Ciò significa che il creditore, in base alla sentenza impugnata, deve essere ammesso al passivo con riserva, mentre il commissario può proseguire nella fase di impugnazione il relativo giudizio, che non diventa quindi improcedibile.
Il Tribunale di Roma, in funzione di Giudice del lavoro, accertava l'illegittimità dei contratti di lavoro libero professionali stipulati con l'associazione, condannando la stessa al pagamento delle differenze retributive e al risarcimento dei danni.
L'associazione impugnava la sentenza e durante il giudizio di secondo grado depositava memoria per rappresentare di avere assunto la...
Svolgimento del processo
Gli odierni intimati ottennero dal Tribunale di Roma, in funzione di giudice del lavoro, sentenza con cui venne accertata l’illegittimità dei contratti di lavoro libero professionali da loro stipulati con la Croce Rossa Italiana e la natura subordinata dei rapporti di lavoro instaurati, con condanna della convenuta al pagamento delle conseguenti differenze retributive e al risarcimento dei danni.
Croce Rossa Italiana impugnò la sentenza e, nel corso del giudizio d’appello, depositò memoria per rappresentare di avere assunto la denominazione di Ente Strumentale alla Croce Rossa Italiana (con d.lgs. n. 178 del 2012) e di essere stata posta in liquidazione coatta amministrativa a far data dal 1°.1.2016 (con d.l. 148 dl 2017, convertito in legge n. 172 del 2017). Ciò al fine di chiedere alla Corte d’Appello di Roma che fosse dichiarata improcedibile la domanda giudiziale proposta nei suoi confronti al di fuori della sede concorsuale, riformando la sentenza di primo grado e travolgendo la relativa condanna.
La Corte territoriale, condividendo l’opinione che «il singolo creditore non può agire giudizialmente prima della definizione della fase amministrativa di formazione e verifica del passivo davanti agli organi della procedura, ma deve azionare in quella sede il suo credito», dichiarò «la temporanea improseguibilità dell’appello» e compensò le spese di lite.
Contro tale sentenza l’Ente Strumentale alla Croce Rossa Italiana ha proposto ricorso per cassazione affidato a un unico motivo. I lavoratori sono rimasti intimati. Il ricorso è trattato in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c.
Motivi della decisione
1. Con l’unico motivo di ricorso, si denuncia «violazione e/o falsa applicazione dell’art. 8, comma 2, d.lgs. n. 178/2012, come modificato dall’art. 16 d.l. n. 148/2017, convertito in l. n. 172/2017, degli artt. 194, 200, 206, 207, 208, 209, 210, 212 e 213 r.d. n. 267/1942, 24 Cost. e 111 Cost., relativamente all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.».
Il ricorrente si duole del fatto che la Corte territoriale, pur avendo riconosciuto la necessità di accertare nella sede concorsuale il credito vantato dagli appellati, non abbia poi accolto l’appello, riformando conseguentemente la condanna pronunciata in primo grado.
1.1. Il motivo è solo parzialmente fondato, nei termini di seguito esposti.
1.1.1. La Corte d’Appello di Roma ha sicuramente errato laddove ha chiuso il processo senza adottare alcuna pronuncia sulle conclusioni rassegnate dall’appellante, non solo con riferimento al merito (richiesta di accertamento negativo dei diritti vantati dagli appellati con domande accolte in primo grado), ma neanche con riferimento al rito (eccezione di improponibilità delle loro domande nella sede della cognizione ordinaria, per l’intervenuta liquidazione coatta amministrativa). Il dispositivo che «dichiara la temporanea improseguibilità dell’appello» si traduce in un sostanziale non liquet (sulla cui inammissibilità v., da ultimo, Cass. n. 13515/2022), senza nemmeno la possibilità di ridurre la decisione adottata a un provvedimento meramente interlocutorio, considerate la forma di sentenza e la decisione sulle spese di lite (che sono state compensate).
È dunque fondato il ricorso nella parte in cui richiama gli artt. 24 e 111 Cost. e denuncia la «violazione del principio di effettività della tutela giurisdizionale».
1.1.2. Non è invece fondato il ricorso nella parte in cui denuncia la violazione delle disposizioni della legge fallimentare (r.d. n. 267 del 1942, applicabile ratione temporis) che prescrivono che l’accertamento dei crediti nei confronti di un soggetto sottoposto a liquidazione coatta amministrativa può avvenire esclusivamente nella sede concorsuale (in particolare, art. 201 legge fall., che rinvia alle disposizioni del Titolo II, Capo III, Sezione II, tra le quali rientra l’art. 52 sul «Concorso dei creditori» quale via esclusiva per l’accertamento dei crediti nei confronti della procedura concorsuale).
In fatto, occorre precisare che, come si desume in modo inequivocabile sia dal ricorso che dalla sentenza impugnata, l’Ente Strumentale alla Croce Rossa Italiana fu posto in liquidazione coatta amministrativa a far data dal 1°.1.2016, ovverosia in pendenza del giudizio d’appello, dopo che era stata emessa e pubblicata la sentenza n. 9173/2014 con cui il Tribunale di Roma aveva accertato i diritti di credito vantati dagli attuali intimati (e condannato al pagamento Croce Rosse Italiana).
La questione che viene in rilievo è, dunque, se trovi applicazione anche nella liquidazione coatta amministrativa l’art. 96, comma 2, n. 3, legge fall., che, con riguardo alla disciplina del fallimento, dispone l’ammissione al passivo con riserva dei «crediti accertati con sentenza del giudice ordinario o speciale non passata in giudicato, pronunziata prima della dichiarazione di fallimento», salva la facoltà del curatore di «proporre o proseguire il giudizio di impugnazione». L’art. 96 legge fall. non è espressamente richiamato dagli artt. 194 e ss., che disciplinano la liquidazione coatta amministrativa, e, in particolare, dall’art. 209, che regola la «Formazione dello stato passivo». Per questo motivo, in passato, si è talvolta statuito che nella liquidazione coatta amministrativa non vige la regola, sancita per il fallimento dall’art. 96, dell’opponibilità alla procedura concorsuale (salva la possibilità di impugnazione) della sentenza di accertamento di un credito pubblicata, ma non passata in giudicato, prima dell’apertura del concorso (v., da ultimo, Cass. n. 9461/2020). Ma tale orientamento è stato più di recente abbandonato, essendosi affermato – con riguardo al caso particolare delle liquidazioni coatte amministrative delle «banche venete», ma con argomentazione desunta dalla interpretazione della legge fallimentare e, quindi, estensibile alla liquidazione coatta amministrativa in generale – l’opposto e condivisibile principio per cui «il giudizio di condanna instaurato dai risparmiatori contro una delle banche venete indicate dal d.l. n. 99 del 2017 prima dell’apertura della liquidazione coatta amministrativa non diventa improcedibile in esito alla detta apertura ove sia stata già pronunciata la sentenza di merito, in quanto, a norma dell’art. 96 l. fall., il creditore, sulla base della sentenza impugnata, deve essere ammesso al passivo con riserva, mentre il commissario, dal suo canto, può proseguire il giudizio nella fase di impugnazione» (Cass. n. 12948/2022, alla cui motivazione si fa qui rinvio ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c.; conf., in precedenza, Cass. n. 17526/2003).
Infatti, secondo quanto correttamente rilevato in tale precedente, attraverso l’esplicito richiamo contenuto nell’art. 212, comma 4, legge fall., trova sicura applicazione anche nella liquidazione coatta amministrativa l’art. 113, comma 1, n. 1, sulle «ripartizioni parziali», il quale dispone l’accantonamento, tra le altre, delle somme destinate ai creditori ammessi con riserva. E l’ammissione con riserva è a sua volta regolata nell’art. 96, comma 2, legge fall., con il che anche tale disposizione deve intendersi indirettamente richiamata dalla disciplina della liquidazione coatta amministrativa – nonostante l’assenza di rinvio diretto nell’art. 201 legge fall. – e con essa la regola della permanenza della cognizione in sede ordinaria sui crediti già oggetto di sentenza ancora impugnabile.
Siffatta interpretazione, nel mentre è basata su una lettura più accurata del dato testuale normativo, ha anche il pregio di riportare il sistema a maggiore coerenza, non ravvisandosi alcuna valida ragione per cui all’accertamento contenuto in una sentenza «resa pubblica mediante deposito nella cancelleria» prima dell’apertura della procedura concorsuale, e come tale potenzialmente idonea al giudicato, non debba essere riconosciuto il medesimo valore sia nel fallimento (così come nell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi: art. 53, comma 1, d.lgs. n. 270 del 1999), che nella liquidazione coatta amministrativa.
Non rimane che ribadire il medesimo principio nei seguenti termini più generali: «la sentenza di condanna pronunciata nei confronti di soggetto solo successivamente sottoposto a liquidazione coatta amministrativa e non ancora passata in giudicato è opponibile alla procedura concorsuale, nel senso che il creditore, sulla base della sentenza impugnata, deve essere ammesso al passivo con riserva, mentre il commissario, a norma dell’art. 96, comma 2, n. 3, legge fall., può proseguire nella fase di impugnazione il relativo giudizio, che non diventa pertanto improcedibile».
Siffatto principio normativo conserva piena efficacia anche con riferimento all’attuale disciplina contenuta nel d.lgs. n. 14 del 2019 (Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza), i cui artt. 204, comma 2, lett. c, 227, comma 1, 310 e 312, comma 4, contengono disposizioni del tutto analoghe a quelle contenute nei citati articoli della legge fall.
2. In definitiva, la sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio alla medesima Corte d’Appello di Roma, perché decida nel merito del rapporto controverso, regolando anche le spese del presente giudizio di legittimità.
3. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, si dà atto che, dato l’accoglimento del ricorso, non sussiste il presupposto per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso principale ai sensi dell’art. 13, comma 1-bis, del medesimo d.P.R.
P.Q.M.
La Corte:
accoglie il ricorso, per quanto di ragione, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Roma, anche per la decisione sulle spese del presente giudizio di legittimità.