
Nel caso in esame, è stata ritenuta non dimostrata, secondo il principio del "più probabile che non", la possibilità che il cliente avrebbe potuto ottenere, con l'opposizione al decreto di sospensione della patente, un trattamento sanzionatorio più favorevole.
Svolgimento del processo
1 Nel 2012, LC conveniva in giudizio l'Avv. FB al fine di vederne accertata la responsabilità professionale per non aver quest'ultima adempiuto al contratto professionale e, conseguentemente, la condanna al risarcimento dei danni cagionati quantificati in € 50.000 con interessi, rivalutazione monetaria e spese di giudizio.
In particolare, deduceva l'omessa informazione da parte dell'avv. B dell'avvenuta notifica del decreto penale di condanna,
n. 400/11, n. 3767/11 R.G. GIP emesso dal Tribunale di Teramo, con il quale si disponeva la sospensione della patente di guida del e per 1 anno oltre alla e:ondanna ad un'ammenda di € 15.000.
Dal fascicolo, richiesto presso la cancelleria del GIP del Tribunale di Teramo, risultava che tale decreto era stato notificato all'Avv. B al tempo difensore dell'attore, in data 2 novembre 2011 e che era divenuto esecutivo il 18 novembre 2011 in mancanza di opposizione.
L'Avv. s si costituiva contestando le accuse e, in particolare, la mancanza dell'esistenza del nesso causale tra i danni lamentati e l'omissione denunciata.
Il Tribunale di Teramo con sentenza n. 526/2015 rigettava le domande di LC e lo condannava al pagamento delle spese di lite.
In particolare, il Giudice di primo grado riteneva non raggiunto l'onere probatorio incombente in capo all'attore circa la dimostrazione che, sulla base del principio di preponderanza causale, qualora vi fosse stata la comunicazione del decreto penale parte del difensore, si sarebbe potuta ottenere l’assoluzione dall'addebito.
2 Avverso tale sentenza LC proponeva appello lamentando l'erronea valutazione dei fatti e della documentazione prodotta in riferimento all'art. 1223 e.e. e censurando l'omessa qualificazione da parte del Tribunale di Teramo del danno lamentato come diretta ed immediata conseguenza dell'inadempimento.
In particolare, rilevava che, diversamente da quanto ritenuto dal Giudice di primo grado, l'opposizione al decreto di condanna, indipendentemente dal risultato, avrebbe consentito all'imputato di chiedere i benefici della sospensione e non menzione della pena e di ottenere, attraverso il pagamento immediato, una riduzione dell'importo stesso. Inoltre, l'opposizione avrebbe consentito di richiedere i riti alternativi e di beneficiare degli eventuali sconti di pena.
2.1 La Corte d'Appello di l'Aquila, con la sentenza n. 644/2020 del 5 maggio 2020, accoglieva parzialmente l'appello.
Il Giudice dell'appello riteneva non dimostrata, secondo il principio del "più probabile che non", la rilevante probabilità che l'imputato avrebbe potuto ottenere, con l'opposizione, un trattamento sanzionatorio più favorevole o l'assoluzione dalle accuse.
Riconosceva, comunque, che l'omissione dell'informazione da parte dell'Avv. BF costituiva in sé un vulnus del diritto del cliente di autodeterminarsi.
In particolare, ritenuta non adeguatamente dimostrata l'indicazione della misura risarcitoria da parte appellante in € 50.000, la Corte d'Appello qualificava il vulnus del diritto di autodeterminazione come pregiudizio a carattere non patrimoniale per la cui quantificazione riteneva necessario ricorrere al criterio equitativo.
Pertanto, la Corte territoriale, riconosceva il diritto al risarcimento del C pari ad € 3.000 e compensava, nella misura di 2/3, le spese di giudizio.
3 Avverso tale sentenza LC propone ricorso in Cassazione sulla base di due motivi.
3.1 L'Avv. BF resiste con controricorso.
Motivi della decisione
4 Con il primo motivo di ricorso, il ricorrente lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112, 115, 116, 132 c.p.c. e artt. 1218, 1223, 1225, 2698 e.e.
Denuncia che la Corte d'Appello, pur riconoscendo la responsabilità del legale, avrebbe errato nella determinazione dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti dal ricorrente, a causa della mancata proposizione dell'opposizione a decreto penale, notificato al legale del ricorrente, il quale ha omesso di informarlo dell'avvenuta notifica presso il suo studio.
Contesta, quindi, l'iter logico della sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto non dip,ostrati i pregiudizi lamentati conseguenti dalla mancata informazione.
4 Con il secondo motivo, subordinato all'accoglimento del primo motivo, chiede la riforma delle statuizioni relative alle spese.
5 Il primo motivo è inammissibile.
Il ricorrente non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata e non si confronta con la sentenza impugnata (cfr. pag. 5 e 6), che ha confermato la decisione del Tribunale laddove ha ritenuto insussistente la dimostrazione, che gravava sul e della rilevante probabilità che l'imputato avrebbe ottenuto, con l’opposizione, un trattamento sanzionatorio più favorevole se non l'assoluzione dal fatto ascritto.
Proprio in relazione a tale ultimo aspetto, ha ritenuto che apparivano inoppugnabili le risultanze delle analisi tossicologiche, evidenziate nel decreto penale di condanna e che ne costituivano il fondamento, che non potevano essere contestate (omissis) deduzione dell'appellante né da alcuna prova, finanche non dedotta.
Ha, dunque, valutato, con ragionamento scevro da qualsivoglia vizio giuridico, che non sussisteva quel giudizio prognostico formulato sulla base del principio del 'più probabile che non' secondo cui il compimento dell'attività omessa, ossia l'opposizione, avrebbe condotto ad un risultato migliore per l'imputato.
Pertanto, il ricorrente nel censurare il ragionamento logico deduttivo fatto proprio da parte della Corte d'Appello, ripercorre le doglianze sostenute nei due gradi di merito cercando di ottenere una nuova e diversa valutazione delle allegazioni e dei fatti di causa il cui giudizio rimane nella piena discrezionalità del giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimità.
5.1 Il secondo motivo è assorbito dall'inammissibilità del primo motivo.
6 Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità in favore della controricorrente, che liquida in complessivi Euro 4.200 oltre Euro 200 per esborsi, accessori di legge e spese generali.
Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall'art. 1, comma 17 della I. n. 228 del 2012, dà atto della sussitenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis del citato art. 13.