
Svolgimento del processo
1. Con decreto del 14 giugno 2017 il Giudice di Pace di Roma convalidò il decreto emesso dal Questore di Roma il 11 giugno 2017 con cui, in applicazione dell’art. 14, comma 1-bis, del d.lgs. n. 286 del 1998 (di seguito indicato come “t.u. immigrazione”), venne ordinato a M.S.A.G. (di nazionalità egiziana) – espulso dal territorio dello Stato con decreto emesso dal Prefetto di Roma il 12 ottobre 2012 - di consegnare in Questura il proprio passaporto o altro documento equipollente e di presentarsi presso l’Ufficio Stranieri della Questura di Roma nei giorni in tale atto amministrativo indicati.
2. M.S.A.G. chiede la cassazione di tale decreto con ricorso contenente tre motivi di impugnazione.
3. Gli intimati Ministero dell’Interno, Prefetto di Roma e Questore di Roma non hanno svolto attività difensiva.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo il ricorrente deduce che nessuno era presente all’udienza di convalida del sopra indicato decreto del Questore svoltasi avanti il Giudice di Pace il 14 giugno 2017, con conseguente illegittimità del decreto impugnato per la mancata comunicazione alla sua persona e al difensore nominato (avvocato E.L.) “della data di udienza di convalida”.
2. Il ricorrente non indica la norma, contenuta nel t.u. immigrazione, che dispone l’udienza camerale per la convalida di decreto emesso dal Questore in applicazione dell’art. 14, comma 1-bis, dello stesso t.u. (come quello convalidato dal decreto impugnato), ma dal contenuto complessivo del motivo (in cui: si afferma che “nessuno era presente a difesa del ricorrente per l’udienza tenutasi dinanzi al Giudice di Pace Dott. Z. per la data del 14 giugno 2017”; si evoca un “obbligo di audizione”; si afferma che il ricorrente non venne “messo in condizione di presenziare all’udienza di convalida”), è ragionevole presumere che il ricorrente ritenga applicabile al caso di specie l’art. 14, comma 4, del t.u. immigrazione, che prevede l’udienza di convalida del decreto del Questore dispositivo del trattenimento dello straniero espulso dal territorio dello Stato presso centro di permanenza per i rimpatri, emesso in applicazione del precedente comma 1 dello stesso t.u.
Contrariamente a quanto del ricorrente opinato, la disposizione di natura processuale applicabile al caso di adozione nei confronti dello straniero espulso dal territorio dello Stato di una o più misure specificamente previste dall’art. 14, comma 1-bis, primo periodo, dello stesso t.u. è contenuta nello stesso comma, in cui si prevede che:
il decreto motivato dispositivo di tali misure è notificato al suo destinatario con l’avviso che esso “ha facoltà di presentare personalmente o a mezzo di difensore memorie o deduzioni al giudice della convalida”;
il provvedimento del Questore è comunicato entro 48 ore dalla notifica al giudice di pace competente per territorio”;
il giudice, “se ne ricorrono i presupposti, dispone con decreto la convalida nelle successive 48 ore”.
Sul punto si è pronunciata la Corte costituzionale con sentenza n. 280 del 2019.
Con due ordinanze del 7 settembre 2018 la Corte di cassazione, sezione prima civile, aveva sollevato, in riferimento agli artt. 13 e 24, secondo comma, Cost., questione di legittimità costituzionale del citato art. 14, comma 1-bis, introdotto dall’art. 3, comma 1, lettera d), n. 2), del d.l. n. 89 del 2011, convertito, con modificazioni, nella parte in cui non prevede che il giudizio di convalida dell’obbligo di presentazione, in giorni e orari prestabiliti, presso un ufficio della forza pubblica territorialmente competente “si svolga in udienza, con la partecipazione necessaria del difensore dell’interessato, eventualmente nominato d’ufficio”.
La Corte costituzionale, dopo aver ricostruito sinteticamente il quadro normativo, conviene circa l’impossibilità di ritenere, in via interpretativa, che la convalida delle misure alternative al trattenimento dello straniero debba avvenire in udienza, con la partecipazione necessaria del difensore dell’interessato.
Infatti, il censurato art. 14, comma 1-bis, t.u. immigrazione, prevede la facoltà per l’interessato di “presentare personalmente o a mezzo di difensore memorie o deduzioni al giudice della convalida”, delineando così un procedimento diverso e alternativo rispetto alla celebrazione dell’udienza di convalida alla presenza del difensore, che è invece contemplata per le misure, più incidenti sulla libertà personale, del trattenimento in un centro di permanenza per i rimpatri e dell’accompagnamento alla frontiera rispettivamente dagli artt. 14, comma 4, e 13, comma 5-bis, t.u. immigrazione, i quali prevedono espressamente che “l’udienza per la convalida si svolge in camera di consiglio con la partecipazione necessaria di un difensore tempestivamente avvertito”.
Pertanto, risulta inequivocabile la volontà del legislatore di prevedere due distinte forme di convalida: l’una con svolgimento dell’udienza (in relazione al trattenimento e all’accompagnamento coattivo alla frontiera); l’altra, invece, con contraddittorio solo cartolare (in relazione alle misure della consegna del passaporto, dell’obbligo di dimora e dell’obbligo di firma).
Il giudice delle leggi sottolinea che a nulla rileva, al fine di trarre conclusioni diverse, la sinora isolata pronuncia della Corte di cassazione n. 2997 del 2018, secondo cui la convalida delle misure di cui all’art. 14, comma 1-bis, t.u. immigrazione dovrebbe svolgersi in udienza, atteso che tale affermazione non è specificamente motivata, né supportata dal dato testuale della disposizione in parola.
In conclusione, la Corte costituzionale afferma che «la più limitata incidenza sulla libertà personale della misura qui all’esame induce a ritenere – sulla scorta della citata sentenza n. 144 del 1997 – non incompatibile con gli artt. 13 e 24, secondo comma, Cost. il procedimento disegnato dalla disposizione censurata, che prevede un contraddittorio meramente eventuale e cartolare. Ciò anche in ragione del delimitato oggetto del giudizio di convalida, in cui il giudice di pace è chiamato a verificare unicamente la sussistenza dei presupposti di adozione della misura e l’esistenza di un provvedimento di espulsione dotato di efficacia esecutiva, con il solo limite già rammentato dell’eventuale “manifesta illegittimità di quest’ultimo e dell’eventuale sussistenza di ragioni ostative all’espulsione».
La censura del ricorrente, per come dedotta, è dunque infondata, poiché la convalida delle misure del tipo di quelle disposte dal Questore con provvedimento adottato senza la partecipazione a udienza del ricorrente e del suo difensore, non integra una violazione del diritto di difesa dello straniero, non sussistendo in capo a lui alcun diritto all’udienza (e dunque a ricevere avviso del giorno dal giudice fissato per la convalida) e a un contradditorio diverso da quello cartolare previsto espressamente dalla citata norma di legge speciale.
3. Con il secondo motivo il ricorrente censura il decreto impugnato per essere caratterizzato da mancanza di motivazione e per non avere valutato tanto l’assenza di motivazione del decreto (convalidato) emesso dal Questore di Roma, quanto quella del decreto di espulsione disposto dal Prefetto.
4. Le misure alternative al trattenimento indicate nell’art. 14, comma 1-bis, del t.u. immigrazione attengono alla fase dell’esecuzione coattiva (disposta dal Questore) dell'espulsione amministrativa disposta dal Prefetto e hanno, di conseguenza, la finalità di garantire, mediante la graduazione della limitazione della libertà personale prevista dalla norma, l’attuazione dell'ordine di allontanamento dal territorio italiano.
La convalida di esse da parte dell’autorità giurisdizionale richiede dunque il preventivo accertamento dell'esistenza di un provvedimento di espulsione dotato di efficacia esecutiva; con la conseguenza che se tale efficacia esecutiva manchi l’atto del Questore non può essere convalidato (in questo senso, cfr. Cass. n. 27692 del 2018).
Il sindacato del giudice della convalida è limitato all’esame delle condizioni che giustificano la misura attuativa e può estendersi alla valutazione dell’atto presupposto (il decreto di espulsione) solo nel caso in cui esso sia affetto da manifesta illegittimità (perché l’amministrazione ha agito al di fuori della propria competenza ovvero in mala fede: cfr. Cass. n. 12609 del 2014) che può consistere anche nella situazione di inespellibilità dello straniero (in questo senso, cfr.: Cass. 24415 del 2015; Cass. n. 5750 del 2017; Cass. n. 7829 del 2019).
Tenuti presenti tali ordini di concetti, il motivo, per come dedotto, è inammissibile, in quanto:
non contiene alcuna specifica deduzione di manifesta illegittimità del decreto di espulsione emesso nei confronti del ricorrente dal Prefetto di Roma il 12 ottobre 2012 ovvero di inefficacia, originaria o sopravvenuta, di tale atto che il Questore di Roma eseguì con l’impugnato decreto di convalida; il ricorrente deduce che nel decreto del Questore “non è stato riportato alcun dei casi previsti dalla normativa di ci cui al T.U.I. che fosse riferibile alla posizione dell’odierno ricorrente”, ma l’affermazione è smentita dal contenuto della prima pagina dell’atto (in cui si afferma che il rischio che il ricorrente si sottragga all’esecuzione del disposto rimpatrio è costituito dal non avere costui “presentato idonea documentazione atta a dimostrare la disponibilità di un alloggio ove si possa agevolmente rintracciare”, “violato una delle misure di cui all’art. 14 del T.U.I.”, “in precedenza dichiarato o attestato false generalità”) e a fronte di tale affermazione il ricorrente si limita, genericamente, a evidenziare – con critica di merito in questa sede irricevibile - che l’atto non riporta “l’indirizzo di cui al domicilio reale ed attuale del ricorrente, che lo stesso ha invece riferito ai verbalizzanti, ma che non si rinviene in nessun atto” e che non sono vere le affermazioni relative alla violazione delle misure e alla pregressa dichiarazione di false generalità, “essendo egli in possesso di idoneo documento di identità”; la censura relativa alla mancanza di motivazione del decreto impugnato è del pari inammissibile, non avendo il ricorrente dedotto che i fatti in questa sede da lui illustrati fossero stati comunque acquisiti agli atti del procedimento di convalida.
5. Infine, il ricorrente deduce che il decreto impugnato è illegittimo in quanto nella copia del decreto del Questore di Roma a lui notificata il 11 giugno 2017 non vi è attestazione specifica della conformità all’originale di tale copia.
6. La giurisprudenza di legittimità formatasi in materia di opposizione a decreto di espulsione dello straniero dal territorio dello Stato è ferma nell’enunciare il principio secondo cui è da affermare la nullità, insanabile, del provvedimento emesso dal Prefetto per difetto della sua necessaria formalità comunicatoria, tutte le volte in cu all’espellendo venga comunicata una mera copia, libera e informale, dell’atto, non sottoscritta dal Prefetto, né recante attestazione di conformità all’originale, e senza che, neanche successivamente, venga a lui consegnata altra copia debitamente autenticata, irrilevante essendo, ai fini dell'eventuale sanatoria della detta nullità, che tale copia venga invece prodotta soltanto in giudizio, e al solo fine di attestare al giudice che, nell’ufficio depositario, giace l’originale dell’atto opposto: tale deposito successivo persegue, difatti, finalità estranee a quella delineata dagli artt. 13, commi 3 e 7, del t.u. immigrazione e 14 della legge n. 15 del 1968, e risulta del tutto inidoneo a sanare il vizio di nullità dell’atto, non rappresentando tempestivo esercizio di autotutela da parte dell'organo amministrativo (in questo senso, cfr: Cass. n. 17960 del 2004; Cass. 28884 del 2005; Cass. n. 17569 del /2010; Cass. n. 13304 del 2104).
Nel caso di specie, tuttavia, nella relazione di notificazione (sottoscritta anche dal ricorrente) del decreto del Questore di Roma oggetto di convalida, eseguita il 11 giugno 2017, alle ore 18,30 (allegata al ricorso) si afferma che tale atto “è consegnato all’interessato in originale, ovvero eventualmente in copia conforme all’unico originale di cui il cittadino straniero ha preso visione, previa sottoscrizione per ricevuta del presente verbale”.
Alla luce di tale indicazione specifica (il destinatario dell’atto ha preso visione dell’ “unico originale”), la consegna allo stesso di copia fotostatica del decreto cui non è in calce certificata la sua conformità all’originale non determina nullità della comunicazione, posto che il ricorrente risulta avere comunque “preso visione” dell’’originale dell’atto.
Il motivo è dunque infondato.
7. In conclusione: il ricorso è da rigettare; non vi è obbligo di pronuncia sulle spese relative al giudizio di legittimità dal momento che le parti vittoriose non hanno svolto difese.
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Dà atto che sussistono i presupposti previsti dall'art. 13, comma 1- quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall'art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, per il versamento da parte del ricorrente, se dovuto, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l'impugnazione.