Sulla base delle conclusioni del C.T.U., infatti, i Giudici del merito avevano riscontrato che l'esposizione del lavoratore per un lungo periodo alle dipendenze della ricorrente aveva assunto una rilevanza causale ai fini dell'insorgenza o comunque dello sviluppo del mesotelioma che aveva poi avuto un esito fatale.
La Corte d'Appello di Venezia confermava la decisione con la quale il Tribunale aveva respinto la domanda volta a contestare la variazione del tasso e del premio assicurativo fondato sull'imputazione all'azienda della malattia professionale in capo al lavoratore (trattasi, nello specifico, di mesotelioma che si era manifestato dopo 10 anni dalla cessazione del rapporto di lavoro). In particolare, la Corte aveva ritenuto sussistente il nesso causale tra l'attività di lavoro e la determinazione dell'evento, precisando che in presenza di rapporti di lavoro con diversi datori, sulla base del criterio di mutualità è consentito l'addebito all'ultimo degli stessi, anche in caso di patologie lungolatenti.
Contro tale pronuncia, propone ricorso per cassazione il datore di lavoro, lamentando il fatto che i Giudici avessero applicato il principio di mutualità laddove, invece, esso non opera in materia, oltre al fatto di aver trascurato che il sistema assicurativo è sorretto dal principio di equilibrio finanziario interno alle singole aziende.
Con l'ordinanza n. 26334 del 12 settembre 2023, la Corte di Cassazione dichiara infondati i motivi di ricorso, osservando come la decisione impugnata si fondi essenzialmente sul nesso causale riscontrato di cui si è detto sopra, dunque sull'accertato nesso causale nell'eziologia della patologia professionale. Ora, sulla base delle conclusioni del C.T.U., i Giudici affermavano che l'esposizione del lavoratore per un lungo periodo alle dipendenze della società aveva assunto una rilevanza causale ai fini dell'insorgenza o comunque dello sviluppo del mesotelioma che lo aveva poi portato alla morte.
Ciò detto, gli Ermellini evidenziano che ciò che rileva per l'aumento del premio è che l'INAIL abbia indennizzato l'infortunio ovvero la malattia professionale, poiché sulla determinazione del tasso specifico aziendale concorre anche la voce del tasso puro di tariffa relativa agli oneri diretti.
Di conseguenza, la Cassazione rigetta il ricorso.
Svolgimento del processo
Con sentenza del 10.7.18 la corte d'appello di Venezia ha confermato la sentenza del 27.10.15 del tribunale della stessa sede, che aveva rigettato la domanda volta a contestare la variazione del tasso e del premio assicurativo a seguito dell'imputazione all'azienda di malattia professionale in capo al dipendente (nel caso, mesotelioma manifestatosi dopo 10 anni dalla cessazione del rapporto lavorativo) e dalla quale era derivata poi la morte del lavoratore.
In particolare la corte territoriale ha affermato il nesso causale dell'attività lavorativa presso il datore in causa nella determinazione dell'evento, precisando inoltre che, in presenza di rapporti negli anni con diversi datori, il sistema - sulla base del criterio di mutualità- consentiva l'addebito del sinistro all'ultimo dei datori e ciò anche in caso di patologie lungolatenti.
Ricorre avverso tale sentenza il datore di lavoro per due motivi, cui esiste l'INAIL con controricorso.
Il Collegio si è riservato il termine di giorni sessanta per il deposito della decisione.
Motivi della decisione
Il primo motivo deduce violazione dell'art. 12 preleggi, per avere la corte territoriale applicato il principio di mutualità che non opera in materia, ove la quantificazione dei premi si commisura solo in relazione all'infortunio presso il singolo datore di lavoro.
Il secondo motivo deduce violazione del decreto legislativo 38 del 2000, art. 3 e del Dm 12/12/2000, per avere la corte territoriale trascurato che il sistema assicurativo è retto dal principio di equilibrio finanziario interno alle singole aziende.
I due motivi possono essere esaminati congiuntamente per la loro connessione.
Essi sono infondati.
La decisione impugnata infatti, nonostante l'improprio richiamo al criterio di mutualità, si basa essenzialmente sulla riscontrata efficienza causale dell'attività lavorativa nella determinazione della malattia professionale in questione, e quindi sull'accertato nesso causale nell'eziologia della patologia professionale, tanto più in considerazione del lungo periodo di servizio alle dipendenze del datore.
Invero, i giudici di merito hanno affermato sulla base delle conclusioni del c.t.u. che l'esposizione del lavoratore nel corso del lungo periodo di lavoro (dal 1977 al 1980 e dal 1984 al 1992) alle dipendenze della società avesse assunto rilevanza causale per l'insorgenza o quantomeno lo sviluppo del mesotelioma, che aveva poi comportato il decesso del lavoratore.
Ciò posto, ciò che rileva alfine dell'aumento del premio è che l'istituto abbia indennizzato l'infortunio o la malattia professionale, e ciò in quanto sulla determinazione del tasso specifico aziendale concorre anche la voce del tasso puro di tariffa relativa agli oneri diretti relativi casi definiti nel triennio di riferimento.
Ne deriva il rigetto del ricorso.
Sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite, che si liquidano in Euro 5000 per compensi professionali ed Euro 200 per esborsi, oltre a spese generali al 15% ed accessori come per legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.