Secondo la Cassazione, la sentenza di merito che dichiara la prescrizione del reato, adottata nonostante si sia proceduto in assenza dell'imputato e in mancanza delle condizioni previste dall'art. 420-bis c.p.p., è affetta da vizio derivante da difetto del contraddittorio.
La Corte d'Appello di Perugia riformava la pronuncia di primo grado, dichiarando non doversi procedere nei confronti dell'imputato poiché il reato a lui ascritto si eraestinto per intervenuta prescrizione. In tale contesto, occorre sottolineare che la Corte aveva rilevato una situazione di dubbio circa l'effettività della...
Svolgimento del processo
1. Con la sentenza impugnata la Corte d'appello di Perugia, in data 10 giugno 2022, in riforma della pronunzia di primo grado del Tribunale di Perugia, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di A. D. V. per essere il reato di cui all'art. 76 comma 3 d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 ascrittogli (per avere violato il divieto di fare ritorno nel comune di Perugia impostogli con foglio di via obbligatorio emesso e notificatogli il 17 febbraio 2017, venendo nuovamente sorpreso nel territorio del medesimo capoluogo già il successivo 2 marzo 2017) estinto per intervenuta prescrizione.
1.1 La Corte territoriale, nell'esaminare il primo motivo di gravame proposto con il quale la difesa invocava la declaratoria di nullità della sentenza di primo grado per essere stata erroneamente dichiarata l'assenza dell'imputato, osservava che: <la Corte non può che rilevare una situazione di dubbio circa l'effettività della conoscenza, da parte del V., dello svolgimento del processo di primo grado, giacché egli nominò di fiducia l'Avv. L., eleggendo domicilio presso lo studio del suddetto difensore, con atto del 02/03/2017: 1'11 marzo venne emesso l'avviso di conclusione delle indagini preliminari, a quel punto notificato all'odierno appellante presso il legale anzidetto. L'Avv. L., il successivo 25 agosto, dichiarò di rinunciare al mandato, senza ulteriori specificazioni; pertanto, il decreto di citazione a giudizio indicò quale difensore quello medio tempore designato (l'Avv. E.). Del decreto appena ricordato fu tentata una notifica al V. presso un suo recapito di Assisi, ricavato dagli atti, dove però risultò irreperibile; la notifica venne dunque rinnovata presso l'originario difensore di fiducia, in forza della primigenia elezione di domicilio. In seguito, l'Avv. L. ribadì, la rinuncia al mandato con dichiarazione del 10/12/2019, nella quale segnalò che sin dalla data del conferimento della nomina non era riuscito a mettersi in contatto con l'imputato>.
1.2. Emerge altresì dall'esame dell'impugnata sentenza come la Corte avesse tentato nuovamente il rintraccio dell'imputato disponendo rituali ricerche non andate a buon fine tanto da comportare la declaratoria di irreperibilità dell'imputato con conseguente notifica del decreto di citazione in appello ai sensi dell'articolo 159 cod. proc. pen.
1.3. La Corte perugina quindi, disposta la trattazione scritta del procedimento in ossequio alle restrizioni dovute all'emergenza epidemiologica da Covid19, acquisite le conclusioni scritte del Procuratore Generale (che chiedeva l'assoluzione dell'imputato per insussistenza del fatto) e della difesa dell'imputato (che insisteva nell'eccezione di nullità della sentenza di primo grado, nonché, nel merito sugli altri motivi di gravame, associandosi alle conclusioni del P.G.), pur dando atto dell'impossibilità di rintracciare il V., risultato irreperibile, e sul presupposto della <più che verosimile impossibilità di affermare che egli, già in occasione del processo di primo grado, fosse stato realmente edotto circa i dati essenziali della vicenda processuale che lo avrebbe dovuto riguardare>, non emergendo gli estremi per una più favorevole decisione liberatoria di merito, dichiarava non doversi procedere nei confronti dell'imputato per intervenuta prescrizione del reato a lui ascritto.
2. Propone ricorso l'imputato, con atto sottoscritto dal suo difensore avv. S. E., affidato ai due seguenti motivi.
2.1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce la violazione dell'art. 606 comma 1, lett. b), c) ed e) cod. proc. pen, in relazione agli artt. 178 e ss., 420-bis cod. proc. pen. ed in correlazione agli artt. 2 e 76 comma 3 d.lgs. n. 159 del 2011, lamentando inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità, di inutilizzabilità, di inammissibilità o di decadenza, nonché mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione. I giudici di merito avrebbero errato nell'omettere di dichiarare la nullità della sentenza di primo grado poiché emessa nell'ambito di un giudizio totalmente mancante di regolare costituzione delle parti, essendo stata comprovata la circostanza che V. non aveva avuto alcuna conoscenza effettiva della chiamata in giudizio. Aveva in particolare errato il giudice monocratico del Tribunale di Perugia allorquando, all'udienza 4 giugno 2019, aveva dato atto della regolarità della notifica dell'imputato e ne aveva dichiarato l'assenza ai sensi dell'articolo 420-bis cod. proc. pen. disponendo procedersi oltre; tale situazione si era riproposta nel giudizio d'appello in quanto la notifica dell'avviso di fissazione dell'udienza era stata effettuata all'imputato ai sensi dell'art. 159 cod. proc. pen.; il medesimo difensore dava atto inoltre di non essere mai riuscito a contattare il proprio assistito, materialmente irreperibile e di aver comunicato la circostanza alla Corte d'appello. Osservava infine come sussistesse un interesse concreto dell'imputato ad ottenere una assoluzione nel merito, risultando evidente la prova della sua innocenza.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione dell'art. 606 comma 1, lett. b), c) ed e) cod. proc. pen, in relazione agli artt. 125 cod. pen., 129 comma 2, 530 e ss., 192 cod. proc. pen. ed in correlazione agli artt. 2 e 76 comma 3 d.lgs. n, 159 del 2011, 295 e 297 r.d. 18 giugno 1931, n. 773 (TULPS), 21-septies legge 241 del 1990, lamentando la violazione di legge, la mancata assunzione di prove decisive e il vizio di motivazione, per essere stata dichiarata l'estinzione del reato contestato al V., pur in presenza di risultanze istruttorie che consentivano una pronuncia assolutoria nel merito ex art. 129 comma 2 cod. proc. pen. (come peraltro concluso dallo stesso Procuratore Generale presso la Corte perugina). Dopo avere premesso di non rinunciare alla prescrizione, la difesa ricorrente osservava che il V. era risultato destinatario di un provvedimento del 17/02/2017 con il quale il Questore di Perugia aveva applicato nei suoi confronti il divieto di fare rientro nel comune di Perugia per la durata di tre anni: il provvedimento doveva tuttavia ritenersi illegittimo, e quindi essere disapplicato dal Giudice penale, per difetto di motivazione sulla pericolosità del soggetto e per l'assenza, nel provvedimento, di un ordine di rimpatrio.
3. Il Sostituto Procuratore generale presso questa Corte, dott.ssa O. M., ha fatto pervenire requisitoria scritta con la quale ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso. Secondo il pubblico ministero «l'eventuale fondatezza del motivo in rito, in presenza della causa estintiva per decorso del termine massimo di prescrizione, non sussistendo evidenze probatorie in grado di condurre al proscioglimento dell'imputato, impedisce di condurre oltre la valutazione del merito in applicazione del principio sul punto posto da Sez. U., Sez. U., n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv. 244274».
Motivi della decisione
1. Il- primo motivo di ricorso è fondato, con conseguente assorbimento del secondo motivo.
2. Il ricorrente ha tempestivamente sollevato, con atto di gravame innanzi alla Corte d'appello, il tema relativo alla corretta instaurazione del contraddittorio, censurando come illegittima la dichiarazione di assenza dell'imputato pronunciata dal giudice di primo grado all'udienza 4 giugno 2019.
La stessa Corte d'appello ha sostanzialmente rilevato la fondatezza dell'eccezione: ricorre, dunque, una nullità assoluta ed insanabile, ai sensi dell'art. 179 cod. proc. pen., come sarà ulteriormente precisato in prosieguo, risultando le modalità di instaurazione del processo inidonee a determinare la conoscenza effettiva di esso da parte dell'imputato.
La Corte d'appello, disattendendo la richiesta di proscioglimento del V. nel merito ex art. 129 comma 2 cod. proc. pen, formulata dalla difesa, ha tuttavia, pur in presenza di una nullità siffatta, attinente la violazione del contraddittorio, ritenuto prevalente la causa estintiva del reato ed ha dichiarato la prescrizione.
3. La tematica introdotta con il ricorso, attinente il rapporto tra la nullità assoluta per violazione del contraddittorio e la concomitante causa di estinzione del reato, necessita di uno sforzo di inquadramento preliminare che pare utile anche al fine di individuare la regola di giudizio per il caso concreto esaminato. Occorre a tal fine operare un richiamo al diritto vivente, i cui principi costituiscono il precipitato di una complessa evoluzione del sistema processuale italiano, passato dalla regolamentazione del processo in contumacia a quella del processo in assenza, attraverso un percorso graduale, inteso a un progressivo ampliamento delle garanzie dell'imputato che non abbia partecipato al processo. Un incedere per tappe che è stato analiticamente delineato dal Supremo Collegio di questa Corte di legittimità in una recente pronuncia (Sez. U, n. 15498 del 26/11/2020, dep. 2021, Lovric, Rv. 280931): punto di partenza è costituito dalla novella di cui al d.l. 21 febbraio 2005, n. 17, convertito con modificazioni dalla legge 22 aprile 2005, n. 60, modificativa del comma 2 dell'art. 175, cod. proc. pen., con la quale il legislatore italiano si è adeguato alle pronunce del giudice sovranazionale che avevano riscontrato il contrasto tra la disciplina della contumacia ed il diritto dell'imputato di partecipare al proprio processo e di esercitarvi le facoltà difensive (per tutte, Corte Edu Somogy c. Italia, 18/5/2004, e Sejdovic c. Italia, 10/11/2004).
La seconda fase del processo evolutivo prende le mosse, invece, dalle rilevate criticità che il sistema normativo di nuovo conio denunciava sul piano della effettività dei rimedi per l'imputato "assente" inconsapevole dal processo.
Proprio tali criticità e le riserve espresse dalla Corte di Strasburgo sulla tenuta convenzionale del nuovo rito contumaciale (tra tutte, Corte EDU, Kollcaku c. Italia, 8/2/2007; Cat Berro c. Italia, 25/11/2008) sono all'origine del successivo passaggio evolutivo del sistema: con la legge 28 aprile 2014, n. 67, infatti, si è realizzata la definitiva abrogazione del giudizio contumaciale, operandosi una completa rimodulazione del processo in assenza, con l'abbandono del meccanismo di conoscenza presuntiva, legato alla regolarità formale delle notificazioni. La più recente novella ha configurato un modello di processo per il quale l'imputato deve essere portato direttamente e personalmente a conoscenza della vacatio in ius, conservando la facoltà, consapevole e volontaria, di non partecipare al processo, nel qual caso lo stesso si svolge in sua assenza ed egli viene rappresentato dal suo difensore. Principio cardine della riforma, per come emerge dalla rinnovata formulazione degli artt. 420-bis e ss., cod. proc. pen., è dunque quello per cui il giudice può procedere solo qualora abbia acquisito la certezza della conoscenza originaria del processo da parte dell'imputato, dovendo altrimenti sospenderlo (ovvero, dopo l'entrata in vigore del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, definirlo in rito, con pronuncia di improcedibilità per mancata conoscenza della pendenza del processo da parte dell'imputato).
Così facendo, il legislatore ha subordinato la possibilità di celebrare il processo "in assenza" all'effettiva informazione sul contenuto dell'accusa, sulla pendenza del procedimento e sui tempi e luoghi della sua celebrazione; informazione che deve essere riferita all'accusa contenuta in un provvedimento formale di "vacatio in iudicium" (Sez. U, n. 28912 del 28/2/2019, Innaro, Rv. 275716).
Si legge appunto in Sez. U, n. 15498 del 26/11/2021, Lovric, cit., che vi è la necessità di garantire primariamente l'effettiva conoscenza del processo da parte dell'imputato, pur in presenza di notifiche apparentemente e formalmente valide e tuttavia incapaci di assicurare detta conoscenza e, in ultima analisi, di assicurare il giusto processo funzionale alla tutela anche della presunzione di innocenza. In tale contesto, Sez. U, n. 23948 del 28/11/2019, dep. 2020, Ismail, Rv. 279420, hanno ulteriormente chiarito che, ai fini della dichiarazione di assenza, non può considerarsi presupposto idoneo la sola elezione di domicilio presso il difensore d'ufficio da parte dell'imputato, ma, al contrario, il giudice deve, in ogni caso, verificare, anche in presenza di altri elementi, che vi sia stata l'effettiva instaurazione di un rapporto professionale con il legale domiciliatario, tale da fargli ritenere con certezza che l'imputato abbia avuto conoscenza del procedimento ovvero si sia sottratto volontariamente allo stesso.
4. Chiarito il quadro sul tema dell'assenza, si innesta ora la connessa problematica del decorso del tempo e quindi della rilevanza, rispetto ad un processo affetto da·nullità derivante dalla violazione delle norme di garanzia sul processo in assenza, della causa estintiva rappresentata dalla prescrizione.
La questione attinente il rapporto tra causa estintiva e nullità anche assoluta è stata ripetutamente oggetto di pronunce delle Sezioni Unite Sez. U, n. 1021 del 28/11/2001, dep. 2002, Cremonese, Rv. 220511, statuì che, "qualora già risulti una causa di estinzione del reato, la sussistenza di una nullità di ordine generale non è rilevabile nel giudizio di legittimità, in quanto l'inevitabile rinvio al giudice del merito è incompatibile con il principio dell'immediata applicabilità della causa estintiva". Poco dopo, Sez. U, n. 17179 del 27/02/2002, Conti, Rv. 221403, ribadì che "il principio di immediata declaratoria di determinate cause di non punibilità sancito dall'art. 129 cod. proc. pen. impone che nel giudizio di cassazione, qualora ricorrano contestualmente una causa estintiva del reato e una nullità processuale assoluta e insanabile, sia data prevalenza alla prima, salvo che l'operatività della causa estintiva non presupponga specifici accertamenti e valutazioni riservati al giudice di merito, nel qual caso assume rilievo pregiudiziale la nullità, in quanto funzionale alla necessaria rinnovazione del relativo giudizio".
In questo quadro, Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv. 2442750, richiamate dal Procuratore Generale nelle sue conclusioni, ha riaffermato il principio per cui "in presenza di una causa di estinzione del reato, non sono rilevabili in sede di legittimità vizi di motivazione della sentenza impugnata in quanto il giudice del rinvio avrebbe comunque l'obbligo di procedere immediatamente alla declaratoria della causa estintiva (in motivazione, la S.C. ha affermato che detto principio trova applicazione anche in presenza di una nullità di ordine generale)".
Successivamente la pronuncia a Sez. U, n. 28954 del 27/04/2017, Iannelli, Rv. 269809, ha affermato che nell'ipotesi di sentenza d'appello pronunciata "de plano" in violazione del contradditorio tra le parti, che, in riforma della sentenza di condanna di primo grado, abbia dichiarato l'estinzione del reato per prescrizione, la causa estintiva del reato prevale sulla nullità assoluta ed insanabile della sentenza, sempreché non risulti evidente la prova dell'innocenza dell'imputato, dovendo la Corte di cassazione adottare in tal caso la formula di merito di cui all'art. 129, comma 2, cod. proc. pen.
5. Nel panorama così delineato, è tuttavia recentemente intervenuta la sentenza n. 111 del 2022 della Corte Costituzionale che, dopo aver analizzato il diritto vivente sedimentatosi a partire dalla decisione della Sezioni Unite di cui sopra, ha ritenuto l'interpretazione così validata in contrasto con gli artt. 24, secondo comma, e 111, secondo comma, Cast.; è stato, così, dichiarato incostituzionale l'art. 568, comma 4, cod. proc. pen., in quanto interpretato nel senso che è inammissibile, per carenza di interesse ad impugnare, il ricorso per cassazione proposto dall'imputato avverso sentenza di appello che, in fase predibattimentale e senza alcuna forma di contraddittorio, abbia dichiarato non doversi procedere per intervenuta prescrizione del reato.
La Corte Costituzionale ha chiarito che <<La nozione di "ragionevole" durata del processo (in particolare penale) è sempre il frutto di un bilanciamento delicato tra i molteplici - e tra loro confliggenti - interessi pubblici e privati coinvolti, in maniera da coniugare l'obiettivo di raggiungere il suo scopo naturale dell'accertamento del fatto e dell'eventuale ascrizione delle relative responsabilità, nel pieno rispetto delle garanzie della difesa, con l'esigenza, pur essenziale, di raggiungere tale obiettivo in un lasso di tempo non eccessivo. Sicché una violazione del principio della ragionevole durata del processo, di cui all'art. 111, secondo comma, Cast., può essere ravvisata soltanto allorché l'effetto di dilatazione dei tempi processuali, determinato da una specifica disciplina, non sia sorretto da alcuna logica esigenza e si riveli, quindi, privo di qualsiasi legittima ratio giustificativa (ex plurimis, sentenze n. 260 del 2020, n. 124 del 2019, n. 12 del 2016 e n. 159 del 2014). Giova allora ricordare che la sentenza n. 317 del 2009 ha già precisato che il diritto di difesa ed il principio di ragionevole durata del processo non possono entrare in comparazione, ai fini del bilanciamento, indipendentemente dalla completezza del sistema delle garanzie, in quanto ciò che rileva è esclusivamente la durata del «giusto» processo, quale delineato proprio dall'art. 111 Cost. In tale sentenza si è, quindi, affermato che «[u]na diversa soluzione introdurrebbe una contraddizione logica e giuridica all'interno dello stesso art. 111 Cast., che da una parte imporrebbe una piena tutela del principio del contraddittorio e dall'altra autorizzerebbe tutte le deroghe ritenute utili allo scopo di abbreviare la durata dei procedimenti. Un processo non "giusto", perché carente sotto il profilo delle garanzie, non è conforme al modello costituzionale, quale che sia la sua durata. In realtà, non si tratterebbe di un vero bilanciamento, ma di un sacrificio puro e semplice, sia del diritto al contraddittorio sancito dal suddetto art. 111 Cost., sia del diritto di difesa, riconosciuto dall'art. 24, secondo comma, Cost.: diritti garantiti da norme costituzionali che entrambe risentono dell'effetto espansivo dell'art. 6 CEDU e della corrispondente giurisprudenza della Corte di Strasburgo. (...) Questa Corte ha già da tempo sottolineato l'essenzialità che riveste il contraddittorio, anche ai fini dell'accertamento della causa estintiva del reato (sentenza n. 91 del 1992), nonché la rilevanza dell'interesse dell'imputato prosciolto per estinzione del reato a sottoporre la mancata applicazione delle formule più ampiamente liberatorie alla verifica di un giudice di merito, piuttosto che alla Corte di cassazione>>.
Ebbene, la Corte costituzionale ha affermato che una sentenza di appello di proscioglimento dell'imputato per intervenuta prescrizione emessa de plano si pone al di fuori di un «giusto processo» ex art. 111 Cost.: la nullità assoluta che si realizza non è, pertanto, bilanciabile con le esigenze di ragionevole durata sottese all'operatività della disciplina della immediata declaratoria delle cause di non punibilità in rito di cui all'art. 129 cod. proc. pen.
Si è evidenziata, inoltre, l'essenzialità del contraddittorio, anche ai fini dell'accertamento della causa estintiva del reato, nonché la rilevanza dell'interesse dell'imputato prosciolto per estinzione del reato a sottoporre la mancata applicazione delle formule più ampiamente liberatorie alla verifica di un giudice di merito, piuttosto che alla Corte di cassazione.
La Corte costituzionale ha quindi affermato che la dichiarazione di estinzione del reato, adottata in assenza di un autentico contraddittorio, limita l'emersione di eventuali ragioni di proscioglimento nel merito e, di fatto, comprime la stessa facoltà dell'imputato di rinunciare alla prescrizione, in maniera non più recuperabile nel giudizio di legittimità, la cui cognizione è fisiologicamente più limitata rispetto a quella del giudice di merito.
6. Il Collegio ritiene che le affermazioni della Corte costituzionale, contenute nella decisione n. 111 del 2022, di accoglimento della proposta questione di legittimità costituzionale, siano espressione di un più generale principio, di rango costituzionale, che impone di riconsiderare il rapporto tra cause estintive del reato e nullità processuali attinenti la corretta instaurazione del contraddittorio.
Secondo tale impostazione, costituzionalmente orientata, la regola della necessaria prevalenza della causa estintiva, e in particolare di quella rappresentata dalla maturata prescrizione, sulla nullità della sentenza, pronunciata in difetto di valida costituzione del rapporto processuale, sempreché non risulti evidente la prova dell'innocenza dell'imputato, non può essere ulteriormente sostenuta.
7. Il diritto di difesa, che le norme sul contraddittorio processuale tutelano, e il principio di ragionevole durata del giudizio, che è a concorrente fondamento dell'istituto della prescrizione, possono entrare in bilanciamento nei soli limiti in cui sia comunque assicurato un processo «giusto», come richiede l'art. 111, primo comma, Cost., come ulteriormente ribadito dal giudice delle leggi nella sentenza n. 67 del 2023.
Lo snodo ineludibile affinché possa aversi un processo giusto è certamente la celebrazione di un giudizio nella pienezza del suo contraddittorio. Il principio di durata ragionevole del processo costituisce una garanzia riferibile esclusivamente al modello legale di processo penale costituzionale dal principio di contraddittorio: senza contraddittorio non esiste un processo penale costituzionalmente accettabile e della cui irragionevole durata ci si debba pertanto occupare. Ciò si desume anche dalla scelta lessicale del legislatore costituzionale, laddove l'articolo 111, secondo comma, Cost., il quale recita <Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti (...). La legge ne assicura la ragionevole durata">, pone i due valori nella descritta corretta reciproca relazione.
Il bilanciamento tra il diritto di difesa e il principio di ragionevole durata del processo deve dunque tener conto dell'intero sistema delle garanzie processuali, per cui rileva esclusivamente la durata del «giusto» processo, quale complessivamente delineato in Costituzione, mentre un processo non «giusto», perché carente sotto il profilo delle garanzie, non è conforme al modello costituzionale, quale che sia la sua durata; e che un incremento di tutela indotto dal dispiegarsi degli effetti della normativa CEDU e della corrispondente giurisprudenza della Corte di Strasburgo certamente non lede gli articoli della Costituzione posti a garanzia degli stessi diritti, ma ne esplicita ed arricchisce il contenuto, innalzando il livello di sviluppo dell'ordinamento nazionale nel settore dei diritti fondamentali.
E quindi il contraddittorio tra le parti, valore di rango costituzionale (art. 111, secondo comma, Cost.), ampiamente valorizzato anche dalla giurisprudenza della Corte EDU, non solo è posto a presidio dell'effettività del diritto di difesa, ma rappresenta, oggettivamente, il postulato indefettibile di ogni pronuncia terminativa del processo che abbia forma di sentenza.
"Giudizio" e "contraddittorio" esprimono, in altri termini, un binomio indissolubile; sicché la regola della prevalenza della formula terminativa del procedimento per prescrizione su una causa di nullità assoluta non può esplicarsi qualora la nullità, attenendo alla conoscenza stessa del processo da parte dell'imputato, non si collochi nell'ambito di un giudizio «giusto», ma derivi, più radicalmente, dall'assenza di quest'ultimo: pena la collisione con i richiamati parametri costituzionali.
Deve infatti ritenersi che una sentenza emessa a carico di un soggetto, ignaro finanche della pendenza del processo, equivalga a una decisione emessa «al di fuori di un giudizio».
8. Deve essere pertanto affermato il principio di diritto, secondo cui la sentenza di merito, dichiarativa della prescrizione del reato, adottata nonostante si sia proceduto in assenza dell'imputato e in mancanza delle condizioni previste dall'art. 420-bis cod. proc. pen., è affetta da vizio derivante da difetto del contraddittorio, sul quale la causa estintiva non prevale.
Di conseguenza, la Corte di cassazione, secondo interpretazione costituzionalmente orientata, deve annullare la sentenza in tal modo viziata, dinanzi a sé impugnata, sempreché non risulti evidente la prova dell'innocenza dell'imputato, dovendo la Corte adottare in tal caso la formula di merito di cui all'art. 129, comma 2, cod. proc. pen.
9. Nel caso in esame, come già sopra argomentato, la Corte territoriale ha sostanzialmente revocato in dubbio < l'effettività della conoscenza, da parte del V., dello svolgimento del processo di primo grado>, essendo il decreto di citazione a giudizio stato notificato presso il difensore d'ufficio nominato dopo che il legale di fiducia, in considerazione della mancata effettiva instaurazione di alcun rapporto, aveva rimesso il mandato.
La celebrazione del processo, in assenza delle condizioni di cui all'art. 420- bis, commi 1 e 2, cod. proc. pen., determina, ai sensi dell'art. 604, comma 5-bis, la nullità della sentenza di primo grado, equiparabile, quanto al regime di rilevabilità, nel regime processuale antecedente il d.lgs. n. 150 del 2022, ad una nullità assoluta (Sez. 5, n. 37185 del 01/07/2019, Della Torre, Rv. 277339), con conseguente obbligo da parte del giudice di appello di restituzione degli atti a quello di primo grado, nella specie non adempiuto.
Ne discende conclusivamente l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata - emessa dalla Corte d'appello di Perugia in data 10 giugno 2022 - e della sentenza emessa dal Tribunale di Perugia il 4 maggio 2021 nei confronti di A. D. V., non risultando allo stato evidente la prova dell'innocenza dell'imputato.
Gli atti debbono essere trasmessi al giudice di primo grado per la rinnovata rituale celebrazione del giudizio.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata e la sentenza pronunciata il 4 maggio 2021 dal Tribunale di Perugia, e dispone trasmettersi gli atti al Tribunale di Perugia per l'ulteriore corso.