Con un nuovo principio, la Suprema Corte afferma che «la facoltà di assegnare alle parti i termini previsti dall'art. 183 c.p.c. per l'indicazione di mezzi di prova e per le produzioni documentali, in giudizio di querela di falso proposta in via principale, non fa venir meno il requisito di validità previsto dall'art. 221, comma 2, c.p.c.».
Svolgimento del processo
GD, FD, EP, RP e CA convennero in giudizio innanzi al Tribunale di Trapani (omissis) s.p.a. (in seguito (omissis) s.p.a.) proponendo querela di falso in relazione ai documenti denominati “Partecipazione a corso di formazione per il personale assunto con contratto di formazione e lavoro”, prodotti dalla convenuta nel giudizio innanzi al Giudice del lavoro. Esposero gli attori che i detti documenti erano stati completati dopo che dagli stessi attori erano stati sottoscritti, in mancanza della loro autorizzazione e recando un contenuto non corrispondente alla realtà quanto alla sottoposizione dei medesimi attori ad attività di formazione nei giorni ivi indicati. Il Tribunale adito rigettò la domanda, osservando che non risultavano indicati gli elementi di falsità in violazione dell’art. 221 cod. proc. civ. e che non erano state provate le circostanze della sottoscrizione di foglio non ancora riempito e del riempimento absque pactis. Avverso detta sentenza proposero appello gli attori, salvo la RP. Con sentenza di data 14 marzo 2018 la Corte d’appello di Palermo rigettò l’appello.
Osservò la corte territoriale che, in violazione dell’art. 221, comma 2, cod. proc. civ., nella proposta querela era stata omessa la formulazione precisa e articolata del contenuto della prova testimoniale, essendo stato ottemperato a tale onere solo nella memoria ai sensi dell’art. 183, comma 6, n. 2 cod. proc. civ.. Aggiunse che non vi era prova che i documenti fossero stati riempiti senza autorizzazione perché, se era vero che la teste Sindoni aveva reso dichiarazioni conformi all’assunto di parte appellante, ma con tale precisione dopo circa un decennio dai fatti da far dubitare della piena attendibilità, era anche vero che il teste Coronella aveva confermato di avere parzialmente riempito i documenti prima che venissero sottoscritti, non essendogli mai accaduto di far sottoscrivere dichiarazioni in bianco.
Hanno proposto ricorso per cassazione GD, FD e EP sulla base di due motivi e resiste con controricorso la parte intimata. È stato fissato il ricorso in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 bis.1 cod. proc. civ..
Il Collegio si è riservato il deposito nei sessanta giorni successivi alla camera di consiglio.
Motivi della decisione
Con il primo motivo si denuncia violazione degli artt. 221, comma 2, 163, 164 e 183 cod. proc. civ., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.. Osserva la parte ricorrente che la previsione di cui all’art. 221, comma 2, deve essere armonizzata con le disposizioni (artt. 163 e 164) che prevedono l’assegnazione di un termine per la rinnovazione dell’atto di citazione mancante di taluno dei requisiti, nonché con l’art. 183, che consente alle parti di richiedere un termine per l’indicazione dei mezzi di prova, come accaduto nel caso di specie, in cui le prove sono state articolate nella memoria ai sensi dell’art. 183, comma 6, n. 2 cod. proc. civ.. Aggiunge che, rilevata la nullità, comunque il giudice avrebbe dovuto concedere ai sensi dell’art. 164, comma 5, un termine per l’integrazione degli elementi mancanti, posto che, diversamente, la parte nel procedimento incidentale per querela di falso non avrebbe modo di introdurre l’elemento mancante nel proprio atto difensivo.
Il motivo è infondato. L’art. 221, comma 2, cod. proc. civ., senza fare distinzione fra querela proposta in via principale e querela proposta in corso di causa, prevede che la querela di falso debba contenere, a pena di nullità, l’indicazione, oltre che degli elementi, delle prove della falsità. L’indirizzo risalente di questa Corte è nel senso che, ai sensi dell’art. 221, secondo comma, cod. proc. civ., l’atto con il quale viene proposta la querela di falso, in via principale od in corso di causa, deve contenere, a pena di nullità insanabile e, quindi, di inammissibilità della querela, l’indicazione degli elementi e delle prove della falsità (non potendo nuovi elementi essere dedotti dalla parte successivamente), salvo che la falsità sia rilevabile ictu oculi dal documento impugnato e non occorrano indagini particolari per stabilirla (Cass. n. 6383 del 1988; n. 8230 del 1990; n. 10874 del 2018).
Laddove la querela sia proposta in via principale trova applicazione l’art. 183, comma 6, cod. proc. civ., perché essa si configura, malgrado la peculiarità del suo oggetto, come un giudizio ordinario di cognizione nel quale trova applicazione la detta disposizione, senza che a ciò osti l’art. 221 c.p.c., che ha la propria ratio esclusiva nel consentire al giudice di valutare preliminarmente, in omaggio al principio della ragionevole durata del processo, la sussistenza dei presupposti per la proposizione della querela (Cass. n. 1866 del 2016). Si afferma, d’altra parte, che nell’ambito di un sub- procedimento sostanzialmente deformalizzato qual è quello con cui si propone querela di falso in via incidentale, non è configurabile una preclusione alla possibilità di articolare mezzi di prova sia perché non è applicabile la previsione di cui all’art. 183 comma 6 c.p.c., sia perché gli artt. 221 e 222 c.p.c. non prevedono termini perentori per la proposizione di istanze istruttorie, fatta salva la necessità che non sia leso il diritto delle altre parti alla controprova (Cass. n. 15703 del 2021). Tutto questo senza che possa però venire meno il requisito di validità previsto dall’art. 221, comma 2, della indicazione delle prove di falsità. Le facoltà accordate alla parte querelante dall’art. 183, riconosciute da Cass. n. 1866 del 2016, lasciano infatti fermi i requisiti previsti a pena di nullità della querela, anche per la specialità della relativa disposizione; mentre la carenza di tali requisiti non può essere assimilata a quella dei requisiti generali di forma dell’atto di citazione, per i quali a certe condizioni è ammessa la sanatoria dall’art. 184 cod. proc. civ., altrimenti vanificandosi la previsione del loro rispetto ai fini della stessa ammissibilità di quella speciale azione.
Va in conclusione enunciato il seguente principio di diritto “la facoltà di assegnare alle parti i termini previsti dall’art. 183 cod. proc. civ. per l’indicazione di mezzi di prova e per le produzioni documentali, in giudizio di querela di falso proposta in via principale, non fa venir meno il requisito di validità previsto dall’art. 221, comma 2, cod. proc. civ., secondo cui la querela di falso deve contenere, a pena di nullità, l’indicazione, oltre che degli elementi, delle prove della falsità”.
Con il secondo motivo si denuncia omesso esame del fatto decisivo e controverso ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ.. Osserva la parte ricorrente che il giudice di appello ha omesso di esaminare la dichiarazione del teste Coronella, secondo cui era possibile che le date indicate quali giorni di formazione non fossero corrette per lo slittamento di qualche giorno, così ammettendo che il teste che il riempimento delle parti della dichiarazione, oggetto di querela, era avvenuto in data successiva alla sottoscrizione dei documenti.
Il motivo è inammissibile. La censura di vizio motivazionale, che alla luce della c.d. doppia conforme sarebbe comunque destinata a ricadere nel regime di cui all’art. 348 ter, comma 5, cod. proc. civ., attinge una parte della motivazione della decisione impugnata alla quale non può essere attribuita la natura di ratio decidendi. Avendo, infatti, il giudice del merito definito negativamente in rito la querela di falso per il mancato rispetto del requisito dell’indicazione dei mezzi di prova, ha perso la potestas iudicandi in ordine al merito della controversia, per cui la parte non ha interesse ad impugnare una motivazione che deve qualificarsi come svolta ad abundantiam (Cass. Sez. U. n. 3840 del 2007 e successive conformi).
Ad ogni buon conto, la circostanza di fatto evidenziata non sarebbe decisiva, in quanto prospettante una mera possibilità.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza: e vanno poste, per l’evidente comunanza del loro interesse in causa, a carico solidale dei ricorrenti.
Poiché il ricorso viene disatteso, sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, che ha aggiunto il comma 1 - quater all’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento, da parte della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna i ricorrenti, tra loro in solido, al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.