Nel caso di specie, la minaccia della perdita di lavoro era collegata all’accettazione di uno stipendio inferiore rispetto a quello previsto dal contratto collettivo. Sulla fattispecie di reato in esame, la Cassazione ribadisce che la prescrizione decorre dalla cessazione del rapporto di lavoro illecitamente condotto.
Svolgimento del processo
(omissis) (omissis)ricorre avverso la sentenza della Corte di appello di Palermo del 15/12/2021 (dep. 13/06/2022) che ha confermato la sentenza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Palermo, con cui il ricorrente è stato condannato alla pena di giustizia in ordine al reato di estorsione nei confronti di (omissis)
Avverso la sentenza della Corte di appello di Palermo ricorre anche (omissis) (omissis) la sentenza impugnata confermava la responsabilità penale dell'imputata in ordine al reato di estorsione commesso ai danni di (omissis) (omissis) nonché, in accoglimento dell'appello della parte civile, riformava la sentenza assolutoria di primo grado, affermando la responsabilità civile della ricorrente anche nei confronti di 1. Ricorso di (omissis) (omissis)
1.1. «Inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 158 md. pen., anche in relazione all'art. 81, comma 2, cod. pen. e manifesta illogicità della motivazione». La censura attiene alla corretta qualificazione giuridica del delitto estorsivo, erroneamente ritenuto permanente, anziché istantaneo ad effetti permanenti, con le conseguenti ricadute sulla prescrizione delle condotte contestate, avendo la Corte di merito fatto riferimento, quale data di consumazione del reato, «al 31/12/2010» (la contestazione formale è dal mese di maggio 2005 al mese di dicembre 2010), benché dall'istruttoria non fosse emerso alcun elemento che riconduceva all'imputata condotte delittuose successive al giugno 2007 (in riferimento a (omissis) (omissis) all'ottobre 2005 (in riferimento a (omissis) (omissis) al novembre 2007 (in riferimento (omissis) (omissis)
Con riguardo, poi, alle persone offese per le quali non vi era prova sul momento in cui sarebbe stata profferita la minaccia di licenziamento, si sarebbe dovuto fare riferimento, per il principio del favor rei, al momento iniziale dei rapporti lavorativi, risalenti al maggio 2005, allorché erano stati stipulati i contratti a cui non avrebbe fatto poi seguito la corresponsione di quanto dovuto.
Errato era poi l'argomento utilizzato dalla sentenza impu9nata per escludere rilievo gall'eccezione difensiva, ossia che il primo giudice non avrebbe apportato alcun aumento di pena ai fini della continuazione interna, considerando invece che, a fini sanzionatori, l'aver ritenuto le singole estorsioni frutto di un'azione unitaria prolungata nel tempo, aveva comportato, pe1· ciascuna di esse, aumenti di pena pari a mesi due di reclusione ed euro 200,00 di multa, sulla pena base stabilita con riferimento all'estorsione ritenuta più grave (quella in danno di (omissis) (omissis)
1.2. «Inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 158 cod. pen., anche in relazione all'art. 81, comma 2, cod. pen. e manifesta illogicità della motivazione». Ai fini di un corretto calcolo della prescri1zione - anche qualora si accedesse all'unicità del reato estorsivo - andava chiarito che tutte le persone offese, per come precisato in sentenza (v. pag. 65), avevano lavorato alle dipendenze dell'imputata sino al 31 luglio 2010 e non al dicembre 2010 come contestato. Infatti, l'unico rapporto lavorativo che era proseguito dopo tale data era quello di A.R., ma si trattava di episodio di cui non si poteva tenere conto agli effetti penali, essendo stato ascritto all'imputata - su impugnazione della parte civile - ai soli fini della responsabilità civile, essendo la ricorrente stata assolta all'esito del giudizio di primo grado.
1.3. «Vizio di motivazione» con riguardo alle deduzioni difensive relative alle condotte estorsive contestate ai danni di (omissis) (omissis) (minaccia di licenziamento con inizio nell'ottobre 200!:i), logicamente incompatibili con l'aumento salariale alla medesima corrisposto.
1.4. «Inosservanza ed erronea applicazione della legge penale e erronea qualificazione giuridica del fatto costituente reato».
Si lamenta la mancata riconducibilità dei fatti in danno delle persone offese (omissis) e (omissis) nell'alveo della fattispecie di cui all'art. 393 cod. pen., sul rilievo che al momento dell'assunzione erél stato alle medesime comunicato l'importo effettivo del salario mensile che avrebbero percepito rispetto a quello riportato nel contratto collettivo, condizioni che erano state accettate. L'esistenza di un precedente accordo, volontario e libero tra le parti, era idoneo a giustificare la posizione dell'imputata di contrasto alle pretese di adeguamento retributivo successivamente avanzate dalle dipendenti. Con la conseguenza che il profitto a cui la ricorrente mirava, consistente nel mantenimento della prestazione retributiva concordata, non poteva definirsi ingiusto.
2. Ricorso di (omissis) (omissis)
2.1. «Inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 158 cod. pen., anche in relazione all'art. 81, comma 2, cod. pen. e manifesta illogicità della motivazione».
2.2. «Inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 158 cod. pen., anche in relazione all'art. 81, comma 2, cod. pen. e manifesta illogicità della motivazione». Si precisa come secondo le dichiarazioni della persona offesa, la stessa sarebbe stata minacciata una sola volta nel giugno 2007 allorquando era dipendente della società: (omissis),.r.l. La circostanza che la persona offesa avesse in seguito stipulato un nuovo contratto con una diversa società (la (omissis) e poi nuovamente con la s.r.l. escludeva, in assenza cli qualsiasi prova in ordine al persistere delle condotte minacciose, il permanere della minaccia e dunque la sussistenza del reato di estorsione in epoca successiva.
2.3. «Inosservanza ed erronea applicazione della legge penale e erronea qualificazione giuridica del fatto costituente reato».
Vedi sub 1.4. motivo articolato dalla coimputata.
3. Il Pubblico ministero, nella persona del Sostituto procuratore generale F.B., con requisitoria del 15/06/2023, ha concluso per l'inammissibilità dei ricorsi.
4. Il difensore e procuratore speciale della parte civile con memoria e conclusioni del 26/06/2023, ha chiesto la conferma della sentenza impugnata e la condanna di(omissis) (omissis) al pagamento delle spese di assistenza e difesa sostenute nel grado come da notula allegata.
5. Il difensore degli imputati, con memoria del 26/06/2023, ha replicato alla requisitoria del P.G., insistendo per l'accoglimento dei ricorsi.
Motivi della decisione
I ricorsi sono inammissibili.
1. Ricorso di (omissis) (omissis)
1.1-1.2. I primi due motivi - con cui si lamenta l'erronea applicazione ed il vizio di motivazione in ordine alla prescrizione del reato - sono manifestamente infondati.
Dalla lettura della sentenza del Giudice per l'udienza preliminare, risulta:
- che l'imputata è stata riconosciuta colpevole del delitto di estorsione facendosi corretta applicazione del principio di diritto affermato dalla Corte di legittimità "Nel caso in cui il datore di lavoro realizzi una serie di comportamenti estorsivi nei confronti dei propri dipendenti, costringendoli ad accettare trattamenti retributivi deteriori e non corrispondenti alle prestazioni effettuate e, in genere, condizioni di lavoro contrarie alla legge ed ai contratti collettivi,
approfittando della situazi4one di mercato in cui la domanda di lavoro sia di gran lunga superiore all'offerta e, quindi, ponendoli in una situazione di condizionamento morale, in cui ribellarsi alle condizioni vessatorie equivalga a perdere il posto di lavoro, è configurabile il reato di estorsione di cui all'art. 629 c.p. L'eventuale accordo contrattuale tra datore di lavoro e dipendente, nel senso di accettazione da parte di quest'ultimo delle suddette condizioni vessatorie, non esclude, di per sé, la sussistenza dei presupposti dell'estorsione mediante minaccia, in quanto uno strumento teoricamente legittimo può essere usato per scopi diversi da quelli per cui è apprestato ,: può integrare, al di là della mera apparenza, una minaccia ingiusta, perché ingiusto è il fine a cui tende, e idonea a condizionare la volontà del soggetto passivo, interessato comunque ad assicurarsi una possibilità di lavoro, altrimenti esclusa per le generali condizioni ambientali o per le specifiche caratteristiche di un particolare settore di impiego della manodopera" (per tutte: Sez. 2, n. 677 del 10/10/2014, dep. 2015, Di Rv. 261553 - 01; Sez. 2, n. 3724 del 29/:1.0/2021, dep. 2022, Lattanzio, Rv. 282521; Sez. 2, n. 28682 del 5/06/2008, Bentivegna, non mass.).
- che, essendo stata esclusa l'aggravante delle persone riunite, il reato si prescrive nel termine massimo di anni dodici e mesi sei;
- che le modalità estorsive, per come precisato nell'imputazione, consistono nel costringere le persone offese - quali dipendenti dei diversi punti vendita delle varie società riconducibili alla ricorrente e al suo nucleo familiare - a sottoscrivere, nel corso dell'esecuzione del rapporto di lavoro, quietanze retributive per un importo che risultava superiore a quello corrisposto mensilmente in contanti;
- che i fatti contestati sono stati ritenuti eseguiti nell'ambito di un medesimo disegno criminoso avente carattere unitario e preordinato;
- che la pena finale di «anni quattro mesi sei e giorni venti di reclusione ed euro 1.800,00 di multa è stata così stabilita: p,b. per il reato di estorsione in danno di·(omissis) (ritenuto in concreto più grave in considerazione delle modalità della condotta) = anni sei di reclusione ed euro 1. 700,00 di multa; aumentata di mesi dieci di reclusione ed euro 1.000,00 di multa per la continuazione ex art. 81 cpv. (un aumento in ragione di mesi due di reclusione ed euro :200,00 di multa per ciascuna delle cinque persone offese oltre la prima) = anni sei e mesi dieci di reclusione ed euro 2.700,00 di multa; infine ridotta come sopra per il rito».
Dalla lettura della sentenza impugnata risulta che la Corte d'appello ha escluso l'estinzione dei reati per prescrizione, sul rilievo che: «non può ritenersi l'estinzione per prescrizione del reato, atteso che, seppur vero che, per i primi fatti, in sé considerati, sarebbe decorso il relativo termine prescrizionale, è pur vero che il primo giudice non ha effettuato alcun aumento di pena, ai sensi dell'art. 81 cpv. c.p., escludendo, quindi, la continuazione interna ed ha, invece, considerato, ai fini sanzionatori, l'azione unitaria e l'ultimo frammento di condotta alla stregua di un'azione prolungata nel tempo (prescrizione ordinaria dicembre 2020, prescrizione prorogata a giugno 2023)"'·
Si tratta di una motivazione che - pur venendo alla corretta esclusione del maturarsi della prescrizione prima della sentenza di appello - va necessariamente corretta in diritto dal Collegio sulla base delle seguenti considerazioni. Correttamente è stata ritenuta dal giudice del merito l'unitarietà di ciascuna condotta estorsiva, in quanto riferibile alla iniziale minaccia, supportata da un'identica causale e in danno della medesima dipendente. La continua corresponsione, nei confronti di ciascuna delle dipendenti, di trattamenti retributivi deteriori e non adeguati alle prestazioni effettuate, in particolare sottoscrivendo anche buste paga attestanti il pagamento di somme maggiori rispetto a quelle effettivamente versate, si deve e si avvale, per la durata dell'intero rapporto di lavoro, dell'iniziale minaccia che ne ha pervaso causalmente e finalisticamente la causa, mutandone scopo e funzione, rendendola asservita, in modo persistente, agli interessi illeciti perseguiti dal datore di lavoro attraverso un collaudato schema societario.
In tema di estorsione, le diverse condotte di violenza e minaccia poste in essere per procurarsi un ingiusto profitto costituiscono autonome ipotesi di reato, consumate o tentate, unificabili con il vincolo della continuazione quando, singolarmente considerate, in relazione alle circostanze del caso concreto, alle modalità di realizzazione e all'elemento temporale, appaiano dotate di una propria completa individualità, dovendosi invece ravvisare - come nei casi in esame - un unico reato allorché i molteplici atti di minaccia costituiscano singoli momenti di un'unica azione (Sez. 2, n. 37297 del 28/06/2019, C., Rv. 277513 - 01).
Di conseguenza, ai fini dell'individuazione della consumazione del reato e del termine necessario a prescrivere, deve aversi riguardo non al momento in cui è stata profferita la minaccia, bensì all'epoca cli cessazione delle singole condotte estorsive realizzate ai danni di ciascuna persona offesa, ossia all'atto della cessazione del rapporto di lavoro (31/07/2010; con esclusione di (omissis) facendosi riferimento all'anno 2011). Con la conseguenza che alla data di deliberazione della sentenza impugnata nessuna delle estorsioni era estinta per prescrizione (la sentenza è stata deliberata il 15/12/2021).
1.3. Il terzo motivo - che lamenta il vizio di motivazione in ordine alla sussistenza dell'estorsione ai danni della, (omissis) (omissis) - è inammissibile, in quanto volto a prefigurare una rivalutazione e/o alternativa rilettura delle fonti probatorie estranea al sindacato di legittimità e avulso da pertinente individuazione di specifici travisamenti di emergenze processuali valorizzate dai giudici di merito. Peraltro, dalla lettura della sentenza impugnata non risulta che la corresponsione di uno stipendio inferiore nion abbia riguardato anche le nuove mansioni attribuite alla dipendente e che l'accettazione di tale tandundem non si ricolleghi invece alle reiterate minacce di licenziamento rivolte dall'imputata.
1.4. Il quarto motivo - che lamenta l'erronea qualificazione giuridica del fatto da ricondursi nella diversa fattispecie di cui all'art. 393 cod. pen. - è, anzitutto, inammissibile poiché dalla lettura della sentenza impugnata risulta che la censura - che involge questioni di fatto - non venne dedotta alla Corte territoriale, essendosi invece in quella sede prospettata la differente questione della derubricazione dell'estorsione in violenza privata. Il motivo è, dunque, nuovo e non deducibile per la prima volta in questa sede.
Inoltre, la doglianza muove da un errato presupposto di fatto, ossia che le persone offese avessero accettato liberamente di percepire u11a somma inferiore a quella stabilita dal contratto collettivo. La Corte di merito ha, invece, escluso una tale evenienza, precisando, riguardo alla (omissis) che si verificò una modifica unilaterale del contratto in senso favorevole per l'imputata, in quanto la dipendente, resasi conto della differenza tra la retribuzione versata e quella dovuta, aveva chiesto un adeguamento dell'importo percepito alla somma riportata sulla busta paga. Parimenti nel senso dell'esclusione di un libero accordo in ordine alle condizioni contrattuali "iniziali" si è argomentato con riguardo alla posizione della (omissis) essendosi precisato che l'accordo prevedeva la promessa di poter percepire nel breve periodo l'importo indicato in busta paga e che la minaccia di licenziamento ad opera dell'imputata seguì la richiesta della dipendente di adeguamento del tantundem c1 quanto effettivamente stabilito tra le parti.
2. Ricorso di (omissis) (omissis)
2.1-2.2. I primi due motivi di ricorso - con cui si lamenta l'erronea applicazione ed il vizio di motivazione con riferimento alle norme in tema di prescrizione del reato - sono manifestamente infondati per le ragioni evidenziate a proposito dei comuni motivi dedotti dalla coimputata.
Peraltro, la difesa assume che la stipulazione, ad opera di lla persona offesa, di successivi contratti di lavoro con altre società, avrebbe fatto venir meno la persistenza dell'iniziale minaccia attribuita é:il ricorrente. La circostanza che la dipendente, subito dopo avere subito la minaccia (nel giugno 2007) allorché lavorava presso la (omissis) abbia stipulato un nuovo contratto di lavoro con la (omissis) (omissis) s.r.l, consentiva di ricondurre nell'alveo estorsivo soltanto le minor retribuzioni erogate dalla prima società, con conseguente prescrizione del reato, dovendosi la data di consumazione far risalire al giugno 2007.
Invero, se si ha riguardo alle sommarie informazioni della dipendente riportate nell'atto di appello, risulta che dopo l'iniziale assunzione a tempo determinato per mesi sei presso la (omissis) s.r.l., venne nuovamente assunta a tempo determinato dal 9 giugno 2007 alle dipendenze della (omissis) (omissis) s.r.l. e, poi, dal 10 ottobre 2007, sempre a tempo determinato nuovamente alle dipendenze di (omissis) s.r.l.; infine, dal 10 aprile 2008 il contratto è stato prorogato di ulteriori sei mesi e l'11 aprile 2009 è stato sottoscritto un contratto di lavoro a tempo determinato sempre alle dipendenze di s.r.l.
Tali successioni contrattuali, però, non sono state ritenute decisive dalle sentenze di merito che hanno, invece, fatto riferimento al dato sostanziale costituito dall'unicità del rapporto di impiego in ragione dell'identità del punto vendita ove la dipendente prestava servizio e della riconducibilità delle diverse società per le quali la medesima lavorava alla sfera societaria dell'imputato e della (omissis)
Inoltre, a corredo della persistenza della minaccia, si è indicato anche il dato, di carattere costante, al quale la persona offesa ha fatto riferimento per l'intera durata del rapporto di lavoro, costituito dalla percezione di una 1·etribuzione inferire a quella concordata, quale logica conseguenza di quell'iniziale minaccia profferita
dall'imputato e, al contempo, riconducibile in modalità immanente, ad uno schema causale di carattere unitario che involgeva l'intero rapporto di lavoro della dipendente, protrattosi dal 28/04/2007 al 31/07/2010. Con lei conseguenza che, dovendosi far risalire la consumazione dell'estorsione all'atto della cessazione del rapporto di lavoro, anche il reato in danno della (omissis) non era prescritto al momento della deliberazione della sentenza di appello.
2.3. Il terzo motivo, in punto di qualificazione giuridica del fatto da ricondursi nell'alveo dell'art. 393 cod. pen. è inammissibile in quante motivo nuovo ed involgente questioni di fatto.
Al riguardo, la Corte territoriale evidenzia come la persona offesa abbia chiesto nel corso dell'esecuzione del contratto il dovuto adeguamento e come la minaccia di licenziamento abbia svolto efficienza causale nel costringerla ad accettare una retribuzione inferiore. Si tratta di una condotta che non si sottrae all'applicazione della fattispecie estorsiva, in quanto non ci si trova dinanzi ad una mera prospettazione di accettare un lavoro sottopagato, ma della corresponsione da parte del datore di lavoro, nella fase esecutiva del contratto, di uno stipendio ridotto rispetto a quanto risultante in busta paga, sotto minaccia della perdita del posto di lavoro, assumendo così il profitto che lo stesso ne ricava natura ingiusta (Sez. 2, n. 21789 del 04/10/2018, dep. 2019, Rv. 275783 - 01, in motivazione pag. 2-3). Quanto alla prospettazione di porre fine al rapporto di lavoro, infatti, giova ricordare che, secondo la giurisprudenza di questa Corte di legittimità in tema di estorsione, la prospettazione dell'esercizio di una facoltà o di un diritto spettante al soggetto agente integra gli estremi della minaccia "contra ius" quando, pur non essendo antigiuridico il male prospettato come conseguenza diretta di tale condotta, si faccia ricorso alla stessa per coartare la volontà altrui ed ottenere scopi non consentiti o risultati non dovuti, né conformi a giustizia (Sez. 6, n. 47895 del 19/06/2014, Rv. 261217; Sez. 2, n. 119 del 04/11/2009, Rv. 246306).
3. In tali termini, nulla aggiungendo di decisivo la memoria difensiva, i ricorsi vanno dichiarati inammissibili. Consegue, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno della somma di euro tremila in favore della Cassa per le ammende, così determinata in ragione dei profili di inammissibilità rilevati.
4. Consegue, altresì, la condanna di (omissis) (omissis) alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile(omissis) liquidate come in dispositivo tenendo conto dell'attività defensionale svolta (produzione di memoria), della notula e delle tariffe legali.
5. La declaratoria di inammissibilità dei ricorsi - non consentendo il formarsi di un valido rapporto di impugnazione - preclude alla Corte di cassazione di rilevare e dichiarare, ai sensi dell'art. 129 cod. proc. pen., la prescrizione dei reati maturata nelle more del procedimento di legittimità (Sez. 2, n. 28848 dell'8/05/2013, Ciaffoni, Rv. 256463; Sez. U, n. 6903 del 27/5/2016, dep. 2017, Aiello, Rv. 268966; Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, Ricci, Rv. 266818; Sez. U,n. 32 del 22/11/2000, D.L., Rv. 217266).
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Condanna, inoltre, (omissis) (omissis) alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile in complessivi euro quattromila, oltre accessori di legge.