Svolgimento del processo
I coniugi S. S. e F. O. propongono ricorso per cassazione, articolato in due motivi, per la cassazione della sentenza n. 168 del 2020, pubblicata dalla Corte d'appello di Venezia il 22 gennaio 2020, notificata il 24 gennaio successivo e regolarmente depositata in copia notificata.
Resiste con controricorso I. s.p.a., e per essa D. s.p.a. quale mandatario.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
La causa è stata avviata alla trattazione in adunanza camerale. Questa la vicenda processuale per quanto ancora di interesse in questa sede.
I ricorrenti proponevano opposizione al decreto ingiuntivo emesso nei loro confronti, quali fideiussori omnibus fino all’importo massimo di euro 60.000,00 della società Spazio Casa s.r.l. in favore di I. , a mezzo della sua procuratrice I., in relazione allo scoperto del conto corrente intrattenuto dalla società garantita. Contestavano la legittimità della iscrizione ipotecaria eseguita dall’istituto di credito, sulla base del decreto, sul bene immobile di loro proprietà in quanto costituito in fondo patrimoniale e l’ammontare del credito.
Il tribunale revocava il decreto ingiuntivo opposto e condannava gli opponenti a corrispondere all’opposta la somma di 50.000, € oltre agli interessi al tasso di legge, rigettando per il resto l’opposizione.
In particolare, il tribunale riteneva che i garanti non avessero provato, essendone onerati, che il debito per il quale era stata iscritta l'ipoteca era stato da loro contratto per scopi estranei ai bisogni della famiglia. In appello, i ricorrenti contestavano l'esistenza del credito nonché la legittimità dell’iscrizione ipotecaria sui beni costituiti in fondo patrimoniale, eccepivano la nullità della fideiussione sottoscritta per contrarietà alla normativa antitrust e chiedevano di essere autorizzati a proporre querela di falso in relazione a un documento, prodotto dalla controparte, che il tribunale aveva ritenuto integrare un riconoscimento del debito.
La proposizione della querela non veniva autorizzata e l'impugnazione era rigettata dalla Corte d'appello di Venezia, che confermava la decisione di primo grado, ribadendo che l'attività lavorativa e imprenditoriale è svolta, di regola, per garantirsi un reddito necessario ad assicurare alla famiglia del produttore del reddito il tenore di vita prescelto e che quindi spetti ai debitori provare l'esistenza delle condizioni di operatività del beneficio previsto dall'articolo 170 c.c. Aggiunge che i due attuali ricorrenti erano, all'epoca, gli unici due soci della società Spazio Casa, di seguito fallita.
In merito alla dedotta nullità della fideiussione in quanto contenente tre clausole riproducenti il testo di uno schema di fideiussione predisposto unilateralmente dall’ABI, dichiarato in contrasto con le regole sulla concorrenza nel 2005 dalla Banca d’Italia, quale Autorità garante della concorrenza tra istituti di credito (clausola di sopravvivenza, clausola di riviviscenza e rinuncia ai termini ex articolo 1957 c.c.), la corte d’appello ribadisce che l'eventuale nullità delle singole clausole non si estende in ogni caso all'intero contratto.
Motivi della decisione
Con il primo motivo di ricorso i ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione delle norme di cui agli articoli 2, secondo comma, lettera a) della legge n. 287 del 1990, 1419 c.c., 113 e 115 c.p.c.
Sostengono che il contratto di fideiussione sottoscritto conterrebbe alcune clausole, in particolare le clausole di sopravvivenza, di reviviscenza e la clausola di deroga alla previsione dell'articolo 1957 c.c., inserite nel contratto in esecuzione di un accordo anticoncorrenziale vietato, individuato come tale e sanzionato dall’Autorità Antitrust.
Dalla presenza di queste clausole nel contratto da loro sottoscritto i ricorrenti fanno discendere non la nullità delle singole clausole ma la nullità dell'intero contratto di fideiussione.
La tesi secondo la quale la violazione della legge n. 287 del ‘90 travolgerebbe l'intera fideiussione, anziché colpire le singole clausole che sono state riconosciute come frutto di intese anticoncorrenziali, non è stata condivisa né dal giudice di primo grado né dal giudice di appello, i quali hanno richiamato l'orientamento giurisprudenziale secondo il quale l'inserimento delle predette clausole, frutto di un'intesa anticoncorrenziale dichiarata nulla dall'autorità Antitrust, non comporti in nessun caso la nullità dell’intero contratto, e si traduca principalmente in un obbligo risarcitorio, qualora il correntista dia la prova che l’inserimento gli ha procurato un danno.
In ogni caso, la corte d’appello osserva che, non avendo alcun rilievo le clausole anticoncorrenziali nella presente controversia, perché la loro applicazione non è stata invocata da nessuna delle due parti, il tema della loro invalidità non è dirimente.
I ricorrenti sottolineano che l'esistenza dell'intesa anticoncorrenziale ha di fatto conculcato la facoltà di scelta di essi fideiussori, come di tutti gli altri clienti, i quali non hanno potuto far altro che sottoscrivere uno dei contratti di fideiussione, identici, predisposti dai vari istituti di credito in aderenza allo schema ABI poi ritenuto dall'Antitrust in violazione della concorrenza.
Con il secondo motivo di ricorso i ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione degli articoli 170 e 2697 c.c., 113 c.p.c. e dell'articolo 12 delle preleggi.
Criticano la sentenza impugnata là dove risulta affermato essere aggredibili, sulla base del titolo costituito dal decreto ingiuntivo esecutivo, i beni costituiti in fondo patrimoniale, avendo la corte di merito ritenuto che l’obbligazione di garanzia prestata dai coniugi in relazione alle obbligazioni contratte dalla società Spazio Casa non si potesse ritenere estranea ai bisogni della famiglia, richiamando l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale anche i debiti derivanti dall’attività professionale o d’impresa dei coniugi sono di regola contratti per ottemperare alle esigenze della famiglia.
Sostengono che nell’arrivare a tale conclusione siano state mal applicate le regole sulla distribuzione dell’onere probatorio, in quanto la dimostrazione dell'esistenza di un collegamento tra l’obbligazione del garante e i bisogni della famiglia dovrebbe spettare alla parte che la afferma e non gravare sul componente della famiglia stessa. Nel caso di specie, avendo i coniugi prestato garanzia per una società di capitali e non per un'impresa familiare, mancava anche l'evidenza di un rapporto diretto tra la garanzia prestata e il bisogno familiare da soddisfare, né l’istituto di credito aveva mai fornito alcuna prova che un simile rapporto esistesse. In caso di incerta riconducibilità della obbligazione di garanzia ai bisogni della famiglia, essendo l’onere probatorio gravante sul garantito e non sul garante, il bene immobile costituito in fondo patrimoniale non avrebbe potuto essere legittimamente aggredito.
Il secondo motivo è fondato, il primo rimane assorbito dall’accoglimento del secondo.
È ben vero infatti che, come affermato nella sentenza impugnata, il debitore che contesti il diritto del creditore di agire esecutivamente sui beni costituiti in fondo patrimoniale deve dimostrare l'esistenza del fondo, il conferimento in esso del bene assoggettato ad esecuzione e che il creditore fosse consapevole, al momento del perfezionamento dell'atto dal quale deriva l'obbligazione, che questa veniva contratta per scopi estranei ai bisogni della famiglia (intesi in senso lato, ovvero volti non soltanto al soddisfacimento delle necessità cosiddette essenziali o indispensabili della famiglia ma anche a soddisfare esigenze volte al pieno mantenimento e all'armonico sviluppo della stessa nonché al potenziamento delle sue capacità lavorative e al miglioramento delle qualità di vita restandone estranee le ragioni voluttuarie).
L’onere probatorio, per sottrarre il bene costituito in fondo patrimoniale all’azione esecutiva del creditore, è quindi a carico del debitore.
Non è altrettanto corretto però, e neppure trova riscontro nella giurisprudenza della Corte, il passaggio successivo che compie il giudice di merito nel rigettare l'appello dei ricorrenti, ovvero l’affermazione secondo la quale i debiti assunti nell'esercizio dell'attività d'impresa o dell'attività professionale sono di regola contratti per soddisfare i bisogni della famiglia in maniera immediata e diretta, da cui fa discendere che sui garanti gravi l’onere di fornire la prova contraria a questa presunzione.
Qualora infatti, come nella specie si tratti di fideiussione stipulata a garanzia dell’adempimento delle obbligazioni di società commerciale (alla quale i coniugi erano interessati, in quanto soci), deve ritenersi che essa abbia invero la immediata e diretta funzione di garantire le obbligazioni commerciali della società, soggetto terzo rispetto al nucleo familiare.
In relazione alla natura del debito garantito non può pertanto in tal caso legittimamente affermarsi l’esistenza di una presunzione secondo la quale la prestazione della garanzia ( così come , come del pari l’assunzione di tutte le obbligazioni connesse all’attività imprenditoriale svolta da uno dei coniugi per il tramite di società commerciali ) sia finalizzata ad immediatamente e direttamente soddisfare i bisogni della famiglia.
Al contrario, deve ritenersi che nell’esercizio dell’attività di impresa o di quella professionale le obbligazioni sono assunte, di regola, non già per l’immediato e diretto soddisfacimento dei bisogni della famiglia bensì ai fini dello svolgimento dell’attività professionale o commerciale. Solo mediatamente ed indirettamente le relative ricadute economiche si ripercuotono, positivamente o negativamente, sul tenore di vita familiare.
Ciò comporta che il semplice richiamo al tipo negoziale ( nel caso, la fideiussione) non è sufficiente all’assolvimento, da parte del debitore, dell’onere probatorio volto a sottrarre il bene costituito in fondo patrimoniale alla garanzia dei creditori (in questo senso, Cass. n. 29983 del 2021, Cass. n. 10166 del 2020, Cass. n. 20998 del 2018). E’ necessario un accertamento caso per caso, in cui il debitore può, per l’assolvimento del proprio onere probatorio, richiamare gli elementi presuntivi in favore di una non diretta finalizzazione delle obbligazioni connesse all’attività professionale di ciascuno dei coniugi ai bisogni della famiglia, mentre, al contrario, il creditore interessato, che intende assoggettare l’immobile costituito in fondo patrimoniale all’esecuzione forzata, potrà compiere un ulteriore passaggio probatorio, fornendo la prova, a fronte di contestazioni in ordine alla estraneità della garanzia prestata ai bisogni della famiglia, che essa sia destinata a soddisfarli in via diretta e immediata, avuto riguardo alla specificità del caso concreto (in questo senso Cass. n. 2904 del 2021), ovvero provare che le obbligazioni della società, e più in generale il positivo andamento della società, conseguente anche alla prestazione della garanzia, fossero direttamente funzionali non già, come è la regola, al buon andamento dell’attività commerciale della società garantita in sé bensì al soddisfacimento dei bisogni della famiglia.
Il secondo motivo va accolto, con assorbimento del primo. La sentenza va cassata in relazione e la causa rinviata per nuovo esame alla Corte d’appello di Venezia, in diversa composizione, che provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo, assorbito il primo. Cassa in relazione la sentenza impugnata e rinvia, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Venezia, in diversa composizione.