Svolgimento del processo
1. G.T. è stato tratto a giudizio per rispondere del reato di cui all'articolo 483 cod. pen., perché, quale legale rappresentante della società (omissis) s.r.l. unipersonale, avrebbe attestato falsamente, nella certificazione unica 2017, di aver corrisposto quanto dovuto a titolo di trattamento di fine rapporto al dipendente M.M..
Con sentenza pronunciata 1'8 giugno 2022, il Tribunale di Cassino ha assolto l'imputato ritenendo che la certificazione unica non fosse qualificabile in termini di atto pubblico.
2. Avverso tale decisione ricorre il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte d'appello di Roma, deducendo, con un unico motivo di impugnazione, l'erronea interpretazione ed applicazione della legge regolatrice della materia, in relazione all'articolo 4 d.P.R. n. 322 del 1988. E ciò in quanto la certificazione unica sarebbe rilevante non solo nei rapporti tra privati (tra datore di lavoro e dipendente), ma anche in quelli tra privato (datore di lavoro) e pubbliche amministrazioni (Agenzia delle Entrate), certificando, appunto, all'Agenzia delle Entrate che la trattenuta è stata effettivamente versata.
Motivi della decisione
Il ricorso è fondato.
Il Tribunale di Cassino ha assolto l'imputato ritenendo che la certificazione unica (nella quale sarebbero state trasfuse le false attestazioni oggetto dell'imputazione) non fosse qualificabile in termini di atto pubblico.
La deduzione è corretta, ma tanto non esclude l'astratta configurabilità del reato contestato.
In linea generale, la falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico, prevista dall'art. 483 cod. pen., presuppone un collegamento tra il privato, autore della falsificazione, e il pubblico ufficiale, che, pur estraneo al reato, deve raccogliere le attestazioni del primo (Sez. 5, n. 3312 del 11/02/1983, Rv. 158484) e riguarda i soli fatti attestati dal privato che abbiano una rilevanza probatoria inerente alla natura e all'essenza funzionale dell'atto per i quali il privato abbia l'obbligo giuridico di dire la verità.
La certificazione unica in sé non è atto pubblico. Questa Corte ha già avuto modo di precisare come la disciplina in materia (art. 4 d.P.R. n. 322 del 1998) non conferisce alcun profilo pubblicistico all'attività del sostituto di imposta, che opera la ritenuta e rilascia la certificazione unica (C.U.D.). Tant'è che la relativa controversia, in ordine alla legittimità di una ritenuta fiscale di acconto, anche se è devoluta alle commissioni tributarie (dovendo essere decisa con efficacia di giudicato e nel contraddittorio con l'amministrazione finanziaria) rimane comunque una controversia tra privati (Cass. civ. Sez. U, n. 1200 del 05/02/1988, Rv. 457410).
Ciononostante, la nozione di atto pubblico rilevante anche ai fini dell'art. 483 cod. pen., racchiude un'ampia estensione tipologica di scritti, ricomprendendo anche quelli formati dal pubblico ufficiale o dal pubblico impiegato nell'esercizio delle loro funzioni che, seppur redatti per uno scopo diverso da quello di conferire ad essi pubblica fede, abbiano comunque attitudine ad assumere rilevanza giuridica e un valore probatorio interno alla pubblica amministrazione (Sez. 5, n. 15901 del 15/02/2021, Rv. 281041).
E la falsa attestazione contenuta nella certificazione unica incide direttamente sul conseguente atto dell'amministrazione finanziaria (connesso alla determinazione delle imposte) che, pur formato per uno scopo diverso da quello di conferire pubblica fede alle attestazioni del privato, assume comunque rilevanza giuridica nel rapporto pubblicistico che lega l'amministrazione finanziaria e il contribuente, acquisendo, attraverso l'attestazione stessa, un valore probatorio interno alla pubblica amministrazione.
La certificazione unica, infatti, è un documento fiscale che attesta i redditi percepiti nell'anno precedente; viene rilasciato dall'INPS o dal datore di lavoro o dal committente entro il 16 marzo di ogni anno e viene successivamente trasfuso nella relativa dichiarazione dei redditi.
Incide, quindi, sulla conseguente tassazione applicata al contribuente e, quindi, sul contenuto di un atto che, seppur redatto uno scopo diverso da quello di conferire ad essi pubblica fede, ha comunque attitudine ad assumere rilevanza giuridica e un valore probatorio interno alla pubblica amministrazione.
Tanto impone l'annullamento della sentenza impugnata con rinvio al Tribunale di Cassino, in diversa composizione, per nuovo giudizio.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio al Tribunale di Cassino per nuovo giudizio.