Con la riforma della giustizia tributaria viene meno il "doppio binario" tra processo penale e processo tributario.
Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Puglia, sez. XXIII, sentenza 21 agosto 2023, n. 2445
Svolgimento del processo
Con la sentenza n. 125/17, pronunciata in data 16/11/2016 e depositata in data 21/02/2017, la Commissione Tributaria Provinciale di Brindisi decideva, con condanna alle spese di giudizio, il ricorso presentato da A. di B. F. & C. s.a.s. in liquidazione nei confronti dell'Agenzia delle Entrate - Direzione Provinciale di (omissis), avverso l'avviso di accertamento n. (OMISSIS)/2015, asseritamente notificato ai sensi dell'art. 140 c.p.c..
In data 1/3/2016 il sig. F. B. , liquidatore della società A. sas di B. F. e c. sas in liquidazione, si recava presso gli uffici dell'Agente della Riscossione per la provincia di (omissis) e prendeva atto dell'iscrizione dei tributi accertati per il periodo d'imposta 2009 e precisamente Euro 243.707,00 per IVA, Euro 52.346,93 per interessi ed Euro 304.633,75 per sanzioni.
Pertanto, il ricorrente presentava istanza all'Agenzia delle Entrate di (omissis) per avere copia dell'avviso di accertamento, che veniva rilasciato in copia.
Nel timbro che costituisce la relata di notifica dell'atto, è riportato: <> il messo ha provveduto alla notifica ai sensi dell'art. 140 c.p.c. e a tal fine <>.
Dalla ricevuta di ritorno risulta che la comunicazione dell'avvenuta affissione presso la Casa Comunale è stata inviata all'indirizzo della società in (omissis) al Largo (omissis). Ai fini dell'accertamento, l'Ufficio ha ritenuto rilevanti ai fini Iva le operazioni intercorse fra la società A. S.a.s. e la società portoghese cessionaria dei servizi (B. T. & Offshore Serviço de Transporte Marítimo s.a., con sede in (omissis) Madeira, di seguito B. T. SA) in quanto quest'ultima società, ad avviso degli Accertatori, avrebbe la sede effettiva in Italia e quindi le relative operazioni sarebbero ivi imponibili ai fini Iva.
Inoltre, l'Ufficio non riteneva applicabile il regime previsto dall'art. 8 bis del D.P.R. n. 633/72 in quanto le operazioni intercorse tra A. sas e B. T. SA non rientrerebbero nella sfera di applicazione di tale norma.
Relativamente alla società B. T. SA, e all'esito delle indagini di polizia giudiziaria attivate dalla Procura della Repubblica di (omissis) (procedimenti penali nn. 2047/11/21 e 3588/11/21), i Militari ritenevano fittizia la sede legale della società B. T. SA in Madeira (Portogallo) ed effettiva, invece, in (omissis) al Largo (omissis) n. 9.
Ed infatti, sebbene la società effettuasse attività di rimorchio d'altura e di assistenza alle piattaforme petrolifere presso la costa sud occidentale dell'Africa (a mezzo dei rimorchiatori ALT ASD Bravehear e Warlock di cui è proprietaria), <
L'analisi delle fatture di acquisto della B. T., emesse dalle citate società di management, ha evidenziato che le stesse, nel fare riferimento ad un contratto di consulenza concluso tra le parti, recano il titolo di non imponibilità IVA, ex art. 8 bis del DPR 633/72.
A riguardo, le indagini di polizia giudiziaria e le attività di verifica svolte nei confronti della B. T. hanno consentito di acquisire elementi tali da ritenere che le prestazioni di servizi documentate dalla I. sas (fino all'anno 2008) e dalla A. sas (a partire dall'anno 2009), essendo state rese nel territorio dello Stato, a soggetto passivo ivi stabilito, sono rilevanti ai fini IVA in Italia, per cui la società esterovestita sono state contestate le irregolarità connesse all'omessa regolarizzazione delle fatture emesse dalle suddette imprese commissionarie>>.
Ed ancora, i Militari appuravano che l'intero pacchetto azionario della società B. T. & Offshore Serviço de Transporte Maritimo SA era detenuto dalla società holding I. - Consultadoria Económica e Commercial SA, anch'essa domiciliata nel territorio di Madeira e che il capitale sociale di questa era interamente detenuto, attraverso fiduciarie, dai Sigg.ri G. B. e F. B. .
Appuravano, altresì, che la gestione della società B. T. era solo formalmente affidata ad un Consiglio di Amministrazione composto dal Presidente, dottor G. S., e da due cittadini portoghesi, giacché i fratelli B. erano sempre stati, di fatto, gli unici titolari del potere di gestione della "società offshore" ed effettivi proprietari della medesima, come risultava dalla consistente documentazione acquisita durante le operazioni di controllo (scritture private, e-mail, ecc.).
Sulla scorta di tali risultanze istruttorie, l'Ufficio emetteva l'avviso di accertamento, oggetto del presente gravame, ritenendo la società B. T. esterovestita residente in Italia ai sensi dell'art. 73, comma 3, del D.P.R. n. 917/86, e, quindi, riqualificandola in "società per azioni" e attribuendole sede legale in Italia e numero di codice fiscale e di Partita IVA.
Nell'impugnare, quindi, l'avviso di accertamento de quo, la società A. censurava il modus agendi operato dai verificatori in tema di acquisizione degli elementi raccolti nel corso del controllo fiscale, che venivano poi acriticamente recepiti dall'Agenzia.
Infatti, eccepiva, in via pregiudiziale, la nullità insanabile dell'avviso di accertamento per irritualità della notifica.
Deduceva, altresì, l'illegittimità dell'avviso di accertamento in quanto le prestazioni di servizio rese da A. sas nei confronti di B. T. SA difettavano del requisito della territorialità; e, in via subordinata, l'illegittimità dell'atto impugnato per insussistenza delle violazioni contestate con riferimento alle operazioni intercorse nel 2011 tra le predette società, ricorrendo nella specie i presupposti per l'applicazione del regime di non imponibilità previsto dall'art. 8-bis del D.P.R. n. 633/1972; ed ancora, per insussistenza delle violazioni contestate con riferimento alle operazioni di intermediazione intercorse sempre tra le citate società.
In subordine, i ricorrenti chiedevano la disapplicazione delle sanzioni irrogate ai sensi degli artt. 6, comma 2, del D.Lgs. n. 472/97, 10, comma 3, della Legge n. 212/2000 e 8 del D.Lgs. n. 546/92, ricorrendo nella specie condizioni di obiettiva incertezza sulla portata e l'ambito di applicazione delle norme che si assumono violate.
L'Agenzia delle Entrate, ritualmente evocata in causa, si costituiva in giudizio ribadendo la correttezza del proprio operato e la legittimità della pretesa impositiva.
Chiedeva, pertanto, il rigetto del ricorso, con vittoria delle spese di giudizio.
Con la predetta sentenza n. 125/17, i Giudici di prime cure respingevano tutte le eccezioni (pregiudiziali e di merito) sollevate dalla società ricorrente, confermando la legittimità dell'atto impugnato.
Contro la predetta decisione della Commissione Tributaria Provinciale di (omissis), la società A. di B. F. & C. s.a.s., a mezzo dei propri difensori di fiducia, depositava ricorso in appello, meglio indicato nel frontespizio, chiedendone l'accoglimento, in riforma della sentenza impugnata, con vittoria di spese.
Parte appellante eccepiva, in via pregiudiziale, la invalidità della sentenza laddove aveva respinto l'eccezione relativa alla nullità dell'avviso di accertamento per irritualità della notifica e, in via subordinata, la violazione degli artt. 73 del TUIR e 7 e 7-ter del D.P.R. n. 633/1972, la violazione dell'art. 8-bis del medesimo Decreto.
In ultimo, deduceva l'illegittimità della sentenza in merito alla mancata disapplicazione delle sanzioni.
L'Agenzia delle Entrate si costituiva in giudizio presentando proprie controdeduzioni per la conferma della sentenza impugnata e la piena legittimità della pretesa tributaria con vittoria di spese.
In data 11/12/2020, con memorie depositate in questo giudizio, la difesa della Parte appellante faceva presente che la Corte di Appello di Lecce, con sentenza n. 34/2019 del 11/01/2019 (allegata in atti), depositata in cancelleria in data 21/03/2019, in riforma della sentenza di primo grado, aveva assolto gli imputati dai reati loro ascritti con la formula di assoluzione piena <>.
Motivi della decisione
L'appello è fondato e, pertanto, deve essere accolto per i seguenti motivi.
In primis, questa Corte osserva la disposizione normativa dettata dall'art. 145 c.p.c., laddove stabilisce che: <
La notificazione alle società non aventi personalità giuridica, alle associazioni non riconosciute e ai comitati di cui agli articoli 36 e seguenti del codice civile si fa a norma del comma precedente, nella sede indicata nell'articolo 19, secondo comma, ovvero alla persona fisica che rappresenta l'ente qualora nell'atto da notificare ne sia indicata la qualità e risultino specificati residenza, domicilio e dimora abituale.
Se la notificazione non può essere eseguita a norma dei commi precedenti e nell'atto è indicata la persona fisica che rappresenta l'ente, può essere eseguita anche a norma degli articoli 140 o 143>>.
Nel caso di specie, non potendo effettuare la notifica presso la sede della società ai sensi dell'art 145, comma 1, prima parte, il messo avrebbe dovuto tentare la notifica ai sensi dell'art. 145, comma I, seconda parte: il messo cioè avrebbe dovuto notificare l'avviso di accertamento ai sensi degli artt. 138, 139 e 141 alla persona fisica che rappresenta l'ente (e cioè al sig. F. B.) posto che l'atto da notificare ne indica la qualità e la residenza.
Solo nel caso in cui fosse fallito anche il tentativo di notifica alla persona fisica del legale rappresentante con le modalità fissate dagli artt. 138, 139 e 141, il messo avrebbe potuto procedere alla notifica ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 145, come appunto previsto.
Peraltro, nella relata di notifica il messo comunale non dà in alcun modo atto di aver tentato la notifica in mani proprie del sig. B. (art. 138), né presso la casa di residenza dello stesso (art. 139), né presso eventuale domiciliatario (art. 141).
Il messo ha invece proceduto direttamente alla notifica mediante deposito presso la casa comunale senza prima esperire il tentativo di notifica ai sensi degli artt. 138, 139 e 141 nei confronti della persona fisica (rappresentante dell'ente) indicata nell'atto da notificare.
Pertanto, come sostenuto da Parte appellante, la notifica è irrituale per violazione del combinato disposto dei commi 1, 2 e 3 dell'art. 145 c.p.c..
Ed ancora, sostiene che una volta ritenuto applicabile l'art. 140 c.p.c., i relativi adempimenti avrebbero dovuto essere effettuati con riferimento alla persona fisica del legale rappresentante della società.
Infatti, l'art. 145, comma 3, c.p.c., recita testualmente: <>.
Parte appellante si duole, quindi, della procedura di notifica ex art. 140 c.p.c. eseguita non nei confronti del legale rappresentante di A., ma nei confronti della società stessa, in aperta violazione dell'art. 145, comma 3.
L'avviso di ricevimento della raccomandata prevista dall'art. 140 reca l'indirizzo della sede della società in (omissis) al Largo San Paolo n. 9 e non quello della casa di abitazione del sig. B., in (omissis) alla via S. (omissis), come specificato nell'avviso di ricevimento.
Tuttavia, la notificazione, anche se irrituale, non impedisce la valida instaurazione del rapporto processuale, qualora il destinatario dell'atto entri nella sfera di conoscenza delle pretese tributarie, verificandosi, in tale ultima ipotesi, la sanatoria della nullità per raggiungimento dello scopo in cui l'atto era diretto.
Nella fattispecie in esame, la società A. ha impugnato l'atto impositivo, svolgendo le proprie difese e, pertanto, la doglianza in merito alla nullità dell'atto deve essere respinta.
In secundis, questa Corte osserva che, in tema di evasione fiscale internazionale, rientra l'esterovestizione societaria, ossia una vera e propria dissociazione tra residenza reale (in Italia) e residenza formale (estera) attuata con lo scopo di attuare manovre di pianificazione fiscale contrarie al disposto normativo.
In buona sostanza, la residenza dell'impresa societaria viene localizzata fittiziamente all'estero per ottenere, in determinati Stati o territori, un indebito risparmio d'imposta.
In tale ambito, l'azione di contrasto posta in essere dall'Amministrazione Finanziaria ha il precipuo scopo di individuare la reale residenza fiscale di un soggetto passivo in quanto, in linea con il principio della tassazione dell'utile mondiale (c.d. "world wide taxation"), una volta stabilita la reale residenza di un'impresa, la stessa sarà assoggettata a tassazione - in un determinato Stato - per i redditi ovunque prodotti nel mondo.
Parte appellata ritiene che <>.
Orbene, a livello normativo, l'art. 73, comma 3, del D.P.R. n. 917/86 così prevede: <
Si considerano, inoltre, residenti nel territorio dello Stato i trust istituiti in uno Stato diverso da quelli di cui al decreto del Ministro dell'economia e delle finanze emanato ai sensi dell'articolo 168 bis, quando, successivamente alla loro costituzione, un soggetto residente nel territorio dello Stato effettui in favore del trust un'attribuzione che importi il trasferimento di proprietà di beni immobili o la costituzione o il trasferimento di diritti reali immobiliari, anche per quote, nonché vincoli di destinazione sugli stessi>>.
Occorre, quindi, rilevare come in materia di imposte sui redditi, l'art. 73, comma 3 del TUIR individua i criteri di collegamento (la sede legale o la sede dell'amministrazione o l'oggetto principale), paritetici ed alternativi, delle società e degli enti con il territorio dello Stato, la cui ricorrenza, per la maggior parte del periodo di imposta (superiore a 183 giorni o 184 se ricorre anno bisestile), determina la residenza in Italia e l'assoggettamento alla potestà impositiva del fisco italiano. Ciò a prescindere dall'accertamento di un'eventuale finalità elusiva della contribuente, che sia volta a perseguire uno specifico vantaggio fiscale che altrimenti non le spetterebbe.
Di contro, in ambito internazionale, nelle convenzioni contro le doppie imposizioni sui redditi, redatte secondo il modello di Convenzione OCSE, gli aspetti legati all'identificazione della residenza fiscale del contribuente sono demandata all'art. 4.
Tale disposizione prevede che <>.
Già in passato, sulla base di un consolidato approccio ermeneutico espresso in sede di legittimità, doveva ritenersi sussistente un'ipotesi di esterovestizione quando una società, che ha nel territorio dello Stato la sede dell'amministrazione, da intendersi come luogo in cui si svolge in concreto la direzione e gestione dell'attività di impresa e dal quale promanano le relative decisioni, localizza la propria residenza fiscale all'estero al solo fine di fruire di una legislazione tributaria più vantaggiosa (Corte di Cassazione sentenza n. 16697/2019).
In tale contesto, il divieto di abuso del diritto si traduce in un principio generale antielusivo che preclude al contribuente il conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante l'uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un'agevolazione o un risparmio d'imposta, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l'operazione, diverse dalla mera aspettativa di quei benefici.
Soprattutto in ambito comunitario, con specifico riferimento alla localizzazione all'estero della residenza fiscale di una società, la circostanza che una società sia stata creata in uno Stato membro per fruire di una legislazione più vantaggiosa non costituisce di per sé un abuso della libertà di stabilimento.
Infatti, la normativa nazionale che limita detta libertà è ammessa solo se riguarda specificamente le "costruzioni di puro artificio", ossia le strutture societarie finalizzate ad eludere la normativa del singolo Stato membro.
In buona sostanza, l'azione di contrasto all'evasione fiscale deve concentrarsi nei confronti di quelle strutture societarie di "puro artificio" costituite all'estero, in assenza di valide ragioni economiche, al solo scopo di ottenere un indebito risparmio d'imposta; la costruzione di puro artificio può essere individuata in un gruppo societario che non riflette una reale sostanza economica, ma risulta caratterizzato da una struttura puramente formale avente come obiettivo principale, ovvero uno degli obiettivi principali, il conseguimento di un indebito vantaggio fiscale in contrasto con normativa tributaria applicabile.
Sul punto, questa Corte ritiene doverosa la disamina, analitica e unitaria, di tutti gli elementi indiziari addotti dall'Ente impositore al fine di individuare la sede effettiva della società.
Non si può, infatti, aprioristicamente escludere che possa avere rilevanza il luogo dove sono stati determinati gli indirizzi generali dell'attività societaria, privilegiando al contempo quello ove è stata gestita l'ordinaria amministrazione, per scongiurare la sua declinazione a sua volta in termini meramente operativi.
Nelle motivazioni dell'atto impositivo si legge testualmente: <>.
In virtù di tali contestazioni, nelle more del procedimento tributario, è stata esperita azione penale nei confronti di S. G. (nella qualità di Presidente del Consiglio di Amministrazione della B. T. SA), di B. F. e B. G. (nella qualità di istigatori e amministratori di fatto della B. T. SA) per violazione degli artt. 4 e 5 D.Lgs. 74/2000, perché al fine di evadere l'imposta sui redditi, non presentavano la dichiarazione annuale relativa all'anno d'imposta 2009 e, al fine di evadere le imposte sull'Iva per gli anni fiscali dal 2007 al 2010, indicavano nella relativa dichiarazione annuale elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo. Delle relative risultanze processuali, si dirà in prosieguo.
Ordunque, l'assunto accertativo trova un limite insuperabile nella documentazione probatoria che Parte appellante ha prodotto in questo giudizio.
Tra l'altro, tale documentazione non è stata valutata attentamente dal CTU Prof. C. con espresso riferimento alla legislazione comunitaria e internazionale in materia di navigazione, che regola i contratti oggetto di contestazione.
Infatti, è ampiamente provato che l'attività svolta prima da I. sas e poi da A. sas, in esecuzione di specifici contratti sottoscritti con B. T. SA, è conforme ad una prassi internazionale consolidata.
Peraltro, i relativi redditi sono stati assoggettati a tassazione in Italia.
Appare di tutta evidenza come le due società italiane svolgessero, sulla base di contratti, una funzione strumentale rispetto alla società portoghese ritenuta "esterovestita" e che, dunque, i Sigg.ri B., in qualità di soci delle suddette società italiane, agissero in virtù di un contratto e non quali amministratori di fatto.
Va rilevato, poi, che il contratto di ship management disciplina i rapporti intercorsi tra le società accertate, tant'è che con tale contratto sono state demandate alcune attività proprie della impresa di navigazione a soggetti posti al di fuori della impresa stessa e comunque estranei all'organizzazione armatoriale.
Più precisamente, sono state esternalizzate le funzioni commerciali, amministrative e tecniche dal soggetto estero in outsourcing al soggetto italiano, che in relazione alle varie prestazioni di servizi rese ha assoggettato i relativi redditi ad imposizione fiscale.
Infatti, i contratti stipulati da B. T. SA con le due società di persone di diritto italiano (Intercosnsult sas e A. sas) sono stati posti a fondamento delle contestazioni in sede di verifica e di accertamento e sono stati oggetto di approfondimento da parte del CTU prof. C..
Parte appellante ha dato prova che, per lo svolgimento della propria attività, B. T. si è sempre avvalsa dell'ufficio in cui è ubicata la sede sociale della società in (omissis) (Madeira, Portogallo), di due
rimorchiatori utilizzati per l'attività di rimorchio di natanti e di assistenza alle piattaforme petrolifere, di ben 52 dipendenti, cittadini comunitari non italiani ed extra-comunitari (vedasi l'organigramma dei dipendenti di B. T., i contratti di lavoro e l'estratto dei mansionari del personale cui erano demandati il comando e le responsabilità delle imbarcazioni).
Le maestranze, che operano secondo le direttive e le istruzioni dei rispettivi comandanti dei rimorchiatori, hanno frequentato corsi di formazione a Lisbona ove, peraltro, hanno sostenuto gli esami per gli imbarchi.
Le riunioni del Consiglio di Amministrazione di B. T. e le assemblee dei soci si sono sempre svolte a (omissis), Madeira, come comprovato dai documenti concernenti le riunioni del Consiglio di Amministrazione depositati nel corso del giudizio di primo grado, e dell'Assemblea dei soci di B. T..
E' evidente, dunque, che si tratta di una attività imprenditoriale svolta all'estero, effettivamente localizzata e radicata totalmente al di fuori del territorio italiano, dotata di autonomia gestionale sia sotto il profilo organizzativo che sotto quello amministrativo la quale, in conformità ad una contrattualistica internazionale assai diffusa in ambito marittimo, ha demandato un'ampia sfera di attività ad un soggetto italiano (I. e A.), che in relazione alle varie prestazioni di servizi rese ha assoggettato i relativi redditi ad imposizione.
Considerata, quindi, l'attività degli organi e degli uffici societari in vista del compimento degli affari e dell'impulso dell'attività della società B. T., non si può non tener conto anche di quei rilevanti fattori sostanziali che, a fronte di dati formali relativi alla collocazione geografica del luogo dove si svolga l'attività amministrativa e di direzione, depongano invece per l'effettivo stabilimento di quest'ultima al contesto portoghese.
D'altronde, è in Portogallo (a (omissis)), e a bordo dei rimorchiatori di bandiera portoghese svolgenti servizi in acque extra-territoriali, che B. T. svolge l'attività economica, con organizzazione e coordinamento dei diversi fattori produttivi, e produce il proprio reddito.
Viepiù.
Dalla documentazione in atti (prospetto degli stipendi), si evince che S. G., nella qualità di Presidente del Consiglio di Amministrazione della B. T. SA, veniva puntualmente remunerato in Portogallo dalla società e sui redditi prodotti versava le relative imposte ("imposto sobre o rendimento"), con delega di pagamento effettuate tramite istituto di credito portoghese.
Come pure la stipula dei "contratti di rappresentanza e consulenza" stipulati dal B. con riguardo alla B. T. ed alla sua holding, la I. s.a, non dimostrano la sussistenza dell'ipotesi della "esterovestizione", come ritenuta dai verificatori.
Infatti, la Corte d'Appello, valutati i contratti stipulati tra B. T. e le due società (I. s.a.s. fino al 23/12/2008, e la A. s.a.s. dall'8/01/2009) ai fini della prova dell'effettivo accentramento dei poteri decisionali in capo ai fratelli B., ritiene che <
E' bene precisare che sia sulla documentazione testé richiamata che in merito alle conclusioni del consulente di parte, non risultano sollevate obiezioni di sorta a cura di controparte, cosicché la relativa valenza probatoria non può essere revocata in dubbio.
Peraltro, perfettamente coerenti con tali elementi, idonei a suffragare la tesi della operatività della B. T., si rivelano i vantaggi di carattere operativo connessi alla scelta di Madeira ((omissis)) ovvero la prossimità all'area in cui maggiormente si esplicava l'attività della società (le coste dell'Africa Nord Occidentale; l'esistenza nell'isola di un valido registro navale e di un porto di eccellenza; la garanzia, sotto il profilo della tutela, rappresentata dall'essere Madeira paese comunitario (anche in questo caso si tratta di elementi che, in quanto non specificamente oggetto di contestazione o di spiegazione alternativa, devono ritenersi del tutto plausibili).
A fronte dell'acclarato esercizio della propria attività commerciale da parte della B. T., pertanto, e pur volendo aderire all'assunto del primo giudice volto ad evidenziare precipuamente gli elementi sintomatici della "sede effettiva" in Italia della società in parola ¿ , va tuttavia ribadito che il predetto criterio è in tempi recenti divenuto recessivo rispetto a quello - delineato dalle sentenze rese dalla Corte di Giustizia e della Corte Regolatrice - della "effettiva operativit à ", che privilegia, e valorizza, l'indagine diretta ad accertare che la società formalmente residente all'estero, non sia frutto di un mero artificio e non possieda alcuna sostanza economica. Ma fuori da siffatti casi la società non potrebbe giammai essere considerata residente in un paese diverso da quello in cui eserciti la propria attività commerciale.
Tale principio risulta ulteriormente recepito dalla S.C. in una recentissima decisione (Cassazione penale sez. I, 13/07/2018, n.50151) nella quale si è affermato che in tema di reato di omessa presentazione della dichiarazione annuale dei redditi di cui all'art, 5 del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, <>.
Sulla scorta delle considerazioni sin qui svolte, pertanto, deve escludersi che, nella fattispecie, si versi in una ipotesi di esterovestizione volta a scopi elusivi dell'imposizione fiscale>>.
Alle medesime conclusioni perviene il Tribunale di (omissis) - Settore Esecuzioni Concorsuali con il decreto reso nel procedimento R. Pre-fall. N. 37/2021, depositato in data 08/06/2023, laddove ritiene: <<È provato in via documentale, infatti, che la Società resistente abbia operato stabilmente in Portogallo, nel quale è stata costituita nel 2001, esercitando attività di rimorchio d'altura e di assistenza alle piattaforme petrolifere site nell'oceano Atlantico>>.
Infatti, il Giudicante dichiarava improponibile il ricorso in virtù del difetto di giurisdizione del Tribunale adito in quanto:
− la competenza a dichiarare l'insolvenza si radica in capo al Giudice dello Stato membro in cui si trova ilcentro degli interessi principali dell'impresa, ai sensi del Regolamento UE 2015/848;
− il centro degli interessi principali, c.d. C.O.M.I. (centre of main interests) si identifica: <
Da ultimo, il Regolamento (Considerando n. 30) specifica che le presunzioni secondo cui <
presunzione dovrebbe poter essere respinta se l'amministrazione centrale della società è situata in uno Stato membro diverso da quello della sede legale e una valutazione globale di tutti gli elementi rilevanti consente di stabilire che, in maniera riconoscibile dai terzo il centro effettivo di direzione e di controllo della società stessa, nonché della gestione dei suoi interessi sono situati in tale altro Stato membro>>.
E' pur vero che la Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 34723/2022, ha sancito che la contestazione dell'esterovestizione debba passare attraverso un articolato esame dei tre criteri di collegamento previsti dall'articolo 73, comma 3, Tuir, ossia, come in precedenza illustrato, la sede legale, la sede dell'amministrazione o l'oggetto sociale.
I Giudici di legittimità hanno, infatti, chiarito che <>.
Quindi, confermando il precedente filone giurisprudenziale espresso in subiecta materia, secondo la Suprema Corte l'accertamento dell'esterovestizione societaria prescinde dalla sussistenza di eventuali forme di abuso del diritto (ex multis, sentenze n. 23150/2022, n. 11709/2022, n. 11710/2022).
Tuttavia, rilevato che Madeira, in quanto regione autonoma del Portogallo, fa parte dell'Unione Europea e aderisce all'accordo di Schengen, questa Corte ritiene lo stabilimento della sede della B. T. in tale paese per fruire di una legislazione più vantaggiosa non costituisce in sé un abuso di tale libertà, non ricorrendo, sulla base delle risultanze processuali, l'ipotesi di puro artificio finalizzata ad eludere la normativa dello Stato membro interessato (Italia), che restringerebbe in questo caso la libertà di stabilimento.
Se, al contrario, si fosse accertata la sede stabilita in uno Stato extra-UE, ai fini dell'esterovestizione, occorreva meramente dimostrare la sussistenza nel nostro Paese della sede dell'amministrazione o dell'oggetto principale, in mera applicazione dell'art. 73 del TUIR e senza alcun rilievo sulla consistenza economica del soggetto la cui residenza fiscale veniva attratta in Italia.
Questo orientamento è stato espresso anche dalla Corte di Giustizia, con la sentenza Cadbury Schweppes, laddove viene affermato che, <>.
Pertanto, questa Corte intende uniformarsi al decisum della Corte d'Appello di Lecce e del Tribunale di (omissis), condividendo le risultanze processuali.
In quelle sedi contenziose, Parti appellanti avevano prodotto copiosa documentazione a sostegno delle proprie difese, la cui attendibilità e/o rilevanza, ai fini probatori, è stata vagliata dalla Corte d'Appello, la cui decisione, che scongiura anche la sussistenza dei presupposti per l'esercizio, da parte dell'Amministrazione, del potere di accertamento nella fattispecie in esame, è passata in giudicato.
Pertanto, a seguito delle novità introdotte dalla Legge n. 130/2022, la sentenza penale irrevocabile assume efficacia vincolante e opera automaticamente nel processo tributario.
Si evidenzia che, a seguito della Legge n. 130/2022, recante "Disposizioni in materia di giustizia e di processo tributario", il panorama normativo di riferimento è stato radicalmente modificato con evidenti ripercussioni sul rapporto tra giudicato penale e processo tributario e, in particolare, sul valore da attribuire alla sentenza penale irrevocabile che non assume più efficacia probatoria, bensì efficacia di giudicato automaticamente rilevabile nel processo tributario.
Ma la novità di maggior rilievo è senz'altro quella che fa venir meno il cosiddetto "doppio binario" tra processo penale e processo tributario. Si stabilisce infatti che la sentenza definitiva di assoluzione - perché il fatto non sussiste o l'imputato non lo ha commesso - faccia stato nel giudizio tributario, con riferimento ai fatti materiali accertati in sede penale.
Nel merito dell'atto impositivo, occorre evidenziare che, al venir meno l'ipotesi accertativa della esterovestizione della società B. T. SA, tutte le contestazioni relative alla violazione dell'art. 8-bis del D.P.R. n. 633/72 risultano prive di fondamento sia sul piano formale sia sul piano sostanziale.
In particolare, per i periodi di imposta oggetto del controllo, i verificatori hanno proceduto all'esame delle prestazioni di servizio ricevute dalle società I. s.a.s. e A. s.a.s., rese nell'ambito dei richiamati contratti di consulenza e relative alle seguenti fattispecie:
- spese sostenute in nome e per conto della B. T.;
- commissioni su dette spese, variabili tra il 10% ed il 20% delle stesse;
- management fees per i rimorchiatori Bravehert e Warlock, determinato in misura variabile tra il 5% ed il 20% dell' importo del "fatturato totale reperito";
- commissioni per la gestione di alcune pratiche assicurative;
- anticipazioni su fatture e relative commissioni;
- premi di produzione, calcolati in misura pari al 5% dell'importo del fatturato reperito.
I verificatori rilevavano, infatti, che <>.
Ed ancora, <
In tal senso, pertanto, è stato riconosciuto il regime di non imponibilità per le spese e le relative commissioni sostenute in nome e per conto della B. T. per l'acquisto di ricambi e per i lavori di manutenzione e riparazione delle navi, mentre per l'addebito delle commissioni sulle altre spese (viaggio, telefoniche, vitto, energia elettrica, traduzione, ecc.) e per l'addebito delle spese di management fees e delle commissioni per la gestione delle pratiche assicurative non sono stati ravvisati i presupposti di non imponibilità>>.
In particolare, l'articolo 8-bis, lett. e) del citato Decreto, dispone che sono assimilate alle cessioni all'esportazione, se non comprese nell'articolo 8: <>.
Ed ancora, alla lett. e-bis), <>.
Ne consegue che tutte le operazioni poste in essere, il cui ammontare è stato integralmente confermato dalle risultanze accertative, rientrato nella predetta previsione normativa, essendo inconferente l'assunto dell'Ufficio come sopra richiamato.
Tra l'altro, in materia di esenzioni connesse ai trasporti internazionali, l'art. 148 della Direttiva Comunità Europea n. 112/2006 prevede alla lettera d) l'esenzione da parte degli Stati membri delle prestazioni di servizi, diverse da quelle di cui alla lettera c), direttamente destinate a sopperire ai bisogni delle navi di cui alla lettera a) e del loro carico.
Ed ancora, non è stata valutata la circostanza che se B. T. SA avesse effettivamente stabilito la propria sede in Italia svolgendo in proprio le attività di ship management (e non tramite I. sas e A. sas), avrebbe potuto optare per il regime della Tonnage tax, conseguendo un cospicuo risparmio d'imposta.
Infatti, nel settore marittimo viene in rilievo il regime della tonnage tax (imposta sul tonnellaggio), disciplinata dagli artt. 155 e seguenti del TUIR e quello di riduzione dell'imponibile al 20% previsto dall'art. 4, comma 2, del D.L. n. 457/1997.
In particolare, la tonnage tax è un meccanismo di tassazione opzionale forfettaria e unitaria sulla base del reddito imponibile giornaliero di ciascuna nave, in attuazione dei principi direttivi posti dalla legge n. 80/2003, ed è applicabile alle compagnie marittime di navigazione, con l'obiettivo della riduzione delle asimmetrie fiscali tra la flotta italiana e le flotte europee.
La relativa disciplina è contenuta negli artt. da 155 a 161 del TUIR ed è stata introdotta con il D.Lgs. n. 344/2003 a decorrere dal periodo di imposta 2005.
Il regime fiscale previsto, quindi, dalla normativa in esame, analogamente ai regimi adottati nella gran parte dei Paesi membri dell'Unione Europea, prevede la sostituzione dell'imposizione sul reddito effettivo delle società con un'imposta dovuta su una base imponibile calcolata in modo forfettario sulla base del tonnellaggio di stazza netta delle navi utilizzate dall'impresa.
Pertanto, la doglianza partecipata da Parte appellante (punto 2 del ricorso in appello) trova fondamento giuridico ed è assorbente rispetto a tutte le altre eccezioni.
P.Q.M.
La Corte, in riforma della sentenza di primo grado, accoglie il ricorso in appello e dispone l'annullamento dell'atto impugnato.
Spese compensate per entrambi i gradi di giudizio, stante la peculiarità e complessità del caso concreto sotto il profilo giuridico.