
In caso di omesso versamento delle imposte derivanti da redditi prodotti da beni oggetto di usufrutto legale, il genitore ha la facoltà di dedurre dalla propria dichiarazione le somme già versate in nome del figlio minore.
Con apposito testamento, veniva designata una minore quale legataria di un immobile ad uso commerciale e la madre della medesima quale legataria di denaro, titoli, polizze assicurative e altre attività possedute dal testatore.
In seguito, il Tribunale di Savona, su istanza dei genitori della minore, autorizzava ad accertare il legato testamentario disposto in favore di quest'ultima e...
Svolgimento del processo
La controversia nasce da una problematica legata ad una successione: con testamento la Signora A C ha designato la sua figlioccia F F, figlia dell'odierno ricorrente, quale legataria dell'immobile ad uso commerciale sito in Savona, locato, e la Sig.ra R P (mamma di F F) quale legataria di denaro, titoli, polizze assicurative e altre attività mobiliari dalla stessa possedute.
In data 20 agosto 2010 il Tribunale di Savona su istanza prodotta dai Sigg.ri R P e A F, nella loro qualità di genitori esercenti la potestà parentale sulla minore, autorizzava ad accettare il legato testamentario disposto in favore della stessa e consistente nella piena proprietà dell'unità immobiliare sopra descritta.
In data 01.02.2011, come da disposizioni del Tribunale predetto, è stato redatto un nuovo contratto di locazione ad uso commerciale per l'immobile oggetto di legato a firma -stante la minore età di F F- di R P e A F nella qualità di genitori esercenti la potestà sulla figlia, registrato all'Agenzia delle Entrate di Savona per un canone annuo complessivo pari ad euro 30.600,00.
Il reddito derivante dalla suddetta locazione è stato dichiarato, anno per anno, a nome di F F dal padre A F con un modello Unico, compilando, il riquadro "Riservato a chi presenta la dichiarazione per conto di altri" specificando nella casella "codice carica" il codice "2".
La Direzione Centrale Accertamento, Ufficio Persone Fisiche, sulla base dell'incrocio dei dati relativi alla registrazione del contratto di locazione sopra descritto e del Mod. 770 presentato dal sostituto d'imposta Comune di Spotorno, segnalava all'Ufficio competente che il sig. A F, per il periodo d'imposta in esame (2014), non aveva presentato la dichiarazione Mod. Unico omettendo di dichiarare i redditi relativi alla quota di partecipazione al 50%, del reddito della locazione di cui sopra e di lavoro dipendente, liquidando le maggiori imposte dovute, relative sanzioni ed interessi.
Il Sig. A F presentava ricorso avverso l'avviso di accertamento in oggetto. L'Ufficio, visto il ricorso, notificava proposta di mediazione riconoscendo in diminuzione dalle imposte accertate, le imposte già versate dalla figlia, come da richiesta formulata dal ricorrente. In conseguenza di ciò, ha riconosciuto in diminuzione dall'imposta dovuta anche le detrazioni per figlio a carico.
Controparte non ha aderito e si è ritualmente costituita in giudizio chiedendo:
- in via principale l'annullamento totale dell'avviso di accertamento ritenendo che il reddito di locazione dell'immobile sia da attribuire unicamente alla figlia minore F F;
- in via del tutto subordinata, di riconoscere quanto versato dalla stessa in detrazione da quanto richiesto al ricorrente con l'avviso di accertamento impugnato.
Ha chiesto l'annullamento dell'atto opposto, ovvero, in subordine, la disapplicazione delle sanzioni. Vinte le spese.
L'Ufficio si è costituito affermando di aver operato secondo legge, atteso che di regola i genitori esercenti la responsabilità genitoriale hanno in comune l'usufrutto dei beni del figlio fino alla maggiore età o all'emancipazione, salvo alcune eccezioni (non ricorrenti nella fattispecie) previste dall'art. 324 c.c..
Ha chiesto la reiezione del ricorso, con vittoria di spese CTP GE con la sentenza oggi impugnata, ha confermato la debenza dell'imposta, previa deduzione di quanto già versato a nome della figlia; ha disapplicato le sanzioni stante la singolarità della vicenda; ha compensato le spese.
Successivamente, l'Ufficio presenta appello in punto sanzioni presso questa Corte di Giustizia, lamentando che:
a) il contribuente doveva includere nelle dichiarazioni dei redditi anche il reddito dei beni della figlia minore F F, ai sensi dell'art. 1, comma 3 D.P.R. 29/09/1973 n. 600, e dell'art. art. 4, lett. c), del D.P.R. n. 917/86. All'aver contravvenuto alla predetta normativa consegue l'applicazione delle sanzioni previste, in relazione alle quali non si ravvisano motivazioni sufficienti per consentirne la disapplicazione.
b) Infatti, la vicenda, anziché essere "singolare", era invece pienamente compresa nella sua portata ritenuta lesiva del diritto da parte del contribuente. In proposito, evidenzia che il sig. A F ha già definito in acquiescenza ai sensi dell'art.15, c.2 bis, d.lgs. 218/97 analogo accertamento basato sul medesimo presupposto notificato dallo scrivente Ufficio in data 21/12/2017 per il periodo d'imposta 2011 e non ha impugnato analogo avviso di accertamento notificatogli in data 02/05/2017 relativamente al periodo d'imposta 2012 (il ricorso in esame è stato presentato in data 23.10.2018).
Chiede riforma della prima sentenza, conferma delle sanzioni, spese per entrambi i gradi.
Il contribuente si costituisce e controdeduce in punto sanzioni; presenta appello incidentale in ordine alla conferma della debenza da parte dei primi giudici; insiste nelle motivazioni espresse in primo grado.
-insiste per l'annullamento totale dell'atto opposto;
-in subordine chiede conferma della prima sentenza In ogni caso con vittoria di spese per entrambi i gradi.
Si procede in pubblica udienza, durante la quale le parti illustrano le rispettive tesi:
L'Ufficio in particolare insiste sulla chiarezza della normativa ex art. 4 TUIR e 324 C.C.. Afferma che il fatto che non si sia proceduto anche nei confronti della moglie deriva verosimilmente da svista, ma non costituisce motivo per giustificare le censure nei confronti dell'accertamento.
In particolare parte privata afferma che il dettato del C.C. è quel che è, ma il disposto del giudice civile dispone la stipula del contratto, e ciò è stato interpretato nel senso che il contratto stesso fosse firmato in nome della figlia, cioè per suo conto. Evidenzia che nei confronti della moglie la dichiarazione non è stata contestata. In tale contesto CTP ha considerato la "singolarità" della vicenda citata in sentenza.
L'Ufficio in sede di replica afferma che se è sfuggita a controllo la dichiarazione della madre, ciò non vuol dire che debba sfuggire anche quella in discussione.
All'esito della discussione, la causa viene trattenuta in decisione.
Motivi della decisione
Letti gli atti e udite le parti, la Corte è dell'avviso che l'appello dell'Ufficio sia fondato nel limite di cui si dirà oltre e che quello incidentale di parte privata non sia fondato.
In ordine logico, va discusso preliminarmente l'appello incidentale in ordine alla debenza:
A) Il contribuente lamenta:
-- che incomprensibilmente gli sia attribuito un reddito imputabile solo alla figlia, proprietaria dell'immobile; attribuisce l'origine della pretesa dell'Ufficio a quello che ritiene un disguido in sede di registrazione dell'atto, dove è definito "locatore", mentre tale è la figlia;
--che incomprensibilmente gli è stata attribuita la veste di usufruttuario del bene della figlia pur non godendo dei diritti ex art 981 c.c., visto che il Tribunale ha autorizzato solo precisi comportamenti per l'attuazione del legato ricevuto dalla figlia, per cui il contribuente non ha mai avuto disposizione di somma alcuna;
--che dallo svolgimento della vicenda, originata da un errore di registrazione, consegue una duplicazione d'imposta (art. 163 DPR 917/86), atteso che viene pretesa l'imposta nonostante che la figlia abbia già corrisposto la stessa;
--che la Corte è invitata a assegnare diversa qualificazione giuridica ai fatti e ai rapporti dedotti in lite, nonché all'azione esercitata in causa; richiama Cass. 11629/2017 e altre ritenute rilevanti.
L'Ufficio richiama in controdeduzioni il concetto di usufrutto legale ex art.324 c.c., evidenziando che la fattispecie non risulta compresa nell'elenco delle eccezioni che la norma stessa prevede.
La Corte di Giustizia ritiene infondate le tesi esposte dall'appellante incidentale: In base all'art. 324 c.c. il genitore o i genitori che abbiano l'esercizio esclusivo o congiunto della responsabilità genitoriale devono amministrare i beni del minore ma ne ottengono un "ritorno", perché la legge riconosce loro il diritto di percepirne i frutti naturali (ad esempio il raccolto di un terreno) e civili (ad esempio riscuotere i canoni di affitto del bene intestato al minore), per destinarli al soddisfacimento dei bisogni del nucleo familiare.
Per i redditi che rientrano nell'usufrutto legale, all'articolo 4 lettera c) il TUIR prevede quanto di seguito riportato:
"i redditi dei beni dei figli minori soggetti all'usufrutto legale dei genitori sono imputati per metà del loro ammontare netto a ciascun genitore. Se vi è un solo genitore o se l'usufrutto legale spetta ad un solo genitore i redditi gli sono imputati per l'intero ammontare."
In altre parole, quindi, i redditi vanno inseriti nella dichiarazione dei genitori. Le tesi di parte privata non possono essere accolte, perché sono originate da una lettura distorta delle disposizioni del Tribunale e della normativa.
Ovvio, comunque, che dalla debenza dovranno essere dedotte le somme già versate in nome della figlia minorenne.
B) Quanto alla disapplicazione delle sanzioni operata dai primi giudici, la decisone dei primi giudici non può essere condivisa, e l'appello dell'Ufficio appare fondato:
a) Il Collegio osserva che il potere di disapplicare le sanzioni amministrative in ambito tributario, con riguardo a condizioni di incertezza, è rinvenibile nell'articolo 8 Decreto Legislativo n. 546 del 31 dicembre 1992 (obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull'ambito di applicazione delle disposizioni) e nell'articolo 10, comma 3, della L. n.12/2000 (obiettive condizioni di incertezza sulla tributaria, quando, cioè, la disciplina normativa contenga una pluralità di prescrizioni, il cui coordinamento appaia concettualmente difficoltoso per equivocità del loro contenuto, derivante da elementi positivi di confusione -Cass. 1999/2018- ) o quando si traduce in una mera violazione formale senza alcun debito di imposta.
b) Posto che la normativa ex art. 4 lett. c TUIR e art. 324 C.C. è chiarissima e non giustifica ignoranza, la scelta operata dal contribuente (con ogni probabilità originata da errata interpretazione del provvedimento 20 agosto 2010 del Tribunale di Savona) non può tradursi né in una violazione solo formale né nell'assunto che siano sussistenti elementi tali da far ritenere che la normativa applicabile non fornisse elementi adeguati e sufficientemente chiari per la determinazione dell'applicazione dell'imposta (Cass. 36554/2021).
C) Tanto ritenuto e considerato l'appello dell'Ufficio va accolto; l'appello incidentale del Contribuente va rigettato; onde evitare indebito arricchimento, le somme già versate in nome della figlia dovranno essere dedotte dalla debenza, e le sanzioni andranno calcolate sul residuo. Quanto alle spese del giudizio, sussistono giusti motivi per la integrale compensazione, dovendosi valutare l'assenza di volontà elusiva.
P.Q.M.
La Corte di Giustizia accoglie l'appello dell'Ufficio nei limiti di cui in motivazione; rigetta l'appello incidentale del contribuente; spese integralmente compensate.