
Trattasi dell'aggravante di cui all'art. 628, commi 1 e 3, n. 3, c.p. in ordine all'avere commesso il fatto in luogo di privata dimora ed in circostanze tali da ostacolare la privata difesa.
La Corte d'Appello confermava la sentenza del GUP con la quale l'imputato era stato condannato in relazione al reato di tentata rapina.
L'imputato impugna la decisione mediante ricorso per cassazione sul punto dell'aggravante riconosciuta per aver commesso il fatto in un luogo di privata dimora ed in circostanze tali da ostacolare la privata difesa, quando invece la...
Svolgimento del processo
1. S. F., a mezzo del suo difensore, propone ricorso per cassazione avverso la sentenza del 13 giugno 2022 con la quale la Corte di Appello di Palermo, ha confermato la sentenza emessa, in data 01 febbraio 2022, con la quale il Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Palermo, lo ha condannato alla pena di anni 2, mesi 8 di reclusione ed euro 889,00 di multa in relazione al reato di tentata rapina.
2. Il ricorrente, con l'unico motivo di impugnazione, lamenta violazione, inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 628, commi primo e terzo, n. 3- bis cod. pen. e mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine al riconoscimento della circostanza aggravante di aver commesso il fatto in un luogo di privata dimora ed in circostanze tali da ostacolare la privata difesa.
Secondo la difesa, la Corte territoriale non avrebbe tenuto conto del fatto che la persona offesa «aveva la possibilità di difendersi mediante lo strumento di dissuasione nebbiogeno allocato nell'esercizio commerciale e mantenendo, di fatto, la propria capacità di autodeterminazione e difesa (vedi pag. 2 del ricorso).
Inoltre, lo spazio ridotto del gabbiotto ove era custodita la cassaforte non avrebbe ostacolato in alcun modo la possibilità della persona offesa di difendersi, tale affermazione troverebbe conferma proprio nel fatto che l'evento delittuoso non si è perfezionato proprio perché la persona offesa è riuscita ad attivare l'antifurto presente nell'esercizio commerciale come, peraltro, affermato dal giudice della cautela.
La motivazione sarebbe illogica ed apodittica nella parte in cui i giudici di appello hanno affermato che la previsione normativa perderebbe il suo significato giuridico qualora la circostanza aggravante fosse automaticamente esclusa in caso di reazione da parte della vittima della rapina.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è infondato per le ragioni che seguono.
Deve premettersi che la sentenza di appello oggetto di ricorso e quella di primo grado sono conformi, con la conseguenza che le due sentenze di merito possono essere lette congiuntamente, costituendo un unico corpo decisionale ed essendo stato rispettato sia il parametro del richiamo da parte della sentenza di appello a quella del Tribunale, sia l'ulteriore parametro costituito dal fatto che entrambe le decisioni adottano i medesimi criteri nella valutazione delle prove (Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv. 257595, Sez. 2, n. 6560 del 08/10/2020, Capozio, Rv. 280654 - 01).
2. Entrambe le sentenze hanno dato adeguatamente conto delle ragioni che hanno indotto i giudici di merito ad affermare che il ricorrente abbia commesso il reato di tentata rapina aggravata ex art. 628, comma 3, n. 3-bis cod. pen., a seguito di una valutazione degli elementi probatori che appare rispettosa dei canoni di logica e dei principi di diritto che governano l'apprezzamento delle prove.
2.1. La Corte territoriale, con motivazione priva di illogicità manifeste e congrua rispetto alle risultanze processuali, che riprende le argomentazioni dal Giudice di primo grado come è fisiologico in presenza di una doppia conforme, ha sottolineato che l'imputato ha approfittato della condizione di particolare vulnerabilità in cui si trovava la persona offesa; i giudici di appello hanno correttamente fondato tale affermazione sul fatto che la T. si trovava in un luogo, che per le sue caratteristiche, ostacolava la privata difesa e permetteva all'imputato di avere il pieno controllo sulle azioni della vittima (vedi pag. 3 della sentenza impugnata e pagina 5 della sentenza di primo grado).
2.2. I giudici di merito, inoltre, hanno correttamente confutato la censura difensiva secondo cui la configurabilità dell'aggravante sarebbe esclusa dal fatto che la T. è stata in grado di attivare l'antifurto nebbiogeno e di mettere in fuga l'aggressore.
Entrambe le sentenze affermano che la mancata consumazione della rapina conseguente alla pronta reazione della persona offesa non è circostanza idonea a provocare una automatica esclusione della contestata aggravante (vedi pag. 3 della sentenza impugnata e pagina 5 della sentenza di primo grado), dando correttamente seguito al condivisibile orientamento giurisprudenziale secondo cui l'aggravante di cui all'art. 628, comma 3, n. 3-bis cod. pen. è ravvisabile ogniqualvolta il fatto sia commesso in un luogo che renda più difficile la privata difesa senza necessariamente impedirla. Tale norma si riferisce, infatti, a tutti i casi in cui la condotta è idonea anche solo ad «ostacolare» la pubblica o privata difesa, volendo punire più gravemente un fascio di comportamenti più ampio rispetto a quelli che «impediscono» la difesa (vedi Sez. 2, n. 33839 del 04/11/2020, Romeo, non massimata).
3. Al rigetto del ricorso consegue, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.