Come afferma la Cassazione, l'ultima prestazione ai sensi dell'art. 2957, comma 2, c.c., deve essere individuata con riguardo allo svolgimento del contratto di patrocinio, e non al rilascio della procura alle liti.
L'avvocato si rivolgeva al Tribunale di Sciacca per chiedere il compenso professionale maturato per l'attività di patrocinio prestata in favore dei convenuti, i quali eccepivano la prescrizione ordinaria e presuntiva del diritto al compenso rivendicato.
Il Tribunale dichiarava prescritto uno dei crediti vantati dall'avvocato e condannava per il...
Svolgimento del processo
Con ricorso ex art. 702 bis c.p.c. depositato il 17 giugno 2016, l'avvocato G. B. adiva il Tribunale di Sciacca per sentire condannare P. R. e N. C. al pagamento della complessiva somma di euro 16.118,52 a titolo di compensi professionali per l'attività di patrocinio legale espletata dal primo in favore dei secondi, in forza: di un procedimento avviato avanti il Tribunale di Marsala, sezione distaccata di Partanna, definito con sentenza n. 76/2004; del successivo giudizio di appello avanti la Corte distrettuale di Palermo, concluso con sentenza n. 1431/2008; e del consequenziale giudizio avanti la Corte di Cassazione, deciso con sentenza n. 20868/2015.
Si costituivano in giudizio i resistenti che eccepivano la prescrizione ordinaria e presuntiva del diritto al compenso rivendicato dal professionista ricorrente: in particolare evidenziavano che il diritto al compenso per il giudizio definito con la sentenza n. 76/2004 si era estinto per intervenuta prescrizione ordinaria decennale; che il diritto al compenso per il giudizio definito con sentenza n. 1431/2008 era estinto per intervenuta prescrizione presuntiva triennale e che nulla era dovuto per il giudizio innanzi alla Corte di Cassazione, stante la condizione pattuita inerente al mancato aggravio di costi a carico dei ricorrenti.
Il giudice onorario del Tribunale di Sciacca, con ordinanza del 15.12.2017, ritenuto applicabile l’art. 14 D.Lgs. n. 150/11, nel merito dichiarava prescritto il diritto del ricorrente relativo al procedimento definito con sentenza n. 76/2004; e condannava per il resto i resistenti, in solido tra di loro, al pagamento degli onorari spettanti all’avv. B. per gli altri procedimenti (innanzi alla Corte d’appello di Palermo e alla Corte di cassazione) per complessivi euro 6.000,00 oltre accessori.
Per quanto ancora rileva in questa sede di legittimità, il Tribunale opinava che, in base alla sentenza n. 16439/12 di questa Corte, il compenso spettante all’avvocato devesse essere chiesto a definitiva conclusione di ogni fase processuale e che, pertanto, in base all’art. 2946 c.c. e in assenza di atti interruttivi, il credito azionato era in parte prescritto.
Avverso tale ordinanza l'avvocato G. B. ha proposto ricorso straordinario per Cassazione ex artt. 111 Cost. e 360, comma 4 c.p.c., articolato in due motivi.
Resistono con controricorso P. R. e N. C..
Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio ai sensi degli artt. 375 comma 2 e 380-bis.1 c.p.c.
In prossimità dell’adunanza camerale entrambe le parti hanno depositato memoria.
Motivi della decisione
1. - Sub specie di primo motivo (intitolato: «Inappellabilità dell’ordinanza del 15 dicembre 2017 del Tribunale di Sciacca impugnata ex art. 14 com. 4 D.Lgs. n. 150/2011, e sua conseguenziale ricorribilità per Cassazione ex artt. 111 Cost. e 360 com. 4 c.p.c.») il ricorrente non formula censure al provvedimento impugnato, ma deduce in funzione prolettica l’ammissibilità del proprio ricorso per cassazione ex artt. 111 Cost., 360, n. 4 c.p.c. e 14, quarto comma, D.Lgs. n. 150/11, (ragion per cui sarebbe inammissibile, per contro, l’appello instaurato dalla parte avversa).
Parte ricorrente deduce, al riguardo, che il procedimento ex lege n. 794 del 1942, in qualunque forma instaurato (processo ordinario o sommario di cognizione o ricorso per decreto ingiuntivo) soggiace alla medesima inappellabilità prescritta dall’art. 14, ultimo comma, D.Lgs. n. 150/11.
1.1. - I controricorrenti sostengono, invece, l’inammissibilità del ricorso (e l’ammissibilità, per contro, dell’appello che hanno proposto innanzi alla Corte distrettuale di Palermo), atteso che l’avv. B. avrebbe scelto di agire non già ai sensi dell’art. 14 D.Lgs. n. 150/11, ma in base alle norme del procedimento sommario di cognizione c.d. “puro” ai sensi degli artt. 702-bis e ss. c.p.c. Tanto si dedurrebbe: a) da quanto lo stesso avv. B. ha affermato nel primo motivo del ricorso per cassazione, in cui afferma di aver introdotto un procedimento sommario di cognizione c.d. “puro”; b) dal fatto di essere stati convenuti davanti al Tribunale del luogo di loro residenza, ai sensi dell’art. 18 c.p.c., mentre, diversamente, l’avv. B. avrebbe dovuto rivolgersi agli organi giudicanti di merito (Tribunale di Marsala e Corte d’appello di Palermo) innanzi ai quali egli aveva svolto l’attività difensiva della cui remunerazione si tratta; e c) dall’impugnata decisione, con la quale il Tribunale di Sciacca, dopo aver affermato l’applicabilità alla fattispecie del D.Lgs. citato, ha respinto l’istanza di mutamento del rito avanzata dagli attuali controricorrenti e deciso la controversia con ordinanza monocratica invece che collegiale.
2. - Il ricorso è ammissibile.
L’art. 14 del D.Lgs. n. 150/11 dispone che le controversie previste dall’art. 28 della legge 13 giugno 1942, n. 794, e l’opposizione proposta a norma dell’art. 645 c.p.c. contro il decreto ingiuntivo riguardante onorari, diritti o spese spettanti ad avvocati per prestazioni giudiziali sono regolate dal rito sommario di cognizione, ove non diversamente disposto dal presente articolo (primo comma). È competente l'ufficio giudiziario di merito adito per il processo nel quale l'avvocato ha prestato la propria opera. Il tribunale decide in composizione collegiale (secondo comma). Nel giudizio di merito le parti possono stare in giudizio personalmente (terzo comma). L'ordinanza che definisce il giudizio non è appellabile (quarto comma).
Tale norma è stata interpretata dalle S.U. di questa Corte nel senso che la controversia di cui all'art. 28 della legge n. 794 del 1942, come sostituito dal D.Lgs. n. 150/11, può essere introdotta: a) con un ricorso ai sensi dell'art. 702-bis c.p.c., che dà luogo ad un procedimento sommario "speciale" disciplinato dagli artt. 3, 4 e 14 del menzionato D.Lgs.; oppure: b) ai sensi degli artt. 633 segg. c.p.c., fermo restando che la successiva eventuale opposizione deve essere proposta ai sensi dell'art. 702-bis e segg. c.p.c., integrato dalla sopraindicata disciplina speciale e con applicazione degli artt. 648, 649, 653 e 654 c.p.c. È, invece, esclusa la possibilità di introdurre l'azione sia con il rito ordinario di cognizione sia con quello del procedimento sommario ordinario codicistico disciplinato esclusivamente dagli artt. 702-bis e segg. c.p.c. (S.U. n. 4485/18).
Il relativo problema applicativo di stabilire in concreto il regime impugnatorio del provvedimento con cui si liquidano gli onorari e le altre spettanze, dovuti dal cliente al proprio difensore per prestazioni giudiziali civili, deve essere risolto, sempre secondo la giurisprudenza di questa Corte, avendo riguardo alla forma adottata dal giudice in base alla qualificazione che egli abbia dato, implicitamente o esplicitamente, all'azione esercitata dalla parte (Cass. nn. 4904/18 e 26347/19).
Tale esito ermeneutico costituisce una proiezione del noto principio dell’apparenza, cristallizzato dalle S.U. proprio in subiecta materia, allorché queste ultime hanno affermato che, in tema di opposizione a decreto ingiuntivo per onorari ed altre spettanze dovuti dal cliente al proprio difensore per prestazioni giudiziali civili, al fine di individuare il regime impugnatorio del provvedimento - sentenza oppure ordinanza ex art. 30 della legge 13 giugno 1942, n. 794 - che ha deciso la controversia, assume rilevanza la forma adottata dal giudice, ove la stessa sia frutto di una consapevole scelta, che può essere anche implicita e desumibile dalle modalità con le quali si è in concreto svolto il relativo procedimento. (Nella specie, le S.U. hanno cassato la sentenza della Corte territoriale che aveva dichiarato inammissibile il gravame avverso la sentenza emessa dal giudice dell'opposizione a decreto ingiuntivo, per somme relative a prestazioni giudiziali civili, reputando che si trattasse, nella sostanza, di ordinanza inappellabile ai sensi dell'art. 30 della legge n. 794 del 1942, nonostante detta sentenza fosse stata emanata all'esito di un procedimento svoltosi completamente nelle forme di un ordinario procedimento civile contenzioso) (sentenza S.U. n. 390 dell’11.01.2011).
Il principio di apparenza, tuttavia, non esclude che tale consapevole scelta – esatta o errata che sia – possa accompagnarsi a nullità processuali per la non corretta applicazione di quel rito, che il giudice di merito abbia inteso, non di meno, applicare. Nullità che, a loro volta, ai sensi dell’art. 161, primo comma, c.p.c. si convertono in motivi d’impugnazione del provvedimento decisorio.
È il caso affrontato da due pronunce di questa Corte, le quali, nel ribadire che la controversia ex art. 28 della l. n. 794 del 1942, avente ad oggetto la domanda di condanna del cliente al pagamento delle spettanze giudiziali dell'avvocato, è soggetta al rito di cui all'art. 14 del d.lgs. n. 150 del 2011, e che, ove devoluta al tribunale, essa va decisa in composizione collegiale, hanno entrambe precisato che l'inosservanza delle disposizioni sulla composizione collegiale o monocratica del tribunale costituisce un'autonoma causa di nullità della decisione, con conseguente conversione in motivo di impugnazione (nn. 24754/19 e 23259/19).
Se ne ricava, coordinando tra loro gli indirizzi sopra ricordati, che in tanto la decisione monocratica o collegiale può inclinare a far ritenere implicitamente adottato un rito piuttosto che un altro, in quanto il giudice di merito non abbia espressamente manifestato la sua adesione ad uno dei due riti. Diversamente, il vizio di costituzione del giudice va considerato solo per ciò che di per sé comporta ai sensi dell’art. 161, primo comma, c.p.c.
2.1. - Nel caso in esame il giudice onorario del Tribunale di Sciacca: a) ha premesso che l’art. 14 D.Lgs. n. 150/11 impone l’applicazione del rito sommario di cognizione ex art. 702-bis c.p.c. per la liquidazione del compenso dell’avvocato; b) ha evidenziato, «al fine di fugare ogni ipotetico dubbio sollevato da parte resistente (...) come la Suprema Corte di Cassazione sia granitica nello statuire che “Le controversie per la liquidazione degli onorari e dei diritti dell’avvocato, in materia giudiziale civile, soggiacciono al rito di cui all’articolo 14 del d.lg. n. 150/2011 anche nell’ipotesi in cui la domanda non sia limitata al quantum, ma riguardi l’an della pretesa”»; e c) ha concluso nel senso che, conseguentemente, «la reiterata richiesta di modifica del rito, per come sollecitata ed eccepita da parte resistente, non può trovare accoglimento».
Dal tenore del provvedimento impugnato risulta, dunque, che il Tribunale ha espressamente preso partito a favore della tesi dell’applicabilità dell’art. 14 D.Lgs. più volte richiamato, tant’è che ha altrettanto esplicitamente respinto l’istanza di mutamento di rito che l’odierna parte controricorrente aveva formulato (in virtù – pare di capire – della contestazione circa l’an debeatur) non già affinché fosse seguito il rito speciale, ma proprio per escluderlo.
Né ha rilievo alcuno la circostanza che nel ricorso per cassazione l’odierno ricorrente qualifichi come “puro” il procedimento ex art. 702-bis c.p.c. che ha instaurato nella fase di merito. Indipendentemente da cosa detta parte intenda o da cosa debba intendersi con tale aggettivo riferito al procedimento sommario di cognizione, è sufficiente osservare che decisivo è il solo provvedimento impugnato, non le qualificazioni giuridiche che ex post le parti ne operino pro se o anche inconsapevolmente contra se.
3. - Con il secondo mezzo (che, per le superiori considerazioni, costituisce il solo ed effettivo motivo di ricorso) il ricorrente censura la violazione e falsa applicazione degli artt. 2946, 2935, 2957 comma 2 c.c. sotto il profilo dell'erronea individuazione del dies a quo di decorrenza del termine di ritenuta prescrizione ordinaria, in riferimento all'art. 360 comma 1, n. 3 c.p.c.
Sostiene che, diversamente da quanto ritenuto dal Tribunale di Sciacca, il termine di prescrizione ordinaria e presuntiva del diritto al compenso dell’avvocato comincia a decorrere dal giorno della pubblicazione della sentenza non impugnabile che chiude definitivamente la causa, e dunque dalla data di pubblicazione della sentenza passata in giudicato che definisce il giudizio di cognizione presupposto. Nel caso in esame, pertanto, il termine decorrerebbe dalla pronuncia della sentenza n. 2868/15 del 15 ottobre 2015 di questa Corte di cassazione, non risultando, così, prescritto il complessivo credito azionato.
3.1. - Il motivo è fondato.
Non è dato di comprendere da quale parte della sentenza n. 16439/12 di questa Corte il Tribunale abbia tratto il principio di diritto richiamato a pag. 4 dell’ordinanza impugnata (ed ivi così virgolettato: «”Il compenso spettante all’avvocato può essere legittimamente richiesto a definitiva conclusione di ogni fase processuale; da quel momento inizia di conseguenza a decorrere anche il periodo di prescrizione del credito, sulla scorta del principio generale per cui la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere”»).
In realtà, e in disparte che un principio simile (nella sostanza, ma non già nel testo trascritto) corrisponde non alla decisione di questa Corte, ma a quella di merito in allora impugnata, e che la pronuncia n. 16439/12 si è limitata a dichiarare inammissibile la diversa censura sull’interruzione della prescrizione e incongruo il relativo quesito di diritto (v. pag. 7 della sentenza appena citata); tutto ciò a parte, la giurisprudenza di questa Corte è in senso opposto a quanto ritenuto dal Tribunale siciliano.
Infatti, la prescrizione del diritto dell'avvocato al compenso decorre dal momento dell'esaurimento dell'affare per il cui svolgimento fu conferito l'incarico dal cliente, che, nel caso di prestazioni rese in due gradi di giudizio, coincide con la pubblicazione della sentenza di appello, poiché l'"ultima prestazione", ex art. 2957, comma 2, c.c., va individuata con riferimento all'espletamento del contratto di patrocinio, regolato dalle norme del mandato di diritto sostanziale, e non al rilascio della procura ad litem, che è finalizzata soltanto a consentire la rappresentanza processuale della parte (nn. 40626/21 e 13401/15; in senso analogo, cfr. n. 12326/01).
È solo per gli affari non terminati, invece, che il termine triennale di cui all’art. 2956 c.c. decorre dall’ultima prestazione, come stabilisce l’ultima parte del secondo comma dell’art. 2957 c.c. (cfr. n. 35275/21).
4. - In accoglimento del ricorso l’ordinanza impugnata va, dunque, cassata con rinvio al Tribunale di Sciacca, in diversa composizione.
Il giudice di rinvio provvederà anche sulle spese di questo giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso e cassa il provvedimento impugnato con rinvio al Tribunale di Sciacca, in diversa composizione, il quale provvederà anche sulle spese di cassazione.