Svolgimento del processo
1. Con decreto del 20/21 luglio 2022, il Tribunale di Torino, adito da G.T., madre dei minori G. ed A.V., autorizzò la prima, in qualità di genitore esercente la potestà sui secondi, «a prestare il consenso informato alla somministrazione del trattamento vaccinale anti Covid-19 ed i relativi richiami per i figli […], anche in assenza del consenso dell’altro genitore», P.G. V., che condannò pure al pagamento delle spese giudiziali, ponendo, invece, a carico di entrambe le parti, in ragione del 50% ciascuna, le spese della espletata c.t.u..
2. Il reclamo promosso da P.G. V. contro questa decisione è stato respinto dalla Corte di appello di Torino, con decreto del 23 novembre 2022, n. 1214, - reso nel contraddittorio con G.T. e con l’intervento del Procuratore Generale presso quella corte - nel quale si è osservato, tra l’altro, che «Le tesi su cui si fonda l’opposizione paterna sono ampiamente sconfessate dalla letteratura scientifica, e, del resto, l’utilità del vaccino nell’aver determinato una drastica contrazione della mortalità della malattia è conclamata. I riferimenti del reclamante alle nuove circolari sono inconferenti, giacché non riguardano soggetti che non abbiano ricevuto alcuna dose vaccinale; quanto ai paventati effetti collaterali del vaccino, dalla stessa esposizione del reclamante ne risulta manifesta la pressoché minima rilevanza e l’assoluta incomparabilità rispetto ai benefici, in termini di sicurezza, che dal vaccino derivano. In via generale, è evidente che la strada maestra nella decisione dei contrasti fra i genitori sulla necessità di sottoporre i minori alla vaccinazione è quella di seguire le indicazioni delle autorità competenti in materia, salva la specifica prova che, nel caso di specie, i minori in questione presentino patologie o caratteristiche proprie che sconsiglino la vaccinazione, e sempre che tali casi siano espressamente previsti ed esclusi dalla vaccinazione dalle indicazioni delle stesse autorità sanitarie: spazio per teorie alternative, ove non validate dalle competenti autorità, non ve ne può essere, anche perché né il padre reclamante, né i giudici di primo e secondo grado hanno alcuna significativa preparazione scientifica nella materia. Ebbene, il reclamante non ha fornito alcuna prova di una specifica inidoneità dei figli a ricevere la vaccinazione. Peraltro, nel caso di specie, si è andati oltre e non ci si è limitati al mero recepimento delle indicazioni delle autorità sanitarie, ma si è disposta ed effettuata una CTU sui minori in questione. L’esito è stato, appunto, che non esistono controindicazioni. Il reclamante contesta, pretendendo esami ulteriori in una capziosa ricerca che, se non è stata ritenuta necessaria dallo specialista incaricato, evidentemente, si deve ritenere, tale necessità non presenta: del resto, è chiaro che, nel caso di una campagna vaccinale che riguarda la totalità della popolazione, com’è quella in esame, la pretesa di sottoporre ogni singolo soggetto a complesse procedure diagnostiche si identifica, in sostanza, con la negazione stessa della campagna, che ovviamente sarebbe impossibile condurre in tali termini, ed appare dunque il portato di un pregiudizio ideologico, che non può trovare spazio né in ambito scientifico, né in quello giudiziario. Quanto al consenso informato, come sottolineato nel provvedimento impugnato, questo viene prestato dal genitore titolare della responsabilità, non dal minore, che pure è stato ascoltato (quello che, per ragioni di età, rendeva opportuno l’ascolto): e, ove vi sia contrasto fra i genitori, dal genitore giudizialmente autorizzato, ovvero, nel caso specifico, la madre. Il reclamo dev’essere, pertanto, respinto, ed il reclamante condannato a rifondere le spese sostenute da parte reclamata anche nel presente grado. In proposito, infatti, non è accoglibile la richiesta del reclamante che, per il caso di reiezione del reclamo, insiste per la compensazione delle spese di entrambi i gradi del giudizio per “la peculiarità della controversia, avente ad oggetto un tema oggetto di ampio dibattito e la natura stessa degli interessi coinvolti” […]».
3. Per la cassazione di questo decreto ricorre, ex art. 111, comma 7, Cost., P.G. V., affidandosi a cinque motivi, illustrati anche da memoria ex art. 380-bis.1 cod. proc. civ.. Resiste, con controricorso, G.T..
Motivi della decisione
1. I formulati motivi di ricorso denunciano rispettivamente, in sintesi:
I) «Violazione e falsa applicazione degli artt. 3 della l. n. 219/2017, 315-bis, 316, 336-bis e 337-octies c.c., nonché degli artt. 12 della Convenzione di New York e 6 della Convenzione di Strasburgo sui diritti dei minori, in relazione agli artt. 360, comma 1, nn. 3 e 4, c.p.c. e 111, comma 7, Cost.», stante l’omesso ascolto della figlia minore A., capace di discernimento, con conseguente mancata valorizzazione delle capacità di comprensione e di decisione e della sua dignità;
II) «Violazione e falsa applicazione degli artt. 3 della l. n. 219/2017, 316 e 336- bis c.c., in relazione agli artt. 360, comma 1, nn. 3 e 4, c.p.c., e 111, comma 7, Cost.; omesso esame, ex art. 360, comma 1, nn. 5 e 4, c.p.c., e 111, comma, Cost. di un fatto decisivo, ossia dell’audizione del figlio G. tenutasi all’udienza del 21/03/2022». Si ascrive alla corte distrettuale di aver ritenuto, erroneamente, che l’ascolto tenutosi all’udienza del 21 marzo 2022 garantisse il coinvolgimento necessario del minore G. V. nell’informazione e nell’assunzione della sua decisione sanitaria sul trattamento vaccinale;
III) «Violazione e falsa applicazione degli artt. 709-ter c.p.c., 316 e 2 e 3 della l. n. 219/2017, 2, 3 e 32 Cost., 24 della Convenzione ONU sui “Diritti dell'Infanzia”, in relazione agli artt. 360, comma 1, nn. 3 e 4, c.p.c., e 111, comma 7, Cost.», lamentandosi la violazione e falsa applicazione del principio del miglior interesse dei minori o cd. best interest of child nel dirimere il conflitto tra i genitori in materia di vaccinazione anti-Covid 19 di bambini che non presentano condizioni di fragilità motivata da patologie individuate dalle autorità sanitarie statali;
IV) «Violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c. e 116 c.p.c., in relazione agli artt. 360, comma 1, nn. 3 e 4, c.p.c., e 111, comma 7, Cost. (stante l’omessa attribuzione, in capo alla madre intimata, dell’onere della prova del grave pregiudizio alla salute, nonché l’omessa valutazione della mancanza di prove su tale grave pregiudizio); omesso esame, ex art. 360, comma 1, nn. 5 e 4, c.p.c., e 111, comma 7, Cost., di un fatto decisivo, ossia dello stato di buona salute dei due figli minori ovvero dell’assenza di un grave pregiudizio alla loro salute». Si censura il decreto impugnato nella parte in cui aveva omesso di accertare che, dalle risultanze della c.t.u., i minori G. ed A.V. (di dodici e di undici anni) non presentavano un’elevata fragilità motivata da patologie concomitanti/preesistenti, tale da esporli a forme più severe di infezioni da virus SARS-CoV-2, nella variante Omicron circolante;
V) «Violazione e falsa applicazione degli artt. 91-92 c.p.c., in relazione agli artt. 360, comma 1, nn. 3 e 4, c.p.c., e 111, comma 7, Cost.», atteso che i profili richiamati dalla corte torinese erano idonei ad integrare le gravi ed eccezionali ragioni richieste dall’art. 92 cod. proc. civ., tali da giustificare l’integrale compensazione delle spese legali dei due gradi di giudizio.
2. L’odierno ricorso, promosso ex art. 111, comma 7, Cost., deve essere dichiarato inammissibile, quanto ai suoi primi quattro motivi (tutti diretti contro la statuizione di merito del giudice del reclamo), alla stregua delle dirimenti considerazioni di cui appresso.
2.1. Giova premettere che, come recentemente ricordato da Cass., SU, n. 22423 del 2023, questa Corte «ha da tempo chiarito (con la nota sentenza delle Sezioni Unite n. 2953 del 1953), e poi ripetutamente ribadito, che un provvedimento, ancorché emesso in forma di ordinanza o di decreto, assume carattere decisorio quando pronuncia o, comunque, incide su diritti soggettivi con efficacia di giudicato, con la conseguenza che per essere impugnabile con ricorso straordinario per cassazione, ai sensi dell’art. 111, comma 7, Cost., il provvedimento giudiziario deve avere i caratteri della decisorietà nei termini sopra esposti nonché della definitività in quanto non altrimenti impugnabile o comunque revocabile e modificabile (SU n.1914/2014; cfr. Corte cost. n. 89/2021, p. 7.2). È affermazione ancora attuale quella secondo cui “le due condizioni devono coesistere, in quanto è irrilevante la decisorietà se il provvedimento è sempre modificabile e revocabile tanto per una nuova e diversa valutazione delle circostanze precedenti, quanto per il sopravvenire di nuove circostanze nonché per motivi di legittimità” (SU n. 6220/1986 con riferimento a provvedimenti camerali emessi dal tribunale per i minorenni, ex artt. 317-bis e 330 ss. c.c.). In altri termini, il contenuto decisorio integrativo della prima condizione deve essere espressione di un potere giurisdizionale esercitato con carattere vincolante rispetto all’oggetto della pronuncia, in modo da garantirne l’immodificabilità da parte del giudice che ha pronunciato e l’efficacia del giudicato ex art. 2909 c.c.».
2.1.1. Cass., SU, n. 22048 del 2023, a sua volta, ha ricordato che «il concetto di decisorietà - tradizionalmente imperniato sulla idoneità del provvedimento al giudicato in ordine alla situazione soggettiva coinvolta, quale che sia la forma del provvedimento stesso, purché codesto sia altresì definitivo, vale a dire insuscettibile di distinta impugnazione e non destinato a essere assorbito in un provvedimento ulteriore a sua volta impugnabile - ha conosciuto una ulteriore evoluzione in chiave di compatibilità costituzionale. Ai fini della garanzia costituzionale di cui all’art. 111 Cost., quel concetto è stato affinato in senso relativo, così da renderlo coerente con le caratteristiche del modello processuale di volta in volta prescelto dal legislatore per la tutela dei diritti. La garanzia costituzionale di cui all’art. 111 Cost. mira a contrastare il pericolo di applicazioni non uniformi della legge con provvedimenti suscettibili di passare in giudicato, cioè con provvedimenti tipici ed esclusivi della giurisdizione contenziosa, mediante i quali “il giudice, per realizzare la volontà di legge nel caso concreto, riconosce o attribuisce un diritto soggettivo, oggetto di contestazione, anche solo eventuale, nel contraddittorio delle parti”. Così, invero, si espresse (in motivazione) una lontana ma sempre condivisibile decisione di questa Corte (Cass. Sez. 1 n. 824 del 1971), aprendo la via al nesso tra i requisiti all’uopo rilevanti: l’attitudine del provvedimento a incidere su diritti soggettivi con quella particolare efficacia che corrisponde al giudicato e che è oggetto tipico della giurisdizione contenziosa, e di farlo nel contesto di una controversia tra parti contrapposte chiamate a misurarsi in contraddittorio tra loro. Non può negarsi che questo tipo di provvedimenti, tipici della giurisdizione contenziosa, siano stati in periodo recente sempre più spesso surrogati (nella forma) dall’utilizzazione del modello camerale di definizione del giudizio concluso da un decreto. Tale constatazione ha indotto queste Sezioni Unite a confermare l’esistenza della caratteristica della decisorietà in distinte fattispecie non allineate al modello ordinario del processo, fino a indurre alla tesi che “la decisorietà, dunque, consiste nell'attitudine del provvedimento del giudice non solo ad incidere su diritti soggettivi delle parti, ma ad incidervi con la particolare efficacia del giudicato (nel che risiede appunto la differenza tra il semplice "incidere" e il "decidere" (..) “: il quale giudicato è un “effetto tipico della giurisdizione contenziosa”. Tale non è quella che si realizza (necessariamente) nel processo (ordinario o speciale) di cognizione, quanto piuttosto quella “che si esprime su una controversia, anche solo potenziale, fra parti contrapposte, chiamate (..) a confrontarsi in contraddittorio nel processo” (v. Cass. Sez. U n. 26989-16 e Cass. Sez. U n. 27073-16, rispettivamente relative ai decreti conclusivi dei giudizi di omologazione degli accordi di ristrutturazione dei debiti e della proposta di concordato preventivo)».
2.1.2. Occorre aggiungere che, sui riferiti princìpi, oggi si registra una sostanziale continuità di interpretazioni, con la specificazione che «se, invece, il provvedimento al quale il processo è preordinato non costituisce espressione del potere-dovere del giudice di decidere controversie tra parti contrapposte, in cui ciascuna tende all'accertamento di un proprio diritto soggettivo nei confronti dell'altra, esso non può avere contenuto sostanziale di sentenza, né carattere decisorio, finanche ove non sia suscettibile di alcuna forma di impugnazione» (cfr. la già citata Cass., SU, n. 22048 del 2023).
2.1.3. Può affermarsi, dunque, sinteticamente, in armonia con quanto analogamente sancito dall’appena menzionata statuizione delle Sezioni Unite, che «a) l’art. 111, settimo comma, Cost. è garanzia del diritto di chi sia (stato) parte di un procedimento da svolgere in contraddittorio con una parte contrapposta, in funzione dichiarativa di un proprio diritto soggettivo; b) da ciò resta integrata la garanzia costituzionale del ricorso per cassazione in ordine al provvedimento conclusivo di quel procedimento, qualunque ne sia la forma, secondo il concetto di decisorietà; c) nelle fattispecie procedimentali soggette al modello camerale, la caratteristica di decisorietà, cui si collega la garanzia costituzionale del ricorso per cassazione per violazione di legge, parimenti attinge la natura sostanziale del provvedimento ove questo sia destinato a decidere su posizioni soggettive contrapposte, ed è integrata dal caso che si tratti di provvedimenti suscettibili di stabilizzazione perché per loro natura non provvisori e non susscettibili assorbimento in decisioni “altre”: provvedimenti modificabili - sì - ma solo in forza del sopravvenire di circostanze nuove e diverse, secondo i canoni del giudicato cd. allo stato degli atti o, come anche suol dirsi, del giudicato rebus sic stantibus».
2.2. Alla stregua dei suesposti princìpi, pienamente condivisi dal Collegio, ne consegue, allora, che può trovare sicura conferma l’indirizzo ermeneutico, già espresso dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui il provvedimento emesso, in sede di reclamo, avverso il decreto con cui il tribunale, su richiesta di uno dei genitori ex art. 709-ter cod. proc. civ., ha autorizzato - nella specie - la vaccinazione contro il Covid-19 del figlio minorenne senza il consenso dell'altro genitore, si configura come un provvedimento di volontaria giurisdizione, volto non già a dirimere, con autorità di giudicato, un conflitto tra diritti soggettivi dei genitori, ma a valutare la corrispondenza del mancato assenso di uno degli stessi all'interesse del minore, costituendo, pertanto, espressione di una forma gestoria dell'interesse di quest’ultimo, con conseguente esclusione dell'impugnabilità anche ai sensi dell'art. 111 Cost. (cfr. Cass. n. 28331 del 2017, in tema di autorizzazione a condurre con sé il figlio minore in settimana bianca; Cass. n. 21667 del 2015, in tema di rilascio di passaporto. Entrambe queste pronunce sono richiamate, in motivazione, dalla più recente Cass. n. 6320 del 2023, resa su ricorso ex art. 111, comma 7, Cost., contro un decreto analogo a quello oggi impugnato. Lì, tuttavia, il ricorso fu considerato ammissibile perché diretto a contestare esclusivamente la statuizione sulle spese, avente certamente carattere decisorio e definitivo).
3. In relazione al suo quinto motivo, invece, volto a censurare la mancata compensazione integrale delle spese del doppio grado da parte della corte di appello, lo stesso, benché ammissibile sotto il profilo dell’art. 111, comma 7, Cost., - in parte qua, infatti, investe un provvedimento definitivo, di carattere decisorio, che incide indubbiamente sui diritti patrimoniali delle parti, non soggetto alla possibilità di impugnazione in altre sedi (cfr., ex aliis, anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 6320 del 2023; Cass. n. 2890 del 2023; Cass. n. 2888 del 2023; Cass. n. 9348 del 2017; Cass. n. 2986 del 2012; Cass. n. 9516 del 2005) - si rivela, invece, inammissibile alla stregua delle concrete argomentazioni svolte nella suddetta, già descritta, doglianza.
3.1. In proposito, invero, è sufficiente ricordare che, come ancora recentemente ribadito da Cass. n. 15697 del 2023 (cfr. in motivazione), «la denuncia di violazione della norma di cui all'art. 91, comma 1, cod. proc. civ., trova ingresso, in questa sede di legittimità, solo quando le spese siano poste a carico della parte integralmente vittoriosa (cfr., ex aliis, anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 2984 del 2022; Cass. n. 26912 del 2020; Cass. n. 18128 del 2020), e tanto non è dato cogliere dal motivo all'esame. Esso, inoltre, omette di considerare che è la statuizione di compensazione delle spese giudiziali che deve formare oggetto di adeguata motivazione, non la decisione del giudice di non procedere a compensazione, totale o anche soltanto parziale (cfr., ex multis, Cass. n. 2984 del 2022; Cass. n. 26912 del 2020; Cass. n. 11744 del 2004; Cass. n. 6756 del 2004; Cass. n. 10009 del 2003). In altri termini, la facoltà di disporre la compensazione tra le parti delle spese processuali rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale non è tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facoltà, con la conseguenza che la pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata senza prendere in esame l'eventualità di una compensazione, non può essere censurata in Cassazione, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione (cfr. Cass. n. 11329 del 2019)».
4. L’odierno ricorso di P.G. V., dunque, deve essere dichiarato inammissibile, restando a suo carico le spese di questo giudizio di legittimità, atteso il principio di soccombenza, altresì dandosi atto che, giusta quanto precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020, rv. 657198-06, malgrado il tenore della pronuncia adottata, non è dovuto il pagamento di un’ulteriore somma, a titolo di contributo unificato, posto che, ai sensi dell’art. 10, comma 2, del d.P.R. n. 115 del 2002, non è soggetto al contributo unificato il processo comunque riguardante la prole.
4.1. Va, disposta, infine, per l’ipotesi di diffusione del presente provvedimento, l’omissione delle generalità e degli altri dati identificativi a norma dell'art. 52 del d.lgs. n. 196/2003.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso di P.G. V. e lo condanna al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità sostenute da G.T., che si liquidano in € 2.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in € 200,00, ed agli accessori di legge.
Dispone, per l’ipotesi di diffusione del presente provvedimento, l’omissione delle generalità e degli altri dati identificativi a norma dell'art. 52 del d.lgs. n. 196/2003.