La Cassazione esclude la responsabilità del professionista per non aver svolto l'adempimento nel termine di tre mesi poiché si tratta di un incarico distinto e specifico che richiede un'assegnazione ad hoc.
Un notaio conveniva in giudizio i propri assistiti al fine di sentirli condannare al pagamento del residuo compenso per le proprie prestazioni professionali, di redazione dell'atto di accettazione con beneficio di inventario dell'eredità di Tizio, padre e coniuge dei convenuti.
Quest'ultimi, costituitisi in giudizio, formulavano domanda risarcitoria in...
Svolgimento del processo
Con atto di citazione dinanzi al Giudice di Pace di Treviglio il notaio A.C. conveniva in giudizio i fratelli G. e D. D. e la loro madre R. F., e ne chiedeva la condanna al pagamento del residuo compenso per le proprie prestazioni professionali, di redazione dell’atto di accettazione con beneficio d’inventario dell’eredità del defunto C.D., padre e coniuge dei suddetti.
I detti convenuti costituivano in giudizio contestando la pretesa del notaio e formulando in via riconvenzionale domanda risarcitoria e ripetitoria, assumendo l’inadempimento del professionista al mandato professionale, per non avere questi provveduto alla redazione dell’inventario nel termine di tre mesi, causando, in tal modo, l’accettazione pura e semplice dell’eredità.
Il Giudice di Pace dichiarava la propria incompetenza per valore e rimetteva le parti avanti al Tribunale di Bergamo.
La causa era, quindi, ritualmente riassunta dinanzi al detto Tribunale che, autorizzata la chiamata in causa dei L. a seguito della richiesta in tal senso formulata dal notaio C., senza espletamento di alcuna attività istruttoria, riteneva la domanda risarcitoria dei F.-D. inammissibile, per carenza di interesse ad agire in quanto il danno prospettato non era attuale, atteso che i F.-D. nulla avevano pagato per il debito erariale gravante l’eredità. Poiché l’atto di accettazione dell’eredità con beneficio di inventario fu effettivamente stipulato, il giudice di primo grado respingeva la domanda di ripetizione formulata dagli odierni ricorrenti, mentre accoglieva quella riconvenzionale del notaio C. per il pagamento della rimanente somma di denaro, pari a seicento euro, rigettava la domanda di condanna ai sensi dell’art. 96 codice di rito proposta dallo stesso notaio e compensava tra tutte le parti le spese di lite.
La sentenza di primo grado era impugnata dai F.-D..
La Corte d’Appello di Brescia, omessa ogni attività istruttoria, nel ricostituito contraddittorio tra le parti, con sentenza n. 866 del 27/08/2020, rigettava l’appello dei F. e D. e accoglieva il secondo motivo di appello incidentale del notaio C., con conseguente condanna degli appellanti alla rifusione delle spese del doppio grado di giudizio in favore del notaio e del grado d’appello n favore della L., liquidate in oltre ottantacinquemila euro.
Avverso la sentenza della Corte territoriale propongono ricorso per cassazione i F.-D., con atto affidato a tre motivi.
Resistono, con separati controricorsi, il notaio A.C. e l’assicurazione dei L..
Per l’adunanza del 27/02/2023 i ricorrenti hanno depositato memoria.
Motivi della decisione
I motivi di ricorso censurano come segue la sentenza della Corte territoriale.
Il primo mezzo deduce, ai sensi dell’art. 360, 1° comma, n. 3 cod. proc. civ. violazione e falsa applicazione degli artt. 484 cod. civ. e dell’art. 769, 4° comma, cod. proc. civ. come novellato dall’art. 13, 1° comma, lett. b) bis, del d.l. n. 212 del 22/12/2011, conv. con modificazioni nella legge n. 10 del 27/02/2012 per avere la Corte d’Appello erroneamente ritenuto che il conferimento al notaio dell’incarico di ricevere l’accettazione beneficiata non comprenda altresì l’incombenza di procedere alla redazione dell’inventario ed alle relative formalità, e tanto con il richiamo di un precedente giurisprudenziale di questa Corte (Cass. n. 19219/2018) invece riferito alla ad una fattispecie regolata dall’art. 769 cod. proc. civ. nella versione precedente alla riforma di cui all’art. 13, 1° comma, lett. b) bis, del d.l. n. 212 del 22/12/2011, conv. con modificazioni nella legge n. 10 del 27/02/2012.
Il secondo motivo afferma, in relazione all’art. 360, 1° comma, n. 3 cod. proc. civ. violazione e falsa applicazione degli artt. 2727, 2729 e 2697 cod. civ. nonché ai sensi dell’art. 360, 1° comma, n. 5 cod. proc. civ. omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio; ai sensi dell’art. 360, 1° comma, n. 3 cod. proc. civ. violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2721 cod. civ. laddove la Corte territoriale ha omesso di esaminare le circostanze dedotte in giudizio ai fini della prova indiziaria dell’avvenuto conferimento dell’incarico di redigere l’inventario, per violazione di pacifiche disposizioni normative sulla prova mediante presunzioni; nonché laddove la Corte d’Appello ha rigettato le richieste istruttorie svolte dagli appellanti F.-D. e volte alla dimostrazione, in via presuntiva, dell’avvenuto conferimento dell’incarico di redigere l’inventario al notaio, in quanto asseritamente generiche ed inidonee ai fini probatori, sebbene le richieste di prova testimoniale de quibus fossero invece più idonee alla dimostrazione dei fatti secondari rilevanti, dai quali si sarebbe ben potuta inferire la sussistenza dei fatti costitutivi principali, con conseguente violazione anche degli artt. 2697 e 2721 cod. civ. e ss.
Infine, il terzo e ultimo mezzo deduce, ai sensi dell’art. 360, 1° comma, n. 5 cod. proc. civ. omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti nonché in relazione all’art. 360, 1° comma, n. 3 cod. proc. civ. violazione e falsa applicazione dell’art. 2735 cod. civ. e dell’art. 47 della Legge notarile (legge n. 89 del 1913) laddove la Corte d’Appello ha omesso di esaminare l’avvenuta contestazione dell’inadempimento del notaio in relazione ad ulteriore ed autonomo titolo di responsabilità rispetto alla mancata redazione dell’inventario, in ragione della omessa informativa dei clienti in ordine al termine trimestrale di cui all’art. 487 cod. civ. e ciò oltretutto in presenza di una confessione stragiudiziale del notaio in relazione a tale ulteriore inadempimento.
Il primo motivo è incentrato sul presupposto che il conferimento al notaio dell’incarico per l’accettazione dell’eredità con benefico implichi necessariamente che vi sia automaticamente l’incarico, allo stesso notaio scelto per l’accettazione, di erigere l’inventario.
L’assunto, a prescindere da una generale carenza espositiva [ atteso che a fronte di specifico passaggio motivazionale della sentenza d’appello, alla pag. 17, circa l’assenza di una specifica deduzione in detto senso (di avvenuto conferimento dell’incarico) sin dalla comparsa di risposta dei F.-D. in primo grado, dinanzi al Giudice di Pace], non è condivisibile.
Ciò in quanto l’inventario, ovvero l’incarico di procedervi, non è inscindibilmente connesso, quantomeno dal punto di vista soggettivo, all’incarico relativo all’accettazione beneficiata dell’eredità (in tal senso appare utilmente richiamabile Cass. n 19219 del 19 luglio 2018, non massimata ufficialmente, sebbene riferita a fattispecie anteriore alla modifica dell’art. 769, comma 4, cod. civ.), in quanto l’erezione dell’inventario può essere effettuata anche da un cancelliere, designato dal Tribunale, e inoltre, il chiamato all’eredità può, nel termine di tre mesi, recedere dall’opzione beneficiata e quindi non fare effettuare l’inventario, il che implica che il conferimento dell’incarico al notaio ai fini dell’accettazione dell’eredità con beneficio non implica che lo stesso notaio debba automaticamente procedere all’inventario e ciò anche in quanto il chiamato all’eredità potrebbe, inoltre, preferire che l’inventario sia effettuato dal cancelliere del Tribunale (e, nell’originario impianto normativo del codice di rito, della Pretura).
L’art. 769, 4° comma, cod. proc. civ. nell’attuale formulazione introdotta all’art. 13, 1° comma, lett. b) bis, del d.l. n. 212 del 2011, conv. con modificazioni nella legge n. 10 del 2012, già vigente al momento dei fatti per i quali è causa, non prescinde dall’affidamento al notaio di uno specifico incarico di erigere all’inventario, ma consente soltanto al chiamato all’eredità di scegliere un notaio e di indicare detto notaio all’organo giudiziario competente, ossia al tribunale.
L’art. 484, comma 4, cod. civ. non toccato dalle modifiche di cui al d.l. n. 212 del 2011, prevede che l’inventario possa essere fatto anche prima della dichiarazione di accettazione con beneficio, il che implica che i due atti, ossia l’accettazione e l’inventario, siano distinti e debbano essere oggetto di distinti e specifici incarichi.
La giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 9648 del 27/07/2020 Rv. 538685 – 01), resa nella vigenza dell’art. 769 cod. proc. civ. prima delle modifiche del d.l. n. 212 del 2011 era ferma nel ritenere che «il notaio, nell'assolvimento dei compiti inerenti ad accettazione di eredità con il beneficio di inventario, opera quale ausiliario del giudice che lo ha nominato, sicché la sua eventuale designazione da parte dell'erede accettante con beneficio si configura come semplice indicazione e non come vero e proprio conferimento di incarico professionale».
Il primo mezzo è, pertanto, infondato.
Il secondo motivo è inammissibile, in quanto censura in modo inappropriato la mancata adozione del ragionamento presuntivo in relazione alla mancata ammissione delle prove testimoniali richieste dai F.-D.. Nell’assunto dei ricorrenti la Corte territoriale avrebbe errato in quanto non ammettendo le prove testimoniali non avrebbe desunto che da esse si sarebbe potuto inferire che al notaio C. era stato conferito anche l’incarico di erigere l’inventario.
L’assunto non è condivisibile, in quanto comporta un doppio salto logico, in quanto dall’ammissione della prova su fatti secondari (secondo la stessa prospettazione dei ricorrenti: si veda pag. 25 del ricorso) dovrebbe poi inferirsi la prova dell’essersi verificato il fatto primario (ossia il conferimento dello specifico incarico al notaio di procedere all’inventario), e prescinde del tutto dalla circostanza che nessuno dei capitoli di prova, pure riprodotti nel ricorso di legittimità, comprendeva un quesito diretto a dimostrare l’avvenuto conferimento dell’incarico specifico di erezione dell’inventario, come pure prescinde dall’affermazione, fatta dalla Corte territoriale, sulla circostanza dell’essere il capitolato istruttorio formulato sulla base dell’assunto che la documentazione necessaria alla redazione dell’inventario doveva (ancora) essere prodotta dai F.-D. (pag. 18 della motivazione). In breve: l’articolato istruttorio avrebbe dovuto condurre alla conclusione che vi era stata un quantomeno implicito conferimento al notaio dell’incarico di procedere all’inventario.
Il terzo mezzo, vertente sull’omesso esame di un fatto decisivo, consistente nella confessione da parte del notaio C. del proprio inadempimento, è infondato, in quanto il motivo prende le mosse dalla mancata osservanza del dovere di diligenza giacché il notaio C. non avrebbe avvertito, e lo avrebbe ammesso (di qui il richiamo all’art. 2735 cod. civ.), i F.-D. della necessità di effettuare l’inventario nei tre mesi.
Sul punto deve ribadirsi (Cass. n. 19219 del 19/07/2018, già richiamata) che l'adempimento secondo diligenza dell'incarico di procedere a accettazione con beneficio d'inventario impone al notaio, in una prospettiva finalistica, di illustrare al cliente il contenuto e gli effetti dell'atto, avvertendolo dunque anche degli ulteriori adempimenti necessari affinché lo scopo perseguito possa essere raggiunto, ma detta prestazione accessoria a tanto si arresta, ossia, nella adeguata informazione dei clienti sugli adempimenti da compiersi successivamente, sulle relative modalità e termini, dovendosi escludere, giusta quanto evidenziato sul primo motivo, che alla redazione dell'inventario potesse comunque lo stesso notaio utilmente procedere direttamente senza uno specifico mandato mediato dall’intervento dell’organo giudiziario.
Il ricorso è dunque in parte inammissibile ( specie con riferimento all’individuazione dell’incarico conferito al notaio C. e alle deduzioni e allegazioni difensive compite in sede di riconvenzionale ) e in parte infondato, e va pertanto rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza dei ricorrenti e, valutata l’attività professionale in relazione al valore della controversia, sono liquidate come da dispositivo, in favore di ciascuna delle parti controricorrenti.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti al pagamento, in favore ciascuna delle parti controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida, per ciascuno di essi, in Euro 6.800,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.