Il “punto pesante” previsto dalle tabelle milanesi esprime il valore monetario corrispondente alla somma del danno biologico (dinamico-relazionale) e del danno morale.
Svolgimento del processo
P. G. convenne in giudizio la G. s.p.a., quale impresa designata dal F., per sentirla condannare al risarcimento dei danni subiti in occasione di un sinistro stradale avvenuto il 10.6.2021, in Salerno; dedusse che la propria vettura era stata urtata sulla fiancata destra da un veicolo di grossa cilindrata rimasto non identificato (che era sopraggiunto da tergo ad alta velocità) e che, a causa dell’urto, egli aveva perso il controllo del mezzo, che aveva terminato la sua corsa schiantandosi contro un edificio posto sulla sinistra, ai margini della carreggiata; aggiunse di avere riportato gravi lesioni personali;
in parziale accoglimento della domanda, il Tribunale accertò un concorso di responsabilità di entrambi i conducenti, determinando quello dell'attore nella misura del 60%, e condannò la compagnia assicuratrice al pagamento della somma di 83.355,60, oltre accessori e spese;
pronunciando sul gravame del G., la Corte di appello di Salerno ha rigettato l'impugnazione, condannando l'appellante al pagamento delle spese del grado;
la Corte ha affermato che:
circa il ritenuto concorso di colpa e la misura prevalente posta a carico dell'attore, «in maniera del tutto corretta il primo giudice [aveva] fatto ricorso al disposto di cui all'art. 2054 secondo comma c.c.»; premesso che la dinamica dei fatti andava desunta dell'unico elemento probatorio costituito dalla dichiarazione testimoniale di tale S.B. (che aveva riferito dell'urto da parte dell'auto rimasta non identificata e del fatto che, a seguito di esso, l'auto dell'attore era andata a finire sul marciapiede, terminando la sua corsa contro un edificio posto alla sua sinistra), il primo giudice aveva «tuttavia anche considerato la tipologia e la gravità delle lesioni riportate, consistite in un importante trauma cranio facciale e in complesse fratture multiple agli arti inferiori, per determinare il maggior grado di colpa da assegnare alla medesima vittima»; tali considerazioni andavano condivise «perché gli esiti del sinistro non sarebbero stati così gravi se l'appellante avesse tenuto una condotta di guida idonea all'arteria stradale che stava percorrendo»; una siffatta conclusione risultava ragionevole anche sulla base di «specifiche leggi della dinamica tra le quali quella basiva per cui un corpo il movimento contenuto è maggiormente controllabile rispetto ad un corpo al quale sia stata impressa una velocità più sostenuta»; le risultanze probatorie consentivano quindi «di ricorrere all'art. 2054 c.c.» e, «considerato che l'attore non [aveva] dimostrato di essere assolutamente esente da colpa», si poteva ritenere, a fronte degli esiti lesivi particolarmente gravi riportati dalla vittima, che il G. avesse «tenuto una condotta di guida tale da giustificare il riparto delle colpe come determinato in prime cure»;
andavano disattese anche le censure concernenti l'affermazione del primo giudice circa la tardività delle domande volte al risarcimento del danno morale e del danno da riduzione della capacità lavorativa; invero, il danno morale era stato risarcito, in quanto ricompreso nel “punto pesante” delle tabelle milanesi utilizzate per liquidare il danno biologico; correttamente, poi, il primo giudice non aveva disposto in ordine al danno da perdita di capacità lavorativa per il fatto che la relativa richiesta era stata formulata per la prima volta all'udienza di precisazione delle conclusioni;
ha proposto ricorso per cassazione il G. affidandosi a sette motivi;
l'intimata G. Italia s.p.a. (già Assicurazioni G. s.p.a.) non ha svolto attività difensiva.
la trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380 bis.1.
c.p.c.;
il ricorrente ha depositato memoria.
Motivi della decisione
col primo motivo, il ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione degli artt. 2054, 2697, 2727, 2729 c.c., degli artt. 115, 116 e 132 c.p.c. e degli artt. 148, 3 e 149 Codice della Strada: censura la Corte per non aver affermato la responsabilità esclusiva del conducente della vettura non identificata e per avere addirittura individuato un maggior grado di colpa a carico della vittima, e ciò sulla base della tipologia e della gravità delle lesioni dalla stessa riportate; evidenzia che l'art. 2054, 2° co.
c.c. svolge una funzione sussidiaria che opera soltanto quando non sia possibile accertare le responsabilità dei soggetti coinvolti nel sinistro; rileva che, nella specie, operava una presunzione de facto di inosservanza della distanza di sicurezza da parte del veicolo che aveva urtato quello dell'attore; evidenzia che l’affermazione circa l'elevata velocità che sarebbe stata tenuta dal G. è del tutto «arbitraria e frutto di una errata interpretazione del CTU medico legale», giacché il riferimento compiuto dal consulente alla verosimile elevata velocità con cui si era verificato l'urto contro l'edificio non poteva essere interpretato come prova che l'attore viaggiasse ad alta velocità, essendo più verosimile che la gravità dell’impatto fosse dipesa dall'accelerazione determinata dall'urto subìto dall’auto del G.; contesta il ragionamento presuntivo della Corte in quanto compiuto in violazione del divieto della praesumptio de praesumpto; aggiunge che, a tutto concedere, anche a voler applicare la presunzione di cui al secondo comma dell'art 2054 c.c., il concorso avrebbe dovuto essere determinato in misura paritaria, senza possibilità di individuare una misura prevalente a carico dell'attore;
col secondo motivo, il ricorrente denuncia la «nullità della sentenza per mancanza di motivazione. Violazione di legge: art 111 Costituzione; art. 132 c.p.c.; art. 2054 c.c.. Error in procedendo ai sensi dell'art. 360 I n. 4 cpc»: assume che le statuizioni della decisione impugnata, «prive di senso logico-giuridico, rendono del tutto immotivata la sentenza», giacché la stessa «si fonda su argomentazioni inidonee ed illogiche», che integrano una motivazione solo apparente; precisa che «non può ritenersi giuridicamente esistente la motivazione (appiattita sul primo grado) secondo la quale sarebbe stato determinato il maggior grado di colpa da assegnare alla medesima vittima, in considerazione della tipologia e della gravità delle lesioni da questa riportate»; conclude che «l'illogicità della motivazione è grave e manifesta, tale da non consentire di ritenere la sussistenza di un valido ragionamento»;
col terzo motivo, il ricorrente denuncia «vizio motivazionale – erronea valutazione delle prove ex artt. 112, 115, 116, 132 c.p.c. e 118 disp. att. cpc.; artt. 2054, 2727, 2728, 2729 cc. Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio (che è stato oggetto di discussione fra le parti) in relazione all’art. 360 I n. 5 cpc»: assume che «il fatto allegato (e provato) dal G., se preso in seria considerazione dalla Corte di appello, avrebbe determinato una decisione diversa, consistente nella disapplicazione dell'art. 2054 cc e la conseguente attribuzione in favore dell'appellante dell'intero importo riconosciuto a titolo di risarcimento per il danno subito»;
col quarto motivo, il ricorrente denuncia «violazione di legge: artt. 1223, 1226, 2043, 2054, 2056, 2059 cc; artt. 138, 283 e 286 D.Lgs. 07/09/2005 n. 208» e « violazione e falsa applicazione di norme di diritto, in relazione all'art. 360 I n. 3 cpc – Danno morale e perdita di capacità lavorativa»: premesso che già con l'atto di citazione di primo grado aveva richiesto la condanna della parte convenuta al “risarcimento dei danni tutti morali e materiali subiti” e che, con la memoria istruttoria ex articolo 184 cpc, aveva richiesto che fosse disposta CTU per accertare anche l'incidenza delle lesioni patite sulla sua capacità lavorativa, rileva che, all'udienza di precisazione delle conclusioni, aveva soltanto specificato le domande già in precedenza formulate, e ciò anche in considerazione delle risultanze dell’espletata ctu, che aveva riconosciuto postumi permanenti nella misura del 32% e ne aveva quantificato l'incidenza menomativa sulla capacità lavorativa specifica nell'ordine dell'8%; quanto al danno morale, evidenzia l’incongruenza della sentenza di appello che, per un verso, ha affermato che non si poneva una questione di tardività della domanda relativa a tale pregiudizio e, per altro verso, ha ritenuto che il danno morale fosse stato già risarcito dal Tribunale perché ricompreso nell'importo riconosciuto a titolo di danno biologico; contesta, in particolare, che il giudice non abbia proceduto ad una personalizzazione del danno biologico in considerazione del pregiudizio morale sofferto («i giudici di merito avrebbero dovuto riconoscere e valutare il danno morale subito dall'attore, attraverso la c.d. “personalizzazione del danno biologico”);
col quinto motivo, il G. deduce «nullità della sentenza per mancanza di motivazione. Violazione art. 111 Costituzione e art. 132 cpc. Error in procedendo ai sensi dell’art. 360 I n. 4 cpc. Danno morale e perdita della capacità lavorativa»: quanto al danno morale, il ricorrente assume che la sentenza impugnata «è del tutto sconclusionata» in quanto il Tribunale aveva ritenuto inammissibile la richiesta per tardività, mentre il giudice di appello l’aveva rigettata sull’«improprio presupposto che il danno morale sarebbe stato già risarcito dal Tribunale, perché ricompreso nell'importo riconosciuto dal titolo di danno biologico»; quanto al danno per riduzione della capacità lavorativa specifica, sostiene che, «per coerenza e per logica giuridica» rispetto a quanto ritenuto per il danno morale, anche la richiesta di risarcimento relativa alla capacità lavorativa avrebbe dovuto essere scrutinata dalla Corte territoriale, dovendosi ritenere la stessa già ricompresa nella citazione in primo grado;
col sesto motivo («vizio motivazionale - omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 I n. 5 cpc. Danno morale e perdita di capacità lavorativa»), il ricorrente assume che «la motivazione sottostante al rigetto delle domande risarcitorie relative al danno morale e al danno da ridotta capacità lavorativa non è sorretta da argomentazioni adeguate» e ribadisce che «non si poneva alcuna questione di tardività della domanda, in quanto il G., con la citazione introduttiva del giudizio, aveva richiesto il risarcimento dei danni derivati da un determinato comportamento, cosicché andava riferita a tutte le possibili voci danno originate da quella condotta»;
col settimo motivo, il ricorrente censura la statuizione di condanna alle spese processuali e l'attestazione di sussistenza dei presupposti per il raddoppio del contributo unificato sull'assunto che l'accoglimento del ricorso per cassazione dovrà comportare la caducazione di tali statuizioni.
Ritenuto che:
i primi tre motivi -che possono essere esaminati congiuntamente- sono fondati nella parte in cui denunciano l'inadeguatezza della motivazione e la sua manifesta inidoneità a giustificare la conclusione del concorso prevalente della condotta colposa del G. nella determinazione del sinistro;
va rilevato, in primo luogo, che la Corte, pur dichiarando di applicare l'art. 2054, secondo comma c.c., mostra tuttavia di prescinderne giacché, anziché affermare un concorso paritario (come sarebbe nella logica della presunzione prevista “fino a prova contraria”, ossia per il caso in cui difettino prove che consentano una diversa ripartizione del concorso dei conducenti), individua misure differenziate di responsabilità a carico del G. e del conducente del veicolo rimasto non identificato;
tanto premesso, va considerato che il criterio valorizzato dalla Corte di Appello (come, in precedenza, dal Tribunale) per ipotizzare un eccesso di velocità del danneggiato non appare adeguato allo scopo, poiché il dato della gravità delle lesioni riportate dal G. non consente, di per sé solo, di risalire alla velocità tenuta dallo stesso e, ulteriormente, di ipotizzare che detta velocità fosse inadeguata e tale da non consentire alla vittima di «maggiormente» controllare il proprio mezzo;
va considerato, infatti, che la pacifica dinamica del sinistro (impatto contro il muro di un edificio a seguito di sbandamento sulla sinistra di un veicolo in movimento) potrebbe essere da sola sufficiente a spiegare la gravità delle lesioni, anche in caso di velocità contenuta del mezzo; e, d’altra parte, la Corte non dice quale fosse la velocità alla quale il G. avere dovuto procedere, né afferma che una velocità più ridotta avrebbe evitato la perdita di controllo e lo sbandamento a sinistra;
invero, la Corte si limita a compiere affermazioni generiche e prive di effettiva pregnanza: non dice quale fosse la «condotta di guida idonea» (né spiega come potesse rilevare il fatto che la strada fosse in pieno centro cittadino e «a continuo traffico anche pedonale» in relazione ad un sinistro verificatosi alle tre del mattino) e quali siano gli elementi in base ai quali ha ritenuto «ragionevole» che il G. «abbia tenuto una condotta di guida tale da giustificare il riparto delle colpe come determinato in prime cure»;
la motivazione risulta pertanto del tutto apparente e strutturalmente inidonea a fornire indicazioni “ragionevoli” su elementi che possano giustificare una ripartizione del concorso che, superando la presunzione di concorso paritario, comporti un’attribuzione di responsabilità prevalente alla vittima del sinistro;
la sentenza va dunque cassata sul punto, con rinvio alla Corte territoriale;
i motivi dal quarto al sesto -da esaminare congiuntamente- sono infondati;
non sussiste contraddittorietà interna alla sentenza impugnata per il fatto di avere ritenuto che il danno morale sia stato in concreto liquidato (con ciò rendendosi priva di rilevanza, rispetto al danno morale, la questione della tardività della relativa domanda) e per non avere, al tempo stesso, proceduto ad una personalizzazione del danno biologico;
invero, ferma restando la ormai pacifica autonomia del danno morale dal danno biologico, non v’è ragione per ritenere che, laddove sia ritenuto in concreto sussistente, il pregiudizio morale non possa essere liquidato con la tecnica del “punto pesante” previsto dalle tabelle milanesi, che esprime il valore monetario corrispondente alla somma del danno biologico (dinamico-relazionale) e del danno morale (tanto più che, a partire dal 2021, dette tabelle prevedono distintamente il valore del “punto danno biologico”, quello dell’ “incremento per sofferenza” e quello del “punto danno non patrimoniale”, pari alla sommatoria dei primi due); ciò non significa, peraltro, che il risarcimento del danno morale comporti sempre e comunque la necessità della personalizzazione, atteso che l’aumento personalizzato è consentito -per il danno morale come per il biologico- soltanto laddove l’esito lesivo superi quello standard già considerato dalla tabella;
quanto al danno da riduzione della capacità lavorativa (evidentemente di quella specifica, dato che la questione non si porrebbe per quella generica, in quanto compresa nel danno biologico), correttamente la Corte di appello ha confermato il rilievo della tardività della domanda compiuto dal primo giudice;
in effetti, la richiesta di risarcimento dei «danni tutti morali e materiali subiti» compiuta con l’atto di citazione non era idonea, da sola, a introdurre la domanda di risarcimento del danno (patrimoniale) conseguente alla menomazione della capacità lavorativa specifica; invero, in relazione alla previsione di cui all’art. 163, n. 4 c.p.c., la richiesta avrebbe dovuto essere circostanziata con l’indicazione sia delle concrete limitazioni determinate dai postumi riportati dal G. allo svolgimento della sua attività (di gelataio) sia delle ricadute negative sui redditi prodotti; né poteva considerarsi sufficiente a sanare tale genericità originaria la circostanza che, con la memoria istruttoria ex art. 184 c.p.c., l’attore avesse chiesto una ctu medico-legale che accertasse anche l’incidenza degli esiti lesivi «sulla capacità lavorativa»; dato che l’integrazione della domanda avrebbe dovuto essere compiuta, al più tardi, con la prima memoria ex art. 183 c.p.c., il tema della menomazione della capacità lavorativa specifica era estraneo all’oggetto del giudizio quale delineato dagli atti introduttivi; correttamente, quindi, i giudici di merito hanno dichiarato tardiva la domanda espressamente formulata soltanto all’udienza di precisazione delle conclusioni;
il settimo motivo (di per sé inammissibile, in quanto postula le violazioni soltanto sul presupposto di un auspicato accoglimento del ricorso) è assorbito dall’accoglimento dei primi tre motivi, giacché il rinnovato esame della causa dovrà comportare nuove statuizioni sulle spese e sulla sussistenza (o meno) delle condizioni per il raddoppio del contributo unificato;
il giudice di rinvio provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie i primi tre motivi nei termini di cui in motivazione, rigetta i motivi dal quarto al sesto e dichiara assorbito il settimo;
cassa la sentenza in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte di Appello di Salerno, in diversa composizione.