
Infatti, solo quando sia stato garantito che l'immobile era libero da ipoteche (ma, in realtà, fosse da esse gravato), allora il promissario acquirente può legittimamente rifiutare di stipulare il contratto definitivo.
L'attore chiedeva al Tribunale di pronunciare la risoluzione dell'impegnativa di acquisto immobiliare per inadempimento da parte di uno dei convenuti, causato dall'omessa informazione circa l'iscrizione ipotecaria gravante sull'immobile e la carenza di agibilità del medesimo, con conseguente condanna al pagamento del doppio della caparra versata.
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Svolgimento del processo
1. – Con atto di citazione notificato il 14 novembre 2005, S. F. conveniva, davanti al Tribunale di Pescara, C. R. nonché C. A. e B. L., per sentire: 1) pronunciare la risoluzione dell’impegnativa di acquisto immobiliare sottoscritta il 23 agosto 2005 per inadempimento del promittente alienante C.R., in ragione dell’omessa informazione sull’iscrizione ipotecaria gravante sull’immobile e sulla carenza di agibilità, con la conseguente condanna al pagamento del doppio della caparra versata; 2) dichiarare la responsabilità di C. A. e B. L., in qualità di intermediari, per l’omessa informazione verso il promissario acquirente circa l’esistenza di pesi, vincoli e irregolarità sull’immobile oggetto di mediazione e per la violazione degli accordi stabiliti per la custodia e la negoziazione del titolo rilasciato quale caparra penitenziale per l’importo di euro 25.000,00, con la conseguente pronuncia della risoluzione dell’accordo di mediazione e con la condanna alla restituzione dell’importo versato, oltre al risarcimento dei danni.
Si costituiva in giudizio C.R., il quale resisteva alle avverse domande e proponeva domanda riconvenzionale, con la quale chiedeva che fosse accertata l’avvenuta risoluzione del contratto del 23 agosto 2005 per recesso del promissario acquirente, con dichiarazione del diritto a trattenere la caparra penitenziale versata di euro 25.000,00, o – in subordine – che fosse accertata l’intervenuta risoluzione del contratto per inadempimento del promissario acquirente, con l’autorizzazione a trattenere la somma ricevuta, previo accertamento della natura confirmatoria della caparra.
Si costituivano altresì C. A. e B. L., i quali resistevano alle domande avversarie e, nell’ipotesi in cui esse fossero state accolte, chiedevano che C. R. fosse condannato a tenerli indenni e manlevarli di quanto avessero dovuto corrispondere all’attore. C. A. chiedeva, altresì, in via riconvenzionale, che S. F. e C. R. fossero condannati al pagamento della provvigione pattuita per l’incarico di mediazione espletato per l’importo di euro 24.000,00 ciascuno, oltre IVA.
Nel corso del giudizio era assunta la prova testimoniale ammessa.
Quindi, il Tribunale adito, con sentenza n. 1242/2011, depositata il 22 settembre 2011, rigettava le domande spiegate dall’attore e, in accoglimento della riconvenzionale proposta, condannava S.F. al pagamento, in favore di C. A., della somma di euro 24.000,00, oltre IVA, a titolo di provvigione per la mediazione svolta.
In particolare, la pronuncia di prime cure rilevava che, al momento della sottoscrizione dell’impegnativa unilaterale di acquisto del 23 agosto 2005, S. F. era perfettamente informato circa l’esistenza dell’ipoteca e circa l’assenza del certificato di agibilità dell’immobile, sicché il suo rifiuto a stipulare il preliminare secondo le scadenze concordate doveva ritenersi immotivato.
Aggiungeva che l’invito formulato dal C. con il telegramma del 5 ottobre 2005 doveva intendersi finalizzato alla stipulazione del preliminare e non già del definitivo.
2. – Con atto di citazione notificato il 18 ottobre 2012, proponeva appello S. F., il quale lamentava l’ingiustizia ed erroneità della decisione per violazione di legge nonché per illogicità e contraddittorietà della motivazione su più fatti controversi e decisivi.
Si costituivano nel giudizio d’impugnazione C.R. nonché C. A. e B.L., i quali resistevano all’appello e ne chiedevano il rigetto.
Decidendo sul gravame interposto, la Corte d’appello di L’Aquila, con la sentenza di cui in epigrafe, rigettava l’appello e, per l’effetto, confermava integralmente la sentenza impugnata.
A sostegno dell’adottata pronuncia la Corte territoriale rilevava, per quanto interessa in questa sede: a) che doveva essere confermata la statuizione del giudice di primo grado circa l’ammissibilità della prova testimoniale ammessa ed espletata, la quale aveva avuto ad oggetto, non già il contenuto dell’accordo raggiunto tra le parti, bensì la condotta delle stesse e il contenuto delle conversazioni intercorse in fase di trattativa e dopo la sottoscrizione della proposta di acquisto, in vista dell’accertamento del grado di consapevolezza e conoscenza delle caratteristiche del bene oggetto della proposta, con particolare riguardo all’iscrizione ipotecaria collegata ad un mutuo fondiario e alla presenza di irregolarità urbanistiche per le quali pendeva una procedura di condono in fase di ultimazione; b) che doveva essere altresì confermato il giudizio di attendibilità soggettiva e oggettiva delle dichiarazioni testimoniali rese; c) che il promittente venditore si era impegnato a garantire che l’immobile fosse libero da pesi e qualsiasi onere per il futuro, ossia all’atto della stipula del definitivo, conclusione corroborata dalla situazione di fatto nota al promissario acquirente circa l’esistenza, al momento della sottoscrizione dell’impegnativa, di una residua situazione debitoria per il mutuo ipotecario contratto di circa euro 80.000,00 e di abusi edilizi in corso di sanatoria, alla stregua della esistenza di una pratica di condono in via di definizione; d) che la cadenza temporale dei pagamenti previsti – per euro 25.000,00 al momento della sottoscrizione dell’impegnativa, quale caparra penitenziale, per euro 175.000,00 alla stipula del preliminare che doveva avvenire entro il 30 settembre 2005 e per la restante somma di euro 600.000,00 alla stipula del rogito definitivo che doveva avvenire entro il 30 marzo 2006 – era del tutto coerente con l’impegno assunto dal promittente alienante di liberare l’immobile dal residuo mutuo ipotecario e di regolarizzare il bene attraverso la definizione della pratica di condono con il pagamento dell’ultima tranche dovuta; e) che era ampiamente motivata l’affermazione del Tribunale secondo cui la presenza di oneri reali e di irregolarità edilizie non era di ostacolo alla sottoscrizione del contratto preliminare; f) che il sollecito di cui al telegramma del 5 ottobre 2005 doveva intendersi riferito alla stipula del preliminare presso lo studio notarile, come era suffragato dalla successiva missiva del difensore del C. di invito alla stipula del predetto preliminare; g) che la qualificazione della impegnativa del 23 agosto 2005 quale preliminare di preliminare era ampiamente giustificata nel caso di specie, tenuto conto della necessità per il promittente venditore di acquisire gli importi occorrenti per l’estinzione del mutuo e la cancellazione dell’ipoteca nonché per il completamento della pratica di condono edilizio.
3. – Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, S.F..
Hanno resistito con separati controricorsi C. R. nonché C.A. e B. L..
4. – Il Pubblico Ministero ha formulato per iscritto le sue conclusioni, come riportate in epigrafe.
5. – Il ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
Motivi della decisione
1. – Con il primo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 2721 e 2722 c.c., per avere la Corte di merito ritenuto ammissibile la prova testimoniale richiesta dalle controparti, nonostante la tempestiva eccezione di inammissibilità proposta, escludendo che le circostanze capitolate riguardassero il contenuto dell’accordo negoziale intervenuto tra le parti ed attenessero, invece, alla condotta delle parti, da cui sarebbe emerso che il promissario acquirente era a conoscenza dell’iscrizione ipotecaria gravante sull’immobile e della pendenza di una pratica di condono edilizio.
Obietta il ricorrente che, nel caso di specie, sarebbe stato irrilevante il comportamento delle parti non conforme ad atto scritto richiesto a pena di nullità, essendo le circostanze di cui alla prova per testimoni volte a confutare il contenuto di un documento, per il quale si allegava che la stipulazione fosse anteriore o contemporanea.
1.1– Il motivo è infondato.
La Corte distrettuale ha, infatti, rilevato che la prova testimoniale ammessa era volta a confermare le circostanze che avevano indotto le parti a sviluppare il loro accordo e il connesso pagamento del prezzo secondo le seguenti fasi: impegnativa unilaterale di acquisto del 23 agosto 2005, con il pagamento della somma di euro 25.000,00, prevista a titolo di caparra penitenziale; stipula del preliminare entro il 30 settembre 2005, con il pagamento della somma di euro 175.000,00; stipula del rogito definitivo entro il 30 marzo 2006, con il pagamento della restante somma di euro 600.000,00.
Secondo il contenuto delle circostanze testimoniali ammesse – e confermate dai testi escussi –, i termini rammentati della pattuizione raggiunta tra le parti erano, infatti, funzionali a consentire l’estinzione del mutuo e la cancellazione dell’ipoteca gravante sull’immobile nonché il perfezionamento della pratica di condono edilizio in corso.
Ora, i limiti legali di ammissibilità della prova orale non operano quando la prova sia diretta non già a contestare il contenuto di un documento, ma a renderne esplicito il significato, come nel caso di specie.
In particolare, il divieto di ammissione della prova testimoniale stabilito dall’art. 2722 c.c., in ordine ai patti aggiunti o contrari al contenuto negoziale di un documento, riguarda solo gli accordi diretti a modificare, ampliandolo o restringendolo, il contenuto del negozio, mentre il divieto non riguarda la prova diretta ad individuarne la reale portata attraverso l’accertamento degli elementi di fatto che determinarono il consenso dei contraenti (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 28407 del 07/11/2018; Sez. 1, Sentenza n. 4601 del 22/02/2017; Sez. 3, Sentenza n. 9526 del 12/06/2012; Sez. 3, Sentenza n. 1191 del 24/04/1974; Sez. 2, Sentenza n. 392 del 09/02/1973; Sez. 2, Sentenza n. 578 del 04/03/1971).
2. – Con il secondo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., per avere la Corte territoriale negato l’integrazione di un inadempimento qualificato del promittente venditore sul presupposto che l’assenza di pesi e irregolarità edilizie sull’immobile dovesse essere da costui garantita all’atto della stipula del definitivo e non prima; e tanto sulla scorta di un’asserita conoscenza del promissario acquirente dell’ipoteca gravante sul bene e della pendenza di una pratica di condono edilizio, di cui non vi sarebbe stata traccia nell’impegnativa unilaterale del 23 agosto 2005.
Sicché – sostiene l’istante – il giudice d’appello avrebbe posto a fondamento della decisione prove non proposte dalle parti.
2.1. – La doglianza è inammissibile.
E tanto perché il giudice del gravame ha desunto che il proprietario alienante si fosse impegnato a garantire – solo in vista della futura stipulazione del definitivo (e non già sin dalla stipulazione del primo contratto tra le parti) – la libertà del bene da pesi ipotecari e la sanatoria delle irregolarità edilizie – per le quali era pendente una pratica di condono – propriamente dalle modalità attraverso cui è stata programmata la scansione delle fasi contrattuali, con la correlata produzione dell’effetto traslativo, modalità esplicitate e chiarite dall’ammessa prova testimoniale.
Con la conseguenza che, in realtà, la censura mira a scardinare tale ricostruzione, come acquisita alla luce della disamina degli atti contrattuali e delle prove costituende assunte.
Ebbene, in tema di ricorso per cassazione, può essere dedotta la violazione dell’art. 115 c.p.c. qualora il giudice, in contraddizione con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove inesistenti e, cioè, sia quando la motivazione si basi su mezzi di prova mai acquisiti al giudizio, sia quando da una fonte di prova sia stata tratta un’informazione che è impossibile ricondurre a tale mezzo (ipotesi diversa dall’errore nella valutazione dei mezzi di prova – non censurabile in sede di legittimità –, che attiene alla selezione, da parte del giudice di merito, di una specifica informazione tra quelle astrattamente ricavabili dal mezzo assunto), a condizione che il ricorrente assolva al duplice onere di prospettare l’assoluta impossibilità logica di ricavare dagli elementi probatori acquisiti i contenuti informativi individuati dal giudice e di specificare come la sottrazione al giudizio di detti contenuti avrebbe condotto ad una decisione diversa, non già in termini di mera probabilità, bensì di assoluta certezza (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12971 del 26/04/2022; Sez. U, Sentenza n. 20867 del 30/09/2020).
D’altronde, in tema di sindacato di legittimità, l’errore percettivo del giudice di merito su un fatto storico, principale o secondario, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e che risulti idoneo ad orientare in senso diverso la decisione (senza, peraltro, che nel caso di specie il ricorrente abbia riportato, nel corpo dell’atto introduttivo del giudizio di legittimità, il contenuto specifico delle deposizioni testimoniali rese), può essere fatto valere, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. (e nei ristretti limiti di tale disposizione), qualora l’errore consista nell’omesso esame del predetto fatto – e non anche, come nella fattispecie, quando si traduca nella mera, asserita insufficienza o contraddittorietà della motivazione –, e sempre che non ricorra l’ipotesi della c.d. “doppia conforme”, ai sensi dell’art. 348-ter, quarto e quinto comma, c.p.c. (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 37382 del 21/12/2022; Sez. 3, Sentenza n. 7187 del 04/03/2022).
Tale ultima evenienza è stata integrata nella vicenda in esame, posto che il giudice d’appello ha confermato l’iter logico- argomentativo della sentenza di prime cure, a fronte della proposizione del gravame in epoca successiva all’11 settembre 2012 (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 11439 del 11/05/2018; Sez. 1, Sentenza n. 26774 del 22/12/2016; Sez. 5, Sentenza n. 26860 del 18/12/2014; Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014).
3. – Con il terzo motivo il ricorrente prospetta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., per avere la Corte distrettuale ritenuto che l’invito rivolto dal C. con il telegramma del 5 ottobre 2005 avesse avuto ad oggetto la stipulazione, davanti al notaio, del contratto preliminare, e non già del definitivo.
3.1. – La censura è inammissibile.
In primis, nel giudizio di cassazione la parte non può dolersi del modo in cui il giudice di merito ha compiuto le proprie valutazioni discrezionali, quomodo che investe l’apprezzamento della fonte di prova come dimostrativa (o meno) del fatto che si intende provare, in ordine ai diversi significati in astratto ricavabili dai mezzi di prova acquisiti al giudizio (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 13918 del 03/05/2022; Sez. 1, Sentenza n. 6774 del 01/03/2022; Sez. L, Ordinanza n. 25166 del 08/10/2019; Sez. 6-1, Ordinanza n. 1229 del 17/01/2019; Sez. 6-L, Ordinanza n. 27000 del 27/12/2016).
E neppure il potere del giudice di valutazione della prova è sindacabile in sede di legittimità sotto il profilo della violazione dell’art. 116 c.p.c., quale apprezzamento riferito ad un astratto e generale parametro non prudente della prova, posto che l’utilizzo del pronome “suo” è estrinsecazione dello specifico prudente apprezzamento del giudice della causa, a garanzia dell’autonomia del giudizio in ordine ai fatti relativi, salvo il limite che “la legge disponga altrimenti” (Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 34786 del 17/11/2021; Sez. 2, Ordinanza n. 20553 del 19/07/2021; Sez. 3, Sentenza n. 15276 del 01/06/2021; Sez. 6-3, Ordinanza n. 18092 del 31/08/2020; Sez. 3, Sentenza n. 11892 del 10/06/2016; Sez. 6-5, Ordinanza n. 91 del 07/01/2014).
Sicché non può essere sindacato in sede di legittimità il fatto che il giudice di merito, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, conclusione che vale a fortiori nel caso in esame, presupponendo l’esistenza o meno della circostanza controversa un giudizio di attendibilità, sufficienza e congruenza delle testimonianze assunte, che si colloca interamente nell’ambito della valutazione delle prove, estraneo al giudizio di legittimità.
Inoltre, la circostanza che il telegramma – per mero errore materiale – richiamasse il definitivo, anziché il preliminare, in sintonia con il tenore della progressione degli atti contrattuali stabilita nell’impegnativa del 23 agosto 2005, è stata desunta, con valutazione insindacabile in questa sede, dalla missiva inviata dal difensore di C. R. circa dieci giorno dopo l’invio del telegramma, in cui si sollecitava S. F. a comparire davanti al notaio per la data fissata ai fini della conclusione del preliminare.
4. – Con il quarto motivo il ricorrente si duole, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., della violazione e falsa applicazione dell’art. 1482 c.c., per avere la Corte del gravame ritenuto che il promittente alienante non fosse tenuto a garantire la condizione di libertà dell’immobile da garanzie reali, se non in prospettiva della stipulazione del definitivo.
4.1. – Il motivo è infondato.
Nella specie, infatti, la Corte di merito ha desunto dalla sequenza negoziale programmata che il promissario acquirente fosse a conoscenza dell’ipoteca iscritta sul bene e della pendenza della pratica di condono edilizio, circostanze avvalorate dalla prova testimoniale assunta.
Sicché, a fronte di tale specifica conoscenza, il ricorrente non avrebbe potuto opporsi alla stipulazione del contratto preliminare.
Sul punto, si evidenzia che solo allorché sia stato garantito che l’immobile fosse libero da ipoteche (ma, in realtà, fosse da esse gravato), il promissario acquirente può legittimamente rifiutare di stipulare il contratto definitivo finché tali formalità pregiudizievoli non siano cancellate dal promittente venditore e, al riguardo, ha la facoltà e non l’obbligo, ex art. 1482, primo comma, c.c. (applicabile anche al contratto preliminare), di chiedere al giudice la fissazione a quest’ultimo di un termine per la liberazione dal vincolo.
Ove, tuttavia, il promissario acquirente comunichi al promittente venditore, in presenza di un inadempimento grave di costui ed allo stesso imputabile, il proprio recesso dal contratto, quest’ultimo non può, per effetto dell’art. 1453, secondo comma, c.c., attivarsi per ottenere la cancellazione della garanzia (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 20961 del 08/09/2017; Sez. 6-2, Ordinanza n. 16388 del 05/08/2015; Sez. 2, Sentenza n. 5300 del 07/12/1977).
Nella fattispecie, i menzionati presupposti non sussistono, posto che, per un verso, già prima della stipula del preliminare il proponente era a conoscenza dell’esistenza dell’ipoteca e delle irregolarità edilizie da cui era affetto l’immobile e, per altro verso, il proprietario alienante si era obbligato ad assicurare la libertà del bene da garanzie reali e l’ultimazione della pratica di condono alla data fissata per la stipulazione del definitivo, secondo le risultanze processuali non sindacabili in questa sede.
5. – In definitiva, il ricorso deve essere respinto.
Le spese e i compensi di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Non ricorrono le condizioni per disporre l’ulteriore condanna al pagamento di una somma equitativamente determinata, a titolo di responsabilità processuale aggravata, ai sensi dell’art. 96, terzo comma, c.p.c., secondo la versione vigente ratione temporis, come invocato dal controricorrente C. R., atteso che nella soccombenza del ricorrente non sono ravvisabili gli estremi della condotta processuale abusiva.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 -, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla refusione, in favore di ciascuno dei controricorrenti, delle spese di lite, che si liquidano in complessivi euro 3.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.