Per la Cassazione, manca il nesso causale tra il farmaco e l'evento.
Gli attuali ricorrenti, in qualità di eredi della de cuius, convenivano in giudizio due dottori per ottenere la condanna, in solido o alternativamente, al risarcimento dei danni, anche non patrimoniali, indicati come derivati dalla colposa condotta medica da posta in essere nei confronti della madre, prescrivendo...
Svolgimento del processo
D. e I.S. ricorrono, sulla base di un unico motivo, corredato da memoria, per la cassazione della sentenza n. 2527 del 2020 della Corte di appello di Bologna, esponendo che:
- avevano convenuto in giudizio i dottori S.V. e G.A. per ottenerne la condanna, in solido o alternativamente, al risarcimento dei danni, anche non patrimoniali, indicati come derivati dalla colposa condotta medica da loro posta in essere nei confronti della madre E.B., prescrivendo erroneamente un farmaco a base di potassio con un dosaggio fino a quattro volte superiore a quello necessario e corretto per il quadro clinico della paziente, con conseguente arresto cardiaco da iperdosaggio occorso il 6 luglio 2005;
- avevano allegato che il decesso, avvenuto il 1° maggio 2007 – per ictus cerebrale ischemico, e diagnosi secondarie di encefalopatia vascolare cronica multinfartuale, cardiopatia dilatativa fibrillante scompensata, anemia normocromica normocitica, arteriopatia obliterante cronica arti inferiori – era stato concausato dall’ulteriore compromissione della funzionalità cardiaca correlata all’episodio di poco meno di due anni prima, cui infatti erano seguite, in particolare, varie crisi cardiache e ischemiche connesse;
- la dottoressa P., resistendo aveva indicato, in subordine, la responsabilità esclusiva del dottor A., e quest’ultimo aveva chiamato in garanzia Generali Italia
s.p.a. la quale, a sua volta, aveva chiamato in lite l’AUSL
della Romagna;
- il Tribunale aveva rigettato la domanda attorea con pronuncia confermata dalla Corte di appello secondo cui, in specie, non vi era alcun vizio riferibile alla valorizzazione della prima consulenza tecnica d’ufficio svolta, in ragione di quella successivamente esperita, e, nel merito, dovendosi concludere che il pur grave episodio del 2005 non aveva determinato una nuova patologia o aggravato quelle preesistenti le quali, tenuto conto dell’età della donna, di 76 anni, risultavano già da sole estremamente gravi, sicché il decesso non poteva causalmente imputarsi alla condotta medica in discussione, dovendo correlarsi solo all’ictus cerebrale ischemico che aveva costituito un evento indipendente dall’indebolimento della pompa del cuore;
- la Corte territoriale aveva specificato che nella descritta ottica andava letta la conclusione del secondo consulente giudiziale per cui l’evento del 2005 aveva «accelerato il decesso in forma lieve stante la rilevanza dello stato anteriore della paziente…di certo non [avendo] avuto in termini causali una preponderanza tale da giustificare da sola o in gran parte il decesso, quanto piuttosto in minima parte», con ciò riferendo l’incidenza dell’episodio del 2005 alle condizioni generali della paziente e non al decesso,
«risultando l’indebolimento della funzionalità cardiaca estraneo alla serie causale dello specifico evento (ictus cerebrale recidivato) che ha determinato la morte della signora B.»;
resistono con controricorso S.P., che ha depositato altresì memoria, G.A., Generali Italia s.p.a., e l’AUSL della Romagna;
Rilevato che:
con l’unico motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 41, primo comma, cod. pen., poiché Corte di appello avrebbe errato assumendo, in adesione a quanto osservato nella seconda consulenza tecnica officiosa, che l’episodio, pacificamente colposo, del 2005, avesse pregiudicato le condizioni della vittima acquisendo così una sia pur minima incidenza eziologica sull’esito mortale della crisi del 2007, senza però che potesse correlarsi, in termini d’imputabilità oggettiva, al decesso in quanto conclusivamente riferibile, quest’ultimo, solo e autonomamente all’ictus;
Motivi della decisione
il ricorso è infondato;
questa Corte ha chiarito che qualora la produzione di un evento dannoso risulti riconducibile alla concomitanza di una condotta umana e di una causa naturale, tale ultima dovendo ritenersi lo stato patologico non riferibile alla prima, l'autore del fatto illecito risponde, in base ai criteri di equivalenza della causalità materiale, di tutti gli eventi di danno che ne sono derivati, a nulla rilevando che gli stessi siano stati concausati anche dai suddetti eventi naturali, che possono invece rilevare, sul piano della causalità giuridica, ai fini della liquidazione, in chiave complessivamente equitativa, dei pregiudizi conseguenti, ascrivendo all'autore della condotta un obbligo risarcitorio che non comprenda anche le conseguenze dannose da rapportare, così, all’autonoma situazione patologica del danneggiato non eziologicamente riferibile, cioè, a negligenza, imprudenza o imperizia del sanitario (Cass., 21/07/2011, n. 15991, Cass., 11/11/2019, n. 28986, Cass., 23/02/2023, n. 5632, Cass., 12/05/2023, n. 13037);
la Corte territoriale non ha violato questi principî;
innanzi tutto, va sgombrato il campo dalle obiezioni, formulate in particolare dalle difese di Generali e S.P., per cui ci sarebbero autonome ragioni decisorie non impugnate col ricorso in scrutinio, con riferimento alla pretesa focalizzazione dell’impugnazione sulla seconda consulenza, ovvero con riguardo alle affermazioni della decisione di seconde cure d’insussistenza del nesso causale ovvero di mancata insorgenza di patologie o aggravamento patologico in conseguenza dell’episodio del 2005;
è del tutto evidente che il ricorso censura l’erronea applicazione del principio di equivalenza causale nell’eziologia materiale, e con questo aggredisce la complessiva sebbene articolata ragione decisoria fatta propria dalla Corte di appello;
ciò posto, la Corte di merito ha escluso in fatto il nesso causale con l’episodio del 2005, riferendolo, al di là della letteralità discorsiva delle affermazioni del perito d’ufficio richiamate dalla Corte di secondo grado, all’aggravamento delle condizioni generali della vittima senza un’eziologia in senso apprezzabile come tale quanto alla morte, da ritenere causata solo ed indipendentemente dall’ictus;
spiega il Collegio di merito che l’arresto cardiaco del 2005 non aveva determinato una nuova patologia né aggravato quelle preesistenti, già estremamente gravi per una donna di 76 anni, tanto da manifestare, nei due anni successivi, sviluppi ingravescenti non dipendenti dall’evento appena ricordato;
in questo senso:
a) l’indebolimento della capacità di pompa cardiaca causato dalla condotta del 2005 aveva a sua volta determinato «un’accelerazione della riduzione dell’aspettativa di vita in termini di accentuazione della morbilità», ma non aveva in questo senso determinato neppure in parte la morte intervenuta per ictus cerebrale ischemico;
b) quest’ultimo doveva quindi considerarsi integrare una serie causale cui quelle condizioni generali erano rimaste estranee non, ovviamente, come contesto fisico, ma in termini eziologicamente apprezzabili come tali senza diluizioni evanescenti del concetto di concausa;
e se quanto osservato esclude un errore di giudizio, ogni rivisitazione del complessivo apprezzamento delle risultanze istruttorie si tradurrebbe in un superamento dei limiti del giudizio di legittimità;
spese secondo soccombenza;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso, e condanna le ricorrenti in solido alla rifusione delle spese processuali di S.P., liquidate in euro 3.500,00, e degli altri controricorrenti, liquidate in euro 3.000,00, oltre, per tutti i controricorrenti, a 200,00 per esborsi, 15% di spese forfettarie e accessori legali.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, la Corte dà atto che il tenore del dispositivo è tale da giustificare il pagamento, se dovuto e nella misura dovuta, da parte delle ricorrenti in solido, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.