Svolgimento del processo
1. È oggetto di ricorso la sentenza del 6 giugno 2022, con cui la Corte d'appello di Milano, in parziale riforma della decisione di primo grado, ha assolto D. P. dal delitto di atti persecutori nei confronti di A.B., D. R. e A. R. per insussistenza del fatto, revocando le statuizioni civili disposte nei loro confronti. Confermato il giudizio di condanna dell'imputato per il reato di atti persecutori nei confronti del solo A. U., la Corte territoriale ha ridotto la pena ad anni due di reclusione. Secondo il capo d'imputazione, D. P., con condotte reiterate, consistenti nel ricorso sistematico e strumentale a incessanti e infondate azioni giudiziarie proposte sia in sede civilistica che penalistica nei confronti di A. U., A. B., D. R. e A. R., arrecava molestia ai predetti, costringendoli a modificare le loro abitudini di vita, esponendoli a continue spese processuali e a gravi ricadute sul piano dell'immagine personale e professionale.
2. Avverso la sentenza, sono stati proposti cinque ricorsi; l'uno, a firma del Procuratore generale della Corte d'appello di Milano, Dott. C. T.; gli altri quattro ricorsi sono stati presentati, per il tramite dei rispettivi difensori, nell'interesse di A.B., D. R. e F. s.p.a., A. R. e dell'imputato D. P..
A fini di massima sintesi espositiva, può evidenziarsi, in premessa, che i tre ricorsi delle parti civili e quello del Procuratore generale sono accomunati da due censure, la prima delle quali insiste sul difetto di motivazione rafforzata della decisione impugnata; la seconda ha riguardo al passaggio motivazionale in cui la Corte territoriale sembra ancorare la prova dell'evento del reato alla necessità di certificazione medica.
3. Il ricorso del Procuratore generale della Corte d'appello di Milano si articola in tre motivi.
3.1. Col primo motivo, si deduce vizio di motivazione per non avere la Corte territoriale assolto al dovere di confutare specificamente le ragioni poste a base della decisione di primo grado. A fronte dell'articolata motivazione resa dal Tribunale di Monza circa la sussistenza degli elementi costitutivi del reato e, segnatamente, dell'evento, consumatosi -secondo il Giudice del primo grado anche in relazione alla moglie dell'imputato, A.B., e dei figli D. e A. R., la Corte territoriale avrebbe immotivatamente ritenuto che l'evento del reato si sia realizzato nei soli confronti di A. U., così trascurando i gravosi riflessi della condotta dell'imputato sullo stato psichico di tutte le persone prima citate, costrette a cambiare le proprie abitudini di vita.
Elemento sintomatico della carenza motivazionale -tanto più grave in quanto la decisione in tal sede impugnata interviene in riforma di un'assoluzione- sarebbe, infine, il silenzio serbato dalla Corte d'appello nei confronti della posizione della F. s.p.a., azienda di famiglia delle persone offese, pur costituitasi parte civile e rappresentata in giudizio.
3.2 Col secondo motivo, si lamenta V.zione di legge, in relazione all'art. 612 bis cod. pen., e vizio di motivazione, per avere la Corte territoriale ritenuto che l'evento richiesto dall'art. 612 bis cod. pen. debba essere provato da una certificazione sanitaria che attesti il turbamento psicologico della persona offesa dalla condotta persecutoria. In tal modo, la Corte d'appello avrebbe contraddetto la consolidata giurisprudenza di questa Corte che, ai fini della prova dell'evento richiesto dalla fattispecie incriminatrice, ritiene sufficiente la ricorrenza di elementi sintomatici del turbamento psicologico, ricavabili dalle dichiarazioni della p.o. o dalla condotta stessa dell'agente, considerata l'astratta idoneità della natura di tale condotta a causare l'evento. Nel ritenere non provato l'evento, Corte d'appello avrebbe travisato il senso delle dichiarazioni rese da A.B. e dalla sua psichiatra, Dott.ssa V., altresì omettendo di indicare da quali atti di causa sia stato tratto il proprio convincimento e ignorando, infine, il certificato medico dell'ottobre 2019, rilasciato dal reparto di psichiatria di una struttura ospedaliera in cui era stato diagnosticato a B. un "disturbo post traumatico da stress e di tensione legata alle vicende giudiziarie in corso, con disturbi percettivi".
Non dissimili considerazioni sono esposte in relazione all'omessa motivazione circa l'evento del reato, non provato, secondo la Corte territoriale, nemmeno con riferimento a D. e A. R.. Anche in tal caso, il ricorrente evidenzia la discrepanza tra le dichiarazioni di questi ultimi e le contraddittorie conclusioni tratte dai Giudici dell'appello, come può evincersi dalla semplice lettura dei verbali d'udienza. Da questi ultimi, risulta, infatti, come D. R. abbia dichiarato di aver sofferto osservando dolori e ambasce dei propri genitori (oggi ottantenni), colpiti dalla vicenda in oggetto per un intero decennio, e in un'epoca della vita di maggiore e indubbia vulnerabilità, e abbia interrotto le proprie frequentazioni sociali a Monza, per tema di incontri imbarazzanti. Dal canto suo, A. R. è parte in una decina di procedimenti scaturiti da iniziativa dell'imputato, tutti aventi natura pretestuosa e tutti coinvolgenti l'azienda di famiglia. La persecuzione giudiziaria posta in atto dall'imputato nei confronti di A. R., oltre che dei genitori dello stesso, non avrebbe potuto non ingenerare anche in lui grave turbamento piscologico e costrizione ad alterare le abitudini di vita.
3.3 Col terzo motivo, si duole di vizio di motivazione, per intrinseca contraddittorietà della stessa. Le premesse poste dalla Corte territoriale, che non ha posto in dubbio la responsabilità dell'imputato per l'ascritto reato nei confronti di A. U., sarebbero smentite dalle conclusioni raggiunte in relazione alle altre tre persone offese. Infatti, la Corte territoriale, per un verso, ha ritenuto l'elemento oggettivo del reato integrato dalla molteplicità delle azioni giudiziarie (circa 200), in gran parte del tutto pretestuose e promosse, in talune occasioni, anche contro i membri dei R. e della B., peraltro con modalità scorrette (proponendo, ad esempio, azioni senza il versamento del contributo unificato e di marche da bollo), e, dall'altro, ha ritenuto consumato l'evento del reato soltanto con riferimento ad A. U.. La motivazione sarebbe contraddittoria anche in relazione all'elemento soggettivo del reato, avendo la Corte riconosciuto come l'imputato abbia agito non già con la finalità di esercitare un preteso diritto, bensì di procurare nocumento alla persona offesa U., indirizzando la propria vis persecutoria anche nei confronti di soggetti terzi, quali testimoni, collaboratori di A. U. e magistrati. A fronte di tale quadro probatorio, la Corte d'appello avrebbe trascurato gli altri componenti della famiglia, destinatari di molteplici iniziative giudiziarie, sia personalmente sia in qualità di membri del e.ci.a. della F., per tacere di motteggi ed epiteti offensivi adoperati dall'imputato in molti atti concernenti le cause intentate nei confronti delle quattro persone offese.
4. Con il ricorso proposto nell'interesse di A. R., per il tramite dell'Avv. M. B., si eccepiscono quattro motivi.
4.1 Col primo motivo, si lamenta vizio di motivazione per non avere la Corte territoriale assolto al dovere di confutare specificamente le ragioni poste a base della decisione di primo grado.
4.2 Col secondo motivo, si deduce violazione di legge, in relazione all'art. 612 bis cod. pen., per avere la Corte escluso la sussistenza della prova dell'evento in base all'assenza di certificazione medica attestante una malattia. In tal modo, la Corte d'appello avrebbe contraddetto la consolidata giurisprudenza di questa Corte secondo cui la prova dell'evento richiesto dalla fattispecie incriminatrice può essere dedotta anche dalla natura dei comportamenti tenuti dall'agente, qualora questi siano idonei a determinare in una persona comune un effetto destabilizzante l'equilibrio psicologico della persona offesa.
4.3 Col terzo motivo, si duole di vizio di motivazione in relazione alla mancanza della prova dell'evento, per non avere la Corte indicato da quale atto o testimonianza sia stato tratto il convincimento dell'assenza di turbamento del ricorrente; in maniera illogica e contraddittoria rispetto agli esiti dell'istruttoria, la Corte d'appello avrebbe ignorato le dichiarazioni di A. R., il quale, trovatosi a esser parte in circa 200 cause (o personalmente o in quanto socio dell'azienda di famiglia), ha narrato dell'ansia per il suo futuro, oltre che di quello dei suoi familiari e per quello dell'azienda, viste anche le ingenti somme di denaro per cui la F. s.p.a. è stata citata in giudizio dall'imputato; egli ha riferito, inoltre, del proprio disagio per dover esporre a soggetti terzi (quali soci, sindaci e personale impiegato presso le banche) i contenuti degli atti giudiziari di volta in volta notificati. In tal modo, la Corte territoriale, non prendendo in esame prove essenziali, sarebbe incorsa in vizio di travisamento della prova per omissione.
4.4 Il quarto motivo, con cui si deduce vizio di motivazione per contraddittorietà della stessa, coincide con il terzo motivo del ricorso del Procuratore generale, avendo esso a oggetto, infatti, l'iter argomentativo della Corte d'appello. Dopo aver evidenziato come l'imputato abbia indirizzato la propria vis persecutoria anche nei confronti di "soggetti terzi", quali testimoni, collaboratori di A. U. e magistrati, la Corte territoriale avrebbe tralasciato di considerare che anche il ricorrente è stato coinvolto in innumerevoli cause giudiziarie, coincidendo, quei "soggetti terzi", con i suoi stessi collaboratori, i suoi legali e con i magistrati intervenuti nei procedimenti, di natura civile e penale, di cui A. R. era parte in causa.
5. Il ricorso nell'interesse di D. R. e della F. s.p.a., a firma dell'Avv. S. M., si articola in due motivi.
5.1 Col primo motivo, si deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla ritenuta insussistenza della prova dell'evento del danno, non avendo la Corte territoriale indicato quali elementi di prova (orale o documentale) siano stati valorizzati ai fini della decisione, né quali specifici passaggi dell'iter motivazionale della sentenza di primo grado siano stati disattesi.
In modo contraddittorio, la Corte avrebbe dapprima condiviso il giudizio -formulato in primo grado- di attendibilità di tutti i testi, comprese le tre altre persone offese, per poi tenere in non cale le dichiarazioni del ricorrente, il quale ha narrato della propria sofferenza, di una percezione di sé sempre più negativa, di una visione del futuro della propria famiglia a tinte fosche, di modifiche di abitudini di vita personale e lavorativa, eventi, tutti, scaturenti dalla persecuzione giudiziaria posta in essere dall'imputato. In relazione a quest'ultima, il ricorrente, al pari del fratello A., ha riferito in dibattimento delle cause, circa 10, che lo hanno coinvolto in prima persona o quale componente del c.d.a. dell'azienda di famiglia. Si ricorda inoltre la mera pretestuosità della gran parte delle azioni intentate dall'imputato contro i fratelli R.: a fronte delle richieste avanzate da P. per mancati pagamenti di parcelle e conseguenziali danni, ammontanti a circa 200.000 euro, ricorda la difesa che le somme riconosciute dai Tribunali all'esito delle predette azioni giudiziarie si sono ridotte a circa 3000 euro.
Sempre in relazione all'evento del reato, il ricorrente indica orientamenti giurisprudenziali di questa Corte, tesi a evidenziare come l'evento delle modifiche di abitudini di vita non sia da intendere in senso puramente quantitativo, come mera sommatoria, cioè, delle singole variazioni indotte dalle condotte persecutorie. Altresì sottolineata dal ricorrente è la giurisprudenza che ha valorizzato, ai fini della prova dell'evento di danno, le condotte delittuose nei confronti dei prossimi congiunti e il possibile riflesso sull'equilibrio psicologico delle persone vicine ai congiunti. Nel caso di specie, la Corte territoriale non avrebbe preso in considerazione lo stato d'ansia del ricorrente, che ha assistito al decadimento fisico ed emotivo dei genitori, e al forte turbamento del fratello A..
5.2 Col secondo motivo, si eccepisce violazione di legge, in relazione all'art. 546 del codice di rito e vizio di motivazione, dato il difetto di qualsivoglia riferimento alla posizione della parte civile F. s.p.a.; finanche nel dispositivo dell'impugnata sentenza, in cui sono state revocate le statuizioni civili in favore dei due fratelli R. e di S., la Corte territoriale ha omesso di revocare le statuizioni civili in primo grado disposte a favore anche dell'azienda. Manifestamente contraddittoria sarebbe la parte motiva su tale profilo, atteso che la Corte d'appello ha convenuto col Giudice di primo grado sulle gravi conseguenze delle condotte persecutorie sull'attività aziendale di famiglia. Anche a voler condividere la decisione della Corte d'appello, ferma nel considerare l'evento del reato riferibile al solo A. U., da sempre alla guida della F., permarrebbe l'illogicità della motivazione, dal momento che non sono stati considerati i danni economici e d'immagine patiti, quantomeno in via indiretta, dalla società.
6. Il ricorso proposto nell'interesse di A. S., per il tramite dell'Avv. E. S., si compone di un unico, articolato motivo, col quale si eccepisce violazione di legge e vizio di motivazione per avere la Corte d'appello erroneamente escluso il verificarsi dell'evento, a dispetto del fatto che lo stato d'ansia e il cambiamento di abitudini di vita siano stati comprovati dalle dichiarazioni della ricorrente, confermate dalle testimonianze della psichiatra, Dott. ssa V., dall'avvocato di famiglia F. F., dai figli A. e D. R., da altri testi, oltre che dal certificato medico dell'ottobre 2019, rilasciato dal reparto di psichiatria di una struttura ospedaliera, attestante un "disturbo post traumatico da stress e di tensione legata alle vicende giudiziarie in corso, con disturbi percettivi".
La difesa ricorda inoltre il numero spropositato di azioni giudiziarie intentate dall'imputato anche nei soli confronti della ricorrente, in cui, all'abuso dello strumento processuale, si è sovente affiancato un tipo di molestia ulteriore, contrassegnato dal gratuito riferimento -contrassegnato da un tenore verbale anche offensivo- a vicende personali e familiari prive di qualsivoglia nesso con le azioni giudiziarie.
7. Il ricorso presentato nell'interesse di D. P., per il tramite dell'Avv. A. de B., si articola in quattro motivi.
7.1 Col primo motivo, si deduce tardività della querela, presentata da A. U. in data 29 dicembre 2011. La condotta tipica del reato si sarebbe realizzata, al più tardi, nella primavera del 2011, allorché la persona offesa si recava dalla psichiatra, Dott.ssa V., riferendo della propria sofferenza, come dichiarato da quest'ultima, senza ulteriori specificazioni in merito alla data. Occorre dunque far riferimento al 21 giugno, data in cui convenzionalmente termina la primavera, per indicare il termine a partire dal quale calcolare il decorso dei sei mesi per la proposizione di una valida querela. I sei mesi -osserva, quindi, la difesa scadevano il 21 dicembre 2011. Data la natura di reato abituale del delitto di atti persecutori, la tardività della prima querela trascinerebbe con sé le successive querele, rendendo anche queste ultime tardive.
7.2 Col secondo motivo, si lamenta violazione del principio del ne bis in idem, posta l'identità del fatto storico posto a base del procedimento disciplinare - conclusosi con la sanzione della sospensione dall'attività forense inflitta all'imputato, nel 2014, decisa dal Consiglio dell'Ordine degli Avvocati- col fatto oggetto del procedimento penale in corso. La Corte territoriale non avrebbe considerato la natura sostanzialmente penale della sanzione inflitta in sede disciplinare, così afflittiva da risultare equiparabile alle pene accessorie di artt. 30 e 31 cod. pen.
7.3 Col terzo motivo, si duole di violazione di legge, con riferimento all'art. 521 cod. pen., per avere la Corte d'appello descritto l'evento del reato nei termini anche di disagio psichico della persona offesa, laddove, nel capo d'imputazione, si fa riferimento esclusivamente alla modifica delle abitudini di vita.
7.4 Col quarto motivo si lamenta violazione di legge per avere la Corte territoriale trattato il tema delle spese legali alla stregua di uno degli eventi del reato, non fornendo prova alcuna delle "inevitabili spese legali" susseguenti alle condotte persecutorie contestate all'imputato. Peraltro, la testimonianza di un membro del collegio sindacale della F. s.p.a., non adeguatamente vagliata dalla Corte d'appello, smentirebbe la tesi della Corte d'appello; egualmente non valorizzata dai Giudici d'appello sarebbe stata la dichiarazione - connotata da forte incertezza - resa da A. R. in merito alle spese legali sostenute dalla famiglia.
7. All'udienza del 23 maggio 2023 si è svolta trattazione orale. Il Sostituto Procuratore generale, Dott. D. G., ha concluso per l'inammissibilità del ricorso proposto nell'interesse di P., per l'annullamento con rinvio limitatamente alla valutazione circa la sussistenza del reato per i ricorsi proposti dalle parti civili e, agli effetti civili, nei confronti della F. s.p.a.
Il difensore delle parti civili U. A. e R. A., Avv. B., ha chiesto il rigetto del ricorso proposto nell'interesse di P. e conseguente conferma della sentenza impugnata e relative statuizioni civili; ha depositato conclusioni e nota spese.
Motivi della decisione
1. Ricorso del Procuratore generale
1.1 I tre motivi di ricorso, esaminabili congiuntamente per la loro stretta connessione, sono fondati.
La giurisprudenza di questa Corte ha da tempo affermato, sulla scorta di risalenti approdi delle Sezioni Unite (Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 231679; Sez. U, n. 6682 del 04/02/1992, Musumeci, Rv. 191229), che il Giudice d'appello ha l'obbligo di approntare una nuova e compiuta struttura motivazionale che dia ragione delle difformi conclusioni raggiunte nel caso in cui riformi totalmente la decisione di primo grado.
Sez. U, n. 14800 del 21/12/2017, dep. 2018, Troise, Rv. 272430 - 01 hanno affermato, tra l'altro, che «assolvere l'obbligo di motivazione rafforzata significa:
a) dimostrare di avere compiuto un'analisi stringente, approfondita, completa del provvedimento impugnato; b) spiegare, anche in ragione dei motivi di impugnazione e del perimetro cognitivo devoluto, perché non si è condiviso il decisum; c) chiarire quali sono le ragioni fondanti - a livello logico, probatorio, giuridico - la nuova decisione assunta» (v. Sez. 6, n. 15869 del 16 dicembre 2021, dep. 2022, Tijani). Nel riformare una sentenza, è necessario dimostrare quindi di aver esaminato tutti gli elementi acquisiti e di avere compiuto, sulla base del devoluto, un confronto argomentativo serrato con essa al fine di evidenziarne le criticità (cfr., Sez. U., n. 33748 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 231679), per poi procedere a formare una nuova motivazione che non si limiti ad inserire in quella argomentativa del primo giudice mere notazioni critiche di dissenso, «in una sorta di ideale montaggio di valutazioni ed argomentazioni fra loro dissonanti, ma riesami'ÌI materiale probatorio vagliato dal giudice di primo grado, consideri quello eventualmente sfuggito alla sua delibazione e quello ulteriormente acquisito, per dare, riguardo alle parti della prima sentenza non condivise, una nuova e compiuta struttura argomentativa che spieghi le difformi conclusioni» (Sez. U., n. 6682 del 04/02/1992, Musumeci, Rv. 191229, ripresa, da ultimo, da Sez F., n. 48310 del 09/08/2022).
Tutto ciò fermo restando che il concreto modo di operare della regola della quale si tratta scaturisce dall'interazione della presunzione di innocenza e del canone del ragionevole dubbio con la peculiare tipologia di esito decisorio della pronuncia riformata. Il canone del ragionevole dubbio, infatti, per la sua immediata derivazione dal principio della presunzione di innocenza, esplica i suoi effetti conformativi non solo sull'applicazione delle regole di giudizio e sulle diverse basi argomentative della sentenza di appello che operi un'integrale riforma di quella di primo grado, ma anche, e più in generale, sui metodi di accertamento del fatto, imponendo protocolli logici del tutto diversi in tema di valutazione delle prove e delle contrapposte ipotesi ricostruttive in ordine alla fondatezza del tema d'accusa: la certezza della colpevolezza per la pronuncia di condanna, il dubbio originato dalla mera plausibilità processuale di una ricostruzione alternativa del fatto per l'assoluzione.
Nel caso di specie, ritiene il Collegio che la Corte d'appello non abbia adempiuto all'obbligo di motivare in maniera particolarmente stringente le ragioni fondanti - a livello logico, probatorio, giuridico - le proprie diff9rrrµ--eonclusioni.
Il punto nevralgico si rinviene, in particolare, ner in cui la Corte territoriale lega a filo doppio la mancata prova dell'evento del reato, nei confronti di A.B., D. R. e A. R., con la mancata diagnosi medica che certificasse, in questi ultimi, una patologia consimile a quella diagnosticata per la parte civile A. U. (v. pag. 26 della parte motiva dell'impugnata sentenza). Il fatto che soltanto quest'ultimo fosse in cura presso uno psichiatra, e che gli fosse stato diagnosticato un disturbo ansioso depressivo, non implica che gli altri membri della famiglia non abbiano subito, nel corso di molti anni, i contraccolpi derivanti dalla strategia di accanimento processuale dell'imputato, che si è tradotta nel reato di atti persecutori e che sono riconducibili ad uno degli eventi di danno descritti dalla fattispecie incriminatrice.
In primo luogo, va rilevato che l'assunto da cui muove la Corte territoriale è in netto contrasto con la consolidata giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale «in tema di atti persecutori, la prova dell'evento del delitto, in riferimento alla causazione nella persona offesa di un grave e perdurante stato di ansia o di paura, deve essere ancorata ad elementi sintomatici di tale turbamento psicologico ricavabili dalle dichiarazioni della stessa vittima del reato, dai suoi comportamenti conseguenti alla condotta posta in essere dall'agente ed anche da quest'ultima, considerando tanto la sua astratta idoneità a causare l'evento, quanto il suo profilo concreto in riferimento alle effettive condizioni di luogo e di tempo in cui è stata consumata» (Sez. 5, n. 17795 del 02/03/2017, S., Rv. 269621 - 01, ex plurimis).
Si osserva, inoltre, come siano gli stessi Giudici dell'appello a evidenziare, nel corso dell'intero e pur dettagliato iter motivazionale, i riflessi delle condotte dell'imputato su tutti i membri della famiglia R.-U. e, segnatamente, su ciò che -con formula per ora sintetica, il cui significato sarà esplicato più in dettaglio nell'immediato prosieguo - può definirsi la loro "tranquillità psichica". A tal proposito, deve ricordarsi quanto statuito da questa Corte, secondo cui «l'art. 612 bis cod. pen. è preordinato alla tutela della tranquillità psichica - ed in definitiva della persona nel suo insieme» (Sez. 5, n. 2283 del 11/11/2014, dep. 2015, C., Rv. 262727 - 01: «è configurabile il concorso tra il reato di violenza privata e quello di atti persecutori, trattandosi di reati che tutelano beni giuridici diversi, in quanto l'art. 610 cod. pen. protegge il processo di formazione e di attuazione della volontà personale, ovvero la libertà individuale come libertà di autodeterminazione e di azione; mentre l'art. 612 bis cod. pen. è preordinato alla tutela della tranquillità psichica - ed in definitiva della persona nel suo insieme - che costituisce condizione essenziale per la libera formazione ed estrinsecazione della predetta volontà»).
Più in particolare, nel richiamare la testimonianza dell'Avv. F. -legale della parte civile U. dal 2015- non senza specificare l'attendibilità della stessa (v. p. 19 della motivazione dell'impugnata sentenza), la Corte d'appello ha ricordato, per un verso, che la strategia di accanimento giudiziario si è rivolta nei confronti di tutti i membri della famiglia U.-R. e, per altro verso, ha fatto riferimento, in più passaggi motivazionali, a talune conseguenze delle condotte dell'imputato sulla vita -emotiva e pratica- di tutte le parti civili. E, infatti, i Giudici d'appello hanno indicato, in primo luogo, "la complicata situazione che si era venuta a creare nel corso degli anni a causa delle innumerevoli iniziative giudiziarie azionate dall'imputato nei confronti della famiglia U./R. (il teste ha fatto riferimento a più di 200 cause)" (p. 19). Sulla base di tale testimonianza, la Corte territoriale ha dato conto del fatto che, di tali 200 azioni giudiziarie, "40 erano relative alla moglie" (di A. U.) "B. A.e 15 riguardavano i fratelli B. ... quali soci della F.". Dalla testimonianza emergeva che, a fronte delle complessive richieste ammontanti (per la sola parte civile A.S.) a un milione e quattrocentomila euro, il riconoscimento giudiziale si riduceva a 30 mila euro, e, a fronte delle complessive richieste ammontanti (per i due fratelli R.) a euro 30.000, la liquidazione finale e complessiva era di euro 3.200 euro (p. 4 dell'impugnata sentenza).
In tale prospettiva, va ribadito che, «in tema di atti persecutori, costituiscono molestie, elemento costitutivo del reato, le azioni reiteratamente promosse in sede civile (nella specie, ventitré in dieci anni), in base ad un'unica ragione contrattuale, da un asserito creditore che si era precostituito titoli esecutivi fondati su atti da lui falsificati e si era avvalso, quindi, di fatti consapevolmente inventati in funzione dell'unilaterale e ingiustificata modifica aggravativa della posizione del debitore, realizzata con abuso del processo, atteso che la falsificazione dei titoli e la reiterazione dell'azione giudiziaria risulta causativa di uno degli eventi alternativi previsti dall'art. 612 bis cod. pen.» (Sez. 5, n. 17171 del 16/01/2023, Rv. 284399 - 02).
Si tratta di conclusioni -applicabili al caso di specie- razionalmente fondate sull'idoneità dello stillicidio di azioni giudiziarie ad alterare, anche in termini gravi, la serenità dei destinatari, per effetto del grave stato di ansia che possono provocare.
A questo riguardo, può essere utile anticipare, sin d'ora, che l'esatta descrizione dello specifico evento di danno provocato dalla condotta persecutoria, alla luce delle risultanze dell'istruttoria, non comporta alcuna violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza (v., mutatis mutandis, Sez. 5, n. 11931 del 28/01/2020, R. Rv. 278984 - 01: non costituisce violazione dell'art. 521 cod. proc. pen. la qualificazione da parte del giudice di appello di uno degli eventi previsti dall'art. 612 bis cod. pen. in termini di "profondo stato di paura" piuttosto che di "perdurante e grave stato d'ansia", trattandosi di una qualificazione che lascia inalterato il nucleo essenziale di uno degli eventi alternativi, idonei ad integrare la fattispecie incriminatrice, rappresentato dallo stato di prostrazione psicologica della vittima delle condotte persecutorie).
In secondo luogo, la Corte territoriale ha sottolineato la pretestuosità della gran parte delle azioni giudiziarie, nonché le modalità scorrette delle stesse, consistite, tra l'altro, nell'utilizzo di epiteti inappropriati. A tal proposito, va ricordato, in particolare per quel che ha riguardo alla persona offesa A.B., che, al numero spropositato di azioni giudiziarie intentate dall'imputato e, dunque, all'abuso dello strumento processuale, si è sovente affiancato un tipo di molestia ulteriore, contrassegnato dal gratuito riferimento a vicende personali e familiari prive di qualsivoglia nesso con le azioni giudiziarie, e dal tenore verbale anche offensivo.
In terzo luogo, nella prima parte della motivazione dell'impugnata sentenza, la Corte d'appello riporta stralci delle testimonianze dei ricorrenti A. e D. R., e della madre, A.B., (v. p. 7 e 8), relative allo sconvolgimento dell'equilibrio delle loro vite, della loro serenità, emotiva oltre che materiale, della perdita di prospettiva di un futuro: in breve, di malesseri e prostrazione diffusi che, soltanto per non essere stati attestati da un certificato medico, la Corte territoriale ha, per quanto sopra detto, erroneamente ritenuto non costituire prova di uno degli eventi alternativamente richiesti dall'art. 612 bis cod. pen.
In ogni caso, la dimostrazione dell'evento di danno va correlata, secondo la giurisprudenza di questa Corte, anche alle modalità della condotta e, nel caso di specie, alla strategia di accanimento giudiziale della quale s'è detto portata avanti dall'imputato. Infatti, in tema di atti persecutori, la prova dello stato d'ansia o di paura denunciato dalla vittima del reato può essere dedotta anche dalla natura dei comportamenti tenuti dall'agente, qualora questi siano idonei a determinare in una persona comune tale effetto destabilizzante (cfr. Sez. 5, n. 24135 del 09/05/2012, G., Rv. 253764 - 01).
Quanto all'elemento soggettivo del reato, ossia quanto alla consapevolezza dei riflessi della condotta ascritta all'imputato sulle vite dei membri della famiglia destinataria di siffatte iniziative, va considerato che l'imputato è avvocato egli stesso: ciò che, peraltro, colora la condotta volta ad abusare dello strumento processuale -e ad abusare del diritto stesso, più generale; centrato, in tal senso, è il riferimento della Corte territoriale al divieto di atti emulativi, di cui all'art. 833 cod. civ.- di un disvalore ancora maggiore, come correttamente osservato dai Giudici di merito.
In particolare, l'errata interpretazione dell'art. 612 bis cod. pen. risalta ancora più visibilmente alla luce di quanto esposto dal Procuratore generale nel motivo terzo, con particolare riguardo alla critica che investe le ragioni esposte dai Giudici d'appello circa l'elemento psicologico del reato del quale si discorre. La Corte territoriale ha infatti riconosciuto come l'imputato abbia agito non già con la finalità di esercitare un preteso diritto, bensì di procurare nocumento alla persona offesa U., indirizzando la propria vis persecutoria anche nei confronti di soggetti terzi, quali testimoni, collaboratori di A. U. e magistrati. A fronte di tale quadro probatorio, è condivisibile il rilievo critico del ricorrente, teso a evidenziare che, con quei numerosi 'soggetti terzi', anche gli altri membri della famiglia siano stati costretti a relazionarsi. Come si è già ricordato, infatti, anche gli altri componenti della famiglia, destinatari di molteplici iniziative giudiziarie, sia personalmente sia in qualità di membri del c.d.a. della F. (segnatamente A. R.), sono stati costretti a relazionarsi a tali "soggetti terzi", senza dimenticare i motteggi ed epiteti offensivi adoperati dall'imputato in molti atti concernenti le cause intentate nei confronti di tutte le persone offese.
2. Per le ragioni appena indicate, sono altresì fondati tutti e quattro i motivi del ricorso proposto nell'interesse di A. R., il primo motivo del ricorso proposto nell'interesse di D. R. e della F. s.p.a. (il secondo restando evidentemente assorbito dall'accoglimento del primo) e, infine, l'unico motivo del ricorso proposto nell'interesse di A.B..
3. Ricorso P..
3.1. Il primo motivo è inammissibile per manifesta infondatezza, in quanto il delitto di atti persecutori configura un reato abituale di danno che si consuma nel momento e nel luogo della realizzazione di uno degli eventi previsti dalla norma incriminatrice, quale conseguenza della condotta unitaria costituita dalle diverse azioni causalmente orientate (Sez. 5, n. 16977 del 12/02/2020, S., Rv. 279178 - 01, in tema di competenza territoriale, ma enunciando principi di carattere generale). D'altra parte, posto che la consumazione del reato è nozione diversa dal suo perfezionamento, in quanto richiede il raggiungimento della massima gravità concreta dello stesso, occorre aver riguardo anche agli sviluppi successivi delle varie azioni, sul piano degli eventi (come si desume da Sez. 5, n. 3781 del 24/11/2020, dep. 2021, S., Rv. 280331 - 01, proprio in tema di tempestività della querela).
Ne discende che è del tutto irrilevante la data della visita operata dalla Dott. ssa V. e della conseguente certificazione.
Inoltre, va ribadito che, in tema di querela, è onere della parte che ne deduca l'intempestività fornire la prova di tale circostanza, sicché l'eventuale situazione di incertezza deve essere risolta a favore del querelante (Sez. 2, n. 48027 del 18/10/2022, Spanò, Rv. 284168 - 01).
3.2. Il secondo motivo è inammissibile per manifesta infondatezza, dal momento che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, rispetto alle cui argomentazioni il ricorrente non fornisce alcun contributo critico idoneo a giustificare un superamento delle conclusioni raggiunte, non integra una violazione del principio del ne bis in idem l'irrogazione, per il medesimo fatto oggetto di sanzione penale, di una sanzione disciplinare che, per qualificazione giuridica, natura e grado di severità non può essere equiparata a quella penale, secondo l'interpretazione data dalla sentenza emessa dalla Corte Europea dei diritti dell'uomo nella causa "Grande Stevens contro Italia" del 4 marzo 2014 (ex plurimis, v. Sez. 6, n. 1645 del 12/11/2019, dep. 2020, Mantella, Rv. 278099 - 01).
3.3. Il terzo motivo è inammissibile per manifesta infondatezza, giacché -come s'è esposto sopra (sub 1.1), esaminando i motivi di ricorso del P.g.- l'esatta descrizione dello specifico evento di danno provocato dalla condotta persecutoria, alla luce delle risultanze dell'istruttoria, non comporta alcuna violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza (v., mutatis mutandis, Sez. 5, n. 11931 del 28/01/2020, R. Rv. 278984 - 01: non costituisce violazione dell'art. 521 cod. proc. pen. la qualificazione da parte del giudice di appello di uno degli eventi previsti dall'art. 612 bis cod. pen. in termini di "profondo stato di paura" piuttosto che di "perdurante e grave stato d'ansia", trattandosi di una qualificazione che lascia inalterato il nucleo essenziale di uno degli eventi alternativi, idonei ad integrare la fattispecie incriminatrice, rappresentato dallo stato di prostrazione psicologica della vittima delle condotte persecutorie).
3.4. Il quarto motivo è inammissibile per assenza di specificità, dal momento che la Corte territoriale non ha affatto individuato le spese legali come uno degli eventi del reato, piuttosto cogliendo in tale dato fattuale (ossia, i notevoli esborsi razionalmente correlati allo stillicidio di azioni giudiziarie promosse dall'imputato) il presupposto, unitamente al tempo sottratto per predisporre le attività difensive (con conseguente riduzione delle energie dedicate all'attività imprenditoriale), del mutamento delle ordinarie abitudini di vita. E questo, per tacere del fatto che la Corte d'appello ha valorizzato ben più gravi conseguenze sulla salute dell'U. per fondare la pronuncia di condanna dell'imputato.
4. In conseguenza, la sentenza impugnata va annullata limitatamente alle statuizioni assolutorie, con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte di appello di Milano, alla quale è demandata anche la regolamentazione delle spese nel rapporto con le parti civili B. A., R. A. e R. D. L.B. - F. s.p.a. Alla inammissibilità del ricorso proposto dal P., segue, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., la condanna dello stesso al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. L'imputato va, inoltre, condannato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile U. A., che, alla luce delle questioni trattate, si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alle statuizioni assolutorie e rinvia per nuovo esame ad altra sezione della Corte di appello di Milano. Spese in favore delle parti civili B. A., R. A. e R. D. L.B. - F. s.p.a. al definitivo. Dichiara inammissibile il ricorso di P. D. e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Condanna, inoltre, P. alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile U. A., che liquida in complessivi euro 4000,00, oltre accessori di legge.