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19 settembre 2023
Il delitto di frode informatica sulla carta di credito è procedibile d’ufficio
Tale regime di procedibilità trova giustificazione nell'abuso di identità digitale. L'imputato si è sostituito al titolare nell'utilizzo delle credenziali personali associate al conto corrente e funzionali allo svolgimento dei rapporti creditizi e bancari.
La Redazione
Il Tribunale di Firenze dichiarava di non doversi procedere nei confronti di Tizio per il delitto di frode informatica, ai sensi degli artt. 81 e 640-ter c.p., per intervenuta remissione di querela.
In particolare, l'imputato era stato accusato di aver utilizzato, abusivamente, i codici di accesso personale alla carta di credito associata al conto corrente della persona offesa, realizzandosi così una chiara e indebita sostituzione del titolare nella sua identità digitale, in relazione all'utilizzo del mezzo informatico nello svolgimento dei rapporti creditizi e bancari.
 
Il Procuratore generale presso la Corte d'Appello di Firenze ricorre per cassazione per saltum deducendo la violazione di legge, inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 640-ter, comma 3 e 4, c.p. ricorrendo l'ipotesi aggravata di furto o indebito utilizzo dell'identità personale, nonché omessa motivazione sul punto.
 
Per la Cassazione tale motivo di ricorso è fondato. A fondamento della sua decisione ribadisce «che in tema di frode informatica, la nozione di "identità digitale", che integra l'aggravante di cui all'art. 640-ter, comma terzo, cod. pen., non presuppone una procedura di validazione adottata dalla Pubblica amministrazione, ma trova applicazione anche nel caso di utilizzo di credenziali di accesso a sistemi informatici gestiti da privati». 
 
Bisogna considerare infatti che «l'identità digitale è comunemente intesa come l'insieme delle informazioni e delle risorse concesse da un sistema informatico ad un particolare utilizzatore del suddetto sotto un processo di identificazione, che consiste nella validazione dell'insieme di dati attribuiti in modo esclusivo ed univoco ad un soggetto, che ne consentono l'individuazione nei sistemi informativi, effettuata attraverso opportune tecnologie anche al fine di garantire la sicurezza dell'accesso».
 
Per questo motivo la Suprema Corte annulla la pronuncia impugnata con la sentenza n. 38027 del 18 settembre 2023 e dispone il rinvio per un nuovo giudizio dinanzi alla Corte d'Appello.