In presenza di disponibilità patrimoniali pacificamente fuoriuscite senza un'apparente giustificazione dall'attivo sociale, la società che agisce ai fini risarcitori verso l'amministratore può limitarsi ad allegare l'inadempimento, mentre spetterà all'amministratore la prova del suo adempimento.
Il Tribunale di Napoli riconosceva la responsabilità dell'attuale ricorrente nelle vesti di liquidatore della società per una serie di condotte, tra le quali la distrazione in suo favore di alcune somme a tiolo di compensi, l'avere impiegato altra somma per la copertura di costi fittizi e l'avere destinato altro importo ancora al rimborso delle anticipazioni eseguite a...
Svolgimento del processo
1. E' impugnata per cassazione la sentenza con cui la Corte di appello di Napoli ha accolto parzialmente il gravame proposto da EC e condannato lo stesso al pagamento, in favore di X s.r.l., dell’importo di euro 70.469,80, a titolo di risarcimento del danno.
Il Tribunale di Napoli - investito dell'azione di responsabilità proposta da FC, divenuto socio di X a seguito di una pronuncia ex art. 2932 c.c. (resa in esito a un procedimento vertente sulla promessa di vendita di quote sociali che qui non rileva) - aveva pronunciato ordinanza ex art. 186 quater c.p.c. con cui era stata riconosciuta la responsabilità del predetto EC quale liquidatore della società, per le seguenti condotte: aver distratto in suo favore la somma di euro 38. 794,41 a titolo di compensi, nonostante la società fosse da tempo inattiva (onde, ad avviso del primo Giudice, nessun compenso poteva ritenersi dovuto al liquidatore); aver impiegato euro 39.223,00 per la copertura di costi fittizi; aver destinato euro 31.216,80 al rimborso delle anticipazioni eseguite in favore dei soci in assenza di alcuna documentazione giustificativa. Con lo stesso provvedimento l'ex liquidatore era stato condannato al risarcimento del danno per euro 109.267,21, oltre rivalutazione e interessi.
L'ordinanza ex art. 186 quater c.p.c., di cui si è appena detto, era divenuta definitiva in ragione della intempestiva manifestazione dell'intendimento, da parte di EC, di ottenere la pronuncia della sentenza, sicché era stata impugnata dal medesimo.
2. - Avverso la richiamata pronuncia resa dal Giudice di appello, che è stata pubblica, a il 26 agosto 2019, ricorre per cassazione, con tre motivi, EC. Resiste con controricorso FC
Motivi della decisione
l primo motivo si lamenta la violazione e falsa applicazione dell'art. 186 quater c.p.c. in relazione all'art. 50 bis c.p.c.. Si deduce che il provvedimento del Giudice di primo grado, oggetto di impugnazione, era stato emesso dal giudice monocratico, laddove la controversia, rientrando tra quelle elencate dal cit. art. 50 bis, era devoluta al tribunale in composizione collegiale.
Il motivo è infondato.
Come si ricava dall'art. 186 quater, comma 1, c.p.c., l'ordinanza di pagamento prevista dal detto articolo è pronunciata dal «giudice istruttore». Ne discende che sul punto non può venire in questione n vizio di costituzione del giudice, avendo specifico riguardo alle riserve di collegialità contemplate dal cit. art. 50 bis c.p.c..
2. - Col secondo mezzo si oppone alla violazione e falsa applicazione degli artt. 137 e 140 ss. c.p.c., in combinato disposto con gli artt. 101 e 116 c.p.c.. Vengono lamentate la nullità o inesistenza della notificazione dell'atto di citazione di primo grado, la nullità delle attività istruttorie poste in essere e la violazione del principio del contraddittorio. Lamenta il ricorrente di essere stato ritenuto contumace, in primo grado, pur non .vendo ricevuto l'atto introduttivo del giudizio; deduce che, per un verso, l'atto era stato recapitato a un indirizzo diverso dal luogo di propria residenza - per come risultante dal certificato storico che era stato prodotto - e che, per altro verso, l'attività notificatoria posta in essere era stata documentata da una relata in cui esso istante era stato identificato attraverso un luogo di nascita diverso da quello reale.
Il motivo non ha fondamento.
La Corte di merito ha rilevato: che l'erronea indicazione, nella relazione di notifica, del luogo di nascita del destinatario era inidonea a determinare un'incertezza assoluta circa la persona alla quale doveva essere consegnato l'atto, avendo specifico riguardo al contenuto di questo; che l'errore nell'indicazione del civico era parimenti ininfluente, posto che al n. X di via X, in X (indirizzo diverso da quello indicato nel certificato di residenza), EC aveva certamente un recapito; che infatti l'ufficiale giudiziario incaricato della notifica dell'atto non aveva constatato l'irreperibilità del destinatario al civico n. X e aveva inoltre potuto ivi immettere la c.d. cartolina nella cassetta della posta, mentre la notifica dell'ordinanza ex art. 186 quater c.p.c., eseguita a quell'indirizzo, era andata a buon fine;
che, del resto, le risultanze anagrafiche presentavano valore meramente presuntivo e potevano essere superate da prova contraria.
Ora, l'errore sulle generalità del destinatario dell'atto di citazione è irrilevante se ciò non impedisca la corretta individuazione del medesimo soggetto e non renda perciò l'atto inidoneo al suo scopo (cfr. Cass. 2 dicembre 2020, n. 27567, secondo cui tale errore non assume importanza, sul piano giuridico, se l'atto è comunque idoneo al raggiungimento dello scopo, mentre genera una nullità sanabile in caso di assoluta incertezza sulla persona cui l'atto da notificare era indirizzato; cfr. pure Cass. 1 agosto 2013, n. 1842.Z e Cass. 11 maggio 2005, n. 9928, per le quali l'errore nell'indicazione delle generalità del convenuto nell'atto di citazione e nelle rispettive relate di notificazione non comporta nullità di nessuno dei due atti qualora il destinatario sia identificabile con certezza in base agli elementi contenuti nella citazione o nella relata e, in particolare, quando, risultando dal contesto dell'atto che la notificazione è avvenuta appunto all'effettivo destinatario, può escludersi l'esistenza di un'incertezza assoluta in ordine ad un elemento essenziale della notificazione). Quanto alla residenza, quel che conta è il luogo di residenza effettiva, non quello di residenza anagrafica: infatti, al fine di dimostrare la sussistenza della nullità di una notificazione, in quanto eseguita in luogo diverso dalla residenza effettiva del destinatario, non costituisce prova idonea la produzione di risultanze anagrafiche che indichino una residenza difforme rispetto al luogo in cui è stata effettuata la notificazione (Cass. 9 maggio 2014, n. 10107; Cass. 19 luglio 2005, n. 15200): le risultanze anagrafiche rivestono, in tal senso, un valore meramente presuntivo circa il luogo dell'effettiva abituale dimora, che è accertabile con ogni mezzo di prova, anche contro le stesse, assumendo rilevanza esclusiva il luogo ove il destinatario della notifica dimori, di fatto, in via abituale (Cass. 24 marzo 2023, n. 8463; cfr. pure, ad esempio: Cass, 20 settembre 2019, n. 23521; Cass. 18 maggio 2016, n. 10170). Discende da quanto sopra che la pronuncia impugnata è del tutto corretta laddove ha ritenuto prive di rilievo sia l'erronea indicazione del luogo di nascita dell'odierno ricorrente, visto che tale imprecisione non aveva determina o incertezza circa la persona cui andava recapitato l'atto, sia la circostanza per cui la residenza anagrafica dello stesso istante era diversa da quella in cui era stata eseguita la notificazione: luogo in cui, in base alle circostanze sopra richiamate, non smentite dal ricorso odierno, doveva ritenersi che EC effettivamente dimorasse in modo abituale.
3. - Il terzo motivo prospetta una violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2729 c.c. in relazione a disposto dell'art. 2476 c.c., dell'art. 2389 c.c. e dell'art. 115 c.p.c.. La censura investe l'accertamento della responsabilità del ricorrente. Si deduce, in sintesi, che i fatti contestati all'organo amministrativo non erano in sé illegittimi: tanto il pagamento de le obbligazioni sociali, quanto il rimborso delle anticipazioni· eseguite dai soci in favore della società costituivano atti doverosi cui l'amministratore non si poteva sottrarre.
Il motivo è infondato.
Il ricorrente assume che l'intervenuta approvazione del bilancio «certamente influisce sul riparto dell'onere probatorio»: ma proprio l'art. 2476 c.c. da lui evocato, precisa, all'ultimo comma, che «[l']approvazione del bilancio da parte dei soci non implica liberazione degli amministratori e dei sindaci per le responsabilità incorse nella gestione sociale».
Dopodiché, merita avvertire che la Corte di appello ha motivato il proprio convincimento nei termini che possono così riassumersi. Gli esborsi per euro 39.223,00, che risultavano eccentrici rispetto ai costi risultanti dai bilanci successivi al 2010, in cui erano maturati, non erano stati giustificati dal ricorrente, il quale non aveva provveduto a fornire la documentazione contabile neanche a seguito delle richieste formulate da e a norma dell'art. 2476 c.c.: con la conseguenza che doveva ritenersi, quantomeno per presunzioni, che i costi in questione fossero inesistenti. A fronte dell'uscita, dalle casse sociali, della somma di euro 31.246,80, imputata a restituzione di anticipazioni versate dai soci, non era stata prodotta alcuna documentazione giustificativa e l'ammontare dei debiti in questione non trovava ragione in considerazione dell'inattività e della successiva liquidazione della società.
Ebbene, la responsabilità degli amministratori sociali per i danni cagionati alla società amministrata ha natura contrattuale, sicché la società stessa (o il curatore, nel caso in cui l'azione sia proposta ex art. 146 l. fall.) è tenuta ad allegare le violazioni compiute dagli amministratori ai loro doveri, come pure il provare il danno e il nesso di causalità tra la violazione e il danno, mentre spetta agli amministratori provare, con riferimento agli addebiti contestatigli, l'osservanza dei predetti doveri (Cass. 7 febbraio 2020, n. 2975; Cass. 31 agosto 2016, n. 17441). In conseguenza, a fronte di disponibilità patrimoniali pacificamente fuoriuscite, senza apparente giustificazione, dall'attivo della società, questa, nell'agire per il risarcimento del danno nei confronti dell'amministratore, può limitarsi ad allegare l'inadempimento, consistente nella distrazione o dispersione delle dette risorse, mentre compete allo stesso amministratore la prova del suo adempimento, consistente nella destinazione delle attività patrimoniali in questione all'estinzione di debiti sociali o il loro impiego per lo svolgimento dell'attività sociale, in conformità della disciplina normativa e statutaria. Proprio muovendo dalla natura contrattuale della responsabilità dell'amministratore sociale, questa Corte ha precisato che la società richiedente il risarcimento del danno sia tenuta a dedurre l'inadempimento dell'amministratore quanto alle giacenze di magazzino, restando poi a carico del convenuto l'onere di dimostrare l'utilizzazione delle merci nell'esercizio dell'attività di impresa (Cass. 10 agosto 2016, n. 16952); e ad analoghe conclusioni la stessa Corte è pervenuta in fattispecie in cui veniva in questione la distrazione di importi che l'amministratore aveva dedotto essere stati destinati a distribuzione di utili ai soci e a pagamento di compensi a lui spettanti (Cass. 12 maggio 2021, n. 12567). Ciò posto, nel caso qui in esame, non solo il ricorrente non ha dato dimostrazione della destinazione delle disponibilità di cassa al soddisfacimento delle esigenze da lui indicate, ma - come si è visto - sono state individuate precise anomalie, nella gestione sociale e, più in particolare, nella condotta tenuta dall'amministratore, che hanno indotto la Corte di appello a ritenere, sulla base di un ragionamento presuntivo, che I passività indicate da EC (cui sarebbero stati destinati gli importi di euro 39.223,00 e di euro 31.246,80) fossero, di fatto, insussistenti.
4. - Il ricorso è in conclusione respinto.
5. - Le spese di giudizio seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 7.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge; ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, del d.P.R, n. 115 del 2002, inserito dall'art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello stabilito per il ricorso, se dovuto.