La parte notificante, una volta appreso dell'esito negativo, deve tempestivamente riattivare il processo notificatorio senza superare il limite di tempo pari alla metà dei termini indicati dall'art. 325 c.p.c., salvo circostanze eccezionali di cui sia data prova rigorosa.
Svolgimento del processo
- A. M. e G. I., con atto di citazione notificato il 3 marzo 2008, premesso di essere proprietari di unità immobiliari ubicate nel fabbricato condominiale, avente ingresso anche da Largo S. (omissis) a (omissis) n. 2/A, accesso quest’ultimo costituito da un’area cortilizia interna comune all’edificio, delimitata da doppio cancello, pedonale e carrabile, tra cui quella dello I., sulla quale affacciavano le unità immobiliari poste al medesimo piano, in ordine al quale nel 1999 era insorta controversia possessoria sull’utilizzo tra il Condominio e il condomino R. S. definita con atto di transazione, la cui validità era sub iudice, evocavano, innanzi al Tribunale di Napoli, il medesimo R. S., il Condominio di Piazza (omissis) n. 68 e i condomini del fabbricato (D. C., S. G., C. L., C. R., C. G., C. R., C. C., C. F., C. M., D. G., D. G., D. C. W., D. M. T., E. V., M. C., P. A., P. T., P. V., S. R., Sepe A., S. A., V. A. e V. G.), per sentire accertare l'esistenza della servitù attiva di ingresso e di passaggio dell'accesso al fabbricato da Largo S. A. a (omissis) e sulla relativa area cortilizia interna di cui erano titolari in forza di titolo e per destinazione del padre di famiglia, oltre a sentire dichiarare illegittimo e in ogni caso inopponibile ad essi istanti l'atto di transazione stipulato dal S. con il Condominio in data 7.5.2001, ordinare al S. di rimuovere il paletto in ferro che ostruiva il passaggio ed al Condominio di sostituire le serrature dei cancelli d'ingresso al fabbricato dal predetto largo, con consegna delle chiavi;
- instaurato il contraddittorio, nella resistenza di D. C., che spiegava anche domanda riconvenzionale chiedendo dichiararsi l'inopponibilità, nei suoi confronti, o la nullità/annullabilità dell'atto di precisazione per notaio D.T. stipulato in data 15.4.1999 dal S. con la sua dante causa, B. L., perché avente ad oggetto il trasferimento di un bene di proprietà comune come da sentenza n. 11106 del 1986, passata in giudicato e trascritta, nonchè del S. che eccepiva la proprietà esclusiva dello spiazzo, il giudice adito, con sentenza n. 18984 del 16 giugno 2014, in parziale accoglimento della domanda riconvenzionale proposta da C. D. , dichiarava che l'area del cortile ed il giardino siti al Largo S. A. a (omissis) 2/A erano di proprietà condominiale; in parziale accoglimento della domanda proposta dagli attori e dallo stesso C. condannava il S. a rimuovere il paletto in ferro che ostruiva l'accesso dal predetto civico;
condannava il Condominio a sostituire le serrature dei cancelli d'ingresso al predetto cortile; rigettava gli altri capi della domanda; condannava, infine, il S. al pagamento delle spese di lite in favore degli attori e del C.;
- sul gravame interposto dal S., la Corte di appello di Napoli, nella resistenza del M., che proponeva anche appello incidentale, del C. e del D.P., dichiarava inammissibile sia l'appello principale sia quello incidentale, con compensazione delle spese del grado.
La Corte distrettuale rilevava, a sostegno della decisione presa, che l'impugnazione principale, tempestivamente proposta in relazione al termine annuale di cui all'art. 327 c.p.c., era inammissibile perchè nel termine perentorio all'uopo concesso non era stato integrato il contraddittorio nei confronti degli eredi di P.A., convenuta nel giudizio di primo grado in qualità di condomina del fabbricato sito in piazza (omissis) n. 68, e parte necessaria in relazione alla natura del rapporto giuridico dedotto in giudizio. Invero, gli attori in primo grado avevano agito per il riconoscimento del diritto di servitù di passaggio sull'area di proprietà condominiale ed avevano evocato in giudizio il S., quale autore della turbativa all'esercizio del loro diritto, ed i condomini tutti; avevano quindi dedotto in giudizio un rapporto plurisoggettivo, che richiedeva la partecipazione di tutti i partecipanti al Condominio quali comproprietari del fondo asseritamente servente.
Parimenti, la domanda riconvenzionale avanzata da C. D. - volta ad acclarare che il giardino/area cortilizia sito al Largo S. A. a (omissis) n.2/A era di proprietà condominiale, e che di conseguenza C. era comproprietario del suddetto bene in proporzione al valore millesimale attribuito all'appartamento oggetto della sua proprietà esclusiva con la sentenza n.11104/1986 - esigeva la partecipazione al giudizio di primo grado di tutti i condomini, non potendo accertarsi, con l'efficacia del giudicato, la contitolarità del bene se non in presenza di tutti gli interessati (Cass. sez. un. 25454/2013).
Trattandosi, sia in relazione alla domanda attorea che in relazione alla domanda riconvenzionale, di un rapporto giuridico plurisoggettivo unico ed inscindibile, anche nella fase d'appello sussisteva, specularmente, la necessità di evocare in giudizio tutti i destinatari della pronuncia di primo grado.
Ciò premesso, doveva osservarsi che il S., pur avendo rinotificato l'atto di gravame nei confronti di alcuni condomini non raggiunti con la prima notificazione (segnatamente : C. R.; C. G., C. G. e C. S., quali eredi di C. G.; R. L., quale erede di C. C.; D. C.; P. T.) entro il termine perentorio del 30 settembre 2015, fissato dal Collegio, non aveva provveduto, entro lo stesso termine, ad integrare il contraddittorio nei confronti degli eredi di P.A., deceduta in data 12.09.2012 , e dunque in epoca precedente alla instaurazione del giudizio d'appello; poichè, in primo grado, la Paglionico era stata dichiarata contumace, né il suo decesso era stato accertato secondo le forme di cui all'art. 299 comma 4 c.p.c., l'appellante avrebbe dovuto espletare le necessarie indagini anagrafiche prima di instaurare la nuova fase di giudizio, secondo l'ordinaria diligenza (avrebbe quindi potuto agevolmente acclarare che il processo di secondo grado non poteva essere instaurato contro la P. e che occorreva individuare gli eredi). Dunque, omettendo di verificare le risultanze anagrafiche prima di incardinare la fase di gravame, il S. si era esposto al rischio che la notifica dell'atto di appello risultasse infruttuosa. Inoltre, pur avendo avuto conoscenza legale della morte della P. il 27 giugno 2014, data in cui l'ufficiale giudiziario, in occasione del primo tentativo di notifica dell'appello, attestava il decesso, non si era attivato sollecitamente per individuare gli eredi e riprendere il procedimento notificatorio nei loro confronti. Dunque, alla data del 30 settembre 2015, e quindi a distanza di oltre un anno dall'instaurazione del giudizio di gravame, l'appellante non aveva ancora richiesto il certificato storico di famiglia che gli avrebbe consentito di individuare i chiamati all'eredità secondo il vincolo familiare, ovvero, in mancanza, di ritenere che il successore fosse ex art. 565 c.c. lo Stato. In tale contesto, non ricorrevano i presupposti di cui all'art. 153, comma 2 c.p.c. per far luogo alla rimessione in termini. L'appello principale era perciò inammissibile.
Risultava parimenti inammissibile l'appello incidentale spiegato dal M. perchè tardivo. Invero, la data dell'udienza di prima comparizione fissata nell'atto di appello era quella del 12.12.2014, mentre la comparsa di risposta contenente l'appello incidentale era stata depositata in data 27.11.2014, e quindi in violazione del termine di decadenza di 20 giorni previsto dall'art. 166 c.p.c. e richiamato dall'art. 343 c.p.c.;
- per la cassazione del provvedimento della Corte d'appello di Napoli ricorre R. S., sulla base di un unico motivo, cui hanno resistito con separati controricorsi il C. e il M.;
- in prossimità dell’adunanza camerale parte ricorrente ha curato anche il deposito di memoria illustrativa ex art. 380 bis.1 c.p.c. e copia delle relate di notificazione del ricorso.
Motivi della decisione
- con l’unico motivo di ricorso il ricorrente lamenta la violazione o la falsa applicazione delle norme del procedimento ed in particolare dell'art. 153, secondo comma, e 331 c.p.c., e del diritto di difesa, ex artt. 24 e 111 Cost., con riferimento all'art. 360, primo comma n. 4 c.p.c., sull'assunto che la Corte territoriale abbia negato una proroga del termine perentorio precedentemente fissato ex art 331 c.p.c., pur in costanza di una tempestiva istanza fondata "sull'esistenza, idoneamente comprovata, di un fatto non imputabile alla parte onerata" ed impediente l'adempimento dell'ordine di integrazione, in costanza di un'ignoranza incolpevole in ordine ai soggetti nei cui confronti il contraddittorio avrebbe dovuto essere integrato.
Prosegue il ricorrente che nel caso in esame, con istanza depositata in data 30/9/15, e quindi ancor prima dello scadere del termine fissato dalla Corte territoriale per l'integrazione del contraddittorio, il difensore del S. aveva chiesto "una congrua proroga del termine fissato per la rinnovazione della notifica agli eredi della condomina P. A., ovvero, di essere rimesso nei termini per la predetta notifica con fissazione di nuova data entro cui eseguire la notifica agli eredi di A. P., previ approfonditi accertamenti per l'individuazione dei medesimi", giustificando tale istanza sull'assunto, documentato, "che non è stato possibile accertare chi siano gli eredi della sig.ra P. A., poiché nulla è emerso presso la Conservatoria dei Registri Immobiliari di Napoli e nulla è emerso dall'Ufficio Anagrafe del Comune di Napoli al quale è stato richiesto Certificato Integrale di Stato di Famiglia e, pertanto, sono necessarie ulteriori e più approfondite ricerche". La circostanza che dal certificato anagrafico di stato di famiglia integrale non emergeva l'esistenza di congiunti conviventi, e che anche la ricerca di un'eventuale dichiarazione di successione non ebbe il risultato sperato, costituisce un evento tale da rendere incolpevole la mancata individuazione degli eredi, nel termine concesso, e che giustifica la richiesta proroga e/o remissione in termini, negata.
Aggiunge il ricorrente che la Corte territoriale fa riferimento all'omessa acquisizione di un "certificato storico anagrafico". Si tratta tuttavia di un rilievo del tutto errato: l'appellante aveva, infatti, documentato di aver acquisito il certificato integrale di stato di famiglia che il Comune di Napoli rilascia proprio ai fini dell'individuazione dei familiari di un soggetto anche non più conviventi con lo stesso (quindi storico anagrafico). Egli, quindi, aveva svolto tutte le ricerche che la diligenza impone, anche acquisendo il documento che la Corte riteneva opportuno, e che normalmente conducono al risultato dell'individuazione degli eredi. Va solo detto che in questo caso ciò non è accaduto poiché, come risulta dal predetto documento allegato, la P. non ha mai avuto una residenza comune con soggetti che avrebbero potuto essere suoi eredi, poiché evidentemente non ha avuto figli e non ha mai convissuto con fratelli e genitori. Si tratta quindi di una situazione del tutto anomala in cui, per l'individuazione degli eredi, è necessaria la ricerca ed acquisizione del certificato di nascita, per individuare i genitori, e, quindi, la ricerca di altri eredi per mezzo di ricerche anagrafiche su questi ultimi: attività per le quali era giustificata l'istanza di una proroga del termine, fissato, peraltro, in meno di 90 giorni comprensivi anche del mese di agosto. Per tali motivi il rigetto dell'istanza di proroga e di remissione in termini, con la conseguente pronuncia di inammissibilità dell'appello sono errati e violano il diritto di difesa dell'attuale ricorrente e le norme in rubrica, in particolare gli artt. 331 e 153, secondo comma, c.p.c., poiché è emersa, e documentata, l'esistenza di "un fatto non imputabile alla parte onerata" e comunque, risulta "che la stessa ignori incolpevolmente la residenza dei soggetti nei cui confronti il contraddittorio avrebbe dovuto essere integrato" (Cass. n. 6982/2016). L'invocata nullità si fonda peraltro sulla tutela del diritto di difesa che, nel caso che ci occupa, è leso per l'impossibilità del ricorrente di spiegare tutte le sue difese nel procedimento e nel tempo concesso dalla legge, che concreta uno dei principi che integrano l'istituto del giusto processo.
Il motivo è privo di pregio.
Questa Corte ha precisato che " In caso di notifica di atti processuali non andata a buon fine per ragioni non imputabili al notificante, questi, appreso dell'esito negativo, per conservare gli effetti collegati alla richiesta originaria, deve riattivare il processo notificatorio con immediatezza e svolgere con tempestività gli atti necessari al suo completamento, ossia senza superare il limite di tempo pari alla metà dei termini indicati dall'art. 325 c.p.c., salvo circostanze eccezionali di cui sia data prova rigorosa" (Cass., Sez. Un., n. 14594 del 2016; Cass. n. 19056 del 2017).
Parte ricorrente non ha dato prova di avere riattivato il processo notificatorio con immediatezza, una volta appreso l'esito negativo della notifica dell’atto di appello presso il domicilio della condomina P. A., deceduta in data 12.09.2012, e dunque in epoca precedente alla instaurazione del giudizio di impugnazione, sebbene il ricorrente avesse avuto conoscenza legale della morte della stessa il 27 giugno 2014, data in cui l'ufficiale giudiziario, in occasione del primo tentativo di notifica dell'appello, attestava il decesso. Ed ha atteso la data del 30 settembre 2015 anche solo per richiedere il certificato storico di famiglia che gli avrebbe consentito di individuare i chiamati all'eredità.
E’ altrettanto chiaro che ove la notifica abbia avuto esito negativo, seppure per ragioni non imputabili al notificante, la parte che ha richiesto la notifica, appreso dell'esito negativo, per conservare gli effetti collegati alla richiesta originaria, deve riprendere il processo notificatorio senza chiedere una preventiva autorizzazione al giudice, al fine di non allungare i tempi del processo.
Né può avere rilievo l’orientamento giurisprudenziale secondo cui l'introduzione di uno spazio temporale delimitato entro il quale debba essere effettuata, ad evitare la sanzione di inammissibilità per tardività, la ripresa del procedimento notificatorio dell'impugnazione, ossia il limite di tempo pari alla metà dei termini indicati dall'art. 325 c.p.c., essendo stato puntualizzato solo con la sentenza del Supremo consesso intervenuta nel 2016, non trova applicazione allorchè la notificazione, come nel caso di specie, sia da riferire ad un tempo antecedente alla predetta pronuncia, quando era consolidato ed applicabile alla fattispecie il diverso principio secondo il quale il procedimento notificatorio poteva riprendere, ad evitare la tardività "entro un termine ragionevolmente contenuto tenuti conto i tempi necessari secondo la comune diligenza per conoscere l'esito negativo della notificazione e per assumere le informazioni ulteriori conseguentemente necessarie" (tra le altre, Cass. n. 17352 del 2009; di recente, Cass. n. 31346 del 2022), il cui apprezzamento, nel caso concreto, era lasciato di volta in volta al prudente apprezzamento del giudice. Infatti nel caso in esame, come correttamente rilevato dalla Corte distrettuale, il ricorrente pur avendo avuto conoscenza legale del decesso della condomina il 27.06.2014, ha atteso l’udienza del 4 febbraio 2015 per ottenere dal giudice un nuovo termine per notificare l’atto di appello, fissato al 30.09.2015, e a siffatta data – ormai decorso oltre un anno dal primo tentativo – non aveva ancora neanche richiesto il certificato storico di famiglia per individuare gli eventuali chiamati all’eredità, con apprezzamento del caso concreto adeguatamente e logicamente argomentato.
Solo per completezza argomentativa va al riguardo richiamato il consolidato principio secondo cui quando il giudice abbia pronunziato l'ordine di integrazione del contraddittorio in causa inscindibile e la parte onerata non vi abbia provveduto, ovvero vi abbia ottemperato solo parzialmente, evocando in giudizio soltanto alcuni dei litisconsorti pretermessi, ai sensi dell'art. 331 c.p.c., non può essere assegnato un nuovo termine per il completamento dell'integrazione, che equivarrebbe alla concessione di una proroga del termine perentorio precedentemente fissato, vietata espressamente dall'art. 153 c.p.c., salvo che l'istanza di assegnazione di un nuovo termine, tempestivamente presentata prima della scadenza di quello già concesso, si fondi sull'esistenza, idoneamente comprovata, di un fatto non imputabile alla parte onerata o, comunque, risulti che la stessa ignori incolpevolmente la residenza dei soggetti nei cui confronti il contraddittorio avrebbe dovuto essere integrato (Cass. n. 6982 del 2016 e Cass. n. 28298 del 2021). D'altronde l'ordine di integrazione del contraddittorio, emesso nei confronti di più persone, litisconsorti necessarie, non può ritenersi ottemperato ove la parte, pur avendo provveduto a depositare tempestivamente gli atti di integrazione con le relate delle notificazioni, eseguite a mezzo posta, abbia omesso di depositare l'avviso di ricevimento, relativo anche ad uno solo dei destinatari dell'ordine stesso, dovendosi ritenere non fornita la prova dell'avvenuta ottemperanza, con conseguente inammissibilità del ricorso (Cass. n. 891 del 2016; Cass. n. 28223 del 2008).
Nella specie parte ricorrente/appellante non avendo provveduto al relativo adempimento entro il 30.09.2015, non ha neanche richiesto prima della sua scadenza la concessione di una proroga.
In conclusione, il ricorso va respinto, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidano nei sensi di cui in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso;
condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che si liquidano per ciascun controricorrente, in complessivi euro 4.300,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre a contributo forfettario, iva e cpa nella misura e sulle voci come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.