Svolgimento del processo
1. - L'UIBM (Ufficio Italiano Brevetti e Marchi) ha accolto l'opposizione proposta da X avverso la domanda di registrazione, proposta dall'impresa individuale denominata y relativa al marchio denominativo X: opposizione fondata sull’anteriorità à del marchio dell'Unione Europea X.
2. - La Commissione dei Ricorsi, con sentenza del 19 gennaio
2022, ha accolto l'impugnazione proposta dal PC e ha conseguentemente annullato il provvedimento dell' x . In sintesi, la detta Commissione ha osservato che il marchio anteriore x deve considerarsi un marchio debole, onde sono sufficienti lievi differenze, nel marchio successivo, per escludere un rischio di confusione rilevante ai sensi dell'art. 12, comma 1, lett. d), c.p.i.: la debolezza del marchio, ad avviso del Giudice del merito, deve farsi derivare dal fatto che il termine anglosassone X è «ormai invalso nell'uso quotidiano anche nella lingua Italiana», di modo che non può essere oggetto di monopolio.
3. - Aversa tale pronuncia ricorre per cassazione, con quattro motivi, X :. Resistono con controricorso PC ,, titolare della nominata ditta y nonché il Ministero dello Sviluppo Economico, Direzione Generale per la Tutela della Proprietà Industriale - Ufficio Italiano Brevetti e Marchi. La ricorrente e il Ministero hanno depositato memoria,
Motivi della decisione
1. - I motivi di ricorso sono riassunti come segue dalla ricorrente. Primo motivo: violazione o falsa applicazione degli artt. 12, comma 1, lett. d), e 13 c.p.i. (d.lgs. n. 30/2005). Si deduce che la debolezza del marchio sussiste solo nei casi di aderenza concettuale, anche solo indiretta, del termine di cui si compone il marchio ai prodotti o servizi così contraddistinti: nessuna rilevanza invece assume - per l'istante - il fatto che il marchio si componga di termini in lingue inglese (pur se di uso quotidiano), sprovvisti di una «funzione descrittiva dei prodotti o servizi» o di una funzione «rivendicativa di qualità».
Secondo motivo: omesso esame di un fatto decisivo perii giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Viene imputato alla Commissione dei Ricorsi di aver mancato di esaminare, la questione relativa all'acquisita notorietà del marchio anteriore X , in grado di attribuire a quest'ultimo una significativa capacità distintiva.
Terzo motivo: nullità della sentenza per radicale omissione di motivazione o per motivazione apparente. Lamenta la ricorrente che la Commissione abbia ritenuto di dover escludere che il marchio x sia un marchio patronimico, come tale forte.
Quarto m6tivo: violazione o falsa applicazione dell'art. 115, comma 2, c.p.c., La censura investe l'asserita «erronea nozione di fatto notorio utilizzata dalla Commissione dei Ricorsi», la quale avrebbe posto a ulteriore fondamento della propria decisione «circostanze non provate ed autonomamente ricercate».
2. - Il controricorrente C ha eccepito pregiudizialmente che il ricorso avversario sarebbe privo dell'esposizione sommaria dei fatti di causa.
L'eccezione va disattesa, constando l'atto di una esauriente rappresentazione della vicenda sostanziale e di quella processuale.
3. - Il primo, il secondo e il terzo motivo possono esaminarsi congiuntamente.
4. - Come accennato, la sentenza impugnata verte sull'asserita debolezza del marchio X dell'odierna istante.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte sono marchi «deboli» quelli che risultano concettualmente legati al prodotto per non essere andata, la fantasia che li ha concepiti, oltre il rilievo di un carattere, q_ di un elemento dello stesso, ovvero per l'uso di parole di comune diffusione che non sopportano di essere oggetto di un diritto esclusivo (in termini: Cass. 25 gennaio 2016, n. 1267, ove il richiamo a Cass. 26 giugno 1996, n. 5924; cfr. pure, ad esempio: Cass. 12 maggio 2021, n. 12566, in motivazione; Cass. 15 gennaio 2020, n. 738, non massimata in CED; Cass. 13 febbraio 2019, n. 425 , in motivazione; Cass. 29 novembre 2018, n. 30951, non massimata in CED). In particolare, una parola del linguaggio comune può dar vita a un marchio «debole» o «forte» a seconda che consenta, o rispettivamente non consenta, al consumatore di avvertire un'affinità concettuale tra la parola usata e il prodotto e il servizio contrassegnato.
Si trova comunemente affermato, nella stessa giurisprudenza di legittimità, che, mentre R. il marchio forte vanno considerate illegittime tutte le modifica ioni, pur rilevanti ed originali, che ne lascino comunque sussistere l'identità sostanziale ovvero il nucleo ideologico espressivo costituente l'idea fondamentale in cui si riassume, caratterizzandola, la sua attitudine individualizzante, per il marchio debole sono <5ufficienti ad escluderne la confondibilità anche lievi modificazioni od aggiunte (tra le tante: Cass. 21 ottobre 2022, n. 31221; Cass. 14 maggio 2020, n. 8942; Cass. 18 giugno 2018, n. 15927; Cass. 24 giugno 2016, n. 13170). Questa differenza di tutele trova un riscontro sul piano del diritto unionale, anche se in termini non proprio coincidenti. L'esistenza di un rischio di confusione, secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia, non è esclusa dal debole carattere distintivo del marchio anteriore (Corte giust. UE, 5 marzo 2020, C-766/18 P, Foundation far the Protection of the Traditional Cheese of Cyprus named Halloum, 70; Corte giust. UE 12 giugno 2019, C-705/17, Hansson, 44). In base alla stessa Corte, tuttavia, il rischio di confusione è tanto più elevato quanto più rilevante è il carattere distintivo del marchio anteriore (Corte giust. CE 11 novembre 1997, C- 251/95, Sabei, 24): e poiché la tutela di un marchio depositato dipende dall'esistenza di un rischio di confusione, i marchi che hanno un elevato carattere distintivo, o intrinsecamente, o a motivo della loro notorietà sul mercato, godono di una tutela più ampia rispetto ai marchi il cui carattere distintivo è inferiore (Corte giust. CE 29 settembre 1998, C- 39/97, Canon, 18, la quale menziona, in proposito, ìl disposto dell'art. 4, n. 1, lett. b) dir. 89/104/CEE; negli stessi termini, Corte giust. CE 22 giugno 1999, C-342/97, L/oyd, 20). In tale prospettiva assumono centralità l'attitudine, presente nel marchjo forte, ad essere ricordato per il suo accentuato carattere distintivo, e quindi confuso con segni simili, e la simmetrica penuria, nel marchio debole, di elementi individualizzanti che lo imprimano nella memoria del consumatore e che facciano conseguentemente emergene un rischio di confusione, con altri marchi, della medesimi:! portata (ctr. Cass. 12 maggio 2021, n. 12566 cit., in motivazione).
5. - Ora, la pronuncia omette di prendere in considerazione la natura patronimica del marchio X
Il marchio patronimico è considerato un marchio forte (Cass. 29 dicembre 2011, n. 29879; Cass. 14 aprile 2000, n. 4839). Nella prospettiva, assunta dalla decisione, del binomio «marchio forte - marchio debole», spettava pertanto alla Commissione dei Ricorsi prendere in considerazione tale profilo.
Mette conto però di aggiungere che la preesistenza del marchio patronimico X potrebbe non impedire la registrazione del segno della parte controricorrente.
In termini generali, infatti, il rischio confusorio di cui all'art. 12, lett. a), c.p.i. può essere escluso in presenza della pluralità di accezioni di significato riconducibili al marchio patronimico oggetto di riproduzione e del conseguente scarto semantico che si determini avendo riguardo alla capacità distintiva dei due marchi in conflitto. Il marchio «forte» - lo si è visto - è tutelato contro i segni che lascino immutato il suo nucleo espressivo: e questo sta a significare che la ripresa della parola o delle parole in cui consiste il marchio può non dar vita all'effetto confusorio ove quel termine o quei termini assumano una diversa valenza di senso anche perché inseriti in un contesto lessicale complessivamente coerente con questa diversa accezione di significato.
In tal modo assumono rilievo considerazioni quali quelle svolte dal primo Giudice in ordine al significato che assume il termine X nel segno X oggetto della domanda di PC (anche se è nel giusto la ricorrente allorquando, col primo mezzo di censura, assume che, a rigore, il segno X deve considerarsi forte se non generi una qualche associazione logica rilevante con l'attività di somministrazione di alimenti che qui rileva). L'accertamento della Commissione dei Ricorsi non doveva tuttavia esaurirsi nella valorizzazione del riferito significato oramai comunemente associato al termine X nella lingua italiana: andava esteso a un ulteriore aspetto (che la sentenza impugnata forse sottende, ma non affronta esplicitamente); andava cioè verificato se l'indicata accezione del termine valga, di fatto, ad escludere, nella percezione del pubblico, l'esistenza di vn nesso di significato tra il marchio patronimico x e la parola X che è inserita nel segno di cui è stata domandata la registrazione.
6. - La ricorrente ha inoltre spiegato, nel proprio ricorso per cassazione, come avesse rimarcato, avanti all' X , prima, e alla Commissione dei Ricorsi, poi, che il marchio X era notorio. La natura «forte» del marchio in questione era dunque fatta dipendere da tale specifica evenienza. Come si è visto, il marchio notorio presenta un'accentuata distintività, onde allo stesso, nella differenziazione dei marchi presente nella giurisprudenza nazionale, deve accordarsi l'attributo di marchio <<forte» (cfr. sul punto Cass. 19 aprile 2018, n. 9769).
La sentenza impugnata non prende in considerazione nemmeno il tema della notorietà del segno X , che invece andava esaminato. E' solo il caso di precisare -ma è una notazione del tutto ovvia - che l'impedimento alla registrazione non va rinvenuto, in via esclusiva, nell'asserita notorietà del marchio X , dovendosi altresì indagare, e ciò compete alla Commissione dei Ricorsi, se l'assenza di novità <del marchio X debba essere affermata non solo avendo riguardo al rischio di confusione, ma anche al rischio di agganciamento di cui all'art. 12, lett. e), c.p.i. (e cioè in considerazione del fatto che il marchio successivo, senza giusto motivo, trarrebbe indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla rinomanza del segno anteriore o recherebbe pregiudizio agli stessi.
7. - Nei limiti di quanto esposto i primi tre motivi di ricorso vanno dunque accolti. Il quarto resta assorbito.
8. - La sentenza impugnata è cassata, con rinvio della causa alla Commissione dei Ricorsi, che giudicherà in diversa composizione e a cui è demandata la decisione sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte
accoglie i primi tre motivi di ricorso nei sensi di cui in motivazione e dichiara assorbito il quarto; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Commissione dei Ricorsi, che giudicherà in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.