Nel caso di specie, l'imputato lamentava la mancanza dell'elemento della sottomissione morale della compagna nei suoi confronti, il che avrebbe dovuto escludere la configurabilità del reato di cui all'art. 572 c.p.. Tuttavia, la Cassazione non è dello stesso avviso.
La Corte d'Appello di Caltanissetta confermava la decisione con la quale il Tribunale aveva ritenuto l'imputato responsabile di diversi reati ai danni dell'allora convivente, tra i quali lesioni personali e maltrattamenti in famiglia.
Contro tale pronuncia, la difesa dell'imputato propone ricorso in Cassazione, dolendosi tra le altre cose della ritenuta sussistenza...
Svolgimento del processo
La Corte di appello di Caltanissetta ha, con sentenza pronunziata in data 23 maggio 2022, integralmente confermato la sentenza con la quale, Il precedente 20 aprile 2021, il Tribunale di Enna, in composizione collegiale, aveva dichiarato la penale responsabilità di TS in ordine a 4 ipotesi di reato aventi ad oggetto una ipotesi di maltrattamenti in famiglia, una ipotesi di violenza sessuale aggravata in danno della allora sua convivente, essendo stato così riqualificato il fatto, originariamente contestato come violenza sessuale tentata, sia pure ritenutane la minore gravità, un'ipotesi di lesioni personali sempre in danno della medesima persona ed, infine, la violazione dell'art. 570 cod. pen., per avere fatto mancare alle figlie minori i mezzi materiali per potersi mantenere in vita.
La Corte di appello nissena ha, altresì, confermato la sentenza di primo grado anche quanto alla determinazione della pena della quale il T è risultato meritevole, essendo stata questa quantificata, unificati reati contestati sotto il vincolo della continuazione, nella misura di anni 3 di reclusione, oltre accessori, ivi compresa la rifusione del danno civile patito dalle costituite parti civili.
Ha interposto ricorso per cassazione la difesa dell'imputato, articolando 5 motivi di impugnazione.
Il primo di essi attiene alla violazione di legge ed al vizio di motivazione in relazione all'avvenuta affermazione della sussistenza del reato di maltrattamenti in famiglia, non essendo stata adeguatamente verificata la necessaria abitualità della condotta maltrattante.
Il secondo motivo di censura attiene alla mancanza dell'elemento oggettivo del reato di cui all'art. 572 cod. pen., per non essere riscontrabile lo stato di soggezione della persona offesa.
Il terzo motivo di ricorso concerne la ritenuta violazione di legge per travisamento della prova in relazione al reato di violenza sessuale ed a quello di lesioni personali.
Con il quarto motivo la ricorrente difesa si è doluta lamentando la violazione di legge ed il vizio di motivazione in ordine alla affermata violazione dell'art. 570 cod. pen.
Infine, con il quinto motivo di ricorso è stato dedotto il vizio di motivazione e di violazione di legge in punto di concreta determinazione del trattamento sanzionatorio irrogato a carico del T.
Motivi della decisione
Il ricorso proposto, essendo risultati infondati, ove non inammissibili, i motivi di impugnazione posti a suo sostegno, deve essere, a sua volta, dichiarato infondato e, pertanto, rigettato.
Prendendo in esame congiuntamente I primi due fra i motivi di ricorso, con i quali è stata censurata, con riferimento al vizio di motivazione ed a quello di violazione di legge, la sentenza impugnata in punto di sussistenza del reato di maltrattamenti in famiglia, si osserva che, più specificatamente, la doglianza del ricorrente riguarda la ritenuta insussistenza sia della reiterazione delle condotte, sia della penosa condizione di vita della persona offesa che dello stato di sottomissione di questa rispetto all'imputato.
Si tratta di doglianze non accoglibili.
Quanto alla prima, premessa la indiscussa qualificazione giuridica del reato in oggetto come reato ,abituale, in relazione al quale, pertanto, è necessaria, affinché le singole condotte che ne compendiano la materialità assurgano al grado di rilevanza penale, che le stesse siano caratterizzate da una loro sistematica iterazione, tanto da avere fatto dire che deve trattarsi di un "sistema di vita di relazione abitualmente doloroso ed avvilente" per il (o i) soggetto passivo del reat0 (così, fra le molte: Corte di cassazione, Sezione VI penale, 17 aprile 1,996, n. 4015), deve, peraltro, rilevarsi, quanto al caso ora in esame che le plurime dichiarazioni rese dalle figlie del ricorrente e puntualmente riportate nella sentenza impugnata, evidenziano una desolante situazione di ripetute ed umilianti vessazioni (fra le quali non può non segnalarsi il dato - fortemente indicativo dell'avvenuta abdicazione da parte del T di ogni funzione educativa verso la prole e della mancanza di rispetto da parte del medesimo nei confronti delle legittime esigenze di dignità a lui rappresentate dalle figliole - che lo stesso, ponendo nel nulla gli inviti fattigli da costoro all'astenersi da tali comportamenti, indubbiamente contrastanti con la funzione paterna, assumeva abitualmente sostanze stupefacenti all'interno dell'abitazione familiare ed alla consapevole presenza delle figlie) poste in essere dall'imputato, tali, senza dubbi, da integrare l'avvilente sistema di vita rilevante ai fini della integrazione del reato.
Poco incide che, secondo quanto riportato in ricorso, che le condotte non si siano manifestate attraverso atti a contenuto minatorio (i quali, peraltro, avrebbero comunque caratterizzato la fase, terminale, della convivenza del T con la madre dei suoi figli), posto che - senza neppure dovere verificare se, in realtà, dagli elementi istruttori riportati in sentenza emerga, diversamente da quanto segnalato dal ricorrente, la costante presenza di tali condotte - il reato in esame non postula necessariamente la esistenza di minacce o, comunque, di atti volti a ledere o porre in pericolo la integrità fisica dei soggetti, costituenti quello che sarebbe dovuto essere il "nucleo aggregante di attrazione degli affetti familiari", conviventi con l'imputato (o comunque condividenti con questo un comune progetto di vita) essendo necessaria (e sufficiente) una condotta anche solo di tipo maltrattante, la quale si può materializzare anche con atti, certamente realizzati con sistematicità, semplicemente idonei a svilire gravemente la dignità personale di tali individui, in tale modo compromettendo la opportuna serenità della "società naturale" costituita dalla famiglia.
Quanto alla pretesa carenza del dato consistente nella mancanza della "sottomissione morale di un coniuge nei confronti dell'altro", per riprendere la formula usata dal ricorrente, essendo, secondo questo, il clima familiare caratterizzato da una situazione di reciproca tensione, ritenuta dal ricorrente tale da escludere la ricorrenza dell'elemento materiale del reato di maltrattamenti in famiglia, si osserva che trattasi di argomento non solo errato in diritto - posto che la violazione della disposizione contestata al T non postula tale situazione, come questa Corte ha, in diverse occasioni, rilevato osservando che in tema di maltrattamenti in famiglia, a fronte di condotte abitualmente vessatorie, che siano concretamente idonee a cagionare sofferenze, privazioni ed umiliazioni, il reato non i escluso per effetto della maggiore capacità di resistenza dimostrata dalla persona offesa, non essendo elemento costitutivo della fattispecie incriminatrice la riduzione della vittima a succube dell'agente (Corte di cassazione, Sezione VI penale, 12 gennaio 2023), essendo, anzi, questa Corte giunta sino ad affermare che il reato di maltrattamenti in famiglia è configurabile anche nel caso in cui le condotte violente e vessatorie siano poste in essere dai familiari in danno reciproco gli uni degli altri (Corte di cassazione, Sezione III penale, 14 aprile 2020, n. 12206) - ma anche poco rispondente alla realtà in cui si è manifestato il caso in questione, ove si rifletta sulla circostanza che l'interesse tutelato dalla norma è riferito a tutti i componenti della famiglia convivente, fra i quali erano annoverate nella specie anche le figlie dell'imputato che, data la loro età estremamente giovanile ove non infantile, erano indubbiamente nella condizione di soggezione morale rispetto all'imputato.
Venendo al successivo terzo motivo di ricorso, va detto, In ordine all'avvenuto raggiungimento della prova della sussistenza del reato di violenza sessuale in danno della moglie dell'imputato oltre che delle lesioni personali, che, diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, la prova dei fatti contestati al ricorrente non riposa solo sulle dichiarazioni della persona offesa, ma anche sulle plurime dichiarazioni rese dalle figlie della coppia; deve, pertanto, confermarsi l'indirizzo giurisprudenziale secondo il quale le dichiarazioni della persona offesa costituita parte civile possono essere poste, anche da sole, a fondamento dell'affermazione di responsabilità penale dell'imputato, previa verifica, più penetrante e rigorosa rispetto a quella richiesta per la valutazione delle dichiarazioni di altri testimoni, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell'attendibilità intrinseca del suo racconto e, qualora risulti opportuna l'acquisizione di riscontri estrinseci, questi possono consistere in qualsiasi elemento idoneo a escludere l'intento calunniatorio del dichiarante, non dovendo risolversi in autonome prove del fatto, né assistere ogni segmento della narrazione (in tale senso, oltre a, testualmente, Corte di cassazione, Sezione V penale, 15 maggio 2019, n. 21135, si vedano anche, fra le altre: Corte di cassazione, Sezione IV penale, 11 gennaio 2022, n. 410 e Corte di cassazione, Sezione V penale, 24 aprile 2020, n. 12920).
Nel caso di specie tale penetrante e rigorosa valutazione è stata operata attraverso la verifica, corroborante delle prime dichiarazioni, della esistenza delle dichiarazioni, convergenti, rese dalle figliole della coppia, in relazione alle quali non sono stati prospettati validi argomenti per dubitare della loro genuinità.
Del tutto generiche le censure aventi ad oggetto l'affermazione della penale responsabilità del T in ordine al reato di cui all'art. 570 cod. pen.; invero, a fronte della motivazione della sentenza impugnata, in cui si dà atto del fatto che il T risulta avere corrisposto nel periodo di 48 giorni fra la quarta settimana di agosto 2018 e la prima settimana di ottobre dello stesso anno la complessiva somma di euro 648,00, difficilmente compatibile con il mantenimento delle 5 figlie minori, l'imputato ha addotto l'esistenza di altre imprecisate rimesse in contanti da lui operate in favore della moglie, la cui esistenza non è stata però in alcun modo dimostrata; va, altresì, rimarcato il fatto, segnalato nella sentenza impugnata e non contestato dal ricorrente, che questi, nel periodo in questione, aveva conseguito dei redditi finanziari, di tal che la mancata corresponsione alle figlie delle somme di danaro necessarie per il loro sostentamento non era frutto di una impotenza economica ma di una ben precisa scelta di vita.
Quanto, infine, all'ultimo motivo, con il quale è lamentata la inosservanza e l'erronea applicazione della legge penale in ordine alla determinazione del trattamento sanzionatorio a carico dell'imputato, avendo, in particolare, i giudici del merito escluso che il T potesse godere del beneficio delle circostanze attenuanti generiche, si osserva, anche a volere benevolmente considerare riferita alla violazione di legge, laddove la norma violata sarebbe l'art. 125, comma 3, cod. proc. pen., la doglianza relativa al vizio di motivazione in punto di quantificazione della pena principale, che, trattandosi di sanzione nel concreto collocata addirittura al di sotto del minimo edittale previsto per il più grave dei reati ascrittigli, avendo i giudici del merito ritenuto applicabile, partendo da una pena base prossima a eletto minimo, l'attenuante della minore gravità di cui all'art. 609-bis, terzo comma, cod. pen., l'onere motivazionale in punto di determinazione della pena è sufficientemente assolto attraverso il riferimento alla sua congruità, mentre per ciò che attiene al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, emerge in termini chiari, plasticamente rappresentativi di un evidente paradosso, la infondatezza della pretesa di ritenere viziata sul punto la sentenza impugnata, nella quale, senza che fosse emersa alcuna situazione che ne avrebbe potuto giustificare il riconoscimento, le circostanze attenuanti generiche sarebbero state illegittimamente escluse solo in funzione dei modesti precedenti penali del T essendo, viceversa, una tale argomentazione pienamente convincente - in assenza di fattori che possano stravolgere il negativo giudizio sulla personalità dell'imputato derivante dalla esistenza di precedenti pregiudizi penali - sol che si consideri come, per espressa previsione normativa, persino la condizione di incensuratezza sia, di per sé, non valorizzabile ai finì dell'attribuzione del beneficio di cui si tratta.
Conclusivamente, al rigetto del ricorso, fa seguito la condanna, visto l'art. 616 cod. proc. pen., del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.