Nel caso di specie, il nuovo difensore aveva presentato alla cancelleria la richiesta di ottenere il fascicolo del giudizio di primo grado quando il termine perentorio semestrale per proporre appello era già scaduto.
Svolgimento del processo
La ricorrente si rivolse al Tribunale di Napoli, in funzione di giudice del lavoro, per fare accertare l’illegittimità della sanzione disciplinare inflittale dalla datrice di lavoro C. R. Italiana e chiedere la condanna della convenuta al risarcimento dei danni.
Contro la sentenza di rigetto del tribunale, la lavoratrice propose appello tardivo, allegando l’impossibilità di rispettare il termine di impugnazione per il cambio di patrocinio intervenuto nel corso del giudizio di primo grado e per il mancato reperimento, da parte del nuovo difensore, del fascicolo di parte e degli atti del fascicolo d’ufficio, nonostante le richieste in tal senso avanzate alla cancelleria del Tribunale di Napoli.
La Corte d’Appello di Napoli dichiarò tuttavia inammissibile l’appello, perché tardivo, e contro tale sentenza la lavoratrice ha proposto ricorso per cassazione privo di articolazione in distinti motivi, ma sostanzialmente volto a censurare il mancato riconoscimento dei presupposti per l’auspicata rimessione in termini per proporre l’appello. L’Ente Strumentale alla C. R. Italiana (nel frattempo succeduto a C. R. Italiana e posto in liquidazione coatta amministrativa) si è difeso con controricorso. La causa è trattata in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c.
Motivi della decisione
1. Nell’esporre le ragioni a sostegno dell’impugnazione, la ricorrente denuncia la violazione degli artt. 132 e 153, comma 2, c.p.c., sostenendo che la corte d’appello non avrebbe adeguatamente apprezzato le argomentazioni in favore della rimessione in termini e non avrebbe dato conto nella sentenza delle ragioni del rigetto della relativa istanza.
1.1. Il motivo è infondato.
È pacifico che il ricorso in appello venne depositato il 25.3.2014 e, quindi, ben oltre il termine di sei mesi dalla pubblicazione della sentenza di primo grado (13.3.2013), fissato dall’art. 327 c.p.c. in tale misura per effetto dell’art. 46 L. 69/2009 in relazione ai procedimenti, quale è il presente, instaurati successivamente e della cui applicabilità anche al rito del lavoro non è lecito dubitare e infatti non si è mai dubitato (v., da ultimo, Cass. 7364/2022). Pertanto, non è in discussione la tardività dell’appello proposto dalla ricorrente, ma soltanto la sussistenza dei presupposti per la rimessione in termini di cui all’art. 153, comma 2, c.p.c. Più precisamente, nel ricorso si sostiene che la sentenza impugnata sarebbe del tutto priva di motivazione in merito al negato riconoscimento di quei presupposti da parte del giudice a quo.
In realtà, la Corte d’Appello, sia pure in termini succinti, ha fatto preciso riferimento alla impossibilità di considerare incolpevole un ritardo che, nella stessa allegazione di parte, è imputabile a negligenza dei suoi difensori, con ciò uniformandosi a un costante e condivisibile orientamento di questa Corte di legittimità (v., ex multis, Cass. nn. 21649/2022; 14596/2021). È appena il caso di aggiungere che tra i doveri del difensore vi è anche quello di tenere copia ordinata degli atti e dei documenti di causa e, in caso di revoca o di rinuncia al mandato, di mettere tempestivamente a disposizione del cliente, o del collega subentrato nel patrocinio, tutti gli atti e i documenti in suo possesso necessari o utili per la difesa. Sicché la prospettata impossibilità di reperire atti e documenti presso la cancelleria non sarebbe comunque sufficiente per dare fondamento alla tesi del carattere incolpevole del ritardo nell’impugnazione.
Si deve tuttavia rilevare un’ulteriore vistosa incongruenza nel motivo di ricorso. Vi si legge, infatti, che la sentenza di primo grado venne pubblicata il 13.3.2013 (pag. 4) e che «l’avv. M., il 16 dicembre 2013 aveva richiesto alla cancelleria del Tribunale di Napoli sezione Lavoro e Previdenza, il fascicolo del giudizio di primo grado» (pag. 7). Pertanto, la richiesta alla cancelleria fu presentata quando il termine perentorio semestrale per proporre l’appello era già scaduto, con il che resta escluso che il mancato rispetto del termine possa essere messo in rapporto causale con i prospettati ritardi nell’evasione di quella (già di per sé tardiva) richiesta.
2. Respinto il ricorso, le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
3. Ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1- quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis del medesimo art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte:
rigetta il ricorso;
condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 3.000,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito;
ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di raddoppio del contributo unificato, se dovuto.