L'erede di Tizio...
Svolgimento del processo
Il tribunale di Novara liquidò il compenso ai due curatori del fallimento di (omissis) s.r.l. in liquidazione, rag. ML (nominato in origine e poi revocato dall’incarico) e dr. DN, attribuendo una somma a ciascuno previa asserita valutazione dell'attività svolta.
La decisione venne impugnata da MFM, erede di ML, con ricorso del luglio 2015, sulla base di tre motivi.
Nella resistenza della curatela, questa Corte, con ordinanza n. 25532 del 2016, lo accolse, perché il decreto era stato reso senza il rispetto del principio del contraddittorio e perché lo stesso era altresì sostanzialmente mancante di motivazione con riferimento alla ripartizione del compenso finale tra i due professionisti succedutisi nella veste di curatori fallimentari. Ha quindi cassato il decreto con rinvio affinché il tribunale, in diversa composizione, provvedesse a rideterminare il compenso a ciascuno spettante in base al principio di diritto che segue:
- “è affetto da carenza assoluta di motivazione, denunciabile con ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 Cost., il decreto con cui il tribunale fallimentare liquidi il compenso a due curatori succedutisi nel corso della procedura, calcolandolo sul complessivo ammontare dell'attivo realizzato, senza precisare l'ammontare dell'attivo realizzato da ciascuno di essi, e senza determinare, all'interno dei valori così identificati, l'esatta percentuale applicata tra il minimo e il massimo astrattamente previsti, sulla base dei criteri di cui agli artt. 1 e 2 del d.m. 28 luglio 1992, n. 570 (applicabile nella specie "ratione temporis"), i quali, anticipando il criterio di proporzionalità successivamente introdotto nell'art. 39 della legge fall. dall'art. 37 del d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, mirano a temperare il criterio di cassa della realizzazione dell'attivo con quello di competenza, nel caso in cui il momento solutorio conseguente alla fase liquidatoria dei beni sia temporalmente ricadente nella gestione del curatore subentrato, pur essendo casualmente riferibile ad operazioni condotte dal curatore revocato”.
Il tribunale di Novara, in sede di rinvio, ha confermato il compenso unitario in 80.000,00 EUR, tenuto conto dell’attivo complessivamente realizzato e del passivo accertato, e lo ha ripartito nella misura del 32,5 % in favore di ML e del 67,4 % in favore di DN.
Ha motivato affermando che le somme giacenti sul conto della società alla data del fallimento e non ripartite dovevano considerarsi nell’attivo realizzato (per acquisizione) da entrambi i curatori, e che in tal modo la ripartizione avrebbe consentito di attribuire al secondo un importo prossimo al valore medio sull’attivo realizzato e sul passivo accertato, e al primo – che pure aveva accertato integralmente il passivo – un importo inferiore al minimo, ma giustificato dal fatto che questi era stato revocato per negligenza, avendo ingiustificatamente protratto i tempi della liquidazione.
L’erede di ML, MFM, ha nuovamente proposto ricorso per cassazione, deducendo quattro motivi.
Il Fallimento, in persona del curatore DN, ha replicato con controricorso.
Le parti hanno depositato memorie.
Motivi della decisione
I. - Col primo motivo la ricorrente denunzia la violazione o falsa applicazione del criterio di proporzionalità di cui all’art. 39 legge fall., per avere il decreto disatteso lo spirito e la sostanza del principio di diritto enunciato dall’ordinanza di cassazione, ispirato a quel criterio.
La tesi è questa: in base allo stesso provvedimento impugnato l’attivo, pari a complessivi 1.427.913,16 EUR, era stato realizzato da ML per 1.229.122,11 EUR e da DN per il mero residuo, mentre il passivo (di 4.693.326,46 EUR) era stato interamente accertato da ML; sicché il curatore subentrante aveva semplicemente realizzato un attivo di 198.791,05 EUR.
Ciò stante, non sarebbe giustificata, secondo la ricorrente, la ripartizione finale del compenso unitario (fissato in complessivi 80.000,00 EUR), nella misura del 31,5 % in favore di ML e del 67,4 % in favore del subentrante DN, giacché a questo l’attribuzione della detta percentuale avrebbe consentito di ottenere un compenso largamente eccedente il massimo della tariffa applicabile.
II. – Col secondo mezzo la ricorrente denunzia la violazione o falsa applicazione degli artt. 1 e 2 del d.m. n. 30 del 2012, perché in applicazione delle percentuali previste sarebbe spettato a ML un compenso sull’attivo realizzato non inferiore al minimo di 44.814,41 EUR, nonché con riguardo al passivo accertato un compenso non inferiore a 2.921,21 EUR, oltre al rimborso di spese forfetarie in misura pari a 2.386,78 EUR: e quindi una somma ben superiore a quella (26.000,00 EUR) liquidata dal tribunale; mentre all’altro curatore (DN), anche in applicazioni delle percentuali massime previste dalla norma, sarebbe spettato un compenso di 15.679,99 EUR, a fronte di quello (54.000,00 EUR) liquidato dal tribunale.
III. – Nel terzo motivo è dedotta la nullità del decreto per carenza assoluta di motivazione rispetto al principio di diritto fissato in sede di cassazione, a proposito dell’esatta percentuale applicata tra il minimo e il massimo astrattamente previsti.
IV. – Infine nel quarto motivo è dedotta la violazione o falsa applicazione dell’art. 91 cod. proc. civ. in ordine alla disposta compensazione delle spese processuali.
V. - I primi tre motivi possono essere esaminati unitariamente, poiché nella sostanza propongono tutti la stessa questione.
I motivi sono fondati nel senso che segue.
VI. - Opportuna premessa è che il principio di diritto al quale il giudice del rinvio era tenuto a uniformarsi presupponeva il rinnovo della motivazione del decreto, in quanto quello cassato l’aveva esibita in modo solo apparente, previa conformazione a ciò che era stato stabilito in iure: vale a dire che il compenso a due curatori succedutisi nel corso della procedura deve essere calcolato sul complessivo ammontare dell'attivo in proporzione a quanto realizzato da ciascuno di essi, secondo una percentuale applicata tra il minimo e il massimo astrattamente previsti sulla base dei criteri di cui agli artt. 1 e 2 del d.m. 28 luglio 1992, n. 570 (applicabile nella specie ratione temporis).
Questo perché quei criteri, anticipando il canone di proporzionalità successivamente introdotto nell'art. 39 della legge fall. dall'art. 37 del d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, (il fallimento in questione è stato dichiarato nel 2002) mirano a temperare il criterio di cassa della realizzazione dell'attivo con quello di competenza, nel caso in cui il momento solutorio conseguente alla fase liquidatoria dei beni sia temporalmente ricadente nella gestione del curatore subentrato pur essendo causalmente riferibile a operazioni condotte dal curatore revocato.
VII. - Il tribunale di Novara ha eluso il principio perché, dopo aver specificato l’ammontare dell’attivo complessivamente realizzato (pari a 1.427.913,16 EUR) e del passivo accertato (a sua volta pari a 4.693,326,46 EUR), e indicato quanto dell’attivo fosse riferibile all’uno e all’altro curatore (posto che il passivo era stato interamente accertato, invece, dal rag. ML), ha fatto applicazione di un criterio di ripartizione sprovvisto di proporzionalità e di ragionevolezza; un criterio tale per cui a ML è stato attribuita una somma esplicitamente inferiore al minimo tariffario e a DN una somma, invece, superiore al massimo.
Invero il minimo e il massimo andavano, per il subentrante, correlati all’ammontare dell’attivo effettivamente da lui realizzato, pari a 198.791,05 EUR, e non a quello artatamente discendente dalla duplicazione della posta rappresenta dalle disponibilità liquide rinvenute sul conto della società al momento della dichiarazione di fallimento.
Non giustifica la differente ripartizione delle quote tra i curatori il fatto che il primo (ML) sia stato revocato per negligenza.
Ciò potrebbe valere a ridurre al minimo l’ammontare del compenso a lui liquidabile, ma non anche a far lievitare quello del curatore subentrante.
VIII. – D’altronde il tribunale ha infranto il principio di diritto nella sua specifica essenza.
Una volta assiomaticamente detto (senza peraltro censure in questa sede) che il compenso unitario di 80.000,00 EUR, precedentemente quantificato in base ai valori finali dell’attivo e del passivo, poteva esser confermato, è incongruente l’assunto per cui la somma giacente nel conto della società al momento del fallimento si sarebbe dovuta computare come attivo realizzato da entrambi.
E’ incongruente perché bizzarro nel risultato concreto, in quanto quella somma alla fine è stata duplicata come se l’attivo da disponibilità liquide fosse il doppio di quello effettivo.
Ora è vero che questa Corte, in tema di liquidazione del compenso al curatore del fallimento, ha affermato che le percentuali previste con riguardo all'entità dell'attivo vanno applicate sull'attivo realizzato inteso come liquidità rinvenute nel patrimonio del fallito, o derivate dalla vendita dei beni mobili e immobili, o riscosse dai debitori, o comunque acquisite alla massa attraverso azioni giudiziarie (così Cass. Sez. 1 n. 18996-04 citata dal tribunale).
Ma è altrettanto vero che ciò è stato fatto per distinguere l’entità dell’attivo a cui applicare le percentuali da quella desumibile dal valore di inventario dei beni (soprattutto immobiliari: ma v. peraltro a tal proposito Cass. Sez. 1 n. 14631-18).
Certamente di contro quel principio non può legittimare la singolare tesi secondo la quale, nei fatti, l’ammontare della liquidità rinvenuta all’atto del fallimento sul conto corrente della fallita, stante la successione dei due curatori, andrebbe computata due volte, per acquisizione, nell’attivo realizzato sia dall’uno che dall’altro.
La disponibilità liquida esistente in cassa è acquisita al fallimento dal solo curatore inizialmente nominato, per l’ovvia ragione che egli ha l’onere di attivarsi allo scopo di evitare possibili attività distrattive, mentre il secondo curatore trova già la corrispondente somma nell’attivo fallimentare senza dover svolgere alcuna attività.
Ne deriva che il tribunale di Novara ha svolto un ragionamento paralogico, e in tal modo ha infranto il criterio alluso dall’ordinanza rescindente per cui il compenso da attribuire ad ognuno dei curatori va determinato in relazione a quanto dell’attivo sia a ciascuno effettivamente ascrivibile.
Il decreto di liquidazione degli emolumenti, spettanti a più curatori fallimentari succedutisi nella carica, deve infatti contenere l'enunciazione dei criteri di quantificazione e ripartizione del compenso, in relazione alle attività rispettivamente svolte e ai risultati conseguiti (v. Cass. Sez. 6-1 n. 16739-18, Cass. Sez. 1 n. 19230-09).
IX. - Il decreto va quindi cassato e la causa nuovamente rinviata al medesimo tribunale che, in diversa composizione, rinnoverà l’esame uniformandosi sia al principio sopra detto, in merito alla valutazione della disponibilità di cassa esistente al momento del fallimento, sia a quello già da questa Corte affermato nella originaria pronuncia rescindente.
Il tribunale provvederà anche sulle spese del giudizio svoltosi in questa sede di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie i primi tre motivi di ricorso, assorbito il quarto, cassa il decreto impugnato e rinvia al tribunale di Novara anche per le spese del giudizio di cassazione.