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31 agosto 2023
È antisindacale la condotta del datore che non versa al sindacato le quote associative dei dipendenti?

La Cassazione ricorda che non sussiste alcun divieto di riscuotere le quote associative sindacali attraverso la trattenuta operata dal datore di lavoro, restando ferma la possibilità per i lavoratori di chiedere a quest'ultimo di trattenere sulla retribuzione i contributi da accreditare al sindacato al quale aderiscono sotto forma di cessione di credito ai sensi dell'art. 1260 c.c..

La Redazione

La Corte d'Appello di Torino confermava la decisione con la quale il Tribunale aveva rigettato l'opposizione proposta da una società, confermando il decreto emesso ai sensi dell'art. 28 Statuto dei lavoratori con cui era stata ritenuta l'antisindacabilità della condotta tenuta dalla società che non aveva dato adempimento alle cessioni di credito di cui alle comunicazioni di settembre 2015 e 2016, ordinando alla società di provvedere al versamento mensile degli importi oggetto di tali cessioni, ad eccezione dei lavoratori cessati dal servizio.
Ricorre contro la decisione la società, denunciando tra le altre cose la violazione dell'art. 1260, comma 1, c.c., degli artt. 1 e 5 e dell'art. 52, commi 1 e 5, d.P.R. n. 180/1950.

Con la sentenza n. 23264 del 31 luglio 2023, la Suprema Corte dichiara infondato il suddetto motivo di ricorso, rilevando che in materia di riscossione dei contributi sindacali è consolidata la giurisprudenza della Corte di legittimità in base alla quale il referendum del 1995 che ha abrogato l'art. 26 Statuto dei lavoratori, comma 2, e il successivo d.P.R. n. 313/1995 non hanno comportato il divieto di riscuotere le quote associative sindacali mediante la trattenuta operata dal datore di lavoro, essendone solo venuto meno il relativo obbligo. Resta comunque ferma la possibilità per i lavoratori di chiedere al datore di lavoro di trattenere sulla retribuzione i contributi da accreditare al sindacato al quale aderiscono, trattandosi di cessione di credito ai sensi dell'art. 1260 c.c. per la quale non è necessario il consenso del debitore.
Se il datore di lavoro sostiene (come nel caso in oggetto) che la cessione determini a suo carico una modificazione eccessivamente onerosa dell'obbligazione che implica un onere insostenibile in relazione alla sua organizzazione aziendale, egli dovrà provare che, ai sensi dell'art. 1218 c.c., tale onerosità è tale da giustificare il suo inadempimento. Inoltre, la Cassazione sottolinea che l'eccessiva gravosità della prestazione non incide sulla validità e sull'efficacia della cessione del credito, potendo eventualmente giustificarne l'inadempimento del debitore ceduto finché il creditore non collabori a modificare le modalità della prestazione allo scopo di realizzare un equo contemperamento degli interessi.
Infine, la Cassazione precisa che 

ildiritto

«il rifiuto ingiustificato del datore di lavoro configura anche condotta antisindacale in quanto pregiudica oltre ai diritti individuali dei lavoratori di scegliere liberamente il sindacato al quale aderire anche il diritto del sindacato di acquisire degli aderenti i mezzi di finanziamento necessari allo svolgimento della propria attività».

Anche per questo motivo, la Corte di Cassazione respinge il ricorso.

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