
Svolgimento del processo
1. Con ordinanza del 14 dicembre 2022 il Tribunale di Viterbo, in funzione di giudice dell'esecuzione, ha respinto l'istanza di M.R. di revoca per intervenuta abolitio criminis ex art. 673, comma 2, cod. proc. pen., della sentenza di proscioglimento per estinzione del reato emessa nei suoi confronti dal Tribunale di Viterbo il 23 settembre 2014, irrevocabile il 24 ottobre 2017.
In particolare, M.R. era stato prosciolto per prescrizione dal reato di abuso d'ufficio, così riqualificata l'originaria imputazione di corruzione, perché, quale assessore ai servizi sociali del Comune di Viterbo, aveva concordato, con una esponente aziendale di una società concorrente alla gara di appalto per la fornitura di pasti alle mense scolastiche di Viterbo, la redazione del capitolato di gara che era stato scritto in modo tale da indirizzare l'aggiudicazione dell'appalto a tale concorrente.
M.R. aveva presentato istanza di revoca della sentenza al giudice dell'esecuzione, sostenendo che la modifica all'art. 323 cod. pen. introdotta dall'articolo 23 d.l. 16 luglio 2020, n. 76, aveva ristretto l'ambito applicativo del reato di abuso d'ufficio, determinando la abolitio criminis della condotta per cui era stato giudicato l'istante, che consisteva nella generica violazione dei principi di correttezza e trasparenza dell'attività amministrativa.
Il giudice dell'esecuzione aveva respinto l'istanza ritenendo che la condotta per cui era stato giudicato M.R. costituisca ancora reato, sia perché le regole fondamentali in materia di gare pubbliche previste dal codice degli appalti sono regole specifiche e prive di margini discrezionalità, sia perché la condotta tenuta dall'imputato poteva ritenersi riconducibile anche all'ipotesi di omessa astensione in presenza di un interesse proprio.
2. Avverso il predetto provvedimento ha proposto ricorso M.R., per il tramite del difensore, con i seguenti motivi.
Con il primo motivo deduce violazione di legge perché la generica affermazione del giudice dell'esecuzione, secondo cui nella condotta attribuita all'imputato vi è stata comunque violazione delle norme del codice degli appalti, non è sufficiente per integrare la violazione di una specifica regola di condotta prevista dalla legge ed avente forza di legge, in quanto la contestazione che è stata mossa all'imputato è, al più, la mera trasgressione dell'obbligo di imparzialità.
Con il secondo motivo deduce vizio di motivazione perché il giudice dell'esecuzione ha ritenuto che la condotta tenuta dall'imputato possa rientrare anche nell'ipotesi, ancora penalmente rilevante, di omessa astensione in presenza di un interesse proprio, che però, in realtà, non è conferente con il caso in esame, in quanto nessun obbligo di astensione era riconducibile in capo all'assessore non versandosi in presenza di interesse proprio o di prossimo congiunto o di altro caso previsto dalla legge.
3. Con requisitoria scritta il Procuratore Generale, O.M., ha concluso per il rigetto del ricorso.
Co nota di conclusioni scritte i difensori del ricorrente, avv. R.M. e avv. F.M., hanno insistito per l'accoglimento del ricorso.
Motivi della decisione
Il ricorso è infondato.
1. Il primo motivo censura la motivazione della ordinanza impugnata nella parte in cui ha respinto l'istanza sostenendo che il fatto per cui il ricorrente è stato ritenuto responsabile, e che è stato dichiarato estinto per prescrizione, costituisca ancora reato, in quanto integrerebbe comunque una violazione delle norme del codice degli appalti.
Il ricorso sostiene, in particolare, che il Tribunale non ha indicato la specifica regola di condotta prevista dalla legge, ed avente forza di legge, che è stata violata, e che, quindi, all'imputato può essere attribuita, al più, una mera trasgressione del generico obbligo di imparzialità della pubblica amministrazione, condotta che ormai non costituisce più reato.
Il motivo è infondato.
La condotta di abuso d'ufficio di cui è stato ritenuto responsabile il ricorrente, a seguito della riqualificazione, nella sentenza di cui si chiede la revoca, dell'originaria imputazione per corruzione, è la "aggiudicazione" di un appalto pubblico al concorrente con cui era stato previamente concordato il contenuto del bando.
La circostanza che l'imputato sia stato ritenuto responsabile di abuso d'ufficio per il suo concorso nell'emissione del provvedimento di "aggiudicazione" dell'appalto emerge con chiarezza dalla motivazione della sentenza divenuta irrevocabile, in particolare nella parte in cui il giudice della cognizione spiega perché ritiene la sussistenza del concorso tra l'abuso d'ufficio e la fattispecie dell'art. 353, comma 2, cod. pen., pure contestata all'imputato, e pure dichiarata prescritta, per aver concordato con un concorrente il capitolato di gara.
Il passaggio decisivo della sentenza divenuta irrevocabile si rinviene sul punto a pag. 29, quando il giudice della cognizione spiega che non vi è concorso apparente tra norme ed assorbimento dell'abuso d'ufficio nella turbata libertà degli incanti, perché il reato di turbata libertà degli incanti "risulta essere stato consumato già in un momento precedente la consumazione del delitto di abuso, poi avvenuto con l'aggiudicazione nel settembre 2005".
La diversa ricostruzione proposta nella memoria conclusionale della difesa del ricorrente, che ritiene, invece, che l'imputato sia stato ritenuto responsabile di abuso d'ufficio "per le condotte che avevano preceduto l'aggiudicazione della gara", condotte, peraltro, non meglio precisate in memoria, non è sostenibile, perché in contrasto con il percorso logico effettuato dal Tribunale nella sentenza passata in giudicato.
Ciò posto, l'ordinanza impugnata individua e giustifica, in modo giuridicamente corretto e del tutto congruo rispetto al fatto accertato con definitiva sentenza di merito, l'esistenza nel caso di specie di un obbligo di astensione in capo al ricorrente, in particolare per quanto attiene al suo concorso all'aggiudicazione dell'appalto de quo. La realizzazione da parte del ricorrente delle condotte collusive integrative della fattispecie di cui all'art. 353 cod. pen. evidenzia, infatti, tanto nella prospettiva del giudice della cognizione che in quella del giudice dell'esecuzione, che il pubblico ufficiale ha fatto proprio l'interesse del concorrente favorito, ciò che realizza la violazione dell'obbligo di astensione in presenza di un interesse proprio prevista dalla norma incriminatrice dell'art. 323 cod. pen., quale risulta dalla riscrittura operata dall'art. 23 ci.I. 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla I. 11 settembre 2020, n. 120.
Anche sotto questo profilo il ricorso, che si concentra sulla contestazione della rilevanza, per la configurabilità del reato di cui all'art. 323 cod. pen., della, pur evidente, inosservanza dei principi di imparzialità e di buon andamento della pubblica amministrazione, appare dunque infondato e fuori fuoco.
Le ulteriori deduzioni risultano assorbite.
3. Ai sensi dell'art. 616, comma 1, cod. proc. pen., alla decisione consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.