Il rispetto assoluto della volontà del testatore impone infatti che per affermare che una disposizione testamentaria sia affetta da dolo non è sufficiente dimostrare una qualsiasi influenza di ordine psicologico esercitata sul testatore, bensì la prova dell'avvenuto impiego di veri e propri mezzi fraudolenti idonei a trarlo in inganno.
La vicenda trae origine da un giudizio intrapreso ai fini dell'annullamento per dolo o, in subordine, per errore del testamento olografo di un padre che aveva lasciato alcuni beni all'attrice e tutto il patrimonio residuo ai fratelli convenuti. In tal senso, l'attrice chiedeva al Tribunale l'apertura della successione legittima e la divisione in patri uguali del patrimonio del padre...
Svolgimento del processo
1. Con atto di citazione notificato in data 16/12/2005, BR convenne in giudizio i fratelli E e M , chiedendo l'annullamento per dolo o, in subordine, per errore del testamento olografo con cui il padre aveva lasciato alcuni beni a lei e tutto il patrimonio residuo ai due fratelli convenuti; in conseguenza, chiese quindi l'apertura della successione legittima e la divisione del patrimonio in tre quote uguali.
Per quel che qui rileva, costituendosi, i fratelli affermarono di essere disposti ad addivenire, in via transattiva, alla divisione bonaria del patrimonio in tre quote uguali.
Con sentenza n.844/2013, il Tribunale di Vicenza annullò per dolo il testamento impugnato perché ritenne che i convenuti non si fossero opposti tempestivamente alla domanda, avendone chiesto il rigetto soltanto tardivamente; dichiarò che l'eredità dovesse essere devoluta per legge con divisione in tre quote di pari valore e compensò interamente le spese.
2. Con sentenza n. 2548/2016, la Corte d'appello, rigettando l'impugnazione di E e MR e accogliendo l'appello incidentale di B riformò la sentenza di primo grado soltanto quanto alla statuizione sulle spese, che pose a carico dei fratelli convenuti; confermò per il resto la decisione con la stessa motivazione, ritenendo esplicitamente che nelle memorie ex 183 cod. proc. civ. i convenuti avessero «formulato una nuova domanda» inammissibile; sostenne che perciò non fosse necessaria alcuna istruttoria perché il comportamento processuale può costituire unica fonte di convincimento del giudice e in ogni caso perché lo stesso testatore aveva riportato di aver ricevuto pressioni e i convenuti erano a lui molto vicini ed era presumibile avessero esercitato questa pressione; ritenne altresì fatto rilevante e dimostrativo che essi avessero accettato di dividere in tre il patrimonio ereditario, evidentemente così riconoscendo «l'ingiustizia» della disposizione testamentaria.
3. Avverso questa sentenza ER, in proprio e quale procuratore della sorella M ha proposto ricorso per cassazione, affidandolo a sette motivi, a cui BR ha resistito con controricorso.
Fissata pubblica udienza, non essendo pervenuta dalle parti e dal P.G. richiesta di discussione orale, ai sensi dell'art. 23, co. 8 bis, d. l. n. 137 /2020, convertito nella l. n. 176/2020, la causa è stata trattata con la procedura camerale.
Le parti hanno depositato memorie.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo, E e MR hanno lamentato, in riferimento al n. 3 del comma I dell'art. 360 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 cod. civ. per avere la Corte d'appello interpretato erroneamente gli atti ritenendo manifestata, in comparsa, l'adesione alla domanda proposta dalla attrice; in particolare, la Corte d'appello avrebbe valorizzato soltanto le conclusioni contenute nella comparsa di risposta, senza considerare né la parte motiva, né il contegno delle parti; richiamano in proposito il contenuto della comparsa di costituzione, in cui avrebbero manifestato la loro adesione ad una divisione in tre parti soltanto al fine di pervenire ad una bonaria soluzione della vertenza.
1.2. Con il secondo motivo, i ricorrenti hanno denunziato la nullità della sentenza e del procedimento, in riferimento al n. 4 del comma I dell'art. 360 cod. proc. civ., per violazione degli artt. 112, 163, 167, e 183 cod. proc. civ.: la Corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto domanda nuova la mera richiesta di rigetto delle pretese degli attori, come formulata con la memoria ex art. 183 cod. proc. civ. e avrebbe perciò sovrapposto i concetti di non contestazione e di domanda nuova; interpretando correttamente le loro difese, avrebbe invece dovuto respingere la domanda perché priva di fondamento.
1.3. Con il terzo motivo, i ricorrenti hanno censurato la sentenza, in riferimento al n. 4 del comma I dell'art. 360 cod. proc. civ., per violazione e falsa applicazione dell'art. 115 cod. proc. civ., perché la Corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto provati per non contestazione fatti non allegati specificamente dalla controparte ed estranei alla loro sfera di conoscenza e, altresì, fondata per non contestazione tutta l'avversa prospettazione della domanda, anche in diritto; hanno rilevato che la non contestazione non può riguardare gli istituti giuridici e che nel caso in esame occorreva la prova dei presupposti di legge per l'annullamento, essendo insufficiente il richiamo ad asserite «pressioni di terzi».
1.4. Con il quarto motivo, E e MR hanno pure censurato la sentenza prospettando la questione della contestazione della domanda in riferimento al n. 5 del comma I dell'art. 360 cod. proc. civ.: la Corte d'appello avrebbe ravvisato la non contestazione, senza considerare che essi avevano rilevato l'assenza di qualsivoglia elemento identificativo del dolo; la Corte territoriale avrebbe dovuto invece, pure in riferimento alla manifestazione di non opposizione della pretesa attorea, prendere atto della mancanza di idonee allegazioni sul vizio di volontà allegato.
1.5. Con il quinto motivo, E e MR hanno dedotto, in riferimento al n. 3 del comma I dell'art. 360 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell'art. 624 e 1439 cod. civ. per avere la Corte territoriale utilizzato un concetto di dolo troppo ampio e indefinito nei suoi confini, ricavato da fatti non aventi connotazione di «artifizi e raggiri», ma consistenti in generiche «pressioni» da parte di soggetti non identificati, invece inidonee a trarre in inganno il testatore.
1.6. Con il sesto motivo, i ricorrenti hanno invece prospettato, sempre in riferimento al n. 3 del comma I dell'art. 360 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 cod. civ. e, in riferimento al n. 5 del comma I dell'art. 360 cod. proc. civ., l'omesso esame di un fatto controverso e decisivo, per avere la Corte d'appello interpretato la scheda testamentaria come un atto contenente elementi idonei a provare l'inquinamento doloso della volontà del testatore, senza un previo esame globale della scheda stessa, limitandosi a valorizzare alcuni elementi soltanto (le pressioni di parenti o terzi e il trattamento riservato a B), trascurando di considerarne altri (ad esempio le dichiarazioni relative al mancato ascolto delle pressioni proprio in virtù dei meriti pregressi di S).
1.7. Infine, con il settimo motivo, hanno lamentato in riferimento al n. 3, al n. 4 e al n. 5 del comma I dell'art. 360 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell'art. 2697 cod. civ. in relazione agli artt. 624 e 1439 cod. civ. per avere la Corte d'appello, in violazione dell'onere della prova, ritenuto provata la sussistenza del vizio della volontà idoneo a fondare la pronuncia di annullamento del testamento, rendendo una motivazione meramente apparente sul perché le sole pressioni esterne possano corrispondere al dolo.
2. Il secondo motivo - da esaminare per primo per ordine logico, è fondato.
Preliminarmente, si deve puntualizzare che gli atti processuali richiamati dai ricorrenti (comparsa di risposta e successive memorie) sono stati esaminati da questa Corte perché il principio secondo cui l'interpretazione delle domande, eccezioni e deduzioni delle parti dà luogo ad un giudizio di fatto ed è perciò riservato al giudice di merito e non sindacabile in sede di legittimità, non trova applicazione quando, come nella specie, si assuma che tale interpretazione abbia determinato un errar in procedendo, vale a dire la preclusione della difesa per violazione di una norma processuale (Cassazione civile, sez. III, 13/07/2004, n. 12909).
Ciò posto, la resistenza alla domanda di annullamento come esposta nella memoria ex art. 183 cod. proc. civ. dai convenuti non può essere identificata come «domanda nuova», come invece ritenuto dalla Corte d'appello (pag. 13 della sentenza): nella richiesta, da parte del convenuto, di un provvedimento di rigetto della pretesa dell'attore non è infatti configurabile alcuna domanda.
Peraltro, neppure può ritenersi che la Corte territoriale abbia potuto riferirsi ad una «linea difensiva nuova», intendendo che con la memoria i convenuti avessero mutato difesa: in comparsa di costituzione, essi avevano invero già «respinto le accuse di concorso nel presunto dolo che ha indotto il de cuius a fare la divisione testamentaria contestata», preannunciando che, nel caso in cui non fossero addivenuti ad una bonaria composizione della vertenza, avrebbero utilizzato «tutti i mezzi a loro disposizione per provarlo».
3. Anche il terzo motivo è fondato.
La Corte d'appello ha confermato la statuizione di accoglimento pronunciata in primo grado sostenendo che non fosse necessaria alcuna istruttoria perché i contenuti non avevano contestato le pretese attoree, tanto da accettare di dividere in tre il patrimonio ereditario, evidentemente così riconoscendo «l'ingiustizia» della disposizione testamentaria; ha affermato sul punto che il comportamento processuale può costituire unica fonte di convincimento del giudice.
Ebbene, per principio consolidato, il principio di non contestazione (comunque operante nella fattispecie perché implicitamente codificato, prima che fosse riformato l'art. 115 cod. proc. civ., nell'art. 167 cod. proc. civ.) produce l'effetto della relevatio ab onere probandi soltanto in relazione ai fatti costitutivi, modificativi o estintivi del diritto azionato che siano stati compiutamente allegati dall'attore; può poi operare, altresì, anche in relazione a fatti secondari se idonei a fondare un ragionamento presuntivo quando, come accade proprio nel caso del dolo nel testamento, la prova non possa che essere fornita per presunzioni.
In questa seconda ipotesi, tuttavia, la non contestazione non può investire immediatamente la fattispecie giuridica dedotta in domanda (l'asserito vizio di volontà del testatore), oggetto di prova presuntiva: il riscontro di tale fattispecie deve comunque avvenire, infatti, con un'attività spiccatamente valutativa, finalizzata a ricavare il fatto principale - insuscettibile di prova diretta - dai fatti secondari invece accertati, eventualmente anche per non contestazione (cfr., in materia risarcitoria, Cass. Sez. L, n. 21460 del 19/08/2019).
La non contestazione è, infatti, un comportamento processualmente significativo se riferito a un fatto da accertare nel processo e non alla determinazione della sua dimensione giuridica (cfr. Sez. U, n. 761 del 23/01/2002 in materia di contestazione dei conteggi per la quantificazione di un credito di lavoro); per contrappunto, il mero difetto di contestazione specifica, ove rilevante, non impone in ogni caso al giudice un vincolo assoluto (per così dire, di piena conformazione), perché egli può sempre rilevare l'inesistenza del fatto allegato da una parte anche se non contestato dall'altra ove tale inesistenza emerga dagli atti di causa e dal materiale probatorio raccolto (Sez. U, n. 11377 del 2015, in motivazione).
La Corte d'appello, pertanto, non ha correttamente applicato il principio di non contestazione alla fattispecie.
4. Dall'accoglimento del secondo e del terzo motivo, consegue logicamente l'assorbimento del primo e quarto motivo.
5. Anche il quinto e il sesto motivo - che possono essere trattati congiuntamente per continuità di argomentazione - sono fondati.
La Corte d'appello ha ritenuto affetta da dolo la disposizione testamentaria in esame oltre che, come rilevato ai punti che precedono, per una non corretta applicazione del principio di non contestazione, anche in riferimento all'età del testatore, affermando che, per essere egli novantenne, la sua volontà fosse «facilmente influenzabile da chi, diversamente dalla figlia B che abitava in altra città, poteva stargli vicino»; ha quindi sostenuto che la conferma che la volontà del testatore «fosse stata influenzata da terzi che lo avevano condizionato negativamente nei confronti di tale figlia» ben avrebbe potuto evincersi dalla «sintomatica espressione», riportata nell'atto, «secondo cui aveva cominciato a ricevere pressioni da parte di parenti e conoscenti al fine di una penalizzazione della posizione successoria della figlia B »; ha quindi rilevato come indicativo il fatto che i fratelli convenuti avessero riconosciuto la necessità di un equa divisione in tre parti, così mostrando di condividere la tesi delle ingiustizia della disposizione dell'ultimo testamento, «non meritando la figlia B quella certa penalizzazione»; peraltro, «lo stesso testatore aveva riconosciuto la correttezza del comportamento da lei sempre tenuto verso i familiari anche nei momenti difficili»; ne ha perciò dedotto «a contrariis» che «il trattamento deteriore riservatole dal padre fosse stato in effetti proprio il frutto di quell'influenza esterna esercitata sopra di lui da chi poteva averne l'interesse ed anche l'occasione essendogli di più vicino».
Ciò precisato, deve allora considerarsi, in diritto, che, come ripetutamente affermato da questa Corte, il rispetto assoluto della volontà del testatore impone che, al fine di poter affermare che una disposizione testamentaria sia affetta da dolo, non è sufficiente dimostrare una qualsiasi influenza di ordine psicologico esercitata sul testatore, se del caso mediante blandizie, richieste, suggerimenti o sollecitazioni; occorre, invece, la prova dell'avvenuto impiego di veri e propri mezzi fraudolenti idonei a trarre in inganno il testatore, avuto riguardo alla sua età, allo stato di salute, alle sue condizioni di spirito, così da suscitare in lui false rappresentazioni ed orientare la sua volontà in un senso in cui non si sarebbe spontaneamente indirizzata (Sez. 2, n. 4653 del 28/02/2018 con numerosi richiami).
L'esigenza di assicurare una più penetrante ricerca della volontà del testatore, di là delle mere dichiarazioni, impone innanzitutto un esame globale della scheda testamentaria e non di ciascuna singola disposizione, alla stregua dei principi generali di ermeneutica di cui all'art. 1362 cod. civ., applicabili al testamento sia pure con gli opportuni adattamenti (Cass. Sez. 2, n. 468 del 14/01/2010).
Soltanto qualora dal testo dell'atto non emerga con certezza l'effettiva intenzione del de cuius e la portata della disposizione, l'interprete può, in via sussidiaria, ricorrere alla valutazione di elementi estrinseci al testamento, seppure sempre riferibili al testatore, quali ad esempio la sua cultura, la mentalità, il suo ambiente di vita, le sue condizioni fisiche (Cass. Sez. 2, n. 10075 del 24/04/2018).
Infine, deve rimarcarsi che la prova della captazione, pur potendo essere presuntiva, deve fondarsi su fatti certi che consentano di identificare e ricostruire l'attività di condizionamento e la conseguente influenza determinante sul processo formativo della volontà del testatore (da ultimo Cass. Sez. 6 - 2, n. 30424 del 17/10/2022).
Dalla concisa esposizione dei punti della motivazione qui riportata, risulta già evidente che la Corte d'appello, con la sua motivazione sulla sussistenza del dolo, non ha correttamente applicato alla fattispecie principi consolidati suesposti: ha, infatti, continuamente sovrapposto elementi sia intriseci alla scheda testamentaria, estrapolati dal contesto (alcune tra le espressioni utilizzate dal testatore in riferimento a pressioni esterne), sia estrinseci (la sua età avanzata, il risiedere i due fratelli convenuti nell'azione di annullamento per dolo vicino al testatore); ha poi ritenuto sufficiente il riferimento del testatore alle «pressioni ricevute da parenti e conoscenti».
Come rilevato in ricorso da E e MR·, in particolare la Corte non ha affatto compiuto una valutazione globale della scheda, estrapolando le affermazioni contenenti i riferimenti alle «pressioni ricevute», sebbene nella parte iniziale della scheda il testatore riportasse, testualmente, di essere indotto a riesaminare le precedenti disposizioni da «alcuni aspetti dei rapporti di B nei confronti miei e dei fratelli [...]; in occasione del mio ricovero in ospedale, si dimostrò completamente assente e indifferente anche se non ancora ostile» e che egli «da allora» da parte di parenti e conoscenti cominciò a ricevere le pressioni - che la Corte d'appello ha ritenuto poi rilevanti - perché modificasse i diritti successori, ma aveva «rifiutato» di cancellare disposizioni, tenuto conto dei meriti pregressi»; quindi, il testatore riferiva ancora: «ma recentemente, essa tentò di inguaiarmi per pretese omissioni di versamenti contributivi, in ciò avendo a collaborare un individuo di cui non faccio neppure il nome per non sporcarmi». La sequenza di queste dichiarazioni non è stata esaminata dalla Corte che ha isolato dal contesto il riferimento alle pressioni ricevute non applicando correttamente i principi ermeneutici di cui si è detto.
Quanto poi alle riferite «pressioni» (che, invero, nell'interpretazione, devono essere identificate in modo chiaramente distinto da un'attività di coercizione che, nella specie, non è stata mai dedotta e potrebbe essere rilevante per la violenza, non per il dolo), è necessario che, come già rimarcato, sia riscontrabile l'avvenuto impiego di veri e propri mezzi fraudolenti idonei a trarre in inganno il testatore.
In tal senso, il ragionamento presuntivo - che può sorreggere questo riscontro da parte dell'interprete - deve comunque essere correttamente costruito, ciò che nella specie non può dirsi accaduto.
È necessario, infatti, che il giudice analizzi innanzitutto i fatti noti che, seppure secondari, potrebbero essere utili alla deduzione dei fatti ignoti da provare; quindi egli è tenuto a selezionarli per «precisione», nel senso di considerali soltanto se certi e determinati nella realtà storica; infine, può valutarli nella loro «gravità» e, in caso siano molteplici, «concordanza», nel senso che deve verificarli come idonei a fondare la deduzione probabilistica della realtà del fatto ignoto (cfr. sulla costruzione del ragionamento presuntivo, Cass. Sez. 2, n. 9054 del 21/03/2022).
Nessuna di queste fasi del ragionamento si evince nella motivazione della sentenza impugnata, in cui non risulta neppure chiaro quali elementi siano ritenuti fatti certi, quali abbiano la caratteristica di fatti secondari, come si sia sviluppata la deduzione del dolo.
6. Il settimo motivo è assorbito per l'accoglimento del quinto e del sesto.
9. Il ricorso è perciò accolto; la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla Corte d'appello di Venezia in diversa composizione, perché provveda al riesame della volontà del testatore secondo i principi rilevati suindicati.
Decidendo in rinvio, la Corte statuirà anche sulle spese di legittimità.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione accoglie il secondo, terzo, quinto e sesto motivo di ricorso e dichiara assorbiti i restanti, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte d'appello di Venezia in diversa composizione anche per le spese del giudizio di legittimità.