
Svolgimento del processo
- che la società (omissis) S.r.l. ricorre, sulla base di un unico motivo, per la cassazione della sentenza n. 353/22, del 5 aprile 2022, della Corte di Appello di Ancona, che – respingendone il gravame avverso la sentenza n. 253/12, del 15 giugno 2016, del Tribunale di Urbino – ha rigettato la domanda risarcitoria dalla stessa proposta nei confronti della società Enel Distribuzione S.p.a. (poi divenuta, in corso di causa E-Distribuzione S.p.a.);
- che, in punto di fatto, l’odierna ricorrente riferisce di aver adito l’autorità giudiziaria per conseguire il ristoro dei danni cagionati dalla sovratensione dell’energia elettrica che si era verificata, il 17 dicembre 2013, sulla linea di media tensione (MT) di proprietà di Enel Distribuzione, linea che aveva nella cabina elettrica di proprietà della ricorrente il suo punto di arrivo;
- che il giudice di prime cure respingeva la domanda sul rilievo, innanzitutto, che la società convenuta avesse non solo eccepito, ma anche provato, che alcuna interruzione ebbe a interessare gli impianti che alimentano la fornitura dell’attrice;
- che il Tribunale urbinate, inoltre, rilevava come la normativa CEI 50160 vigente ratione temporis (normativa tecnica di riferimento, anche in base al rinvio disposto dalla legge 1° marzo 1968, n. 186), in ordine all’alimentazione a media tensione, riconducesse i buchi di tensione, idonei a cagionare lunghe interruzioni della tensione di alimentazione, a cause che non possono essere previste dal fornitore;
- che, infine, la suddetta normativa CEI 64-8/4, contenente prescrizioni per la sicurezza in materia di impianti elettrici, prescrive la necessità di dispositivi di protezione contro gli abbassamenti di tensione (dispositivi dei quali l’attrice non risultava munita), idonei ad assicurare la messa in funzione dei servizi di sicurezza e delle alimentazioni di riserva in caso di calo di tensione dell’alimentazione principale al di sotto del limite di funzionamento corretto;
- che il gravame proposto dall’attrice soccombente veniva rigettato dal giudice di appello, il quale motivava, tuttavia, la reiezione della domanda attorea su basi diverse rispetto al giudice di prime cure;
- che il secondo giudice riteneva, infatti, provato che il danno lamentato dall’attrice/appellante – riconducibile alla fattispecie di cui all’art. 2050 cod. civ. – fosse derivato da un c.d. buco di tensione, ovvero da un abbassamento del livello di tensione, verificatosi su una linea differente da quella che alimenta la (omissis), cui era seguito un innalzamento della tensione stessa che si era riverberato anche su quest’ultima linea;
- che, tuttavia, dalla normativa tecnica di riferimento (CEI EN 50160) emerge che i buchi di tensione sono eventi non prevedibili, ma che possono essere evitati mediante l’adozione, da parte degli utenti dell’energia elettrica, di dispositivi di protezione contro gli abbassamenti di tensione, siccome prescritti da ulteriore normativa di riferimento (CEI 64-8/4), la cui adozione da parte di (omissis) – peraltro, già in passato interessata da analoghi fenomeni – non è risultata provata;
- che su tali basi, dunque, veniva confermato il rigetto della domanda risarcitoria;
- che avverso la sentenza della Corte dorica ricorre per cassazione (omissis), sulla base – come detto – di un unico motivo;
- che esso denuncia – ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. – nullità della sentenza per violazione della normativa tecnica di riferimento (CEI EN 50160) e (CEI 64-8/4);
- che la sentenza impugnata avrebbe confuso “fenomeni elettrici differenti quali la sovratensione che è stata contestata dalla (omissis) e i c.d. buchi di tensione che sono stati chiamati in causa dalla E-Distribuzione”;
- che, infatti, il “fenomeno elettrico contestato dalla (omissis) è la sovratensione elettrica, evento che determina un innalzamento della potenza sulla rete superiore a quella prevista”, diversamente dai “buchi di tensione” che “producono un calo di tensione «un abbassamento/diminuzione di corrente» i quali non provocano nessun danno agli apparati elettronici ma solo l’assenza di corrente per un tempo più o meno prolungato e, quindi, di riflesso l’impossibilità di utilizzare gli impianti ed i macchinari”;
- che avendo la Corte territoriale ritenuto inquadrabile la presente fattispecie nella previsione di cui all’art. 2050 cod. civ. non avrebbe fatto corretta applicazione di tale norma, quanto, in particolare, alla prova del caso fortuito, idoneo ad escludere la responsabilità dell’esercente l’attività pericolosa;
- che l’errore tecnico/concettuale, in cui è incorsa la Corte territoriale, avrebbe indotto la stessa “a sostenere che il danno non sarebbe risarcibile in quanto la società non avrebbe assunto le misure atte ad evitare l’evento”;
- che, infatti, una volta acclarato che non di un c.d. “buco di tensione”, ma di una “sovratensione”, si è trattato, si sarebbe dovuto concludere che la convenuta “non ha provato in alcun modo di aver posizionato degli interruttori differenziali sulla rete di MT che avrebbero, in caso di sovratensione, aperto il circuito e interrotto il propagarsi dell’evento su tutta la rete mentre, al contrario, la (omissis) ha provato per tabulas di aver adeguato la propria cabina elettrica alle specifiche tecniche richieste dalla normativa e dalla medesima E-Distribuzione”, come riportato nella comunicazione datata Cagli, 5 dicembre 2012;
- che ha resistito all’impugnazione, con controricorso, E- Distribuzione, chiedendo che la stessa sia dichiarata inammissibile e, comunque, rigettata;
- che la ricorrente ha depositato memoria.
Motivi della decisione
- che il ricorso è inammissibile;
- che tale risulta, infatti, l’unico motivo in cui esso si articola;
- che esso prospetta la violazione tanto della normativa tecnica di riferimento, quanto dell’art. 2050 cod. civ. (in quest’ultimo caso, sotto il profilo dell’inversione degli oneri probatori gravanti sull’esercente l’attività pericolosa e sul danneggiato), ma ciò sul presupposto che la Corte territoriale abbia confuso “buchi di tensione” e “sovratensione”, così contestando, innanzitutto, il giudizio di fatto dalla stessa operato;
- che, tuttavia, il vizio di violazione di legge “consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità” (cfr. “ex multis”, Cass. Sez. 1, ord. 13 ottobre 2017, n. 24155, Rv. 645538-03; Cass. Sez. 1, ord. 14 gennaio 2019, n. 640, Rv. 652398-01; Cass. Sez. 1, ord. 5 febbraio 2019, n. 3340, Rv. 652549-02), e ciò in quanto il vizio di legittimità di cui all’art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. “postula che l’accertamento in fatto operato dal giudice di merito sia considerato fermo ed indiscusso, sicché è estranea alla denuncia del vizio di sussunzione ogni critica che investa la ricostruzione del fatto materiale, esclusivamente riservata al potere del giudice di merito” (Cass. Sez. 3, ord. 13 marzo 2018, n. 6035, Rv. 648414-01);
- che, pertanto, il “discrimine tra l’ipotesi di violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione della fattispecie astratta normativa e l’ipotesi della erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta è segnato, in modo evidente, dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa” (così, in motivazione, Cass. Sez., Un., sent. 26 febbraio 2021, n. 5442);
- che, in conclusione, il presente motivo di ricorso, lungi dal prospettare un vizio di violazione di legge si risolve, in realtà, nella contestazione dell’accertamento di fatto operato dal giudice di appello;
- che il ricorso, quindi, va dichiarato inammissibile;
- che nulla va disposto in relazione alle spese del presente giudizio di legittimità, atteso che il controricorso è inammissibile;
- che esso risulta proposto, per E-Distribuzione, dall’Avvocato A.M., senza, però, che costui abbia autenticato la sottoscrizione del mandato conferitogli dalla parte controricorrente (sottoscrizione apposta, per la predetta società, dalla procuratrice “ad negotia”, Avv. C.F.);
- che questo Collegio non ignora l’esistenza di alcuni precedenti che configurano l’evenienza della mancata autenticazione, ad opera del difensore, della firma apposta dalla parte in calce alla procura speciale, come una mera irregolarità (così, da ultimo, Cass. Sez. 1, ord. 31 dicembre 2019, n. 34748, Rv. 656443-01);
- che, tuttavia, tale orientamento non risulta in linea con quanto affermato, di recente, dalle Sezioni Unite di questa Corte in tema di procura speciale per il giudizio di legittimità (Cass. Sez.Data pubblicazione 13/09/2023 Un. sent. 9 dicembre 2022, n. 36057, Rv. 666374-01);
- che, infatti, esse – pur nell’ambito di un’interpretazione degli artt. 83 e 365 cod. proc. civ. che tende a salvaguardare in massima misura il principio della conservazione degli atti – indicano come elemento imprescindibile, proprio perché il suddetto principio possa operare (specie nei casi in cui la procura speciale per il giudizio di legittimità presenti un contenuto non univoco per ritenere che essa sia stata effettivamente conferita nell’ambito del giudizio in cui il difensore svolga la propria attività), il fatto che “il potere certificatorio del difensore è limitato alla firma e non include altro” (così, in motivazione, Cass. Sez. Un., sent. n. 36057 del 2022, cit.);
- che, dunque, proprio il potere certificatorio della firma si pone come “chiave di volta” per ritenere – persino nei casi in cui il contenuto della procura speciale potrebbe indurre a far dubitare dell’effettivo conferimento, al difensore, del potere di ricorrere per cassazione (o di resistere ad esso) – la sussistenza di un mandato riconducibile al paradigma di cui agli artt. 83 e 365 cod. proc. civ.;
- che in ragione della declaratoria di inammissibilità del ricorso va dato atto – ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 – della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, se dovuto secondo un accertamento spettante all’amministrazione giudiziaria (Cass. Sez. Un., sent. 20 febbraio 2020, n. 4315, Rv. 657198-01), dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente, se dovuto, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.