Non è dunque esclusa la consapevolezza dell’inutile decorso del termine di assolvimento del debito erariale, né l’istanza può costituire un’esimente della condotta colposa nella quale si concretizza il mancato o tardivo versamento dell’imposta dovuta.
L’Agenzia delle Dogane notificava all’attuale ricorrente un avviso di pagamento per imposta, interessi e indennità di mora, irrogando alla società una sanzione per il mancato versamento delle accise dovute a conguaglio per l’anno 2015.
Dal canto suo, la società affermava che non era stato possibile eseguire il pagamento poiché si trattava di debiti sorti prima dell’istanza di...
Svolgimento del processo
L’Agenzia delle Dogane notificò alla società L. E. s.r.l. l’avviso di pagamento della somma di € 263.879,39 per imposta, interessi e indennità di mora, irrogando la sanzione di € 74.654,20 ai sensi dell’art. 13, d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, per mancato versamento delle accise dovute a conguaglio per l’anno 2015, con scadenza 31 marzo 2016, dalla medesima contribuente dichiarati.
La società, che sosteneva come le fosse stato impossibile eseguire il pagamento, trattandosi di debiti sorti in epoca anteriore all’istanza di concordato preventivo, depositata dinanzi al Tribunale di Milano, limitatamente all’irrogazione delle sanzioni adì la Commissione tributaria provinciale di Padova, che, con sentenza n. 335/01/2017, ritenendo insussistenti i requisiti della colpevolezza, ne accolse le ragioni.
L’Amministrazione doganale impugnò la decisione dinanzi alla Commissione tributaria regionale del Veneto, che, in riforma delle statuizioni del primo giudice, accolse l’appello.
Il giudice regionale ha prima ricostruito la vicenda processuale della società, rilevando che delle due istanze di concordato con riserva, presentate ex art. 161, comma 6, L.F., la prima era stata rigettata e la seconda, dichiarata improcedibile, per rinuncia della medesima società. Ha pertanto prospettato che la proposizione di istanze di concordato con riserva avessero il solo scopo di procrastinare l’assolvimento di posizioni debitorie. A fronte poi della eccezione di giudicato esterno, sollevata dalla contribuente per decisioni a sé favorevoli, ha valorizzato un'altra pronuncia, anch’essa definitiva ma favorevole all’ufficio.
La società ha censurato la decisione, con quattro motivi, chiedendone la cassazione, cui ha resistito con controricorso l’Agenzia delle Dogane. La contribuente ha depositato anche memoria ai sensi dell’art. 380 bis.1 cod. proc. civ.
La causa è stata decisa all’esito dell’adunanza camerale del 23 marzo 2023.
Motivi della decisione
Con il primo motivo la società ha denunciato la violazione e falsa applicazione degli artt. 2909 cod. civ., 324 e 395 cod. proc. civ., 1 e 64, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., o «in subordine», in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per non aver tenuto conto del giudicato esterno formatosi nelle more sulla medesima fattispecie.
La difesa della ricorrente illustra che al giudice dell’appello erano state indicate alcune decisioni, che avevano riconosciuto la non debenza della sanzione (sentenze CTR Abruzzo, nn. 581/2019, 582/2019, entrambe pubblicate il 14.06.2019). La Commissione regionale lombarda, pur riportando le suddette pronunce, aveva tuttavia richiamato un’altra pronuncia, emessa dalla Commissione provinciale di Venezia, favorevole all’Amministrazione doganale ed anch’essa passata in giudicato (CTP Venezia, sentenza n. 92/2018), affermando che non vi fosse un giudicato univoco.
Le conclusioni cui era pervenuto il giudice d’appello lombardo erano da ritenersi errate, per il principio secondo cui tra due giudicati contrastanti prevale quello temporalmente successivo.
Il motivo è infondato, sebbene la motivazione della pronuncia vada corretta sul punto ai sensi dell’art. 384, quarto comma, cod. proc. civ.
La motivazione è errata, laddove il giudice regionale non ha tenuto conto della ormai consolidata giurisprudenza, secondo cui, ove sulla medesima questione si siano formati due giudicati contrastanti, al fine di stabilire quale dei due debba prevalere occorre fare riferimento al criterio temporale, nel senso che il secondo giudicato prevale in ogni caso sul primo, sempre che la seconda sentenza contraria ad altra precedente non sia stata sottoposta a revocazione, impugnazione questa che è consentita soltanto ove tale seconda sentenza non abbia pronunciato sulla relativa eccezione di giudicato (Cass., 8 maggio 2009, n. 10623; 19 novembre 2010, n. 23515; 31 maggio 2018, n. 13804; cfr anche 22 settembre 2016, n. 18617). Il giudice regionale ha disatteso tale principio e pertanto la motivazione ne risulta errata.
Tuttavia il motivo resta parimenti infondato, poiché la statuizione del giudice regionale in ordine alla irrilevanza dei giudicati invocati dalla contribuente è corretta, non essendosi nel concreto costituito alcun giudicato sulla questione sottoposta al giudice lombardo.
L’effetto del giudicato esterno può infatti invocarsi solo per decisioni intervenute tra le medesime parti e deve afferire ad accertamenti che attengano a quegli elementi costitutivi della fattispecie, che assumano carattere tendenzialmente permanente. Non può pertanto assumere alcuna efficacia vincolante quando riguardano diversi anni d’imposta o siano fondati su presupposti di fatto differenti (cfr. Cass., 8 aprile 2015, n. 6953; 7 dicembre 2021, n. 38950; cfr. anche 4 marzo 2021, n. 5939; 15 settembre 2017, n. 21395; 7 dicembre 2021, n. 38950; 3 marzo 2021, n. 5766; 10 ottobre 2019, n. 25516; si veda anche 16 maggio 2019, n. 13152).
Ebbene, nel caso di specie le decisioni invocate a titolo di giudicato esterno riguardano fattispecie materialmente collocate in territori diversi (l’Abruzzo) rispetto alla vicenda che occupa la controversia ora al vaglio della Corte (Lombardia). Ciò è di per sé già sufficiente ad escludere l’omogeneità dei presupposti, per la diversità delle situazioni specifiche che potevano delinerrsi tra la contribuente ed i diversi territori in cui essa operava.
Il rigetto del primo motivo assorbe il secondo, con il quale la ricorrente ha denunciato la violazione e falsa applicazione degli artt. 24 e 111 Cost., artt. 101, secondo comma, cod. proc. civ., e art. 1, d.lgs. n. 546 del 1992, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., o «in subordine» dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., relativamente alla valorizzazione di altra decisione (CTP Venezia, n. 92/2018), ai fini del giudicato esterno.
Con il terzo motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 5, d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, dell’art. 26, d.lgs. 26 ottobre 1995, n. 504, e dell’art. 168, comma 1, R.D. 16 marzo 1942, n. 267, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per la parte della motivazione in cui il giudice regionale ha affermato che l’istanza di concordato con riserva non conserva gli effetti qualora non siano stati posti in essere i successivi adempimenti processuali, da qui deducendo che lo strumento fosse stato utilizzato con finalità solo strumentali al differimento del pagamento dei debiti, tra cui quelli erariali. La difesa della società sostiene al contrario che l’art. 168 L.F. è inequivoco nel prescrivere il divieto del pagamento dei debiti anteriori, dalla data di pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese sino alla definitività del decreto di omologazione.
Anche questo motivo è infondato.
A parte la singolare fattispecie, nella quale la società, in limine alla data ultima di assolvimento ai debiti erariali, ha proceduto alla presentazione di una prima istanza di concordato preventivo ai sensi dell’art. 161 L.F., comma 6 (con riserva), rigettata, e poi di una seconda istanza (sempre con riserva), dichiarata improcedibile per successiva rinuncia, l’art. 168 L.F. inibisce l’inizio o la prosecuzione di azioni esecutive, ma non esclude le conseguenze dell’inutile decorso dei termini. Peraltro l'obbligazione tributaria sorge con il verificarsi del presupposto di fatto al quale è ricollegata l'emersione del tributo, a fronte della quale la successiva attività accertativa dell'Amministrazione finanziaria attiene all'esercizio del diritto di credito e ha funzione ad essa strumentale. Parimenti, e per l’effetto di quanto appena chiarito, è legittima la sanzione applicata in ragione della emersione dell’obbligazione tributaria, poiché il presupposto della medesima sanzione sta nel debito fiscale insorto precedentemente all'apertura della procedura concorsuale, benché l'atto di irrogazione della sanzione sia successivo all'apertura della procedura stessa.
Si è infatti a tal fine affermato che «le sanzioni pecuniarie, conseguenti alla violazione di leggi tributarie commesse in data antecedente al fallimento del contribuente, danno luogo a un credito dell'amministrazione finanziaria per il fatto stesso che si sia verificata la violazione della legge tributaria, sia che si verta in una fase fisiologica dell'impresa, sia che si verta nell'ambito di una procedura concorsuale» (Cass., 13 ottobre 2011, n. 21078; 27 settembre 2018, n. 23322; 4 aprile 2019, n. 9440).
Con richiamo alla predetta giurisprudenza si è pertanto anche affermato che l'apertura di una procedura di concordato preventivo non è ostativa né all'accertamento di crediti tributari pregressi mediante iscrizione a ruolo ed emissione della cartella, né all'irrogazione di sanzioni pecuniarie ed accessori, maturati fino a tale momento, poiché, per un verso, l'accertamento del credito da parte dell'Amministrazione finanziaria è condizione per la partecipazione della stessa alla procedura concorsuale e, per un altro, le sanzioni pecuniarie danno luogo ad un credito del Fisco per il fatto stesso che si sia verificata la violazione della legge tributaria, senza che assuma rilevanza l'assoggettamento dell'impresa ad una procedura concorsuale (Cass., n. 9440 del 2019 cit.).
In altri termini, nella materia fiscale ed in tema di sanzioni, l’istanza di concordato preventivo, di cui all’art. 161 L.F., non esclude la suitas della condotta (la consapevolezza dell’inutile decorso del termine di assolvimento del debito erariale), né, tanto meno, costituisce una esimente della condotta colposa, nella quale si concretizza il mancato o tardivo versamento dell’imposta dovuta.
Il rigetto del terzo motivo assorbe il quarto, con cui la società ha lamentato l’omesso esame dei fatti indicanti la crisi della società contribuente, comportante l’esigenza di ricorrere alla procedura di concordato preventivo, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.
Il ricorso va dunque rigettato ed all’esito del giudizio segue la liquidazione delle spese processuali, che graveranno sulla parte soccombente nella misura liquidata in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso, condanna la ricorrente alle spese del giudizio di legittimità, che liquida nella misura di € 5.600,00, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, nella misura pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis del medesimo articolo 13, se dovuto.