Contrasta col principio di proporzionalità il divieto definitivo per chi ha svolto tre mandati di ricoprire cariche direttive nelle strutture territoriali delle federazioni sportive nazionali.
- l'autonomia organizzativa delle federazioni sportive;
- il diritto di candidarsi di chi ha già svolto tre mandati;
- la libera scelta dei votanti.
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La pronuncia in commento segue l'eliminazione, da parte del Governo, del divieto censurato mediante l'approvazione, nei mesi scorsi, del |
Corte costituzionale, sentenza (ud. 5 luglio 2023) 29 settembre 2023, n. 184
Svolgimento del processo
1.– Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione prima-ter, con sentenza non definitiva del 30 dicembre 2022, iscritta al n. 23 reg. ord. 2023, solleva questioni di legittimità costituzionale dell’art. 16, comma 2, del decreto legislativo 23 luglio 1999, n. 242 (Riordino del Comitato olimpico nazionale italiano - CONI, a norma dell’articolo 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59), come sostituito dall’art. 2, comma 1, della legge 11 gennaio 2018, n. 8, recante «Modifiche al decreto legislativo 23 luglio 1999, n. 242, in materia di limiti al rinnovo dei mandati degli organi del Comitato olimpico nazionale italiano (CONI) e delle federazioni sportive nazionali, e al decreto legislativo 27 febbraio 2017, n. 43, in materia di limiti al rinnovo delle cariche nel Comitato italiano paralimpico (CIP), nelle federazioni sportive paralimpiche, nelle discipline sportive paralimpiche e negli enti di promozione sportiva paralimpica», e dell’art. 6, commi 1 e 2, della stessa legge n. 8 del 2018, «nella parte in cui esclud[ono] agli associati della FIT la possibilità di candidarsi nell’ambito degli organi direttivi qualora abbiano già svolto tre mandati elettivi», per violazione degli artt. 2, 3, 18, 41, 42, 48 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 11 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e all’art. 12 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.
Il rimettente riferisce che R. P., ricorrente nel giudizio a quo, ha svolto sette mandati consecutivi nel Comitato regionale Toscana della Federazione italiana tennis (oggi Federazione italiana tennis e padel - FITP), dal 1981 al 2008, e che il Presidente dello stesso Comitato, con comunicazione del 9 dicembre 2020, ha respinto la sua candidatura alla carica di consigliere del Comitato, in ragione del superamento del limite massimo di tre mandati, ai sensi dell’art. 54, comma 2, dello statuto FITP e dell’art. 1.1.4 del regolamento organico FITP, modificati sulla base dell’art. 16, comma 2, del d.lgs. n. 242 del 1999. Tale disposizione stabiliva (nel testo all’epoca vigente, giacché, come si vedrà infra più precisamente, essa è stata modificata nel corso del presente giudizio costituzionale con la legge 10 agosto 2023, n. 112, che ha convertito il decreto-legge 22 giugno 2023, n. 75, recante «Disposizioni urgenti in materia di organizzazione delle pubbliche amministrazioni, di agricoltura, di sport, di lavoro e per l’organizzazione del Giubileo della Chiesa cattolica per l’anno 2025»), con riferimento alle federazioni sportive nazionali e alle discipline sportive associate (DSA), che «[i]l presidente e i membri degli organi direttivi restano in carica quattro anni e non possono svolgere più di tre mandati» (secondo periodo) e, nell’ultimo periodo, che «[l]a disciplina di cui al presente comma si applica anche agli enti di promozione sportiva, nonché ai presidenti e ai membri degli organi direttivi delle strutture territoriali delle federazioni sportive nazionali e delle discipline sportive associate».
R. P. ha dapprima impugnato il rifiuto della candidatura davanti alla Corte federale d’appello presso la FITP, e contro la decisione del 18 dicembre 2020, n. 7, ha proposto gravame al Collegio di garanzia dello sport presso il CONI, ai sensi dell’art. 59 del codice di giustizia sportiva e dell’art. 12-bis dello statuto del CONI, modificato dal Consiglio nazionale con deliberazione 9 marzo 2022, n. 1707, e approvato con dPCm del 19 luglio 2022. Avverso le decisioni con cui il Collegio di garanzia ha respinto il ricorso (del 27 aprile 2021, n. 557, recante solo il dispositivo, e del 5 agosto 2021, n. 63 recante le motivazioni), R. P. ha promosso ricorso giurisdizionale davanti al TAR Lazio (contro la prima) e motivi aggiunti (contro la seconda).
Il giudice a quo, in primo luogo, dichiara non fondati i primi due motivi di ricorso (ripresi nei motivi aggiunti): il primo attinente alla mancata disapplicazione, da parte del Collegio di garanzia, dell’art. 54, comma 2, dello statuto FITP e, dunque, dell’art. 16, comma 2, del d.lgs. n. 242 del 1999, per asserito contrasto con l’art. 11 CEDU e con l’art. 12 CDFUE; il secondo attinente alla mancata instaurazione del giudizio di legittimità costituzionale (relativo all’art. 16, comma 2, del d.lgs. n. 242 del 1999) ad opera del Collegio di garanzia.
In secondo luogo, il rimettente precisa di ritenere preferibile «percorrere la strada dell’incidente interno di costituzionalità e non quell[a] del rinvio pregiudiziale alla CGUE», per la prevalenza del profilo costituzionale, rispetto a quello «euro-unitario», dal momento che le norme censurate non lederebbero solo la libertà di associazione (art. 11 CEDU, art. 12 CDFUE e art. 18 Cost.) ma una serie «ben più ampia» di princìpi costituzionali, contenuti negli artt. 2, 3, 41, 42 e 48 Cost. Inoltre, il giudice a quo osserva che la libertà di associazione garantita dagli artt. 11 CEDU e 12 CDFUE non differirebbe da quella prevista dall’art. 18 Cost., e ciò rappresenterebbe un’ulteriore ragione di preferenza per il giudizio di legittimità costituzionale, che consentirebbe (in caso di accoglimento) di espungere definitivamente dall’ordinamento la norma censurata: ciò che non sarebbe consentito alla Corte di giustizia dell’Unione europea.
1.1.– Il rimettente dà conto innanzitutto della rilevanza delle questioni relative all’art. 16, comma 2, del d.lgs. n. 242 del 1999 e all’art. 6, commi 1 e 2, della legge n. 8 del 2018.
Il citato art. 16, comma 2 (come modificato dall’art. 2, comma 1, della legge n. 8 del 2018), disponeva (prima della citata legge n. 112 del 2023) quanto segue: «Gli statuti delle federazioni sportive nazionali e delle discipline sportive associate prevedono le procedure per l’elezione del presidente e dei membri degli organi direttivi, promuovendo le pari opportunità tra donne e uomini. Il presidente e i membri degli organi direttivi restano in carica quattro anni e non possono svolgere più di tre mandati. Qualora gli statuti prevedano la rappresentanza per delega, il CONI, al fine di garantire una più ampia partecipazione alle assemblee, stabilisce, con proprio provvedimento, i princìpi generali per l’esercizio del diritto di voto per delega in assemblea al fine, in particolare, di limitare le concentrazioni di deleghe di voto mediante una riduzione del numero delle deleghe medesime che possono essere rilasciate, in numero comunque non superiore a cinque. Qualora le federazioni sportive nazionali e le discipline sportive associate non adeguino i propri statuti alle predette disposizioni, il CONI, previa diffida, nomina un commissario ad acta che vi provvede entro sessanta giorni dalla data della nomina. Gli statuti delle federazioni sportive nazionali e delle discipline sportive associate possono prevedere un numero di mandati inferiore al limite di cui al presente comma, fatti salvi gli effetti delle disposizioni transitorie in vigore. La disciplina di cui al presente comma si applica anche agli enti di promozione sportiva, nonché ai presidenti e ai membri degli organi direttivi delle strutture territoriali delle federazioni sportive nazionali e delle discipline sportive associate».
Le altre disposizioni censurate (commi 1 e 2 dell’art. 6 della legge n. 8 del 2018) stabiliscono quanto segue: «1. Entro quattro mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Comitato olimpico nazionale italiano (CONI) adegua lo statuto alle disposizioni di cui all’articolo 3, comma 2, del decreto legislativo 23 luglio 1999, n. 242, come sostituito dall’articolo 1 della presente legge. Entro il medesimo termine, il CONI adotta il provvedimento di cui all’articolo 16, comma 2, terzo periodo, del decreto legislativo n. 242 del 1999, come sostituito dall’articolo 2 della presente legge. 2. Entro sei mesi dalla data di approvazione delle modifiche statutarie del CONI, le federazioni sportive nazionali e le discipline sportive associate, nonché gli enti di promozione sportiva, adeguano i loro statuti alle disposizioni di cui all’articolo 16, comma 2, del decreto legislativo 23 luglio 1999, n. 242, come sostituito dall’articolo 2 della presente legge».
Il rimettente riferisce che, in mancanza dell’adeguamento dello statuto FITP, il CONI ha nominato un commissario ad acta, ai sensi del citato art. 16, comma 2, del d.lgs. n. 242 del 1999. Il commissario, con decreto del 20 giugno 2019, ha modificato nei termini seguenti l’art. 54, comma 2, dello statuto FITP: «Il presidente federale, i presidenti regionali e provinciali, i componenti del consiglio federale e dei consigli regionali e provinciali della FITP non possono svolgere più di tre mandati». Secondo il giudice a quo, dunque, l’art. 54, comma 2, dello statuto FITP costituirebbe «una chiara e pedissequa applicazione della disposizione contenuta nella norma primaria» (art. 16, comma 2, del d.lgs. n. 242 del 1999), con la conseguenza che lo scrutinio di legittimità costituzionale riguarderebbe «in via diretta» quest’ultima.
Il rimettente precisa, inoltre, di ritenere impossibile il superamento del dubbio di legittimità costituzionale tramite l’art. 6, comma 4, della legge n. 8 del 2018, in base al quale «[i] presidenti e i membri degli organi direttivi nazionali e territoriali delle federazioni sportive nazionali, delle discipline sportive associate e degli enti di promozione sportiva che sono in carica alla data di entrata in vigore della presente legge e che hanno già raggiunto il limite di cui all’articolo 16, comma 2, secondo periodo, del decreto legislativo 23 luglio 1999, n. 242, come sostituito dall’articolo 2 della presente legge, possono svolgere, se eletti, un ulteriore mandato. Nel caso di cui al periodo precedente, il presidente uscente candidato è confermato qualora raggiunga una maggioranza non inferiore al 55 per cento dei votanti». A suo giudizio, infatti, una «piana lettura» di tale norma transitoria escluderebbe la possibilità di applicarla a coloro che avevano concluso il mandato prima dell’entrata in vigore della legge n. 8 del 2018.
1.2.– Quanto alla non manifesta infondatezza, il rimettente si sofferma innanzitutto sulla natura giuridica della FITP, che qualifica come associazione di diritto privato, sulla base dell’art. 15, comma 2, del d.lgs. n. 242 del 1999 («Le federazioni sportive nazionali e le discipline sportive associate hanno natura di associazione con personalità giuridica di diritto privato») e della sentenza del Consiglio di Stato, sezione quinta, 15 luglio 2021, n. 5348.
Osserva poi che la norma censurata «rende l’interessato interdetto in via definitiva dalla possibilità di far parte degli organi direttivi della FIT», impedendogli di prendere parte all’attività gestionale e di indirizzo dell’associazione. La norma in questione si porrebbe in contrasto con gli artt. 2, 3 e 18 Cost., prevedendo una misura sproporzionata ed irragionevole rispetto agli obiettivi che il legislatore si era prefissato, «soprattutto se si tratta di incidere su un’associazione di diritto privato che contribuisce allo sviluppo della personalità dell’individuo nell’ambito di una formazione sociale come la Federazione sportiva».
Il rimettente riconosce che la ratio dell’art. 16, comma 2, del d.lgs. n. 242 del 1999 consiste «nell’evitare “rendite di posizione” da parte di coloro che siedono negli organi direttivi delle Federazioni, in modo da favorire un ricambio all’interno degli organi di rappresentanza, ciò nell’intento di promuovere una maggiore partecipazione alla vita associativa». La «definitiva incandidabilità» sancita dalla norma censurata non supererebbe, tuttavia, il test di proporzionalità, in quanto la misura prescelta non sarebbe la «meno restrittiva dei diritti» fra quelle possibili. Tale misura «restrittiva e definitiva» determinerebbe una rilevante compressione della libertà di associazione dell’individuo, che, in maniera sproporzionata ed irragionevole, verrebbe «escluso definitivamente dalla vita attiva dell’associazione di riferimento». Inoltre, la norma de qua renderebbe difficile reperire candidati per ricoprire le cariche elettive, con conseguente rischio per il funzionamento stesso dell’associazione. Ciò si tradurrebbe nella violazione dell’art. 3 Cost., «a maggior ragione se rapportata ai richiamati artt. 2 e 18 della Cost. (e, quindi, anche all’art. 117, comma 1, Cost. con riferimento ad art. 11 CEDU, e all’art. 12 Carta di Nizza)».
Il rimettente osserva che, nella maggior parte dei casi, le norme limitative dei mandati (anche nell’ambito di organismi pubblici) fanno riferimento ai mandati svolti consecutivamente, ma non inibiscono mai in via definitiva l’elettorato passivo degli interessati (è richiamata la sentenza n. 173 del 2019 di questa Corte). Un divieto riferito ai mandati consecutivi sarebbe sufficiente a favorire il fisiologico ricambio all’interno dell’organo, a evitare il rischio di «cristallizzazione della rappresentanza» e a garantire condizioni di eguaglianza per l’accesso alle cariche elettive. Ciò dovrebbe valere a maggior ragione per le associazioni private, dato che, in base agli artt. 41 e 42 Cost., le restrizioni della libertà di iniziativa privata non dovrebbero mai «sfociare nell’arbitrarietà e nell’incongruenza» delle misure adottate per assicurare l’utilità sociale.
La misura introdotta sarebbe dunque sproporzionata perché lo stesso obiettivo avrebbe potuto essere conseguito con misure non definitive.
La norma censurata violerebbe poi gli artt. 2 e 48 Cost. in quanto limiterebbe il diritto di elettorato passivo, avente carattere inviolabile nell’ambito di un ente privato in cui si esplica la personalità.
1.3.– Il rimettente precisa che «non viene direttamente e in primo luogo ipotizzato un intervento additivo» da parte di questa Corte «con riferimento all’elemento della “consecutività” dei mandati». Trattandosi – nel caso in esame – di un’entità con personalità giuridica di diritto privato, sarebbe questa stessa Corte a dover «valutare qual è il limite che al legislatore possa essere imposto per poter incidere sul diritto di elettorato passivo di un membro di un’associazione privata, nella misura in cui questa svolga comunque funzioni nell’ambito di un settore (come quello sportivo) di sicuro rilievo dal punto di vista pubblicistico».
1.4.– Con atto depositato il 27 marzo 2023 si è costituito in giudizio R. P., ricorrente nel giudizio a quo.
La parte si sofferma sulla rilevanza della questione sollevata e in particolare, in relazione alla sua non manifesta infondatezza, sulla natura giuridica della FITP, confermando che si tratterebbe di un’associazione privatistica. A sostegno di tale assunto, osserva, fra l’altro, che la FITP non è compresa nell’elenco delle amministrazioni pubbliche elaborato dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT), cita decisioni della Corte dei conti che avrebbero censurato l’illegittimo inserimento in tale elenco di alcune federazioni sportive e richiama la delibera dell’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC) 27 luglio 2022, n. 367.
La parte osserva poi che le norme censurate non supererebbero i test di ragionevolezza e di proporzionalità, in quanto, per perseguire l’obiettivo del ricambio delle cariche direttive, impongono un divieto assoluto di candidatura a chi ha già svolto tre mandati, comprimendo così in modo permanente il suo diritto di elettorato passivo. L’irragionevolezza delle disposizioni emergerebbe con evidenza dalla vicenda oggetto del giudizio a quo, nella quale a R. P. è stato impedito di candidarsi dodici anni dopo il termine dell’ultimo mandato svolto. Nel caso di specie, il divieto censurato non produrrebbe nessun beneficio ai fini del ricambio delle cariche.
Inoltre, la parte ricorda che i dirigenti delle federazioni sportive svolgono la loro attività a titolo gratuito (è citato l’art. 52, comma 7, dello statuto FITP) e rileva che il divieto censurato, impedendo la candidatura di molti soggetti, rischierebbe di pregiudicare il regolare funzionamento delle federazioni stesse.
La parte lamenta ancora la violazione del principio di eguaglianza, in quanto la norma censurata determinerebbe un’irragionevole disparità di trattamento tra gli iscritti alle federazioni e gli iscritti ad altre associazioni private senza fine di lucro. Analogamente, viene censurata la disparità di trattamento rispetto all’accesso alle cariche pubbliche, per le quali sarebbe previsto solo un limite ai mandati svolti consecutivamente, e non un limite assoluto come nel caso di specie. A questo proposito riferisce che la citata sentenza n. 173 del 2019, nel dichiarare non fondata la questione relativa alla norma che fissa il limite di due mandati consecutivi per i consigli circondariali forensi, avrebbe valorizzato appunto il carattere temporaneo dell’incandidabilità.
1.5.– Con atto depositato il 28 marzo 2023 si è costituita in giudizio la FITP, resistente nel giudizio a quo, chiedendo l’accoglimento della questione sollevata.
La parte si sofferma sull’ammissibilità della questione, affermando che il giudice a quo ha indicato in modo univoco il petitum, chiedendo a questa Corte un «”ordinario” intervento ablativo». Poiché, peraltro, «il più contiene il meno», questa Corte potrebbe dichiarare l’illegittimità costituzionale della norma censurata «solo in riferimento all’ipotesi di mandati non consecutivi». Un esito di questo tipo sarebbe possibile senza che ciò renda la questione «ancipite».
Nel merito, la FITP distingue i profili di illegittimità «generale» della norma in questione – derivanti dall’introduzione di un limite all’espletamento dei mandati in associazioni private – da quelli di illegittimità «specifica», che derivano dalla previsione di un limite permanente, non circoscritto ai mandati consecutivi.
Quanto al primo profilo, le norme censurate sarebbero costituzionalmente illegittime perché pretendono di assoggettare associazioni private a un limite di mandati, «anche a prescindere, dunque, da come tale regola è in concreto declinata». La misura violerebbe, in particolare, gli artt. 2 e 18 Cost., in quanto comprimerebbe il diritto di elettorato sia attivo che passivo degli iscritti alle federazioni sportive e avrebbe un impatto negativo sul perseguimento dei fini statutari delle associazioni.
Quanto al secondo profilo, la parte osserva che, in relazione alle cariche pubbliche, sono spesso previsti limiti ai mandati consecutivi e che la indicata sentenza n. 173 del 2019 ha ritenuto tale regola non irragionevole per il carattere temporaneo dell’incandidabilità. La natura permanente dell’incandidabilità prevista dalla norma censurata sarebbe, invece, irragionevole e non proporzionata. Il limite ai mandati servirebbe a evitare «il consolidamento, in favore di alcuni associati a discapito di altri, di un forte legame con una parte dell’elettorato», e a «favorire un fisiologico ricambio all’interno dell’organo rappresentativo», ma tali obiettivi potrebbero essere perseguiti semplicemente ponendo un limite ai mandati consecutivi.
1.6.– Con atto depositato il 28 marzo 2023 è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato.
La difesa erariale sottolinea come, in un ambito connotato da ampia discrezionalità del legislatore, il controllo di costituzionalità si dovrebbe limitare a verificare se sia stato superato il limite della manifesta irragionevolezza. Nel caso di specie, la norma censurata non provocherebbe una rilevante compressione della libertà di associazione perché il limite dei tre mandati consente comunque l’assunzione di cariche direttive per dodici anni. Tale consistente arco temporale permetterebbe di «realizzare un progetto sportivo compiuto». La norma in questione, inoltre, non escluderebbe i membri dalla vita attiva dell’associazione, ma solo dalle cariche direttive.
Ancora, il Presidente del Consiglio dei ministri rileva che, nelle federazioni sportive internazionali, sarebbe «prassi diffusa» la previsione di vincoli al numero di mandati direttivi e cita l’art. 21 dello statuto della Federazione internazionale tennis e l’art. 67 delle Fifa Governance Regulations. Ciò, da un lato, confermerebbe la ragionevolezza della norma censurata, diretta a prevenire «rendite di posizione» e a garantire l’avvicendamento nei ruoli apicali delle federazioni sportive; dall’altro, ne rivelerebbe l’idoneità ad armonizzare l’ordinamento sportivo nazionale a quello internazionale.
L’Avvocatura richiama il principio di democrazia interna delle federazioni sportive, enunciato nel comma 1 dello stesso art. 16 del d.lgs. n. 242 del 1999, e ne desume la necessità dell’alternanza dei titolari delle cariche direttive. Le federazioni svolgerebbero innegabilmente attività di rilievo pubblicistico (cioè, la promozione dello sport di riferimento) e il ricambio nelle cariche direttive favorirebbe «un sistema virtuoso in un settore caratterizzato dalla contribuzione pubblica».
Il richiamo dell’art. 48 Cost. sarebbe contraddittorio, data la ritenuta – dal rimettente – natura privatistica delle federazioni sportive. Quanto all’art. 51 Cost., gli obiettivi perseguiti dalla norma censurata valorizzerebbero le condizioni di eguaglianza che la disposizione costituzionale «pone alla base dell’accesso alle cariche elettive», eguaglianza che sarebbe compromessa se un legame troppo stretto tra eletti ed elettorato determinasse rendite di posizione.
Gli stessi obiettivi, inoltre, concreterebbero le finalità di utilità sociale che escluderebbero qualsiasi violazione degli artt. 41 e 42 Cost.
2.– Il TAR Lazio, sezione prima-ter, con sentenza non definitiva del 30 dicembre 2022, iscritta al n. 30 reg. ord. 2023, solleva questioni di legittimità costituzionale delle medesime disposizioni censurate dalla sentenza non definitiva iscritta al n. 23 reg. ord. 2023, con riferimento ai medesimi parametri.
Nella vicenda oggetto di questa seconda sentenza, il ricorrente C. C. aveva svolto cinque mandati consecutivi nel Comitato regionale Marche della FITP, dal 1981 al 2000, e il Presidente dello stesso Comitato, con comunicazione del 10 febbraio 2021, aveva respinto la sua candidatura alla carica di consigliere del Comitato, in ragione del superamento del limite massimo di tre mandati, ai sensi dell’art. 54, comma 2, dello statuto FITP e dell’art. 1.1.4 del regolamento organico FITP, modificati sulla base dell’art. 16, comma 2, del d.lgs. n. 242 del 1999 (nel testo anteriore alla citata legge n. 112 del 2023).
C. C. si è visto respingere, sia il ricorso con cui aveva impugnato il rifiuto della candidatura davanti alla Corte federale d’appello presso la FITP, sia quello con cui aveva successivamente impugnato la decisione di quest’ultima (del 19 febbraio 2021, n. 2) davanti al Collegio di garanzia dello sport presso il CONI, ai sensi dell’art. 59 del codice di giustizia sportiva e dell’art. 12-bis dello statuto del CONI. Avverso la decisione del Collegio di garanzia (del 24 agosto 2021, n. 67) C. C. ha quindi proposto ricorso giurisdizionale davanti al TAR Lazio.
Nella sua parte in diritto, questa seconda sentenza non definitiva corrisponde alla prima, sia quanto alla dichiarazione di infondatezza dei primi due motivi del ricorso, sia quanto agli argomenti a sostegno della rilevanza della questione e della sua non manifesta infondatezza.
2.1.– Anche in questo secondo giudizio si sono costituite la parte ricorrente nel giudizio a quo, con atto depositato il 27 marzo 2023, e la FITP, resistente nel giudizio a quo, con atto depositato il 10 aprile 2023. Entrambe chiedono l’accoglimento della questione sollevata, con argomenti coincidenti con quelli fatti valere dalle parti costituite nel primo giudizio.
Similmente, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, è intervenuto anche in questo secondo giudizio, con atto depositato il 6 aprile 2023, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata per le ragioni già esposte sopra, in relazione alla causa iscritta al n. 23 reg. ord. 2023.
3.– Il 14 giugno 2023 R. P. e la FITP hanno depositato memorie integrative nel primo giudizio, ribadendo l’illegittimità costituzionale della norma censurata e replicando agli argomenti della difesa erariale.
Nella stessa data C. C. e la FITP hanno depositato memorie integrative nel secondo giudizio, coincidenti con quelle relative al giudizio iscritto al n. 23 reg. ord. 2023.
4.– In entrambi i giudizi di legittimità costituzionale sono state depositate tre opinioni scritte di amici curiae (trenta federazioni sportive, due discipline sportive associate e quattro enti di promozione sportiva), ai sensi dell’art. 6 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale. Tutte le opinioni sono state ammesse dalla Presidente della Corte con decreto del 24 maggio 2023. Una delle opinioni depositate nel secondo giudizio è stata accompagnata da otto verbali e dichiarazioni di organi federali, che attestano la difficoltà di trovare persone disponibili a ricoprire le cariche direttive negli organi territoriali.
Motivi della decisione
1.– Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione prima-ter, con due sentenze non definitive del 30 dicembre 2022, iscritte al n. 23 e al n. 30 reg. ord. 2023, dubita della legittimità costituzionale dell’art. 16, comma 2, del d.lgs. n. 242 del 1999, come sostituito dall’art. 2, comma 1, della legge n. 8 del 2018, e dell’art. 6, commi 1 e 2, della stessa legge n. 8 del 2018, «nella parte in cui esclud[ono] agli associati della FIT la possibilità di candidarsi nell’ambito degli organi direttivi qualora abbiano già svolto tre mandati elettivi», per violazione degli artt. 2, 3, 18, 41, 42, 48 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 11 CEDU e all’art. 12 CDFUE.
L’art. 16, comma 2, del d.lgs. n. 242 del 1999, oggetto del presente giudizio, dispone quanto segue: «[g]li statuti delle federazioni sportive nazionali e delle discipline sportive associate prevedono le procedure per l’elezione del presidente e dei membri degli organi direttivi, promuovendo le pari opportunità tra donne e uomini. Il presidente e i membri degli organi direttivi restano in carica quattro anni e non possono svolgere più di tre mandati. Qualora gli statuti prevedano la rappresentanza per delega, il CONI, al fine di garantire una più ampia partecipazione alle assemblee, stabilisce, con proprio provvedimento, i princìpi generali per l’esercizio del diritto di voto per delega in assemblea al fine, in particolare, di limitare le concentrazioni di deleghe di voto mediante una riduzione del numero delle deleghe medesime che possono essere rilasciate, in numero comunque non superiore a cinque. Qualora le federazioni sportive nazionali e le discipline sportive associate non adeguino i propri statuti alle predette disposizioni, il CONI, previa diffida, nomina un commissario ad acta che vi provvede entro sessanta giorni dalla data della nomina. Gli statuti delle federazioni sportive nazionali e delle discipline sportive associate possono prevedere un numero di mandati inferiore al limite di cui al presente comma, fatti salvi gli effetti delle disposizioni transitorie in vigore. La disciplina di cui al presente comma si applica anche agli enti di promozione sportiva, nonché ai presidenti e ai membri degli organi direttivi delle strutture territoriali delle federazioni sportive nazionali e delle discipline sportive associate».
Le altre disposizioni censurate (commi 1 e 2 dell’art. 6 della legge n. 8 del 2018) stabiliscono a loro volta quanto segue: «1. Entro quattro mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Comitato olimpico nazionale italiano (CONI) adegua lo statuto alle disposizioni di cui all’articolo 3, comma 2, del decreto legislativo 23 luglio 1999, n. 242, come sostituito dall’articolo 1 della presente legge. Entro il medesimo termine, il CONI adotta il provvedimento di cui all’articolo 16, comma 2, terzo periodo, del decreto legislativo n. 242 del 1999, come sostituito dall’articolo 2 della presente legge. 2. Entro sei mesi dalla data di approvazione delle modifiche statutarie del CONI, le federazioni sportive nazionali e le discipline sportive associate, nonché gli enti di promozione sportiva, adeguano i loro statuti alle disposizioni di cui all’articolo 16, comma 2, del decreto legislativo 23 luglio 1999, n. 242, come sostituito dall’articolo 2 della presente legge».
Il rimettente ritiene che le norme citate violino: a) gli artt. 2, 3 e 18 Cost., in quanto la «definitiva incandidabilità» degli interessati, dopo lo svolgimento del terzo mandato, rappresenterebbe una misura sproporzionata ed irragionevole rispetto agli obiettivi che il legislatore si era prefissato, «soprattutto se si tratta di incidere su un’associazione di diritto privato che contribuisce allo sviluppo della personalità dell’individuo nell’ambito di una formazione sociale come la Federazione sportiva»; b) l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 11 CEDU e all’art. 12 CDFUE, che garantiscono la libertà di associazione, per le stesse ragioni appena esposte; c) gli artt. 41 e 42 Cost., perché «le restrizioni della libertà di iniziativa privata» non dovrebbero mai «sfociare nell’arbitrarietà e nell’incongruenza – e quindi nell’irragionevolezza – delle misure adottate per assicurare l’utilità sociale»; d) gli artt. 2 e 48 Cost., in quanto le disposizioni censurate limiterebbero in misura sproporzionata rispetto agli obiettivi prefissati «il diritto di elettorato passivo, avente carattere inviolabile, peraltro nell’ambito di un ente di diritto privato in cui […] si esplica la personalità».
2.– Le questioni sono state sollevate dal TAR con due sentenze non definitive, coincidenti sia quanto a norme censurate e parametri evocati, sia per gli argomenti utilizzati, ragion per cui i due giudizi possono essere riuniti per essere decisi con un’unica pronuncia.
3.– Nelle more della redazione della presente sentenza, l’art. 16, comma 2, del d.lgs. n. 242 del 1999 è stato modificato dalla legge n. 112 del 2023, che in sede di conversione ha aggiunto l’art. 39-bis nel d.l. n. 75 del 2023. I primi tre periodi dell’art. 16, comma 2, del d.lgs. n. 242 del 1999 sono ora così formulati: «Gli statuti delle federazioni sportive nazionali e delle discipline sportive associate prevedono le procedure per l’elezione del presidente e dei membri degli organi direttivi, promuovendo le pari opportunità tra donne e uomini. Il presidente e i membri degli organi direttivi restano in carica quattro anni e possono svolgere più mandati. I soggetti di cui al secondo periodo, in caso di candidatura successiva al terzo mandato consecutivo, sono eletti a condizione che conseguano un numero di voti pari almeno ai due terzi del totale dei voti validamente espressi».
Sebbene nel nuovo testo la norma censurata dal rimettente sia dunque venuta meno, lo jus superveniens non muta i termini della presente questione. Oggetto del giudizio di legittimità costituzionale è invero la norma da applicare nei giudizi a quibus, nei quali è impugnata la decisione del Collegio di garanzia dello sport presso il CONI che ha respinto il ricorso del privato contro la decisione della Corte federale d’appello che, a sua volta, aveva respinto il ricorso proposto contro il rifiuto di candidatura. In base al principio tempus regit actum, il rimettente decide su detti ricorsi applicando le norme all’epoca vigenti, risultando così le successive modifiche dell’art. 16, comma 2, del d.lgs. n. 242 del 1999 ininfluenti sulle odierne questioni (ex multis, sentenze n. 113 del 2023 e n. 165 del 2022).
4.– Il carattere alquanto articolato della norma censurata in parte qua e lo specifico oggetto dei giudizi a quibus impongono, in via preliminare, la delimitazione del thema decidendum.
4.1.– In un primo senso, si osserva infatti che il censurato art. 16, comma 2, del d.lgs. n. 242 del 1999 contiene in realtà una pluralità di disposizioni. Dopo il primo periodo, che affida agli statuti delle federazioni sportive nazionali e delle discipline sportive associate (DSA) il compito di regolare le procedure per l’elezione del presidente e dei membri degli organi direttivi, il secondo periodo stabiliva che «[i]l presidente e i membri degli organi direttivi restano in carica quattro anni e non possono svolgere più di tre mandati». In base poi all’ultimo periodo, «[l]a disciplina di cui al presente comma si applica anche agli enti di promozione sportiva, nonché ai presidenti e ai membri degli organi direttivi delle strutture territoriali delle federazioni sportive nazionali e delle discipline sportive associate».
È dunque a quest’ultima previsione che va ricondotto il divieto di candidatura oltre il terzo mandato per le cariche direttive nelle strutture territoriali delle federazioni sportive nazionali e delle discipline sportive associate, giacché alla luce di tale espressa specificazione l’ambito applicativo del citato secondo periodo va logicamente ristretto agli organi direttivi centrali delle federazioni e delle DSA.
In un secondo senso, rileva il fatto che i giudizi a quibus hanno ad oggetto il rifiuto opposto, sulla base del divieto censurato dal rimettente, alla richiesta dei ricorrenti di candidarsi alla carica di consigliere di due comitati regionali della FITP (della Toscana e delle Marche). Il TAR non chiarisce quale (o quali) periodi dell’art. 16, comma 2, intende censurare, sicché, considerato che i casi oggetto dei giudizi a quibus riguardano due comitati regionali della FITP, si deve ritenere che il rimettente implicitamente riferisca la censura all’unica disposizione rilevante per il suo giudizio, e dunque all’ultimo periodo dell’art. 16, comma 2, del d.lgs. n. 242 del 1999, che segnatamente riferisce il divieto in questione «ai presidenti e ai membri degli organi direttivi delle strutture territoriali delle federazioni sportive nazionali e delle discipline sportive associate».
4.2.– Sempre in tema di definizione del thema decidendum, non può essere presa in considerazione la distinta questione prospettata dalle parti costituite, volta a denunciare la violazione del principio di eguaglianza, in quanto la norma censurata determinerebbe, da un lato, un’irragionevole disparità di trattamento tra gli iscritti alle federazioni e gli iscritti ad altre associazioni private senza fine di lucro; dall’altro lato, una disparità di trattamento rispetto all’accesso alle cariche pubbliche, per le quali sarebbe previsto solo un limite ai mandati svolti consecutivamente, e non un limite assoluto come nel caso di specie.
Per costante giurisprudenza di questa Corte, infatti, l’oggetto del giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale è limitato alle norme e ai parametri indicati nelle ordinanze di rimessione, con esclusione della possibilità di ampliare lo stesso al fine di ricomprendervi questioni formulate dalle parti (ex plurimis, sentenze n. 63 e n. 15 del 2023, n. 228, n. 213 e n. 198 del 2022).
5.– Ancora in via preliminare, va dichiarata l’inammissibilità di alcune delle questioni sollevate.
5.1.– Sono inammissibili, innanzitutto, le questioni relative all’art. 6, commi 1 e 2, della legge n. 8 del 2018, che riguardano, rispettivamente, il dovere del CONI di adeguare il proprio statuto all’art. 3, comma 2, del d.lgs. n. 242 del 1999 e il dovere delle federazioni sportive nazionali, delle DSA e degli enti di promozione sportiva di adeguare i propri statuti all’art. 16, comma 2, dello stesso decreto.
Il TAR si concentra esclusivamente sulla norma che sancisce la definitiva incandidabilità dei soggetti che hanno già svolto tre mandati (cioè, sull’art. 16, comma 2, del d.lgs. n. 242 del 1999), senza mai soffermarsi sulle disposizioni appena citate in tema di adeguamento degli statuti.
Più precisamente, quanto alla rilevanza, il rimettente osserva che la questione «riguarda in via diretta la norma primaria contenuta nell’art. 16, comma 2, […] di cui l’art. 54, comma 2, dello Statuto FIT […] costituisce mera applicazione», e che è lo stesso art. 16, comma 2, ad aver «costituito il fondamento che ha portato all’esclusione del ricorrente dalle elezioni». Quanto alla non manifesta infondatezza, il TAR dà conto esclusivamente della ritenuta illegittimità costituzionale della norma che «esclude agli associati della FIT la possibilità di candidarsi nell’ambito degli organi direttivi qualora abbiano già svolto tre mandati elettivi», senza svolgere alcuna censura in relazione all’art. 6, commi 1 e 2, della legge n. 8 del 2018.
Ne consegue l’inammissibilità delle questioni aventi ad oggetto queste ultime disposizioni, per carenza di motivazione in ordine alla loro rilevanza (ex multis, sentenze n. 52 del 2023 e n. 213 del 2022; ordinanza n. 76 del 2022) e non manifesta infondatezza (ex multis, sentenze n. 42 e n. 2 del 2023, n. 266 del 2022).
5.2.– In secondo luogo, è inammissibile, per carenza di motivazione in ordine alla non manifesta infondatezza, la questione sollevata dal rimettente in relazione all’art. 12 CDFUE, quale parametro interposto rispetto all’art. 117, primo comma, Cost.
Come più volte affermato da questa Corte, «affinché la CDFUE possa essere invocata quale parametro interposto in un giudizio di legittimità costituzionale, occorre che il giudice a quo dia conto della riconducibilità della fattispecie regolata dalla legislazione interna all’ambito di applicazione del diritto dell’Unione europea ai sensi dell’art. 51 CDFUE, ciò che condiziona la stessa applicabilità delle norme della Carta (ex plurimis, sentenze n. 33 e n. 30 del 2021)» (sentenza n. 185 del 2021; nello stesso senso, sentenze n. 213 del 2021, n. 278 e n. 254 del 2020).
Il rimettente non fornisce, tuttavia, alcuna motivazione delle ragioni per le quali ritiene che la fattispecie regolata dalla norma censurata rientri nell’ambito di applicazione del diritto europeo, né offre alcun’altra indicazione dalla quale se ne possa trarre implicita giustificazione.
6.– Nel merito, è fondata la questione sollevata in riferimento agli artt. 2, 3 e 18 Cost.
6.1.– In primo luogo, è opportuno precisare che l’art. 18 Cost. è invocato in modo pertinente con riferimento alle federazioni sportive nazionali e alle discipline sportive associate (DSA).
Quanto alle prime, l’art. 2, comma 1, lettera v), del decreto legislativo 28 febbraio 2021, n. 36 (Attuazione dell’articolo 5 della legge 8 agosto 2019, n. 86, recante riordino e riforma delle disposizioni in materia di enti sportivi professionistici e dilettantistici, nonché di lavoro sportivo), definisce la federazione sportiva nazionale come «l’organizzazione sportiva nazionale, affiliata alla Federazione sportiva internazionale di appartenenza, posta al vertice di una disciplina sportiva o a un gruppo di discipline affini». Quanto alle seconde, è definita disciplina sportiva associata – dalla lettera r) dello stesso art. 2, comma 1 – «l’organizzazione sportiva nazionale, priva dei requisiti per il riconoscimento quale Federazione Sportiva Nazionale, che svolge attività sportiva sul territorio nazionale».
Entrambe – federazioni sportive nazionali e discipline sportive associate – «hanno natura di associazione con personalità giuridica di diritto privato», «non perseguono fini di lucro e sono soggette, per quanto non espressamente previsto nel presente decreto, alla disciplina del codice civile e delle relative disposizioni di attuazione» (art. 15, comma 2, del d.lgs. n. 242 del 1999), e «svolgono l’attività sportiva in armonia con le deliberazioni e gli indirizzi del CIO, delle federazioni internazionali e del CONI, anche in considerazione della valenza pubblicistica di specifiche tipologie di attività individuate nello statuto del CONI» (art. 15, comma 1, del d.lgs. n. 242 del 1999).
In attuazione di tali previsioni legislative, lo statuto del CONI individua le attività delle federazioni che hanno «valenza pubblicistica» (art. 23, comma 1, dello statuto, come modificato dal Consiglio nazionale il 9 marzo 2022), pur precisando che «[l]a valenza pubblicistica dell’attività non modifica l’ordinario regime di diritto privato dei singoli atti e delle situazioni giuridiche soggettive connesse» (comma 1-bis).
Si è così in presenza di un fenomeno organizzativo – non sconosciuto al nostro ordinamento – nel quale «la connotazione privatistica della forma associativa dalle stesse [federazioni] rivestit[a] convive, per definizione, con la valenza pubblicistica di parte delle attività svolte» (Consiglio di Stato, sezione quinta, sentenza 15 luglio 2021, n. 5348), e nel quale, dunque, tale seconda caratteristica non fa venir meno la prima, ossia la natura associativa privata delle federazioni sportive nazionali e delle discipline sportive associate. Con la conseguenza che il riferimento all’art. 18 Cost. è pertinente, come conferma del resto la sentenza n. 160 del 2019 di questa Corte, secondo cui «anche il sistema dell’organizzazione sportiva, in quanto tale e nelle sue diverse articolazioni organizzative e funzionali, trova protezione nelle previsioni costituzionali che riconoscono e garantiscono i diritti dell’individuo, non solo come singolo, ma anche nelle formazioni sociali in cui si esprime la sua personalità (art. 2 Cost.) e che assicurano il diritto di associarsi liberamente per fini che non sono vietati al singolo dalla legge penale (art. 18)».
6.2.– Quella assicurata dall’art. 18 Cost. è una «ampia e significativa garanzia costituzionale della libertà di associazione» (sentenza n. 417 del 1993), che si traduce nella tutela di un «ventaglio» di diritti correlati a tale libertà (sentenza n. 241 del 2014) che, anche al di là del diritto dell’individuo di associarsi, si estendono alla protezione degli organismi nei quali gli stessi individui agiscono in forma associata.
Accanto ai diritti di coloro che aspirano ad associarsi – e segnatamente al «diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazione, per fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale», riconosciuto espressamente dal primo comma (salvi i divieti fissati nel secondo comma), e alla speculare libertà di non associarsi (ex multis, sentenze n. 248 del 1997 e n. 69 del 1962) – la norma costituzionale tutela infatti i diritti di coloro che si sono associati (sentenze n. 173 del 2019, n. 417 del 1993 e n. 454 del 1991), dando vita ad organismi che rientrano fra le «formazioni sociali ove si svolge la […] personalità» degli individui (sul collegamento fra art. 2 e art. 18 Cost. si vedano le sentenze n. 160 del 2019, n. 239 del 1984 e n. 190 del 1975). E in questo contesto si tratta di diritti individuali strettamente interconnessi e funzionali anche alla stessa libertà delle associazioni, di qualsiasi tipo, nella misura in cui ne assicurano essenzialmente l’autonomia normativa e organizzativa (ex multis, sentenze n. 173 del 2019, n. 32 del 2012 e n. 301 del 2003).
Al pari di tutti i diritti costituzionalmente garantiti, anche quelli riconducibili alla libertà di associazione tutelata dall’art. 18 Cost. – a partire dal diritto, espressamente menzionato, «di associarsi liberamente», per il quale questa Corte ha sottolineato la tipicità dei limiti che la legge può apporvi in base alla disposizione costituzionale (sentenze n. 193 del 1985 e n. 69 del 1962) – sono suscettibili di un più generale bilanciamento con altri diritti o interessi pubblici di analogo rango (ex multis, sentenze n. 173 e n. 160 del 2019, n. 12 del 1970, nonché in generale n. 85 del 2013), sempre che sussista la «necessaria connessione strumentale [del vincolo] con il fine» (sentenza n. 40 del 1982) e che il bilanciamento non risulti irragionevole (per tutte, sentenza n. 301 del 2003) o sproporzionato. In particolare, quanto alla garanzia dell’autonomia delle associazioni, questa Corte, mentre ha ravvisato un limite non travalicabile dal legislatore nell’esistenza stessa di un organismo associativo privato, la quale costituisce «il nucleo irriducibile della (sua) autonoma sfera giuridica» (sentenza n. 282 del 2004, con cui è stata dichiarata costituzionalmente illegittima la previsione che ne disponeva la soppressione), ha escluso che costituiscano di per sé indebite interferenze sull’autonoma organizzazione o sull’attività dell’ente associativo previsioni legislative recanti vincoli alla composizione dei suoi organi direttivi o alla loro sfera di azione.
Così, per esempio, in tema di fondazioni bancarie, questa Corte ha avuto modo di precisare che non possono essere considerate costituzionalmente illegittime, né la previsione di «una significativa presenza nell’organo di indirizzo di soggetti espressi dagli enti territoriali», in ragione dell’esigenza di collegamento con le realtà locali, né quella di un esteso regime di incompatibilità fra le funzioni di indirizzo e amministrazione presso le fondazioni e le analoghe funzioni presso altre società operanti nel settore bancario, diretto allo scopo di recidere i legami fra la banca conferitaria e la fondazione (sentenza n. 301 del 2003).
Per altro verso, del resto, è stato escluso che costituisca indebita interferenza con l’esercizio della libertà di associazione la fissazione di limiti di scopo all’attività delle associazioni, negli stessi termini in cui tali limiti possono essere apposti all’attività del singolo, come quando si tratti dell’esercizio delle libertà economiche, che sono «sottoposte a limiti e a controlli più ampi e penetranti di quelli configurati in relazione alla libertà di associazione come tale» (sentenza n. 417 del 1993). Si tratta infatti, anche in questi casi, di «limiti costituzionalmente giustificati, diretti a precludere al singolo di utilizzare la libertà associativa per il perseguimento di finalità sottoposte a particolari discipline pubblicistiche», e dunque non destinati ad incidere «sul contenuto essenziale e tipico della libertà di associazione garantita dall’art. 18 della Costituzione» (ibidem).
Correttamente, dunque, negli atti introduttivi del presente giudizio il rimettente afferma che un limite ai mandati nell’assunzione di incarichi federali può essere astrattamente ammissibile. Mentre non può essere condivisa la tesi sostenuta dalla FITP nel suo atto di costituzione, secondo cui la norma censurata sarebbe costituzionalmente illegittima per il solo fatto di imporre un limite ai mandati direttivi nelle associazioni private, a prescindere dalla concreta configurazione del limite stesso.
Oltre a quanto osservato sopra circa la necessità di contemperare i diversi diritti riconducibili all’art. 18 Cost. con altri interessi costituzionali, va ribadito (si veda il punto 6.1.) che le federazioni sportive nazionali, pur essendo associazioni con personalità giuridica di diritto privato, svolgono anche funzioni di interesse pubblico, in relazione alle quali questi «soggetti formalmente privati» sono «inquadrati in un sistema organizzativo a struttura e configurazione legale (e non espressione di autonomia privata) e di ordine amministrativo» (Consiglio di Stato, sezione quinta, sentenza 12 febbraio 2019, n. 1006), ciò che può giustificare scelte legislative particolari che, senza comportare un sacrificio completo della autonomia di tali organizzazioni, tengano conto della connotazione pubblicistica degli interessi ad esse affidati (sul cui rilievo si veda la sentenza n. 160 del 2019).
6.3.– Escluso, dunque, che la garanzia costituzionale della libertà dell’associazione precluda qualsivoglia intervento legislativo limitativo dell’autonomia organizzativa dell’ente, il vaglio di legittimità costituzionale di misure di questo tipo si sostanzia nella verifica della non irragionevolezza e della non sproporzionalità del bilanciamento operato in concreto con esse, tenuto conto dello scopo perseguito e delle modalità prescelte per il suo raggiungimento.
Al riguardo si può osservare che – mentre normalmente la finalità perseguita con previsioni che pongono limiti alla libertà di associazione corrisponde a uno specifico interesse di rango costituzionale, diverso dalla libertà di associazione, e in ipotesi anche contrastante con essa – la peculiarità della norma censurata è che introduce una misura funzionale anch’essa, in ultima analisi, alla tutela di quella medesima libertà. L’obiettivo perseguito incidendo sul regime delle candidature è, infatti, quello di favorire l’accesso di tutti gli associati in condizioni di uguaglianza alle cariche direttive, e dunque, in definitiva, di consentire alla stessa autonomia organizzativa dell’associazione di esprimersi nella sua pienezza, superando cristallizzazioni interne derivanti da rendite di posizione di chi abbia già rivestito a lungo quelle stesse cariche.
Il bilanciamento in tale modo operato con la misura in esame si presenta quindi tutto “interno”, per così dire, allo stesso art. 18 Cost., in quanto la previsione contestata, da un lato, comprime l’autonomia normativa e organizzativa delle federazioni sportive nazionali e delle discipline sportive associate (competenti a disciplinare, nel loro statuto, le elezioni degli organi direttivi: art. 16, comma 2, del d.lgs. n. 242 del 1999) e i diritti degli associati (cioè, il diritto dei dirigenti “di lungo corso” di candidarsi nuovamente e il diritto dei componenti delle assemblee elettive di scegliere liberamente per chi votare); dall’altro, mira a garantire l’effettivo libero esplicarsi della stessa autonomia organizzativa, come sarà illustrato infra al punto 6.4.
Nel valutare il «profilo dell’asserita negativa incidenza del divieto del terzo mandato consecutivo sulla sfera di autonomia» di un soggetto, in quel caso non privato, ma pubblico, e tuttavia pur sempre a base associativa, questa Corte si è già occupata di un bilanciamento di questo tipo, nell’ambito del quale la limitazione alla libertà di candidarsi è diretta a meglio garantire la stessa autonomia organizzativa dell’ente (sentenza n. 173 del 2019, che ha dichiarato non fondata la questione sollevata dal Consiglio nazionale forense in relazione alla norma che prevede il divieto del terzo mandato consecutivo per i consiglieri dei consigli circondariali forensi). Nella pronuncia si sottolinea, in particolare, che il legislatore, «da una parte, limita, in negativo, la libertà di associarsi in capo a chi voglia esercitare la professione forense, dall’altro, contempera l’autonomia, comunque ampiamente riconosciuta, degli ordini stessi, in modo da garantire che qualunque iscritto possa accedere in condizioni di effettiva parità alle cariche sociali», essendo l’impedimento temporaneo alla ricandidatura evidentemente preordinato «a evitare la formazione e la cristallizzazione di gruppi di potere interni all’avvocatura, o quantomeno a limitarne l’eventualità, mediante il ricambio delle cariche elettive e la conseguente salvaguardia della parità delle voci dell’avvocatura».
La questione sollevata dal rimettente in riferimento agli artt. 2, 3 e 18 Cost. chiama dunque questa Corte a verificare se la scelta operata dal legislatore, nel contemperare i descritti diversi interessi riconducibili all’art. 18 Cost., sia rispettosa dei princìpi di ragionevolezza e di proporzionalità.
6.4.– Il rimettente censura l’art. 16, comma 2, ultimo periodo, del d.lgs. n. 242 del 1999 – nei termini ricostruiti sopra, al punto 3, delimitando il thema decidendum – in quanto la «definitiva incandidabilità» degli interessati a far parte degli organi direttivi territoriali, dopo lo svolgimento del terzo mandato, rappresenterebbe una misura sproporzionata e irragionevole rispetto agli obiettivi che il legislatore si è prefissato, «soprattutto se si tratta di incidere su un’associazione di diritto privato che contribuisce allo sviluppo della personalità dell’individuo nell’ambito di una formazione sociale come la Federazione sportiva».
Questa Corte «ha chiarito che, in presenza di una questione concernente il bilanciamento tra due diritti, il giudizio di ragionevolezza sulle scelte legislative si avvale del test di proporzionalità, che richiede di valutare se la norma oggetto di scrutinio, con la misura e le modalità di applicazione stabilite, sia necessaria e idonea al conseguimento di obiettivi legittimamente perseguiti, in quanto, tra più misure appropriate, prescriva quella meno restrittiva dei diritti a confronto e stabilisca oneri non sproporzionati rispetto al perseguimento di detti obiettivi (ex plurimis, sentenze n. 260 del 2021, n. 20 del 2019 e n. 137 del 2018)» (sentenza n. 88 del 2023).
La prima verifica attiene, dunque, alla legittimità del fine perseguito dalla norma limitativa, che, come visto, ha lo scopo di «stimolare e sostenere un […] ricambio direttivo ai vertici delle federazioni sportive nazionali», di sottrarre «le federazioni sportive nazionali al rischio di cristallizzazioni nell’assetto gestionale» e di «garantire efficienza e credibilità alle istituzioni sportive del nostro Paese» (così la relazione al disegno di legge n. 361 A.S., presentato il 2 aprile 2013). Come già anticipato, la norma mira in questo modo a evitare “rendite di posizione” dei dirigenti “di lungo corso”, garantendo la par condicio fra i candidati e una maggiore partecipazione alla vita associativa (si veda anche il parere della sezione consultiva del Collegio di garanzia del CONI n. 6 del 2018).
Si tratta, quindi, di una finalità che non risulta, né arbitraria, né pretestuosa. Prendendo in considerazione – a titolo esemplificativo – il caso dei comitati regionali della FITP (la federazione di cui si tratta nei giudizi a quibus), il numero e l’importanza delle funzioni da essi esercitate (come risulta dall’art. 1.4.5 del regolamento organico FITP di cui alla circolare n. 6 del 2023) e il fatto che il comitato sia eletto dall’assemblea regionale (che comprende i rappresentanti delle associazioni affiliate aventi diritto di voto, destinatarie di numerose funzioni del comitato: si vedano gli artt. 17, 35, 36 e 37 dello statuto della FITP deliberato il 16 ottobre 2022), si può ritenere verosimile che il ripetersi dei mandati crei – o, quantomeno, possa creare – “rendite di posizione”, idonee ad alterare la par condicio fra gli aspiranti candidati allo stesso comitato regionale.
La norma censurata appare dunque idonea a superare il primo passaggio del test di proporzionalità (attinente alla legittimità del fine), in quanto mira a soddisfare interessi riconducibili agli artt. 2, 3 e 18 Cost., consentendo che i tesserati delle federazioni sportive e delle DSA possano candidarsi alle cariche direttive locali con possibilità di successo non menomate dalla presenza di dirigenti “di lungo corso”, ed essendo diretta a ripristinare, attraverso il meccanismo predisposto, una effettiva par condicio degli associati, che potrebbe di fatto risultare alterata dal presumibile vantaggio di cui gode chi è già in carica. La disposizione stimola e favorisce così – in linea con il «principio di democrazia interna», che l’art. 16, comma 1, del d.lgs. n. 242 del 1999 pone alla base dell’autonomia delle stesse federazioni sportive – una maggiore partecipazione dei tesserati agli organi direttivi.
Al tempo stesso, e per le stesse ragioni, il divieto in questione tutela anche l’interesse della federazione, la cui efficienza e la cui imparzialità potrebbero essere compromesse dalla formazione di un “gruppo di potere” interno all’organo direttivo, che ne metta a rischio la stessa autonomia. Una finalità, quella della garanzia del buon funzionamento, e in definitiva della stessa democraticità interna dell’organizzazione autonoma, che questa Corte ha valorizzato, pur nel diverso contesto delle elezioni comunali per la candidatura a sindaco, come ulteriore prodotto della effettiva par condicio tra i candidati, della libertà dei votanti, della genuinità della competizione e del fisiologico ricambio della rappresentanza (sentenza n. 60 del 2023).
6.5.– Accertata la legittimità del fine perseguito, occorre verificare se la norma censurata abbia introdotto, fra le diverse misure idonee a soddisfarlo, la meno restrittiva degli interessi coinvolti, fra i quali, in particolare, l’interesse delle federazioni sportive e delle discipline sportive associate a regolare autonomamente la propria organizzazione e i meccanismi di copertura delle cariche elettive, il diritto di candidarsi di chi ha già svolto tre mandati e la libera scelta dei componenti dell’assemblea elettiva.
L’esito di tale verifica è negativo, poiché il divieto definitivo introdotto dalla norma censurata risulta eccessivo rispetto alla finalità pur legittimamente perseguita, come emerge con immediata evidenza dalle stesse concrete vicende oggetto dei giudizi a quibus.
Nel caso toscano, il ricorrente che si è visto opporre un rifiuto alla candidatura non faceva più parte del Comitato regionale da dodici anni, mentre nel caso marchigiano l’interessato aveva cessato di farne parte addirittura da più di venti. Dal che è più che lecito dedurre che, in entrambi i casi, la candidatura non avrebbe potuto ragionevolmente, né pregiudicare la par condicio dei candidati, né compromettere l’esigenza del ricambio nelle cariche direttive dell’associazione, e che, in ogni caso, tanto più il divieto appare irragionevole quanto più il momento della nuova candidatura si allontana rispetto a quello della cessazione dell’ultimo mandato.
Più in generale, è la drasticità di una misura quale il divieto definitivo e irreversibile di ricoprire cariche direttive di un’associazione privata (le strutture territoriali delle federazioni sportive e delle discipline sportive associate, nel caso della norma censurata) per avere già ricoperto in passato le medesime cariche per un determinato periodo, che si risolve in una compressione oltre il necessario degli interessi indicati, determinandone il contrasto con il principio di proporzionalità. L’obiettivo perseguito dalla norma, di favorire il ricambio e limitare rendite di posizione, può infatti – e dunque deve – essere perseguito in modi che limitino nei termini di quanto strettamente necessario il sacrificio dell’interesse dell’aspirante candidato che abbia in precedenza rivestito cariche direttive.
Ciò può essere realizzato in vari modi, rimessi alla discrezionalità del legislatore cui spetta di individuare la misura più idonea a contemperare gli interessi in gioco in modo che nessuno di essi sia sacrificato oltre il necessario. Così, per esempio, il bilanciamento operato con la previsione del divieto del terzo mandato consecutivo per i consiglieri dei consigli circondariali forensi è stato ritenuto da questa Corte non irragionevole, per il carattere temporaneo dell’impedimento diretto a perseguire una finalità legittima (sentenza n. 173 del 2019).
6.6.– Un ulteriore profilo di irragionevolezza della previsione censurata emerge ove si consideri la particolare ipotesi degli organi territoriali (soprattutto delle piccole federazioni e delle DSA). Il divieto contestato rischia invero di creare difficoltà nel reperimento dei candidati (come attestato dagli atti depositati da alcuni amici curiae: vedi il punto 4 del Ritenuto in fatto), considerato anche il carattere non retribuito delle cariche in questione (previsto al punto 7.5 dei “Principi fondamentali degli statuti delle Federazioni sportive nazionali e delle Discipline sportive associate”, approvati con deliberazione del Consiglio nazionale del CONI 9 marzo 2022, n. 1708). Con la conseguenza che una misura volta a promuovere una maggiore partecipazione alla vita associativa può finire per produrre l’effetto opposto, in quanto, nel caso in cui non si riesca a formare il comitato regionale, è prevista la nomina di un delegato (vedi, ad esempio, l’art. 39 dello statuto FITP).
7.– Accertata l’illegittimità costituzionale, per le ragioni esposte, della norma censurata (art. 16, comma 2, ultimo periodo, del d.lgs. n. 242 del 1999), occorre osservare come, nel testo modificato attualmente vigente (risultante dall’art. 39-bis del d.l. n. 75 del 2023, come convertito), essa non stabilisca più il divieto di candidatura oltre il terzo mandato per le cariche direttive nelle strutture territoriali delle federazioni sportive nazionali e delle DSA, ma estenda ai presidenti e ai membri degli organi direttivi delle strutture territoriali delle federazioni e delle DSA la disciplina attualmente posta dall’art. 16, comma 2, che non contiene più il divieto censurato dal rimettente.
In questa sede va, dunque, dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 16, comma 2, ultimo periodo, del d.lgs. n. 242 del 1999, con riferimento all’inciso «, nonché ai presidenti e ai membri degli organi direttivi delle strutture territoriali delle federazioni sportive nazionali e delle discipline sportive associate», nella parte in cui estendeva agli organi territoriali in questione il divieto posto dall’art. 16, comma 2, secondo periodo, del medesimo d.lgs. n. 242 del 1999, nel testo vigente prima delle modifiche apportate dall’art. 39-bis del d.l. n. 75 del 2023, come convertito.
8.– Le questioni relative ai rimanenti parametri invocati dal rimettente (art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 11 CEDU, artt. 41, 42 e 48 Cost.) restano assorbite.
Per Questi Motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 16, comma 2, ultimo periodo, del decreto legislativo 23 luglio 1999, n. 242 (Riordino del Comitato olimpico nazionale italiano - CONI, a norma dell’articolo 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59), con riferimento all’inciso «, nonché ai presidenti e ai membri degli organi direttivi delle strutture territoriali delle federazioni sportive nazionali e delle discipline sportive associate», nella parte in cui estendeva agli organi territoriali in questione il divieto posto dall’art. 16, comma 2, secondo periodo, del d.lgs. n. 242 del 1999, nel testo vigente prima delle modifiche di cui all’art. 39-bis del decreto-legge 22 giugno 2023, n. 75, recante «Disposizioni urgenti in materia di organizzazione delle pubbliche amministrazioni, di agricoltura, di sport, di lavoro e per l’organizzazione del Giubileo della Chiesa cattolica per l’anno 2025», convertito, con modificazioni, nella legge 10 agosto 2023, n. 112;
2) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 6, commi 1 e 2, della legge 11 gennaio 2018, n. 8, recante «Modifiche al decreto legislativo 23 luglio 1999, n. 242, in materia di limiti al rinnovo dei mandati degli organi del Comitato olimpico nazionale italiano (CONI) e delle federazioni sportive nazionali, e al decreto legislativo 27 febbraio 2017, n. 43, in materia di limiti al rinnovo delle cariche nel Comitato italiano paralimpico (CIP), nelle federazioni sportive paralimpiche, nelle discipline sportive paralimpiche e negli enti di promozione sportiva paralimpica», sollevate, in riferimento agli artt. 2, 3, 18, 41, 42, 48 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 11 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e all’art. 12 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione prima-ter, con le sentenze non definitive indicate in epigrafe;
3) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 16, comma 2, ultimo periodo, del d.lgs. n. 242 del 1999, sollevata, in riferimento all’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 12 CDFUE, dal TAR Lazio, sezione prima-ter, con le sentenze non definitive indicate in epigrafe.