficiente a far ritenere provata la notevole sproporzione del prezzo di aggiudicazione rispetto al giusto valore del bene, in mancanza di ulteriori elementi concreti, idonei a metterne in discussione la congruità, o quantomeno a far dubitare della regolarità della procedura.
7. – Può essere utile un accenno alla casistica elaborata nell’ambito delle espropriazioni immobiliari, con riguardo all’analogo potere di sospensione della vendita, attribuito dall'art. 586 c.p.c. (nel testo novellato dall'art. 19 bis della legge n. 203 del 1991) al giudice dell'esecuzione, dopo l'aggiudicazione, quando il prezzo offerto è notevolmente inferiore a quello giusto; potere ritenuto esercitabile, esemplificativamente, quando: a) si verifichino fatti nuovi successivi all'aggiudicazione; b) emerga che nel procedimento di vendita si siano verificate interferenze illecite di natura criminale che abbiano influenzato il procedimento, ivi compresa la stima stessa; c) il prezzo fissato nella stima posta a base della vendita sia stato frutto di dolo scoperto dopo l'aggiudicazione; d) vengano prospettati, da una parte del processo esecutivo, fatti o elementi che essa sola conosceva anteriormente all'aggiudicazione, non conosciuti né conoscibili dalle altre parti prima di essa, purché costoro li facciano propri, adducendo tale tardiva acquisizione di conoscenza come sola ragione giustificativa per l'esercizio del potere del giudice dell'esecuzione (Cass. 18451/2015). Tali ipotesi non ricorrono nella fattispecie in esame.
7.1. – Si è altresì ritenuto che non integra un prezzo ingiusto di aggiudicazione, idoneo a fondare la sospensione prevista dall'art. 586 c.p.c., quello che sia anche sensibilmente inferiore al valore posto originariamente a base della vendita, ove questa abbia avuto luogo in corretta applicazione delle norme di rito, né si deducano gli specifici elementi perturbatori della correttezza della relativa procedura elaborati dalla giurisprudenza, tra cui non si possono annoverare l'andamento o le crisi, sia pure di particolare gravità, del mercato immobiliare (Cass. 11116/2020, 29018/2021).
7.2. – Anche di recente è stato ribadito che l'esercizio del potere di sospensione della vendita, previsto dall'art. 586 c.p.c., può essere esercitato solo in presenza di fatti sopravvenuti all'aggiudicazione, non precedentemente conosciuti o conoscibili da parte del giudice, oppure in presenza di un'invalidità del procedimento di vendita tale da determinare l'accoglimento di un'offerta non corrispondente al giusto prezzo (quello che la regolare sequenza procedimentale avrebbe consentito di conseguire), non già per sanare ripensamenti o distrazioni, poiché ne resterebbero altrimenti vulnerati sia la certezza del diritto e la speditezza dell'esecuzione, sia l'affidamento dell'aggiudicatario negli atti e nelle attività della procedura (Cass. 1639/2023).
8. – Sul tema è infine appena il caso di ricordare che il nuovo art. 217, comma 1, del Codice della crisi e dell’insolvenza – pur non applicabile alla fattispecie in esame – dopo aver ribadito che «il giudice delegato, su istanza del debitore, del comitato dei creditori o di altri interessati, previo parere dello stesso comitato dei creditori, può sospendere, con decreto motivato, le operazioni di vendita, qualora ricorrano gravi e giustificati motivi ovvero, su istanza presentata dagli stessi soggetti entro dieci giorni dal deposito di cui all’articolo 216, comma 9, impedire il perfezionamento della vendita quando il prezzo offerto risulti notevolmente inferiore a quello ritenuto congruo» – in luogo di «quello giusto, tenuto conto delle condizioni di mercato», ex art. 108 comma 1 l.fall. – ha introdotto alcuni parametri per orientare e circoscrivere l’esercizio di questo potere discrezionale, aggiungendo che, «se il prezzo offerto e` inferiore, rispetto a quello indicato nell’ordinanza di vendita, in misura non superiore ad un quarto, il giudice delegato può impedire il perfezionamento della vendita in presenza di concreti elementi idonei a dimostrare che un nuovo esperimento di vendita può consentire, con elevato grado di probabilità, il conseguimento di un prezzo perlomeno pari a quello stabilito».
Questo secondo periodo sta a significare che, qualora il prezzo di aggiudicazione non sia inferiore di oltre il 25% al prezzo stabilito nell’ordinanza di vendita, il potere del giudice delegato di sospendere la vendita può essere esercitato solo in presenza di “concreti elementi” che siano idonei a dimostrare – con un “elevato grado di probabilità” – che un nuovo esperimento di vendita consenta di ritrarre un prezzo “perlomeno pari a quello stabilito” nell’ordinanza di vendita.
In mancanza, viene data prevalenza alle esigenze di speditezza e di stabilità delle operazioni di vendita.
A ben vedere, si tratta di valori che orientano da sempre l’esercizio del potere di sospensione della vendita nelle procedure coattive, individuali e concorsuali, proprio al fine di promuoverne l’affidabilità, volendosi assicurare che, una volta che si sia regolarmente svolta una libera competizione, all’esito di adeguata pubblicità, e che tutti gli interessati siano stati messi nelle condizioni di partecipare, valutando autonomamente il valore relativo del bene e il possibile prezzo da offrire per la sua aggiudicazione, quest’ultima deve poter essere messa in discussione solo in ipotesi eccezionali, che questa Corte, come visto, ha avuto modo di tipizzare in via esemplificativa.
6. – In conclusione, il ricorso va rigettato, con condanna della ricorrente alle spese in favore dei due controricorrenti, liquidate in dispositivo.
7. – Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 115/2002, se dovuto (Cass. Sez. U, 23535/2019, 4315/2020).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.500,00 per compensi in favore del controricorrente Concordato preventivo D. I. L.T. s.r.l. in liquidazione, e in Euro 2.500,00 per compensi in favore dei controricorrenti P. e R. G., in entrambi i casi oltre a spese forfettarie nella misura del 15 per cento, esborsi liquidati in Euro 200,00 e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, ove dovuto.