La domanda di scioglimento del contratto preliminare ha natura di atto dispositivo dei diritti ereditari. Pertanto, non ha alcuna finalità conservativa del patrimonio del de cuius ma presuppone, necessariamente, l'assunzione di una posizione contrattuale.
La Corte d'Appello di Bologna confermava la decisione di primo grado che aveva rigettato la domanda dell'attore diretta ad accertare il suo diritto alla restituzione della caparra versata dalla madre, ora deceduta, al momento della sottoscrizione del contratto preliminare di acquisto di un appartamento. Accolta, invece, la domanda riconvenzionale proposta dalla società immobiliare relativa all'accertamento della legittimità del proprio recesso dal contratto, con diritto a trattenere la caparra ricevuta.
A fondamento della sua decisione, la Corte territoriale sosteneva che «avendo l'attore chiesto dopo il decesso della madre la restituzione della caparra versata, egli aveva assunto con tale comportamento concludente la qualità di erede del genitore, con l'effetto che la successiva intimazione ad adempiere era stata validamente comunicata nei suoi confronti dalla società promittente venditrice, che, non avendo ricevuto alcun riscontro, legittimamente era receduta dal contratto, tenuto anche conto che in quel momento il termine fissato per la stipula del contratto definitivo stabilito nel preliminare era già trascorso, con conseguente suo diritto a trattenere la caparra».
Sulla questione, il Giudice del gravame aggiunge che la mancanza, alla data del recesso, del certificato di agibilità dell'immobile non concretasse alcun inadempimento della società immobiliare, in quanto si trattava di un mero ritardo nel suo rilascio, tale di per sé da non impedire la conclusione del contratto definitivo di compravendita.
La controversia giunge in Cassazione. Secondo l'attore, ha errato la Corte d'Appello nell'averlo considerato erede per aver accettato, per facta concludentia, l'eredità della madre poiché non ha mai chiesto la restituzione della caparra versata dalla de cuius, ma si era limitato a richiedere delucidazioni in merito alle intenzioni della società, ponendo in essere dunque atti solo conservativi, di vigilanza e di amministrazione temporanea.
Per la Suprema Corte il motivo è infondato. Ribadendo in via preliminare che l'accettazione dell'eredità può avvenire sia in forma espressa che tacita, la Cassazione sostiene che «la domanda di restituzione della caparra confirmatoria versata in sede di contratto non può essere equiparata ad una mera richiesta di pagamento di un credito o di somme di denaro dovute in favore del de cuius, nei cui confronti, se compiuta dal chiamato all'eredità, appare obiettivamente prevalere la funzione conservativa, non implicante accettazione tacita, essendo la richiesta di pagamento di un credito del de cuius una iniziativa diretta ad assicurare l'integrità del patrimonio ereditario».
Per contro, ha natura di atto dispositivo dei diritti ereditari, in quanto implica la volontà del chiamato di risolvere il contratto preliminare pendente al momento dell'apertura della successione e dunque «l'esercizio di un potere che non ha alcuna finalità conservativa del patrimonio del de cuius ma che presuppone, necessariamente, l'assunzione di una posizione contrattuale, in altre parole la successione del chiamato nella posizione della de cuius e quindi l'assunzione implicita della qualità di erede».
Per questi motivi, la Cassazione rigetta il ricorso con sentenza n. 26690 del 18 settembre 2023.
Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza (ud. 4 luglio 2023) 18 settembre 2023, n. 26690
Svolgimento del processo
Con sentenza n. 1199 del 9. 4. 2019 la Corte di appello di Bologna confermò la decisione di primo grado che aveva rigettato la domanda proposta da F.A. diretta ad accertare il suo diritto alla restituzione della caparra versata dalla madre M.C., deceduta il 2. 8. 2010, alla sottoscrizione del contratto preliminare per l’acquisto di un appartamento in costruzione stipulato in data 3. 5. 2010 con la I.R. s.r.l., ed accolto la domanda riconvenzionale proposta da quest’ultima diretta ad accertare la legittimità del proprio recesso dal contratto, con diritto a trattenere la caparra ricevuta di euro 20.000,00.
Nel proprio atto introduttivo il F. aveva motivato la domanda proposta rappresentando che egli non poteva essere considerato inadempiente per non avere dato riscontro alla diffida ad adempire inviatagli dalla controparte in data 30. 8. 2010, atteso che, all’epoca, egli non aveva ancora accettato l’eredità, fatto questo avvenuto solo il 28. 9. 2011, e quindi non era succeduto nella posizione della promissaria acquirente e che ad essere inadempiente era invece la promittente venditrice, atteso che alla data del suo recesso l’immobile era privo del certificato di agibilità, ottenuto solo il 14. 4. 2011.
La società I.R. aveva replicato sostenendo la piena efficacia della diffida ad adempiere inviata all’attore il 30. 8. 2010, per avere questi, pochi giorni prima, richiesto la restituzione della caparra versata dalla madre, così assumendo la qualità di erede e che l’agibilità dell’immobile già sussisteva nell’estate del 2010, anche se per ragioni burocratiche il relativo certificato era stato rilasciato soltanto nell’aprile 2011. Aveva quindi chiesto, in via riconvenzionale, che fosse accertata la legittimità del proprio recesso dal contratto ed il proprio diritto a trattenere la caparra ricevuta.
La Corte di appello di Bologna confermò integralmente la sentenza di primo grado affermando, in adesione delle tesi difensive della società convenuta, che avendo l’attore chiesto dopo il decesso della madre la restituzione della caparra versata, egli aveva assunto con tale comportamento concludente la qualità di erede del genitore, con l’effetto che la successiva intimazione ad adempiere era stata validamente comunicata nei suoi confronti dalla società promittente venditrice, che, non avendo ricevuto alcun riscontro, legittimamente era receduta dal contratto, tenuto anche conto che in quel momento il termine fissato per la stipula del contratto definitivo stabilito nel preliminare era già trascorso, con conseguente suo diritto a trattenere la caparra. Ritenne inoltre che la mancanza, alla data del recesso, del certificato di agibilità dell’immobile non concretasse alcun inadempimento della società venditrice, trattandosi, attesa la regolarità dal punto di vista urbanistico ed edilizio del bene, di un mero ritardo nel suo rilascio, tale di per sé da non impedire la conclusione del contratto definitivo di compravendita.
Per la cassazione di questa sentenza, con atto notificato l’8. 11. 2019, ha proposto ricorso F.A., affidandosi a due motivi.
La società I.R. ha notificato controricorso.
Il Procuratore Generale e la parte ricorrente hanno depositato memoria.
Motivi della decisione
Il primo motivo del ricorso, denunziando violazione e falsa applicazione degli artt. 460 e 476 cod. civ., censura la sentenza impugnata per avere ritenuto efficace l’intimazione ad adempiere inviata all’odierno ricorrente dalla controparte in data 30. 8. 2010, e ciò sulla base del presupposto che, a tale data, il F. doveva considerarsi erede per avere accettato, per facta concludentia, l’eredità della madre, originaria contraente, avendo richiesto alla società promittente venditrice, in ragione del sopravvenuto decesso del genitore, la restituzione della caparra versata. Sostiene il ricorso che tale premessa è errata, atteso che il F. non aveva mai chiesto o preteso la restituzione della caparra versata dalla madre, ma si era limitato a richiedere delucidazioni in merito alle intenzioni della società, ponendo in essere pertanto atti solo conservativi, di vigilanza e di amministrazione temporanea, che di per sé sono consentiti al chiamato all’eredità senza che ciò comporti accettazione tacita della stessa.
Il motivo è inammissibile ed in parte infondato.
La Corte territoriale ha ritenuto che l’appellante avesse assunto la qualità di erede della madre per accettazione tacita dell’eredità sulla base del rilievo che, dalle stesse risposte date in sede di interrogatorio formale, risultava che egli si era recato presso il cantiere della controparte per discutere in ordine al rifiuto di quest’ultima di restituirgli la caparra versata dalla madre, interpretando tali dichiarazioni nel senso che egli non si fosse limitato a richiedere delucidazioni in merito alla sorte del contratto e dell’anticipo, ma avesse espressamente richiesto alla promittente venditrice la restituzione della caparra.
Ha quindi raffermato, in diritto, che tale iniziativa, risolvendosi in un atto dispositivo del patrimonio ereditario, comportasse una condotta non altrimenti giustificabile se non con l’assunzione della qualità di erede, sostanziando una accettazione tacita dell’eredità e non un atto di natura meramente conservativa, ai sensi dell’art. 460 cod. civ.
Ciò precisato, il motivo è inammissibile laddove contesta che l’attore avesse chiesto la restituzione della caparra, investendo la relativa censura la ricostruzione dei fatti rilevanti ai fini della decisione della causa, che è materia sottoposta al vaglio ed alla valutazione del giudice di merito, i cui risultati non possono essere rimessi in discussione in sede di giudizio di legittimità.
Per il resto il motivo è infondato.
Va premesso sul punto che, per giurisprudenza costante di questa Corte, l'indagine relativa alla esistenza o meno di un comportamento qualificabile come accettazione tacita, risolvendosi in un accertamento di fatto, non è censurabile in sede di legittimità per violazione di legge se non relativamente alle enunciazioni in diritto idonee a palesare un errore di sussunzione della fattispecie concreta nella norma correttamente applicabile ( Cass. n. 10060 del 2018; Cass. n. 12753 del 1999; Cass. n. 11408 del 1998).
Sotto quest’ultimo profilo, che è sindacabile da parte di questa Corte, attenendo all’applicazione di norme di diritto, deve ritenersi che nel caso di specie il giudice territoriale abbia fatto corretta applicazione della disposizione di cui all’art. 476 cod. civ., che prevede che l’accettazione dell’eredità, oltre che espressa, possa essere tacita, precisando che quest’ultima figura ricorre quando il chiamato compia un atto che presuppone necessariamente la sua volontà di accettare e che non avrebbe il diritto di fare se non nella qualità di erede.
In particolare, va sottolineato che correttamente il giudice a quo ha qualificato la richiesta dell’attore di restituzione della caparra come atto dispositivo e non meramente conservativo dei beni ereditari.
Diversamente da quanto dedotto dal ricorrente, la domanda di restituzione della caparra confirmatoria versata in sede di contratto non può essere equiparata ad una mera richiesta di pagamento di un credito o di somme di denaro dovute in favore del de cuius, nei cui confronti, se compiuta dal chiamato all’eredità, appare obiettivamente prevalere la funzione conservativa, non implicante accettazione tacita, essendo la richiesta di pagamento di un credito del de cuius una iniziativa diretta ad assicurare l’integrità del patrimonio ereditario ( Cass. n. 8123 del 1987 ).
L’assimilazione, quanto all’applicazione della figura della accettazione tacita di eredità, tra le due fattispecie, richiesta di pagamento di un credito del de cuius e restituzione della caparra confirmatoria da questi versata in sede di contratto, trova ostacolo nella considerazione che quest’ultima domanda ha per presupposto, salvo diverso accordo delle parti che, nel caso concreto, non è nemmeno evocato, l’intervenuto scioglimento del vincolo contrattuale, non importa se in via consensuale o in altro modo. Essa pertanto ha natura di atto dispositivo dei diritti ereditari, dal momento che implica la volontà da parte del chiamato di risolvere il contratto preliminare pendente al momento della apertura della successione e quindi l’esercizio di un potere che non ha alcuna finalità conservativa del patrimonio del de cuius ma che presuppone, necessariamente, l’assunzione di una posizione contrattuale, in altre parole la successione del chiamato nella posizione della de cuius e quindi l’assunzione implicita della qualità di erede.
Ne discende che, poiché l'accettazione tacita può desumersi dall'esplicazione di un'attività personale del chiamato tale da presupporre la volontà di accettare l'eredità, essa ricorre nel caso in cui il chiamato ponga in essere iniziative che, comportando lo scioglimento dei rapporti contrattuali posti in essere dal de cuius, non rivestono i caratteri e le finalità degli atti conservativi e di gestione dei beni ereditari consentiti dall'art. 460 cod. civ., ma, travalicando il semplice mantenimento della stato di fatto e di diritto quale esistente al momento dell'apertura della successione, il chiamato non avrebbe diritto di compiere se non in forza dei propri diritti successori ( Cass. n. 10060 del 2018; Cass. n. 13738 del 2005 ).
Il secondo motivo di ricorso denuncia violazione dell’art. 1477, comma 3, cod. civ., lamentando che la Corte di appello non abbia rilevato l’inadempimento della società venditrice, che al tempo in cui ha comunicato il suo recesso dal contratto preliminare non era in possesso del certificato di agibilità dell’immobile, rilasciato solo l’anno successivo. Proprio tale mancanza, avrebbe dovuto portare la Corte a ritenere, da un lato, giustificata la mancata risposta dell’esponente alla intimazione ad adempiere notificatagli il 30. 8. 2010 e, dall’altro, illegittimo il recesso esercitato dalla controparte, attesa l’impossibilità di stipulare il rogito di compravendita.
Il mezzo è infondato.
Assorbente a tal fine è la considerazione che la Corte di appello, dopo aver dato atto del rifiuto della società promittente venditrice di restituire la caparra al F., abbia ritenuto definitivo l’inadempimento di quest’ultimo a seguito della intimazione a stipulare comunicatagli dalla controparte in data 30. 8. 2010, rimasta senza alcun riscontro, e quindi legittimo il recesso dalla stessa esercitato, con conseguente riconoscimento del diritto a trattenere la caparra ricevuta, ai sensi dell’art. 1385 cod. civ.
La conclusione appare corretta, atteso che, come risulta dalla ricostruzione della vicenda operata dalla sentenza impugnata, l’eccezione di inadempimento consistente nella mancanza del certificato di agibilità dell’immobile non fu sollevata dall’odierno ricorrente in risposta alla suddetta intimazione, ma è stata proposta solo nel 2015 con l’introduzione del presente giudizio, quando il contratto preliminare era ormai risolto. Non sussiste pertanto alcun collegamento fattuale tra il rifiuto alla stipulazione del contratto definitivo da parte del F. e la dedotta mancanza, all’epoca, del certificato di agibilità dell’immobile.
Sul punto deve inoltre condividersi il principio seguìto dalla Corte di appello secondo cui la mancanza del certificato di agibilità o di abitabilità dell’immobile non rappresenta un ostacolo alla stipulazione del rogito, vale a dire una causa di nullità dello stesso, ma può dar luogo, normalmente e fatte salve le particolari condizioni contrattuali stabilite dalle parti, ad un inadempimento della parte alienante. Ne discende che, a fronte della diffida della promittente venditrice di stipulare il contratto definitivo entro un determinato termine, con avvertimento che in mancanza intende recedere dal contratto, il promissario acquirente ha l’onere, secondo il meccanismo previsto dall’art. 1460 cod. civ. in tema di eccezione di inadempimento, di eccepire in quel contesto e tempestivamente la mancanza del certificato - fatta salva ogni valutazione, secondo le circostanze del caso, sulle cause e l’importanza dell’omissione e quindi sulla conformità di tale eccezione al principio di buona fede contrattuale - senza poi poter addurre tale motivo come causa di illegittimità del recesso nel frattempo esercitato dalla controparte. Proprio la riconducibilità della mancanza del suddetto certificato nella categoria dell’inadempimento, fa infatti presumere che il silenzio della parte acquirente serbato al riguardo implichi il suo disinteresse ad ottenerlo al momento della sottoscrizione del contratto definitivo, tanto più nel caso di specie in cui, come accertato dalla sentenza impugnata, l’immobile oggetto di compromesso sia in costruzione e quindi il certificato non preesista ma debba essere formato e la sua mancanza non dipenda o nasconda irregolarità edilizie o urbanistiche, ma si risolva in un mero ritardo e risulti, infine, che esso è stato, prima della contestazione, effettivamente rilasciato ( Cass. n. 6548 del 2010 ).
Il ricorso va pertanto respinto.
Le spese del giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
Si dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in euro 3.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali.
Dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.