È quanto emerge in un giudizio avente ad oggetto il mancato riconoscimento della causa di non punibilità al padrone di 15 cani detenuti in condizioni incompatibili con la loro natura.
Svolgimento del processo
1. Con sentenza del 10 novembre 2022, il Tribunale di Genova condannava G.L. alla pena, condizionalmente sospesa, di 5.000 euro di ammenda, in quanto ritenuto colpevole del reato di cui all'art. 727, comma 2, cod. pen., a lui contestato per aver detenuto presso la propria abitazione e relative pertinenze 15 cani in condizioni incompatibili con la loro natura, posto che alcuni di essi era distesi sopra le loro stesse feci, essendo privi di un adeguato giaciglio, altri manifestavano infezioni massive da parassiti ed erano in evidente stato di denutrizione, mentre due animali venivano rinvenuti nel cortile antistante l'abitazione, legati con catena avente lunghezza di circa due metri, inferiore a quella prevista per legge e privi di alcun ricovero o tettoia; fatto accertato in V. il 10 aprile 2019.
2. Avverso la sentenza del Tribunale ligure, G.L., tramite il proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando due motivi.
Con il primo, la difesa censura la formulazione del giudizio di colpevolezza, osservando che la pronuncia di condanna non ha operato una corretta applicazione dell'art. 727 cod. pen., posto che le risultanze probatorie acquisite hanno smentito la ricorrenza del necessario requisito delle "gravi sofferenze" degli animali, avendo il teste A. escluso categoricamente che G.L. abbia maltenuto, maltrattato o malnutrito i suoi animali, tanto è vero che il veterinario dr. B. ha constatato che i 17 cani identificati erano in buone condizioni e riconoscevano il padrone, che li ha sempre considerati come dei figli, anteponendo le esigenze degli animali alle sue personali. Del resto, solo due dei quindici cani rinvenuti erano legati, ma con catene di due metri che non possono ritenersi particolarmente strette. In ogni caso, la difesa osserva che la cattiva pulizia dei luoghi, peraltro provvisoria, e le catene troppo corte, a tutto concedere, potevano essere ricondotte all'illecito amministrativo disciplinato dal regolamento per la tutela e il benessere degli animali del Comune di V., mentre nella vicenda in esame la sanzione penale risulta del tutto impropria.
Con il secondo motivo, la difesa lamenta il mancato riconoscimento della causa di non punibilità di cui all'art. 131 bis cod. pen., evidenziando che il Tribunale ha disatteso la richiesta difensiva in ragione di un presunto divieto normativo che in realtà non esiste, posto che il divieto stabilito dal secondo comma dell'art. 131 bis cod. pen. attiene alle condotte nelle quali l'autore del fatto ha agito "per motivi abietti o futili o con crudeltà", in danno di persone o anche di animali, condotta questa che, nel caso di specie, non ricorre, atteso che, come riconosciuto dallo stesso Tribunale, G.L. non ha sottoposto gli animali a vere e proprie sevizie, detenendoli solo in condizioni incompatibili con la loro natura, il che esula dal divieto invocato dal giudice monocratico.
Motivi della decisione
Il primo motivo di ricorso è inammissibile, mentre il secondo è meritevole di accoglimento, con le conseguenze che saranno di seguito esposte.
1. Iniziando dal primo motivo, occorre evidenziare che il giudizio sulla sussistenza del reato ascritto a G.L. non presenta vizi di legittimità.
Ed invero il Tribunale ha compiuto un'adeguata ricostruzione dei fatti di causa, richiamando gli accertamenti compiuti dai Carabinieri della Stazione di Busalla, i quali, in data 10 aprile 2019, effettuavano un sopralluogo presso l'abitazione dell'imputato G.L., ubicata in località A. di V..
Giunti sul posto, i militari constatavano la presenza di cani, alcuni dei quali sprovvisti di microchip e altri detenuti in ruderi pieni di escrementi sia recenti che meno recenti, in quantità notevole; inoltre, alcuni animali risultavano pieni di parassiti e in condizioni precarie di salute, mentre altri non avevano a disposizione un riparo idoneo e le catene risultavano di lunghezza inferiore a quanto previsto dalla normativa di settore. Pertanto, gli operanti procedevano al sequestro di quindici cani, di cui tredici perché detenuti in condizioni igieniche precarie e due perché privi di riparo e muniti di catena troppo corta.
Orbene, in quanto preceduto da una disamina razionale delle fonti dimostrative disponibili (correttamente intese nel loro reale significato) e sorretto da considerazioni non illogiche, il giudizio sull'ascrivibilità all'imputato della condotta illecita a lui ascritta non presta il fianco alle censure difensive, che si articolano nella sostanziale proposta di una lettura alternativa (e invero frammentaria) del materiale istruttorio, operazione non consentita in questa sede, dovendosi ribadire (cfr. Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, Rv. 280601) che, in tema di giudizio di cassazione, a fronte di un apparato argomentativo privo di profili di irrazionalità, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito.
Parimenti immune da censure è la qualificazione giuridica del fatto, avendo il giudice monocratico rimarcato la circostanza che l'imputato, pur non causando ai cani vere e proprie sevizie, tuttavia li ha detenuti in condizioni incompatibili con la loro natura, provocando loro gravi sofferenze, il che vale a rendere configurabile la contestata contravvenzione di cui all'art. 727 comma 2 cod. pen. che punisce la condotta di chi detiene animali in condizioni incompatibili con la loro natura, e produttive di gravi sofferenze, dovendosi in tal senso richiamare la condivisa affermazione di questa Corte (cfr. Sez. 3, n. 52031 del 04/10/2016, Rv. 268778 - 01), secondo cui, in tema di reato di detenzione di animali in condizioni incompatibili con la loro natura, previsto dall'art. 727, comma secondo, cod. pen., la grave sofferenza dell'animale, elemento oggettivo della fattispecie, deve essere desunta dalle modalità della custodia che devono essere inconciliabili con la condizione propria dell'animale in situazione di benessere, essendosi precisato che anche le sole condizioni dell'ambiente di detenzione possono essere fonte di gravi sofferenze per l'animale, quando sono incompatibili con la sua natura, come appunto risulta accertato nella vicenda in esame.
Né appare dirimente l'obiezione difensiva secondo cui l'imputato non ha mai inteso fare del male ai suoi cani, cui anzi era legatissimo, essendo le precarie condizioni igieniche ravvisate in sede di sopralluogo dipese da circostanze contingenti (la recente esplosione della crisi coniugale e un gravissimo lutto familiare), avendo il Tribunale correttamente evidenziato che, come già chiarito da questa Corte (cfr. in termini Sez. 3, n. 10163 del 03/10/2017, dep. 2018, Rv. 272621 e Sez. 3, n. 2852 del 02/10/2013, dep. 2014, Rv. 258372), la fattispecie contravvenzionale per cui si procede, a differenza delle più gravi previsioni delittuose di cui agli art. 544 bis e ss. cod. pen., che richiedono il dolo, è integrata anche dalla colpa, senz'altro configurabile nel caso di specie, in ragione delle condizioni in cui sono stati trovati non pochi animali in sede di sopralluogo. Di qui l'inammissibilità delle censure in punto di responsabilità.
2. Il secondo motivo di ricorso è invece fondato.
Nel disattendere la richiesta difensiva volta al riconoscimento della causa di non punibilità di cui all'art. 131 bis cod. pen., il Tribunale, nel rimarcare le gravi sofferenze provocate agli animali a seguito delle modalità di detenzione non compatibili, ha invocato a tal fine "l'espresso divieto di cui all'art. 131 bis II comma cod. pen.; richiamo; questo che tuttavia non può essere ritenuto corretto, posto che l'art. 131 bis comma 2 cod. pen. contempla, tra le condizioni ostative al riconoscimento della particolare tenuità del fatto, i casi in cui l'autore del fatto abbia agito per motivi abietti o futili o con crudeltà "anche nei confronti degli animali", ma tale evenienza è stata inequivocabilmente esclusa dallo stesso Tribunale, che, come detto, ha sottolineato il fatto che G.L., pur causando gravi sofferenze agli animali, tuttavia "non li ha sottoposti a vere e proprie sevizio", tanto è vero che il reato è stato ritenuto sorretto non dal dolo ma dalla colpa, elemento questo non compatibile con la crudeltà o i motivi abietti o futili. Stante l'inesattezza del richiamo normativo operato dal giudice monocratico, che ha fermato a tale rilievo la propria disamina sul punto, si impone pertanto l'annullamento della sentenza impugnata, limitatamente alla valutazione riguardante l'applicazione dell'art. 131 bis cod. pen., con rinvio a Tribunale di Genova in diversa composizione fisica, per nuovo giudizio su questo aspetto, da compiere alla luce dei parametri e dei criteri direttivi dettati dalla norma.
3. A ciò deve solo aggiungersi, ferma restando l'autonomia della valutazione di merito da compiere in sede di rinvio comunque dichiarato irrevocabile, ex art. 624 cod. proc. pen., il giudizio sulla sussistenza del reato contestato, dovendosi richiamare in tal senso l'affermazione di questa Corte (Sez. 3, n. 50215 del 08/10/2015, Rv. 265434 e Sez. 3, n. 30383 del 30/03/2016, Rv. 267590), secondo cui, nel caso di annullamento con rinvio da parte della Corte di Cassazione, limitatamente alla verifica della sussistenza dei presupposti per l'applicazione della causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto, il giudice di rinvio non può dichiarare l'estinzione del reato per intervenuta prescrizione, maturata successivamente alla sentenza di annullamento parziale.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente all'eventuale applicazione dell'art. 131 bis cod. pen., con rinvio per nuovo giudizio sul punto al Tribunale di Genova in diversa composizione fisica. Dichiara il ricorso inammissibile nel resto.