Nel caso di specie, erano state effettuate delle spese per incrementare la superficie e il cambio di destinazione. Esse restano a carico della parte che ha realizzato gli interventi.
I compratori di un immobile convenivano in giudizio i venditori sostenendo che il fabbricato presentava delle irregolaritàurbanistiche scoperte dagli attori solo successivamente alla conclusione del contratto stesso. Pertanto, avevano dovuto presentare domanda di sanatoria, di cui chiedevano la condanna dei convenuti al...
Svolgimento del processo
1. Con atto di citazione ritualmente notificato, i sigg. S.L. e F.F. convenivano in giudizio, dinanzi al Tribunale di Frosinone, i sigg. F.E. e F.A., e, sulla premessa di aver acquistato da questi ultimi un fabbricato e un terreno nel territorio del Comune di Ferentino, al prezzo di lire 218.000.000, e che, contrariamente a quanto dichiarato dai venditori nel contratto, il fabbricato presentava irregolarità urbanistiche scoperte da essi attori acquirenti solo successivamente alla conclusione del contratto stesso e di essersi, quindi, adoperati nel presentare domanda di sanatoria, comportante un complessivo onere di euro 59.752,00, chiedevano la condanna dei citati convenuti, ai sensi dell’art. 1489 c.c., al pagamento della somma di euro 80.000,00, a titolo di spese necessarie per ottenere la richiesta sanatoria degli abusi, ivi compresi i compensi dovuti al professionista incaricato della pratica; in via subordinata, chiedevano la riduzione del prezzo di acquisto nella stessa misura o in quella ritenuta di giustizia, con derivante condanna dei medesimi convenuti alla restituzione degli importi percepiti in eccesso, maggiorati di interessi e rivalutazione, oltre al risarcimento dei danni, consistenti nella minore commerciabilità e nel deprezzamento del fabbricato oggetto di compravendita.
I convenuti si costituivano in giudizio, chiedendo il rigetto della pretesa attorea in quanto da ritenersi infondata e, in via riconvenzionale, proponevano domanda di accertamento della sproporzione del prezzo di vendita dell’immobile dedotto in causa rispetto ai valori di mercato e, per l’effetto, invocavano la condanna degli attori al pagamento della differenza.
L’adito Tribunale, con sentenza n. 395/2013, respingeva la domanda principale dovendosi escludere l’operatività della garanzia prevista dall’art. 1489 c.c. e rigettava anche quella riconvenzionale.
2. Decidendo sul gravame formulato da S.L. e F.F., la Corte di appello di Roma, nella costituzione di entrambi gli appellati (che, a loro volta, proponevano appello incidentale in relazione al rigetto della loro domanda riconvenzionale), con sentenza n. 3941/2018 (pubblicata il 7 giugno 2018), accoglieva l’appello principale e, in riforma dell’impugnata sentenza di primo grado, condannava gli appellati, in solido, al pagamento, in favore degli appellanti S.F., della somma di euro 133.875,19, oltre interessi legali decorrenti dalla sentenza, nel mentre rigettava l’appello incidentale, regolando le complessive spese di entrambi i gradi di giudizio in base al principio della soccombenza.
A sostegno dell’adottata pronuncia, la Corte laziale, dato atto delle dichiarazioni rese al momento del rogito da parte dei venditori circa la regolarità urbanistica-edilizia del fabbricato alienato, rilevava che, stante l’avvenuto accertamento degli abusi edilizi che invece caratterizzavano l’immobile contrariamente a quanto attestato, in effetti, detti abusi non fossero facilmente riconoscibili dagli acquirenti, sia sulla scorta della documentazione edilizia allegata, sia dalla mappa catastale, la quale – peraltro – non poteva fornire alcun idoneo elemento in proposito essendo priva dell’allegazione di una planimetria.
Pertanto, la Corte territoriale riteneva che, nella fattispecie, sussistessero le condizioni per l’operatività della garanzia contemplata dall’art. 1489 c.c., donde l’insorgenza del diritto, per gli appellanti principali, ad ottenere la riduzione del prezzo corrisposto, da quantificarsi nella misura di euro 64.252,00, la quale, rivalutata all’attualità dal 18 luglio 1996 (data della compravendita), era risultata ammontante ad euro 133.875,19.
La Corte di appello rigettava, di contro, il gravame incidentale, dovendosi escludere la configurabilità di un indebito arricchimento degli acquirenti, dal momento che la determinazione del prezzo era avvenuta in virtù della libera contrattazione delle parti, assistita da causa meritevole di tutela.
3. Avverso la citata sentenza di appello, hanno proposto congiuntamente ricorso per cassazione, sulla base di quattro motivi, F.E. e F.A..
Hanno resistito con un altrettanto congiunto controricorso gli intimati S.L. e F.F..
Il P.G. ha depositato conclusioni scritte.
Entrambi i difensori delle parti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo, i ricorrenti denunciano – ai sensi dell’art. 360, comma 1, nn. 3 e 5, c.p.c. – la mancata valutazione di un fatto decisivo della controversia in ordine alla somma liquidata nell’impugnata sentenza, per aver la Corte di appello condannato gli stessi, in qualità di venditori, al pagamento di tutti gli oneri e costi relativi non solo agli abusi da loro commessi ma anche di quelli riconducibili alla condotta degli acquirenti, posta in essere – mediante la realizzazione di autonomi illeciti edilizi - successivamente alla vendita e al correlato trasferimento dell’immobile.
2. Con la seconda censura, i ricorrenti deducono – con riguardo all’art. 360, comma 1, nn. 3 e 5, c.p.c. – la violazione dell’art. 1489 c.c. sulla conoscibilità dei vizi secondo la media diligenza, nonché l’omessa valutazione di un fatto decisivo, non considerando che dalla semplice esistenza del progetto del 1974, della licenza del 1975 e della planimetria catastale del 1984 risultava certo che erano intervenute delle modifiche progettuali.
3. Con la terza doglianza, i ricorrenti lamentano – in ordine all’art. 360, comma 1, nn. 3 e 5, c.p.c. – la violazione dell’art. 1489 c.c. sulla mancata limitazione al godimento e l’omesso esame di tale fatto ritenuto decisivo.
In particolare, i ricorrenti sostengono che le caratteristiche degli abusi originari, di gran lunga inferiori a quelli poi realizzati dagli stessi acquirenti, non avevano limitato in alcun modo il godimento del bene, che, anzi, avendone eseguito di ulteriori, avevano pacificamente goduto dell’immobile.
Si aggiunge che l’accertata irreperibilità dei progetti presso l’Amministrazione non poteva limitare, neppure potenzialmente, il godimento del bene, non ricorrendo nemmeno i presupposti giuridici per emettere un provvedimento accertativo o sanzionatorio in relazione agli abusi originari.
4. Con il quarto ed ultimo mezzo, i ricorrenti prospettano – ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. – la violazione e falsa applicazione del citato art. 1489 c.c. in relazione alla determinazione del minor prezzo che gli acquirenti avrebbero dovuto pagare ove fossero stati messi a conoscenza dei vizi dell’immobile, non avendo la Corte di appello tenuto conto di quanto rimasto accertato nel giudizio di primo grado a seguito della disposta c.t.u.
5. Rileva, innanzitutto, il collegio che va respinta l’eccezione pregiudiziale di inammissibilità formulata dai controricorrenti siccome il ricorso non ha comportato affatto la violazione dell’art. 366, comma 1, n. 3, c.p.c., contenendo uno svolgimento sommario della vicenda fattuale della causa più che adeguato, potendo – semmai – il profilo relativo alla prospettata mancata contestazione del fatto contenuto circa la il valore e l’efficacia della dichiarazione di non veridicità (in ordine alla conformità della costruzioni ai titoli edilizi ed urbanistici) fatta nella sentenza di appello rilevare come possibile vizio in punto di diritto della stessa sentenza, che, però, non risulta al riguardo esplicitato.
6. Si osserva, poi, in linea preliminare, che i motivi risultano essere stati proposti in un ordine numerico progressivo non rispondente all’ordine logico-giuridico delle questioni con essi distintamente prospettate.
Infatti, con il primo si pone subito riferimento alla violazione dell’art. 115 c.p.c. e all’omesso esame del fatto ritenuto decisivo in ordine alla misura della somma liquidata con l’impugnata sentenza, sul presupposto che, a tal fine, in essa sarebbe stata compresa anche quella riferibile agli abusi edilizi commessi dagli odierni controricorrenti-acquirenti successivamente alla stipula del contratto di compravendita, per come emergente anche dalle risultanze della c.t.u., laddove si pone riguardo alla realizzazione di sopravvenuti ulteriori incrementi di superficie e di una diversa destinazione d’uso, abusi per i quali era stata instaurata una diversa pratica di condono.
Senonché, l’esame di questa doglianza – così come dedotta – è da ritenersi logicamente condizionato all’eventuale rigetto del secondo e del terzo motivo, i quali ruotano entrambi sulla contestazione dell’applicabilità nel caso di specie della garanzia prevista dall’art. 1489 c.c., invece ritenuta sussistente con l’impugnata sentenza.
Quindi, seguendo l’ordine logico-giuridico propriamente riconducibile alle questioni come prospettate, vanno esaminati per primi il secondo e terzo motivo.
7. Il secondo motivo non è fondato.
Infatti si deve ritenere che la Corte di appello ha applicato correttamente il principio secondo cui, in ipotesi di compravendita di costruzione realizzata in difformità della licenza edilizia, non è ravvisabile un vizio della cosa, non vertendosi in tema di anomalie strutturali del bene, ma trova applicazione l'art. 1489 c.c., in materia di oneri e diritti altrui gravanti sulla cosa medesima, sempre che detta difformità non sia stata dichiarata nel contratto o, comunque, non sia conosciuta dal compratore al tempo dell'acquisto.
Orbene, il giudice di appello, a fronte di una dichiarazione formale contenuta nell’atto di compravendita di avvenuta realizzazione della costruzione formantene oggetto di conformità ai titoli edilizi, ha - in base ad una valutazione di merito adeguatamente motivata – accertato l’inveridicità della stessa e che tali (occultati) abusi non fossero “facilmente” riconoscibili, nemmeno in base all’esame della relativa documentazione tecnica e in carenza degli obblighi di consegna che incombevano ai venditori.
Non coglie nel segno la considerazione di cui a pag. 17 del ricorso in base alla quale è vero che gli acquirenti, non visionando il progetto, non potevano essere edotti di quali fossero in concreto le difformità, ma essi avrebbero potuto averne la “sostanziale” certezza.
Si osserva al riguardo che, al di là dell’equivocità del termine adottato, va evidenziato che – a termini di legge – è necessario che il compratore ne abbia avuto l’effettiva e diretta certezza e che, quindi, tali difformità fossero esistenti e conoscibili, ovvero rispondenti al requisito di “apparenza” (il quale è, tuttavia, un concetto ben diverso da quello di “facile riconoscibilità”) previsto dall’art. 1489 c.c. (che, a tal proposito, discorre nel senso che il compratore, per l’operatività della relativa garanza, “non abbia avuto conoscenza dei vizi”).
Deve, quindi, trovare conferma il principio (cfr. Cass. n. 4786/2007 e, argomentando “a contrario”, Cass. n. 25357/2014) in base al quale, nell’ipotesi di compravendita di costruzione realizzata in difformità dal titolo concessorio, non è ravvisabile un vizio della cosa, non vertendosi in tema di anomalie strutturali del bene, ma trova applicazione l'art. 1489 c.c., in materia di oneri e diritti altrui gravanti sulla cosa medesima, sempre che detta difformità non sia stata dichiarata nel contratto o, comunque, non sia conosciuta dal compratore al tempo dell'acquisto (evenienze, queste ultime, escluse con la sentenza qui impugnata sulla scorta di un’adeguata motivazione, da cui il riconoscimento in capo agli acquirenti della facoltà di chiedere la riduzione del prezzo).
8. Anche la terza censura è priva di fondamento.
Con essa, i ricorrenti invocano l’applicabilità, nel caso di specie, del principio affermato con la sentenza di questa Corte n. 3464/2012, secondo la quale l’art. 1489 c.c., sulla vendita di cosa gravata da oneri o da diritti di terzi, non trova applicazione con riferimento al pagamento di oneri derivanti da procedimenti di regolarizzazione urbanistico-edilizia, dei quali – però - il venditore abbia fatto menzione nell'atto di compravendita, trattandosi di pesi che non limitano il libero godimento del bene venduto (il richiamo della massima riportato a pag. 18 del ricorso non richiama, artificiosamente, l’ultima parte specificativa della condizione di applicabilità del principio generale) .
Senonché, nella fattispecie oggetto di controversia, ci si trova al cospetto della diversa (anzi contraria) ipotesi in cui, invece, i venditori non avevano fatto – all’atto della conclusione del contratto - alcuna dichiarazione circa la sussistenza di abusi edilizi interessanti la costruzione oggetto di compravendita.
9. Procedendo, ora, per effetto del rigetto del secondo e terzo motivo, all’esame del primo, il collegio ritiene che lo stesso è fondato.
Infatti, va rilevato che la Corte di appello ha omesso di esaminare il fatto decisivo che, ai fini della determinazione del danno complessivo subito dagli acquirenti, non potessero essere presi in considerazione anche i costi riconducibili agli abusi – oggetto di separata procedura di condono – dagli stessi realizzati successivamente alla stipula della compravendita, cosa che, di conseguenza, aveva consentito di riconoscere agli stessi una somma esorbitante rispetto a quella ricollegabile ai soli abusi commessi precedentemente dai venditori (odierni ricorrenti), siccome comprensiva dei costi di entrambe le procedure di regolarizzazione urbanistica.
In tal modo, perciò, la Corte di appello è incorsa nell’errore di non tener conto della circostanza che – così ragionando – ha determinato la conseguenza di far rimborsare dai venditori i costi relativi anche agli abusi successivamente realizzati dagli acquirenti.
Ed invero – per come specificamente dedotto con il motivo (v. pagg. 11-14) - il c.t.u. aveva accertato la diversità della condizione urbanistica-edilizia dell’immobile sia all’atto della compravendita che successivamente all’intervenuto trasferimento della proprietà in capo agli acquirenti, verificando che questi ultimi avevano realizzato ulteriori autonomi abusi consistiti in incrementi di superficie e in una diversa destinazione d’uso, le spese della cui regolarizzazione urbanistica non potevano, quindi, ricadere a carico dei venditori.
Pertanto, la Corte di appello non avrebbe potuto condannare gli odierni ricorrenti a rifondere agli acquirenti la somma imputata all’effettuato intero condono (o meglio con riferimento ad entrambi i condoni afferenti allo stesso immobile ma per abusi riguardanti due periodi diversi, anteriormente e successivamente alla compravendita) per euro 59.752,00, ma solo quella relativa agli abusi risultanti nel 1996 – ovvero all’atto della conclusione delle compravendita - ed addebitabili agli odierni ricorrenti per effetto della successiva procedura di condono attuata, con la conseguente condannabilità dei Faccendo-F. a rifondere ai S.- Ferrara il solo importo pagato per il condono degli abusi a loro imputabili (e non per entrambi i condoni), con derivante riduzione proporzionale della somma dovuta agli stessi S.-Ferrara che avevano proceduto al pagamento degli oneri relativi alla complessiva pratica di condono.
10. Il quarto ed ultimo motivo è da assorbire per effetto dell’accoglimento del primo (siccome riguardante questioni attinenti alla determinazione nel tempo del valore dell’immobile oggetto di compravendita).
11. In definitiva, previo rigetto del secondo e del terzo motivo, deve essere accolto il primo, con conseguente assorbimento del quarto.
Da ciò consegue la cassazione della sentenza impugnata in relazione al motivo accolto (stante la necessità di esaminare il fatto decisivo omesso come con esso denunciato), con rinvio della causa, anche per la regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo del ricorso, rigetta il secondo e terzo e dichiara assorbito il quarto.
Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione.